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Melchiorre Cesarotti
Poesie di Ossian

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Testo

 

Colà di Selma sulla roccia ondosa329,

Sì riprese Fingàl, sotto una quercia

Io mi sedea, quando sul mar da lungi,

Con la lancia di Ducaro spezzata,

Conallo apparve. Il giovinetto altrove

Da' propri colli rivolgeva il guardo,

L'orme del padre rimembrando in quelli.

Io m'accigliai: mi s'aggirar per l'alma

Tenebrosi pensieri; i re d'Erina

Schierarmisi dinanzi: impugno il brando.

Lenti i miei duci s'avanzar, quai liste

Di nubi raggruppantisi, lo scoppio

Di mia voce attendendo; ai lor dubbiosi

Spirti era dessa, quasi all'aer soffio,

Di nebbia sgombrator. Le vele al vento

Di sciorre imposi: dall'acquose valli

Già trecento guerrier stavan guatando

Il brocchier di Fingàl330, che in alto appeso

Tra le velate antenne al loro sguardo

Segna le vie del mar: ma poi che scese

La buja notte, io percoteva il cerchio

Dator di cenni331; e per lo ciel con l'occhio

Della vaga Ulerina332 igni-crinita

N'andava in traccia: la cortese stella

Più non s'ascose, ella tra nube e nube

Tenea suo corso; dell'amabil raggio

Io seguitai la rosseggiante scorta

Sull'oceàn, che debilmente a quella

Gìa luccicando. Col mattin tra nebbie

Inisfela spuntò: nel seno ondoso

Di Moilena approdai, ch'ampio si versa

Tra risonanti boschi. Ivi Cormano

Contro la possa di Colculla irato

Schermo si fea del suo riposto albergo.

Né sol Corman n'avea timor; con esso

Era Roscrana333, la regal donzella

Dal guardo azzurro e dalle man di neve.

Appuntellati sul calcio dell'asta

S'avvicinaro i tremolanti passi

Del buon Cormano: un languido sorriso

Spunta sul labbro, e duol calcagli il core.

Videci, e sospirò: l'arme, diss'egli,

Veggio del gran Tremmòr; questi di fermo

Sono i passi del Re. Fingallo, ah! raggio

Se' tu di luce al nubiloso spirto

Dell'afflitto Cormano: o figlio mio,

Il tuo valor vince l'età; ma forti

Son d'Erina i nemici: adeguan possa

Di rimugghianti rivi. E questi rivi

Rimugghin pur, diss'io, l'alma sentendo

Gonfiarmisi di nobile alterezza.

Forse svolver potransi. O sir d'Erina,

Non siam schiatta d'imbelli. E che? Temenza

Dunque verrà quasi notturno spettro

A sbigottirci? ah no: crescon del paro

Al nemico le forze, al prode il core.

Non riversar bujo di tema in petto

D'animosi garzoni. A cotai detti,

Pianto inondò la senil guancia: ei muto

Per man mi prese: alfin soggiunse: o sangue

Dell'ardito Tremmòr, nube di tema

Su te non soffio, e chi potrialo in terra?

Tu già nel foco de' tuoi padri avvampi;

Veggio la fama tua, che qual corrente

D'orata luce il tuo sentier t'addita.

Seguilo, o prode. Sol l'arrivo attendi

Del mio Cairba334: di mio figlio il brando

Unir dessi al tuo acciaro. Egli d'Ullina

Chiama la prole dai riposti seggi,

E l'invita a battaglia. Andammo insieme

Alla sala del re, ch'ergeasi in mezzo

D'alpestri scogli, i di cui negri fianchi

Logri avean l'orme di rodenti rivi.

Quercie di spaziosi ispidi rami

Vi si curvano intorno: ondeggia al vento

Ivi folto scopeto: ivi Roscrana

Visibil mezzo, e mezzo ascosa il dolce

Canto disciolse: sdrucciolò sull'arpa

La sua candida man; vidi il soave

Girar dell'azzurrina pupilletta,

Vidilo, e non invano: ella parea

Uno spirito amabile del cielo,

A cui s'avvolge vagamente intorno

Negletto lembo di cerulea nube.

