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Melchiorre Cesarotti
Poesie di Ossian

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Testo

 

S'alza Catmòr376? che fia? l'acciar di Lona

Fingallo impugnerà? ma che fia poscia

Di tua fama crescente, altero germe

Della candida Clato377 ? Ah! dal mio volto

Non torcer no l'annuvolato sguardo,

O figlia d'Inistor378: non fia ch'io copra

Col mio chiaror quel giovinetto raggio379

Ei mi brilla sull'alma. Oh colle falde

Degli aerei tuoi boschi alzati, o Mora,

Fra la battaglia e me: perché degg'io

Starmi la pugna a risguardar, per tema

Che cader debba anzi il suo tempo spento

Il mio guerriero dalla bruna chioma?

Lungi il tristo pensier: confuso suono

Chiuda al fragor della battaglia il varco.

Carilo, della leve arpa tremante

Sgorga fra' canti il suon: qui delle balze

Son pur le voci, e delle onde cadenti

Il grato sussurrar. Padre d'Oscarre380,

Tu solleva la lancia, al giovinetto

Porgi soccorso381; ma i tuoi passi ascondi

Agli occhi di Fillano: ah non conosca

Il pro' garzon ch'io del suo acciar diffidi.

No, figliuol mio, non sarà mai che sorga

Sulla tua luminosa alma di foco

Nube per me, che la raggeli o abbui.

Dietro il suo poggio ei si ritrasse al suono

Della voce di Carilo: io gonfiarsi

Sentiimi l'alma; e palpitante presi

La lancia di Temòra382. Errar io scorsi

Lungo Moilena l'orrida rovina

Della zuffa di morte, armati ed arme

Ravviluppati, scompigliate schiere,

Qual ferir, qual fuggir. Fillan trascorre

Per l'oste, e ne fa scempio, e d'ala in ala

Foco devastator desola e passa.

Tutti dinanzi a lui stempransi i solchi

Della battaglia, e van qual fumo al vento.

Ma in suo regale bellicoso arnese

Scende Catmòr: dell'aquila temuta

Oscure roteavano le penne

Sull'elmetto di foco: ei move al campo

Spregiantemente in suo valor securo,

Come se d'Ata lo chiamasse ai boschi

Festosa caccia: sollevò più volte

La terribil sua voce. Udillo Erina,

E si raccolse; l'anime de' suoi

Che svanian per timor, corsero addietro

Quasi torrenti, e meraviglia ed onta

Ebber di lor temenza: in cotal guisa,

Quando il mattino le pendici indora,

Lo sbigottito peregrin si volge

Con protesi occhi a risguardar la piaggia,

Orrido campo di notturni spettri;

E in quel vivo chiaror prende conforto.

Fuor della rupe di Moilena, scossa

D'improvviso tremore, uscì Sulmalla

Incespicante, vacillante; un ramo

D'ispida quercia attraversossi; e l'asta

Di man le trasse; ella nol sente; intesa

Pendea col guardo sopra il duce. O bella,

Non è dinanzi a te piacevol tresca,

Né scherzosa tenzon d'archi e di strali,

Siccome allor che di Gomòr agli occhi383

Fe' di sé mostra il giovine di Cluba.

Qual la rupe di Runo, allor che afferra

Le scorrevoli nuvole pei lembi

Della lurida veste e le si addossa,

Sembra ingrandir sopra la piaggia ondosa

In sua raccolta oscuritade; il duce

D'Ata così farsi maggior parea,

Mentre a lui folta raccoglieasi intorno

L'armata Erina. Come varj nembi

Volan sul mare e ciascun d'essi innanzi

La sua fosco-cerulea onda sospinge;

Tal d'ogni lato di Catmòr le voci

Sospingean grossa onda d'armati. E muto

Non è Fillan sotto il suo poggio; ei mesce

L'alta sua voce all'echeggiante scudo:

Aquila ei par che le sonanti penne

Batte con forza, e a secondarne il corso

Chiama i rapidi venti allor che scorge

Lungo la valle del giuncoso Luta384

Errar in frotta cavrioli e damme.

Si curvano, s'azzuffano: le cento

Voci di morte odi suonar; l'aspetto

De' due gran Duci, dei guerrier gli spirti

Incendea di magnanime faville.

Io corsi a slanci; ma massi, ma tronchi

Dirupati, ammontati inciampo al piede

Feano e ritardo: udii d'acciaro intorno

Un forte strepitar; m'accosto alfine.

