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Melchiorre Cesarotti
Poesie di Ossian

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Testo

 

Dalle bosco-cerchiate onde del Lego398

S'alza, e nell'aere in tortuosi gorghi

Poggia lurida nebbia, allor che chiuse

Son d'occidente le cerulee porte

Rincontro all'aquilino occhio del Sole.

Ampio si spande sul ruscel di Lara

L'atro e denso vapor; nuotavi a stento

La Luna in mezzo, qual ferrigno scudo,

Ed or galleggia, or vi si tuffa e perde.

Di cotal nebbia i subitani aspetti

Veston gli antichi spirti, allor che vanno

Da nembo a nembo per la buia notte.

Talor misti col vento han per costume

Sopra la tomba di campion possente

Rotolar quella nebbia, asilo e veste

Delle ignude ombre, insin ch'indi le inalzi

A più puro soggiorno aura di canto.

Venne un suono dal deserto: era Conarte

Regnator d'Inisfela; ei la sua nebbia

Sopra la tomba di Fillan riversa399

Presso il ceruleo Luba: oscuro e mesto

Entro il lurido suo solco fumoso

Sedea lo spirto; ad or ad ora il nembo

Levasi, e via nel soffia; egli ben tosto

Ritorna: ei torna con protesi sguardi,

E serpeggianti nebulosi crini.

È bujo: posa l'oste: è spento il foco

Sul poggio di Fingallo. Il Re giacea

Solingo e fosco sull'avito scudo:

Socchiusi ha gli occhi in lieve sonno: a lui

Venne la voce di Fillan. Di Clato

Dorme lo sposo? può posar tranquillo

Il padre dell'estinto? Oblio ricopre

L'infelice Fillano? ah padre! - Ah Figlio!

D'uopo fors'è che a mescolar si venga

La tua voce a' miei sogni? Ohimè! poss'io

Obliarti, o Fillan? poss'io scordarmi

Colà nel campo il tuo sentier di foco?

No, sì liev'orma di Fingallo in core

Non sogliano stampar del prode i fatti,

E d'un prode ch'è figlio: essi non sono

Fuggitivo balen: sì ti rammento,

Fillan diletto il mio furor ben tosto

Lo ti dirà, ch'ei già divampa. Afferra

La mortifera lancia, e ne percote

Quel che d'alto pendea funesto scudo,

Cupo-sonante, annunziator di guerra.

D'ogni parte a quel suon volaro in frotta

Ombre, e fer massa e velo al ciel: tre volte

Dalla ventosa valle uscir le cupe

Voci dei morti, e dei cantor non tocche

Mandaron l'arpe un suon lugubre e fioco.

Lo scudo ei ricolpì: battaglie alzarsi

Nei sogni del suo popolo; sfavilla

Su i loro spirti sanguinosa zuffa:

Alteri re d'azzurri scudi al campo

Scendono, armate fuggono disperse

Bieco-guardanti e gloriosi fatti

Veggonsi trasparir confusamente

Fra le raggianti dell'acciar scintille.

Ma quando alzossi il terzo suon, d'intorno

Le nubi rintronar, balzaro i cervi

Dalle concave rupi, e nel deserto

S'udir le strida di smarriti augelli,

Che mal securi rintanar fra i nembi.

Tutti ad un punto, al poderoso suono

Di Fingallo, i guerrier scossersi, all'asta

Corron le destre: or che sarà? silenzio

Riede ben tosto: ognun conobbe il picchio

Del regio scudo: a poco a poco il sonno

Torna ai lor occhi; è cheto il campo e fosco.

Ma non scende sopor sopra il tuo ciglio,

O figlia di Gomorre. Udì Sulmalla

Il terribil fragor; s'alza, rivolge

Verso il re d'Ata il piè: potria il periglio

Scuoter l'anima audace? in dubbio stassi,

E l'occhio tende per mirarlo. Il cielo

Ardea di tutte stelle: ecco di nuovo

Suona lo scudo: e che sarà? si scaglia,

S'arresta; or vanne, or vien; voce tremante

L'esce a metà, l'altra s'affoga e manca.

Gli si fa presso, ed il campion rimira

In mezzo all'arme, che del cielo ai fochi,

Mettevan raggi; per le spalle il vento

Facea del lungo crin flagelli al petto.

Miralo, e incerta e timorosa il passo

Rivolge addietro. - Il condottier d'Erina

Ch'io svegli? a che? de' suoi riposi il sogno,

Vergine d'Inisuna, ah! tu non sei.