Festeggiammo tre dì; la bella forma

Sorgea tuttor nel mio turbato spirto.

Corman fosco mi vide, e la donzella

Dal candidetto sen diemmi; ella venne

Dimessa il guardo, e 'l crin dolce scomposta.

Venne; ma pugna allor muggìo. Colculla

S'avanza; impugno l'asta, inalzo il brando,

Mi circondano i miei; per entro i solchi

Spingiamci in folla del nemico. Alnecma

Fuggì, cadde Colculla; in mezzo a' suoi

Tornò Fingal carco di fama. O figlio,

Famoso è quel, cui fan riparo a tergo

I suoi campioni: il buon cantore il segue

Di terra in terra: ma colui che solo

Sconsigliato s'avanza, ai dì futuri

Poche imprese tramanda. Oggi sfavilla

D'altissimo splendor, doman s'eclissa.

Una sola canzon chiude i suoi vanti;

Serba un sol campo il nome suo, né resta

La rimembranza dei suoi fatti altrove,

Fuorché colà dove affrettata tomba

Fa via via pullular le piote erbose.

Così parlò l'eccelso Re335: sull'erto

Giogo di Cormo tre cantor versaro

Il canto lusinghevole del sonno,

E quei discese. Carilo ritorno

Fè alla tomba di Conallo336. O duce,

Non fia che giunga al tuo squallido letto

La voce del mattin, né presso il freddo

Caliginoso tuo soggiorno udrai

Latrar di veltri, o scalpitar di damme.

Come a meteora della notte intorno

Allumatrice di turbate nubi

Volvansi queste: in cotal guisa Erina

Intorno d'Ata al luminoso duce

Tutta s'accolse. Egli nel mezzo altero,

Quasi per vezzo spensieratamente

Palleggiando la lancia, accompagnava

L'alzarsi alterno e l'abbassar del suono,

Che uscia dall'arpa di Fonarre. Appresso

Contro un masso appoggiata era Sulmalla,

Dal bianco sen, dal cilestrino sguardo,

Sulmalla di Gomor, sir d'Inisuna.

Già di queste in soccorso il campion d'Ata337

Venne, e i nemici ne fugò: lo vide

Maestoso la vergine e leggiadro

Nella sala paterna, e non cadea

Indifferente di Catmorre il guardo

Su la donzella dalle lunghe chiome.

Ma 'l terzo giorno dall'acquosa Erina

Fiti338 sen venne, e raccontò l'alzarsi

Dello scudo di Selma339, ed il periglio

Dell'oscuro Cairba. Il duce a Cluba340

Spiegò le vele: invan; che in altre terre

Soggiornavano i venti.341 Egli tre giorni

Sulla spiaggia si stette, e l'occhio addietro

In ver le sale di Gomor volgea:

Che della figlia gli pungeva il core

La rimembranza; e ne traea sospiri.

Or quando a risvegliar l'assonnate onde

Il vento incominciò, scese dal colle

Sconosciuto guerrier, che di far prova

Dell'asta giovinile avea vaghezza

Nei campi di Catmorre. Ah sotto l'elmo

Qual volto si nasconde! era Sulmalla.

Venne anelante con forzati passi

Dietro l'orme del Re: natava in gioja

La sua azzurra pupilla in rimirarlo,

Quando stendea le ben composte membra

Lungo il ruscello. Ma Catmòr credea

Ch'ella pur anco cavrioli e damme

Inseguisse con l'arco; oppur che assisa

Sopra la vetta di Lumon, la bianca

Mano stendesse ad incontrar il vento

Che spirava da Erina, amato albergo

Del suo diletto: di tornar per l'onde

Promesso avea, ma lo prevenne. È dessa,

Volgiti, o duce, hai la tua bella accanto.

L'eccelse forme dei campion d'Erina

Cerchio feano a Catmòr; nessun mancava,

Fuorché Foldan dal tenebroso ciglio342.

Giacea lungi costui sotto una pianta,

Riconcentrato nel profondo orgoglio

Di sua caliginosa anima: al vento

Stride l'ispido crine: ei tratto tratto

Va borbottando discordanti note

Di dispettoso canto: alfin cruccioso

Pesta la pianta colla lancia, e parte,

E cogli altri si mesce. Al raggio ardente

D'arida quercia il giovinetto Idalla

Splender vedeasi in placido sembiante.