Erto sul poggio rimirai dell'una

Oste e dell'altra i minacciosi passi

Lentamente aggirantisi, e le luci

Torvo-guardanti: tenebrosi e grandi

Per le scintille del lucente acciaro

Gli eroi scorgeansi passeggiar spiranti

Fero riposo: i due campioni alteri

S'eran già scontri in sanguinosa zuffa.

Precipitai, che per Fillan m'assalse

Subita tema e mi distrinse il core.

Giunsi; Catmòr mi vide, e non pertanto

Non s'avanzò, non s'arretrò; di fianco

Sol seguiami col guardo; alta di ghiaccio

Massa ei parea: ratto all'acciar mi corse

La destra e l'alma. In sull'opposto margo

Del rio corrente a passeggiar ci stemmo

Un cotal poco, indi rivolti a un tratto

Sollevammo le lance; a separarci

Scese la notte; è tutto bujo intorno,

Tutto silenzio, se non quanto ascolti

Lo scalpitar delle disperse schiere.

Io venni al luogo ove Fillan poc'anzi

Pugnato avea: che fia? voci non sento,

Suono non odo: uno spezzato elmetto

Giacea sul suolo, e in due fesso uno scudo.

Fillano ove se' tu? parla, gridai,

Figlio di Clato. Egli m'udì, le stanche

Membra appoggiato ad un alpestre masso,

Che sul rivo sporgea la grigia fronte:

M'udì, ma torvo lì si tenne, e fosco.

Alfin vidi l'eroe; perché vestito

Ti stai d'oscurità, gli dissi, o luce

Della schiatta di Selma? il tuo sentiero

Isfavillò nel tenebroso campo:

Lunga finora e perigliosa, o prode,

Pugna pugnasti, or di Fingallo il corno

S'ode squillar; la nubilosa vetta

Ascendi, ov'egli tra la nebbia assiso

Porge all'arpa di Carilo l'orecchio;

Reca gioja all'antico, o giovinetto

Di scudi infrangitore. - Arrecar gioja

Può forse il vinto? io frangitor di scudi?

Più scudo, Ossian, non ho; spezzato ei giace

Là sulla piaggia, volano dell'elmo

Stracciate e sparse l'aquiline penne:

Non s'allegra su i figli occhio di padre,

Fuorché quando il nemico in fuga è volto

Dai loro brandi; ma qualor son vinti

Mal celati ne scoppiano i sospiri.

No, no, Fillan del genitore al guardo

Non s'offrirà più mai: perché degg'io

Recar onta all'eroe? - Fratello amato,

A che sì fosco l'anima m'attristi?

Foco ardente tu fosti: ed allegrarsi

Non dovrassene il padre? Ossian non ebbe

La gloria tua385; pur meco il Re fu sempre

Placido Sole; ei risguardò con gioja

Sopra i miei passi, e sul sereno volto

Mai non sorse per me nube di sdegno.

Poggia, o Fillan, sul Mora: il suo convito

Colà t'attende. - Ossian, lo scudo infranto,

Arrecami, raccoglimi le penne

Ch'errano al vento, perché men si perda

Della mia fama, le mi poni accanto.

Ossian, io manco: in quel concavo sasso

Ripommi; ma non s'alzi alcuna pietra

Sulla mia tomba, onde talun non chiegga

Delle mie gesta: il primo de' miei campi

Fu pur l'estremo; anzi il mio tempo io caddi,

E caddi senza onor: sol la tua voce

L'anima fuggitiva riconforti.

Ah non sappia il cantor qual sia la stanza

Ove soggiorni d'immatura morte

Spento Fillan: svenne in ciò dir. - Fratello,

Errando or va su i vorticosi venti

Lo spirto tuo? gioja t'inondi e segua

Sulle tue nubi: già l'eccelse forme

De' tuoi padri, o Fillan, stendon le braccia

Per accogliere il figlio: alto sul Mora

Sparse vegg'io le lor fiammelle, io veggo

Le lor vesti ondeggiar: fratel mio dolce,

Gioja ti scontri; ella è per noi già spenta,

Siam foschi e mesti: ah che 'l nemico accerchia

L'eroe canuto, e già vacilla e langue

L'alta sua fama: o regnator di Selma,

Tu sei solo nel campo, ohimè, sei solo.