Cresce il fragor, cresce il terror: un tremito

Prendela, l'elmo appiè cadele: ed alto,

Mentr'ei giù scende rotolon, del Luba

La balza n'echeggiò. Catmorre in quella

Scosso dai sogni, un cotal poco alzossi

Sotto l'albero suo, videsi innanzi

La bella forma: una rossiccia stella

Godea di scintillar tra ciocca e ciocca

Dell'ondeggiante chioma. A che ten vieni,

De' sogni miei nella stagion tranquilla?

Disse Catmòr400; chi sei? m'arrechi forse

Qualche nuova di guerra? o stammi innanzi

Forma d'antiche etadi401, e voce ascolto,

Ch'esce fuor d'una nube ad annunziarmi

Il periglio d'Erina? - A te non vegno

Notturno esplorator; né voce io sono

Ch'esca da nube: un tuo fedel son io,

Che pur ti avverte del periglio estremo

Che ad Erina sovrasta. O duce d'Ata,

Odi tu questo suono? il fiacco al certo

Questi non è, che sparge alto sul vento

I suoi segni di guerra. - E i segni suoi

Sparga a sua posta, essi a Catmòr son arpe.

Grande è la gioja mia, grande, e divampa

Su tutti i miei pensieri; è questa appunto

La musica dei regi, essa n'accende

Gli audaci spirti a gloriose imprese.

Solo il codardo nella valle erbosa

Dell'auretta soggiorna, ove le nebbie

Al serpeggiante rio di sé fan velo:

Là ricovra, se vuoi. - Codardi e fiacchi,

Re de' mortali, già non furo i padri

Della mia stirpe; essi tra guerre avvolti

Vissero ognor nelle lontane terre:

Pur non s'allegra l'alma mia nei tetri

Segni di morte. Esce colui, m'intendi?

Che mai non cede. Il tuo cantor di pace

Manda, Catmorre. Inumidissi il ciglio

Del guerriero a quel suon; stette qual roccia

Stillante, immota; quell'amabil voce,

Quasi auretta sull'anima gli corse402,

E risvegliò la cara rimembranza

Delle contrade ov'ella avea soggiorno

Lungo i pacati suoi ruscelli, innanzi

Ch'ei gisse al campo con Gomorre. O figlia

Dei stranieri, diss'egli (ella tremante

Fessi addietro a tai detti)403 è molto tempo

Ch'io t'adocchiai sotto il mentito acciaro,

Giovine pianta d'Inisuna e bella.

Ma che? meco diss'io, fera tempesta

M'accerchia l'alma, a che degg'io fissarmi

A vagheggiar quel grazioso raggio,

Pria che rieda il seren? Ma tu donzella,

Cessa di paventar: pallor mi tinse

Forse la faccia di Fingallo al suono?

La stagion del periglio è dessa appunto

La stagion del mio cor; gonfiasi allora

Qual torrente spumoso, e mi sospinge

A rovesciar la poderosa piena

Sopra i nemici. Or tu m'ascolta: sotto

L'erma balza di Lona appresso un rivo

Nei grigi crini dell'età soggiorna

Clomalo re dell'arpe; a lui sul capo

Fischia una quercia, e i cavrioli intorno

Van saltellando in graziose tresche.

Della zuffa il fragor fere non lungi

L'orecchio suo, mentr'ei curvo si volve

Nei pensieri degli anni404: il tuo riposo

Sia qui Sulmalla, infin che cessa il rugghio

Della battaglia, infin ch'io spunto, o bella,

Nelle vittoriose arme sonanti

Fuor della nebbia che circonda il seggio

Del diletto amor mio. Subita luce

Balenò della vergine sull'alma:

S'alza accesa, il risguarda; ah! grida, innanzi

Fia ch'aquila del ciel s'arretri e lasci

Quella che l'asseconda aura corrente,

Allor che, grata tenerella preda,

Sotto gli occhi le stan cervetti e damme,

Di quel che il gran Catmorre unqua sia svolto

Dalla zuffa di gloria: ah possa almeno

Tosto vederti, o mio guerrier diletto,

Dolce spuntar sul nebuloso Lona,

Bramata luce. Insin che ancor sei lungi,

Batti, Catmòr, batti lo scudo, ond'io

Mi riconforti, e rassereni il core

Tenebroso per te. Ma se tu cadi...

Io sono in terra di stranieri, io resto

Desolata, perduta; ah manda, o caro,

Fuor d'una nube la tua voce amata

A Sulmalla che langue, e a te la chiama.

O ramicello di Lumon gentile405,

A che ti scuoti per terrore, e chini,

Quasi ad irreparabile tempesta,

Le verdi cime? ah non temer, Catmorre

Più d'una volta dall'oscuro campo

Tornò famoso; a me di morte i dardi

Son grandine, non altro; e dal mio scudo

Spuntati al suolo rimbalzar sovente.