Giù per la fresca rubiconda guancia

In lunghe liste d'ondeggiante luce

Cadegli la biondissima ricciaja.

Soave era sua voce, e lungo il Clora

Soavemente l'accordava al suono

Di music'arpa, e col gentil concento

Temprava il rugghio del ruscel natio.

Re d'Erina, diss'ei, conviti e feste

Richiede il tempo: or via, fa' che si desti

La voce dei cantor: l'alma dal canto

Torna più fresca e vigorosa in guerra.

Notte copre Inisfela; errarci intorno

Già scorgo i passi luridi dell'ombre;

L'ombre dei spenti in guerra intorno stanci

Sitibonde di canto: al canto, all'arpe,

S'allegrino gli estinti. Estinti e vivi

(Scoppiò in tai detti di Foldan lo sdegno)

Copra dimenticanza343: in faccia mia

Si ragiona di canto, or ch'io son vinto?

Ma no, vinto non fui; sallo il nemico

Se 'l mio sentier fu turbine e procella.

Stroscia di sangue m'allagava i passi,

Piovea morte l'acciar: ma che? gl'imbelli

Stavanmi a tergo: indi fu Morven salva.

Or va, molle garzon, tasteggia l'arpa

Nella valle di Clora: ogni sua corda

Dura risponda alla tua voce imbelle.

Mentre più cerchi d'adescar cantando

Donna che adocchia in un boschetto ascosa

La tua gialliccia effeminata chioma.

Va sul Clora, garzon, fuggi dal Luba;

Questo è campo d'eroi. L'ascolti, e il soffri,

Re di Temora? con arcigno volto

Malto riprese. A te, signor, s'aspetta

Dar della pace e della pugna i cenni.

Contro i nemici tuoi spesso tu fosti

Foco distruggitor, spesso atterrasti

Entro tombe di sangue armate intere,

Ma nel tuo ritornar chi di baldanza

Parole intese? I furibondi, i folli

Sol si pascon di stragi e spiran morte.

Sopra la punta della lancia è fitta

La lor memoria, ed han pensieri e sensi

Di zuffe e sangue avviluppati e intrisi.

Sempre parlan costor. Duce di Moma,

Vanta a tua posta il tuo valor: tu sei

Nembo, turbin, torrente. E che? tu solo

Scuoti la lancia? avesti a fronte i forti;

Non i fiacchi alle spalle. Ah! fiacchi noi?

Osil tu sostener? c'e' chi tel niega,

Chi del tuo irato impareggiabil brando

Non teme il paragon. Farsi due vampe

Nel volto i duci, stralunar gli sguardi,

Curvarsi innanzi ed impugnar le spade

Fu solo un punto. In fera zuffa avvolti,

Il convito regal già già di sangue

Bruttato avriano; se di nobil ira

Non s'accendea Catmòr. Trasse l'acciaro

Riverberante, e imperioso in atto,

Olà, gridò, freno a que' spirti insani,

Figli dell'alterezza: oltre, nel bujo

Correte a rimpiattarvi: a sdegno forse

Provocarmi v'alletta? e trarmi a forza

Contro d'entrambi a sollevar la spada?

Guai se... non più: questo di gare e risse

Tempo non è; sparitemi dinanzi,

Nubi importune; del comun diletto

Non turbate la gioja. Ambo allibiro,

Ambo s'allontanar di qua, di là

Taciti, rannicchiati; avresti appunto

Viste di paludosa infetta nebbia

Due smisurate ed orride colonne,

Quando di mezzo in suo chiaror sovrano

Vi spunta il sol; s'arretran quelle, e dense

In sé raccolte tenebrosamente

Van roteando ai lor cannosi stagni.

Stavan gli altri guerrier taciti a cerchio

Della mensa regale, e ad ora ad ora

Volgean mal fermo rispettoso il guardo

D'Ata al signor, che passeggiava in mezzo

Nel nobile fervor di sua grand'alma,

Che intiepidiasi, e già spuntava in quella

L'amabil calma, e 'l bel seren natio.