Nello speco il riposi appresso il rugghio

Del notturno torrente; in sul guerriero

Guardava d'alto una rossiccia stella,

E i venti sollevavano buffando

Il nero crin: stetti in orecchi a corne

Alcun soffio vital; soffio non spira,

Che dormiva l'eroe sonno di morte.

Come balen sopra una nube striscia,

Rapido sopra l'anima mi corse

Improvviso pensier: rizzomi, in foco

Rotan le luci mie, movo squassando

L'arme sonanti: o duce d'Ata, attendi,

M'attendi, io vengo a te, voglio scontrarti

Là fra' tuoi mille: e soffrirò che sfugga

Quella nube feral, che acerbamente

Spense quell'astro giovanile? O ombre

De' padri miei, sui vostri poggi adesso

Tutte accendete le meteore vostre,

E all'audace mio piè fatevi scorte.

Struggerò, sperderò... ma s'io non torno?

Il Re non ha più figli; egli è canuto

Fra' suoi nemici; al braccio suo già manca

L'antica possa; oscurità minaccia

La sua vecchiezza: ah non sia mai ch'io 'l vegga

D'alto giacer sul sanguinoso campo.

Tornisi a lui: come tornar? che dirgli?

Non chiederà del figlio suo novella?

Fillan fu a te commesso; ov'è? mel serbi,

Mel difendi così? rampogna atroce!

Su s'affronti il nemico: Erina, Erina,

Mi scaglio sopra te; godo al rimbombo

Dell'oste armata; nel tuo sen la tomba

Grata mi fia; l'inferocito sguardo

Sol si sfugga del padre. Oh, là dal Mora

Non ascolto una voce? egli è Fingallo,

Che chiama ambi i suoi figli: io vegno o padre,

Io vegno a te nel mio cordoglio amaro.

Aquila sembro, cui notturna fiamma

Scontrò là nel deserto, e lasciò spoglia

Della metà di sue robuste penne.

Già Morven scompigliata in rotte bande

Vien respinta sul Mora: ognun confuso,

Dagli altri, e più dal Re stassi in disparte;

Ognun torbido e tacito si curva

Sulla lancia di frassino: sta muto

Fingallo in mezzo a' suoi: dentro il suo spirto

Pensier sopra pensier volvesi, come

Onda sopr'onda in su romito lago

Col suo dorso di spuma, ei guarda intorno,

Né scorge il figlio sollevar la lancia

Lungo-raggiante: alto dal petto e grave

Gli esce un sospir, ma lo reprime: io venni,

Sotto una quercia mi gettai, né udissi

La voce mia: che dir poteva al padre,

In quel punto d'affanno? Ei parla alfine,

E il popolo protendesi ad udirlo,

Lento, aggrottato, tra vergogna e doglia.

Ov'è il figlio di Selma, il garzon prode

Condottier di battaglia? io nol riveggo

Tornar a me fra le festose grida

Del popol mio: dunque cadéo trafitto

Il maestoso cavriol leggiadro

Onor de' nostri poggi! ei cadde al certo,

Poiché siete sì muti: infranto giace

Lo scudo di mie guerre.Orsù dappresso

Stiasi a Fingallo il suo guerriero arnese,

E la spada di Luno; acerbo colpo

Mi risveglia e mi scuote: io col mattino

Scendo a pugnar; voi m'intendete, io scendo.

Alto di Cormo in su l'alpestre vetta

Arde al vento una quercia; erra d'intorno

La grigia nebbia in sinuose falde.

Il Re tre volte passeggiò spirante

Bellicoso furor: sempre dall'oste

Ritrarsi egli solea, qualor nell'alma

Gli ardea battaglia; a due grand'aste infitto

Pendea d'alto il suo scudo, il scintillante

Segno di morte, il paventato scudo,

Ch'ei percoteva infra gli orror notturni,

Pria che movesse a battagliar: le schiere

Conoscevano allor, che il Re la pugna

Guidar dovea; che quel fragor soltanto

Del furor di Fingallo era foriero.

Scomposto passo e disugual, focoso

Sguardo, torbida fronte in lui si scorge,

Mentr'ei sfavilla della quercia al lume,

Terribile a mirarsi a par del tetro

Spirito della notte, allor ch'ei veste

Di densa nebbia il suo feroce aspetto,

E di tempeste spargitor sul dorso

Del turbato oceàn carreggia i venti.