Sul campo alfin l'oste sdraiossi, il sonno

Scese in Moilena: di Fonàr soltanto

Seguia la voce a risonar Catmorre,

Sangue di Larto344, il condottier del Lumo.

Ma non l'udia Catmòr; sopito ei giace

Lungo un fremente rio: sibila il crine,

Gradito scherzo alla notturna auretta.

Venne Cairba a' sogni suoi, ravvolto

Tra fosca nube, che per veste ei prese

Nel grembo della notte: oscura in volto

Gli spuntava letizia; inteso avea

La funebre canzon, che alla sua ombra

Carilo sciolse345, e ne volò repente

All'aeree sue stanze: usciro i rochi

Accenti suoi col fremito confusi

Del mormorante rio. Gioja riscontri

L'anima di Catmòr: Moilena intese

La voce sua; Cairba ebbe il suo canto.

Or veleggia su i venti; è la sua forma

Nelle sale paterne; ivi serpeggia

Quasi vampa terribile che striscia

Per lo deserto in tempestosa notte.

Generoso Catmorre, alla tua tomba

Vati non mancheranno: amor dei vati

Fu sempre il prode: lusinghiera auretta

È il tuo nome, o Catmòr346. Ma odo, o parmi

Un suon lugubre; nel campo del Luba

Stavvi una cupa voce. Aerei spettri,

Inforzate il lamento: eran gli estinti

Carchi di fama: ecco si gonfia e cresce

Il mesto suon, l'aere se n'empie, il nembo

Ulula. Addio Catmòr... tra poco... addio.

Fuggì ravvoltolandosi: l'antica

Quercia sentì la sua partenza, e 'l capo

Sibilante crollò. Dal sonno il duce

Scossesi, impugna l'asta, il guardo intorno

Desioso rivolge; altro non vede

Che notte atro-velata. Ella è la voce,

Disse, del re: ma la sua forma è ita.

O figli della notte, i vostri passi

Non lascian orma: in arido deserto,

Quasi del Sole ripercosso raggio,

Comparite talor, ma sparite anco

All'apparir dei nostri passi: or vanne

Debole stirpe: in te saper non regna347.

Vane son le tue gioie, a par d'un sogno

Che lusinga e svanisce, o quale all'alma

Lieve-alato pensier s'affaccia e passa.

Catmor... tra poco... e che sarà? fia basso,

Scuro giacente in la magione angusta:

Ve' co' mal fermi ancor socchiusi lumi

Non arriva il mattin? Vattene, o ombra,

Battaglia è 'l mio pensier: tutt'altro è nulla.

Già sovra penne d'aquila m'inalzo

Ad afferrar della mia gloria il raggio.

Giaccia sul margo a serpeggiante rivo

In solitaria valle anima imbelle

Di picciolo mortal: passano gli anni,

Volvonsi le stagioni, ei neghittoso

Torpe in riposo vil: ma che? la morte

Vien sopra un nembo tenebrosa e muta,

E 'l grigio capo inonorato atterra.

Tal io non partirò. Non fu Catmorre

Molle garzone ad esplorare inteso

Covil di damme: io spaziai coi regi,

Con lor venni a tenzone, e 'l mio diletto

Fu mortifero campo, ove la pugna

Spazza dal suol le affastellate squadre,

Qual forte soffio accavallate nubi.

Così parlò d'Alnecma il sire, e ferma

Serenità gli si diffuse in petto:

Quasi fiamma vital valor gli serpe

Di vena in vena: maestosi e grandi

Sono i suoi passi, e già sgorgagli intorno

Il raggio oriental. Vid'ei la grigia

Oste gradatamente colorarsi

Alla nascente luce, ed allegrossi,

Come s'allegra un spirito del cielo,

Ch'alto su i mari suoi s'avanza, e quelli

Vede senz'onda, e senza penna i venti:

Fallace calma e passeggera; ei tosto

Risveglia i flutti imperioso, e vasti

Sonante spiaggia a flagellar li spinge.

Lungo la ripa d'un ruscello intanto

D'Inisuna la vergine giacea348

Addormentata. Dall'amabil fronte

Caduto era l'elmetto: ella sognando

Sta nelle patrie terre: ivi il mattino

Dorava i campi suoi; scorrean dai massi

Cerulei rivi, e 'l venticel per gioco

De' giuncheti scotea le molli cime.

Vivace suono che alle caccia invita

Spargesi intorno: ai cacciator sovrasta

D'Ata l'eroe; l'innamorato sguardo

Egli torce a Sulmalla; essa la faccia

Rivolge altrove orgogliosetta, e l'arco

Piega negli atti non curante e in volto

Ferma: ah Sulmalla, ah! ma vacilla il core.

Tale era il sogno suo quando dappresso

Le si fece Catmòr. Videsi innanzi

Quel caro volto, inaspettata vista,

E 'l ravvisò: che far dovea l'eroe?

Gemè, pianse, partì. No, duce d'Ata,

Non è tempo d'amor, t'attende il campo.

Ei disse; e 'l cerchio ammonitor percosse,

Onde di guerra esce la voce. Erina

Sorsegli intorno, e rimbombò: dal sonno

La vergine si scosse; arrossa, e trema

Delle sparse sue trecce; adocchia a terra

L'elmetto, e frettolosa e palpitante

Lo ricoglie, e s'asconde: ohimè! s'Erina

Sapesse mai che in queste spoglie è avvolta

La figlia d'Inisuna! Ella rammenta

La sua stirpe regale, e le divampa

La nobil alma di leggiadro orgoglio.

Dietro una rupe si celò, da cui

Scende garrulo rivo in cheta valle;

Gioconda solitudine remota

A pacifiche damme, anzi che quindi

Ne le cacciasse alto fragor di guerra.

Qui della bella vergine all'orecchio

Giungeva ad or ad or la cara voce

Dell'amato guerriero: alla sua doglia

Qui s'abbandona; del suo mal presaga

L'anima le si abbuja; ella dal canto

Cerca conforto, ed amorosi lai

Sparge sul vento in suon flebile e fioco.

Breve gioja, ove se' ita;

Caro sogno, ove sei tu?

Inisuna è già sparita,349

Il mio suol non veggo più.

Della caccia in la mia terra

Più non odo il lieto suon!

Falda orribile di guerra

Mi circonda: ove mai son?

Guardo fuor, né veggo un raggio

Che m'additi il mio sentier.

Ah che speme altra non aggio!

Ah che basso è 'l mio guerrier!350

Presso è il re dall'ampio scudo,

De' possenti atterrator.

Ohimè! scende il ferro crudo,

Ah tu cadi, o dolce amor!

Di Gomorre351 ombra diletta,

Ove porti il mobil piè?

Caro padre, arresta, aspetta,

Non andar lungi da me.

Stranie terre, altri paesi

Vai sovente a visitar:

La tua voce, o padre, intesi,

Mentr'io lassa era sul mar.

Figlia mia, tu corri a morte,

La tua voce parea dir:

Tutto invan; che amor più forte

Nel mio cor si fea sentir.

Spesso i figli a trar di pene

La paterna ombra sen vien,

Quando afflitti e fuor di spene

Solo in duol vita gli tien.

Il mio caro ah se m'è tolto,

Vieni, o padre, per pietà,

Strutto in pianto, in duol sepolto

Più del mio, qual cor sarà?


 




329 - Questo episodio ha una connessione immediata colla storia di Conal e Dutcaron riferita sul fine del III canto. Il vero fine del poeta sembra quello di dare sempre maggiori lumi intorno alle antiche gare fra i Caledonj e i Fir-bolgi; ma direttamente vien proposta la seguente istoria per dare a Fillano un esempio di giudiziosa condotta nelle battaglie, di cui quel giovine eroe mostrava aver bisogno.



330 - Come insegna di guerra, e conforto dei riguardanti.



331 - Lo scudo a que' tempi prestava lo stesso uso che prestano al tempo nostro le squille, per avvisar prontamente la moltitudine.



332 - Ul-erin, la guida all'Irlanda, stella conosciuta sotto questo nome ai tempi di Fingal, e molto utile a quelli che navigavano in tempo di notte dalle Ebridi, o sia dalla Caledonia, verso la costa di Ulster. Si può scorger da questo passo, che la navigazione in que' tempi era considerevolmente avanzata fra i Caledonj.