Né già dalla passata aspra tempesta

Era del tutto abbonacciato il mare

Della guerra d'Erina: odi sul campo

Un aggirarsi, un bisbigliar confuso

Dell'inquiete schiere. Innanzi agli altri

Solo è Catmorre, e coll'acciaro incalza

Di Morven fuggitiva i sparsi avanzi.

Giunto era appunto alla muscosa grotta

Ove giacea Fillàn: curva una pianta

Ombrava il rio che dalla rupe spiccia.

Ivi ad un raggio tremulo di Luna

Scorgesi luccicar l'infranto scudo

Del garzone di Clato, e presso a quello

Brano velluto il piè giacea sull'erba.

Egli sul Mora avea smarrito il Duce,

E lungo tempo lo cercò sul vento.386

Ei si credea che in placido riposo

Il vago cacciator dal guardo azzurro

Fosse addormito, e colla testa inchina

Sopra il suo scudo ad aspettar si stava

Ch'ei si svegliasse; una liev'aura, un soffio

Non passò sulla piaggia inesplorato

Dal fido Brano, avido pur che questo

Del suo dolce signor fosse il respiro.

Ferì lo sguardo di Catmorre il veltro

Dal bianco petto, lo ferì la vista

Del brocchiero spezzato; oscuritade

L'anima quasi nuvola gli adombra:

Rammenta il breve fuggitivo corso

Della vita mortale: un popol viene,

È corrente ruscel; svanisce, è soffio.

Altra schiatta succede; alcun fra tanti

Segna però nel suo passaggio il campo

Co' suoi possenti e gloriosi fatti.

Egli la muta oscurità degli anni

Signoreggia col nome; alla sua fama

Serpe un garrulo rivo, ella rinverde.

Tal sia d'Ata il guerrier, qualora ei prema

Colle membra il terren: possa la voce

Della futura eta387 Catmor già spento

Scontrar spesso nell'aere allor ch'ei spazia

Di vento in vento, o a visitar si curva

Su le penne d'un nembo i poggi suoi.

D'intorno il Re la vincitrice Erina

Lieta si strinse, ad ascoltar le voci

Del suo poter: con disuguali scorci

Vedi piegarsi alla fiammante quercia

Le giojose lor facce: allontanati

Son pur quinci i terribili, pur Luba

Fra la lor oste a serpeggiar ritorna.388

Catmor, raggio del ciel, la tetra notte

Che 'l suo popol premea, sgombrò d'intorno,

E gli spettri fugò: ciascun l'onora,

E festeggia ed applaude: al suo cospetto

S'alzan tremanti di letizia i cori;

Tutto è pieno di gioja; il Re soltanto

Gioja non mostra, il Re non novo in guerra389.

Sir di Temòra, a che sì fosco? disse

Malto il guerrier dall'aquilino sguardo:

C'è nemico sul Luba? hacci chi possa

L'asta rizzar? così pacato e dolce

Non fu già Borbarduto, il sir dei brandi,

Tuo genitor: contro i nemici in petto

Gli ardea di rabbia inestinguibil vampa,

E si struggea di furibonda gioja

Sulla lor morte: festeggiò tre giorni

L'eroe grigio-crinito, allor che intese

Ch'era spento Calmàr, Calmàr di Lara,

Che ad Ullina e a Cormàn porse soccorso390.

Spesso ei toccò con la sua man l'acciaro,

Che trapassò del suo nemico il petto391:

Ei lo toccò che per l'età già spente

Avea le luci. Ma co' fidi suoi

Era egli un sole, una piacevol aura

Sollevatrice d'abbassati rami.

Nelle sue sale la gioiosa conca

Sonar s'udiva; ché onorati e cari

Gli eran di Bolga i figli: ora il suo nome

Rimane in Ata, venerato, augusto,

Qual ricordanza d'ombre, il cui sembiante

Desta terror, ma le tempeste e i nembi

Sgombra col soffio. Or via d'Erina i canti

Sollevino lo spirto, e infondan gioja

In petto al Re, che sfavillò nel bujo

Della battaglia, ed atterrò gagliardi.

Di quella roccia sul ciglion petroso,

Fonar, t'assidi; degli andati tempi

Sgorga le storie, e se n'allegri Erina

D'intorno assisa. A me, Catmor riprese,

Canto non s'alzerà; per me Fonarre

Sullo scoglio del Luba invan s'asside;

Son qui bassi i possenti392: i loro spirti

Deh non turbiam con importuno canto

Mentre salgon nell'aere: applausi o lodi

Da me stien lungi: io non m'allegro, o Malto,

Sul nemico giacente, e che non puote

Venir più meco al paragon del brando.