333 - Era dessa la madre di Ossian.



334- Cairbar, figlio di Cormac, fu dopo re d'Irlanda. Il suo regno fu certo, ed ebbe per successore Artho, padre di Cormac II, che fu assassinato da Cairbar signor di Atha.



335 - Cormul. Così chiamavasi il giogo più elevato del monte di Mora.



336 - Le seguenti parole possono egualmente riferirsi a Carilo e ad Ossian.



337 - I Fir-bolgi che abitavano l'Irlanda meridionale, essendo originariamente discesi dai Belgi, che possedevano il mezzodì e l'occidente della Bretagna, mantennero per molti secoli un'amichevole corrispondenza col loro paese nativo; e mandarono ajuto ai Belgi britanni quand'essi erano stretti dai Romani, o da altri avventurieri venuti dal continente. Conmor, re d'Inishuna (cioè quella parte della Bretagna meridionale, ch'è al dirimpetto della costa d'Irlanda) essendo attaccato da nemici, mandò per ajuto a Cairbar, signor d'Atha, il più potente capo dei Fir-bolgi, e Cairbar inviò in soccorso di Conmor suo fratello Cathmor. Questi, dopo varie vicende, pose fine alla guerra colla total disfatta dei nemici, e tornò trionfante alla residenza di Conmor. Qui al convito Sulmalla figlia di Conmor, s'innamorò disperatamente di Cathmor. Ma questi innanzi che la passione della donzella fosse scoperta, era stato richiamato in Irlanda da suo fratello Cairbar, per la nuova che quegli aveva ricevuta della spedizione di Fingal. Cathmor essendogli il vento contrario s'arrestò tre giorni nella baia vicina. In questo tempo, Sulmalla travestita da guerriero venne ad offrirgli i suoi servigi. Cathmor l'accettò senza conoscerla, e avendo fatto vela per l'Irlanda, arrivò in Ulster poco prima della morte di Cairbar: dal che si comprende ch'egli non ebbe parte nella cospirazione del fratello, e nell'assassinio di Cormac.



338 - Nome di un messo irlandese.



339 - Questa espressione significa l'incominciar della guerra. La cerimonia usata da Fingal quando si accingeva a qualche spedizione vien riferita da Ossian in uno de' suoi minori poemi. Un cantore di mezza notte andava alla sala, ove le tribù festeggiavano nelle occasioni solenni; intonava la canzon della guerra: e chiamava tre volte gli spiriti dei loro morti antenati a venire sulle loro nuvole a mirar le azioni dei loro figli. Allora Fingal appendeva lo scudo di Tremmor a un albero sopra la rupe di Selma, battendolo per intervalli con la punta rintuzzata d'una lancia, e cantando intanto la canzon della guerra. Così faceva egli per tre notti consecutive, e nel tempo stesso mandava messaggieri a convocar le tribù.



340 - Braccio di mare in Inishuna.



341 - Era bonaccia.



342 - Indispettito per aver perso la battaglia contro Fillano



343 - Non poteva dirsi a que' tempi bestemmia più esecrabile.



344 - Lear-thon, nome del capo di quella colonia di Fir-bolg, che prima tragittò in Irlanda. Lo stabilimento di Lathon in questo paese è riferito diffusamente nel canto VII. Qui è chiamato Larthon di Lumon, dal monte d'Inishuna che somministrò la materia alla fabbrica della sua nave.



345 - Vedi il fine del canto II



346 - L'ombra di Cairbar predice indirettamente la morte di Cathmor enumerando i segnali che, secondo l'opinione di que' tempi, precedevano la morte delle persone famose



347 - Si sente che l'eroe è alquanto indispettito per questa predizione poco obbligante.



348 - Sulmalla



349 - Allude al sogno accennato di sopra, in cui le pareva d'essere alla caccia in Inishuna assieme con Cathmor.



350 - Parla come se fosse basso perché teme che debba esserlo.



351 - Gon-mor padre di Sulmalla restò ucciso in quella guerra da cui Cathmor liberò Inishuna.






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