Alla pugna pensiam: doman s'adopri

La nostra possa; uopo n'è ben, Fingallo

Sul poggio suo, l'alto Fingallo è desto.

Come al soffiar di poderoso vento

Onde respinte, ritirossi Erina

Alla voce del Re: spargonsi intorno

Romoreggiando le guerresche torme

Per lo campo notturno: ogni cantore

Sotto l'albero suo s'assise, e l'arpa

Toccò, coi canti sollevando al cielo

Quel duce393 o questo a lui più stretto e caro.

Sulmalla anch'essa della quercia al raggio

Solleticava le tremanti corde

Della piacevol arpa, e udia frattanto

Tra i lunghi crini sibilar l'auretta.

Stava non lungi sotto annosa pianta

Il campion d'Ata; della fiamma il lume

Non fiedea la sua faccia, egli la bella

Vedea non visto, l'anima di furto

Ver lei gli scappa in un sospir, mirando

Quel timidetto sguardo; invan: battaglia,

D'Erina o condottier, battaglia hai presso.

Pian piano discorrevano sull'arpa

Le molli dita di Sulmalla: il suono

Tratto tratto sofferma, e pur ascolta

Se riposi l'eroe: riposo è spento

Nel petto della vergine, e sol brama

Dar, non udita di canzon dolente

Dolce conforto all'amoroso affanno.

Alfin sulle lor ale ai loro alberghi

Tornano i nembi della notte: omai

Cessar le voci de' cantori: intorno

Van volteggiando co' suoi spirti in grembo

Rosse meteore; si rabbuja il cielo,

E frammiste alle nubi il fan più fosco

Le forme della morte: allor si curva

Sopra la bassa illanguidita fiamma

La figlia di Gomorre: o campion d'Ata,

In quell'alma d'amor tu solo alberghi:

Odi il dolce arpeggiare, odine il canto.394

Venne Clungala mesta,

Che la diletta figlia avea smarrita.

Dove, dove se' ita

Luce delle mie sale? O cacciatori

Della muscosa rupe,

Vedeste voi la bella

Occhi-azzurra donzella?

Forse col piè festoso

Segna Lumone erboso?

Seguita forse in caccia

De' cervetti la traccia? - Ohimè che scorgo!

Non è quello il suo arco

Alla parete appeso?395 Oh me dolente!

Che fia? chi me l'addita?

Luce delle mie sale, ove se' ita?

Resta in pace, o madre amata396,

Vane son le tue querele;

Io non t'odo, e le mie vele

Lungo il mar sospinge amor.

Del mio duce io seguo il corso,

Caro duce onde tutt'ardo;

A lui solo ho volto il guardo,

Solo in lui confitto ho 'l cor.

Lassa! ch'ei giace immerso

Nelle falde di guerra, e non si volge

A mirar le mie pene, il mio desio:

Sol dell'egro cor mio,

Che non m'arrechi il desiato giorno?

In tenebre io soggiorno397,

Veglia nell'ora del comun riposo

Lo mio spirto amoroso;

A te pensa, a te geme,

Nebbia m'accerchia e preme,

Tutto rugiada ho 'l crine: o mio bel Sole,

La mia notte rischiara,

Mostrami i tuoi bei rai,

Sol dell'anima mia, volgiti omai.


 




376 - Parole di Fingal che vede Cathmor in atto di scender dal monte di Lona.



377 - Fingal s'immagina di veder Clatho che li guardi bieco, perché voglia invidiar al figlio la gloria di vincere, e di terminare la guerra.



378 - Clatho, figlia di Cathulla re d'Inistorre



379 - L'originale: io non ispegnerò il tempestivo tuo raggio



380 - Osserva il Macpherson che questo tratto è delicatissimo. Dopo la morte di Oscar, Fillano il minor dei fratelli di Ossian, dovea esser da lui riguardato come figlio, ed esiger da lui tutta la tenerezza e l'attenzione per custodirne ad un tempo la vita e la gloria.



381 - Ossian, movendo a soccorrer Fillano non veniva a scemar la gloria del fratello, perché egli era uguale in valore, o poco più. Fingal gliel'avrebbe tolta affatto, perché essendo incomparabilmente superiore a tutti gli altri guerrieri, non poteva dubitarsi che tutto il merito della vittoria non fosse suo.



382 - Questa è la lancia che Oscar aveva ricevuta in dono da Cormac figlio di Artho. (Tem. C .I). Dopo la morte di Oscar la troviamo sempre nelle mani di Ossian.



383 - Parrebbe da queste parole, che Golmor fosse vivo, quando Sulmalla presentossi a Cathmor. Pure dalle parole di Sulmalla stessa nella canzone ch'è sul fine del canto IV, apparisce che Gonmor era già morto, quand'ella passava il mare assieme con Cathmor. Sembra dunque doversi conchiudere, che Cathmor si arrestasse due volte in Cluba: l'una nell'andata in Inishum, l'altra nel suo ritorno; e che qui il poeta parli della prima. Cathmor viene chiamato il giovine di Cluba perché fu in Cluba che si fè vedere per la prima volta a Sulmalla. Se si volesse che il luogo si riferisse alla seconda dimora di Cathmor, il giovine di Cluba sarebbe allora Sulmalla stessa, che venne ad offerirsi a quell'eroe a Cluba sotto le spoglie di giovine guerriero.



384 - Nome di una valle in Morven. Lu-tha rapido ruscello.



385 - Perché in questa spedizione Ossian non ebbe il comando dell'armata.



386 - Cioè andava fiutando l'aure per distinguer dagli aliti il suo signore.



387 - La lode dei posteri.



388 Per far intendere questo luogo, convien porre sotto l'occhio dei lettori la scena delle due precedenti battaglie. Tra i colli di Mora, e di Lona, giace la pianura di Moi-lena, per mezzo a cui scorre il fiume Lubar. Sulle rive di esso Lubar, fu combattuta la prima battaglia, dove Gaulo comandava la parte de' Caledonj. Siccome qui s'era ottenuto un picciolo vantaggio dall'una parte e dall'altra, le armate dopo le battaglie ritennero la loro prima situazione. Nella seconda battaglia, ove comandava Fillano, gl'Irlandesi dopo la morte di Foldath, furono respinti sul colle di Lona: ma essendo sopraggiunto Cathmor, ripresero il luogo di prima, e respinsero vicendevolmente i Caledonj di là dal Lubar. Quindi il poeta dice con proprietà, che il Lubar serpeggiava di nuovo fra la loro oste.



389 - Non straniero alla guerra. Cioè avvezzo alla vittoria, onde non avere ad esultarne come di cosa nuova oppure esperto delle vicende di guerra e perciò come nella sorte prospera equabile, così preparato all'avversa.



390 - Apprendiamo da ciò, che nella spedizione di Svarano in Irlanda i Fir-bolg nemici di Cormac II, non si armarono per dar soccorso a quel re. Calmar di Lara nel Connaught fu il solo della schiatta dei Fir-bolg che si unisse ai Caledonj di Ulster e si opponesse a Svarano. Ciò dovea bastare per far che Calmar fosse riguardato come un traditore, e odiato mortalmente da Borbarduthul, che conservava contro di Cormac l'animosità ereditaria della famiglia.



391 - Sembra da questo verso che qualche corpo dei Fir-bolg siasi unito all'armata di Svarano per combattere contro Cucullino e gli altri partigiani di Colmar. Altrimenti chi avrebbe potuto osservare e recar a Borbarduthul quella spada che uccise Calmar?



392 - I Caledonj uccisi in battaglia. Cathmor ch'era totalmente opposto al carattere del padre e del fratello, e si distingueva per una singolar delicatezza d'umanità e di modestia, temeva che le lodi date a lui fossero una specie d'insulto all'ombre dei nemici.



393 - Non solo i re, ma ciaschedun picciolo capo aveva i suoi bardi che lo seguivano al campo, e questi, a proporzione delle facoltà del loro protettore, avevano al loro seguito un numero di musici e cantori subalterni, che consacravano la loro voce alle lodi di quel capo da cui dipendevano.



394 - Sulmalla nella sua canzone introduce Clungala sua madre in atto di cercarla, quand'era fuggita con Cathmor.



395 - Dunque non può essere alla caccia.



396 - Sulmalla risponde alle supposte ricerche di sua madre.



397 -Tutto ciò che segue è in conseguenza della metafora con cui chiamò Cathmor sole del suo cuore.






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