Spesso da buja guerra uscir fui visto

Quasi meteora, che vermiglia appare

Fuor d'una nube a scolorarla intesa.

Statti tranquilla, e non uscir dall'antro

Del tuo riposo, quando ingrossa e freme

Il rugghio della mischia: allor potrebbe

Il nemico scappar, come altre volte

Accadde al tempo de' miei padri. Acerbo

Giunse nunzio a Sommòr che 'l pro' Clunarte406

Fu spento in guerra da Cormàn407: tre giorni

Stettesi fosco sul fratello anciso.

Videlo muto la sua sposa, e tosto

Presagì la battaglia: occultamente

L'arco assettò per seguitar l'eroe.

Non era Ata per lei che orrore e lutto,

S'era lungi Sommòr. Di notte alfine

Dai lor cento ruscei sboccaro a torme

D'Alnecma i figli: il bellicoso segno

Colpiti aveagli, e bellicosa rabbia

In lor si accese: s'avviar fremendo

Ver la boscosa Ullina. Il Re sovente

Ad animargli percotea lo scudo

Di guerra condottier: moveagli addietro

Sulallina408 gentil su i colli ondosi,

E lì d'alto parea vivida stella

Allumatrice dei notturni passi

Del popol suo per la soggetta valle.

Non s'attentava d'appressarsi al Duce,

Che in Ata la credea: ma quando il rugghio

Crebbe della battaglia, oste sopr'oste

Ravviluppata rotolava, ardea

Sommor qual foco incenditor del cielo.

La crinisparsa Sulallina accorse,

Che pel suo re tremava: ei della zuffa

Rattenne il corso, onde salvar la bella,

Vaghezza degli eroi. Di notte intanto

Il nemico fuggio; Clunarte inulto

Dormì senza il suo sangue, il sangue ostile

Che sulla tomba del guerrier dovea

Sgorgarsi a dissetar l'ombra dolente409.

Non si crucciò Sommòr; ma foschi e tristi

Furo i suoi giorni; Sulallina errava

Sul natio rivo, lagrimosa il ciglio,

Sogguardava il guerrier quand'era avvolto

Fra' pensier suoi, ma timida ben tosto

S'ascondea dal suo sguardo, e ad altra parte

Volgeva i lenti solitarj passi.

Sorse alfin la battaglia, e via qual nembo

Sgombrò la nebbia dal suo spirto; il Duce

Caramente sorrise, in rimirando

L'amata faccia, e della mano il dolce

Tra corda e corda biancheggiar vezzoso.

Tacque, ciò detto, il correttor d'Erina;

E avviossi colà, dove il suo scudo

Pendea dal ramo d'un muscoso tronco

Sopra l'ondoso strepitar del Luba.

Sette cerchi sorgean gradatamente

Sopra il brocchiero, e quinci uscian le sette

Voci del Re, che de' suoi varj cenni

Annunziatrici si spargean sul vento,

Dai duci accolte e tra i guerrier diffuse.

Sopra ciascun de' cerchi una notturna

Stella è scolpita: Càmato vi splende,

La ben-chiomata; da una nube spunta

Colderna; Uloico di nebbiosa vesta

Velata appare; di Catlin sul balzo

Vedi i bei raggi scintillar; Reldura

Mezzo con dolce tremolio sorride

Sopra l'onda cerulea, e mezzo in essa

Tinge la vaga occidental sua luce.

Rossiccio l'occhio di Bertin risguarda

Tra fronda e fronda al cacciator che lieto

Di notte alla magion torna, e le spoglie

Di snello cavriol porta sul dorso.

Ma sfavillante di sereno lume

Brilla in mezzo Tontena, astro cortese,

Che per la notte si fè lampa e scorta

A Larto ondi-vagante, a Larto audace,

Che tra i figli di Bolga osò primiero

Con fermo cor peregrinar su i venti.410

Sul mar profondo si spargean del Duce

Le di candido sen vele volanti

Ver l'ondosa Inisfela, oscura notte

Tutto il cingea con tenebrose falde.

Sbuffava il vento disuguale, e d'onda

Trabalzavalo in onda; allor mostrossi

Tontena igni-crinita, e in due partendo

La nube opposta, al buon guerrier sorrise;

Allegrossene Larto, e benedisse

Quel che la via segnogli amico raggio.

Sotto la lancia di Catmòr s'intese

Suonar la voce che i cantori invita.

Quegli accorser con l'arpe, e tutti a prova

Già tentavan le corde. In ascoltarli

Gioinne il Re, qual peregrin che ascolta

In sul mattin romoreggiar da lungi

Grato concento di loquaci rivi.

Ond'è, disse Fonàr, che per la queta

Stagion del suo riposo a sé ci appella

D'Erina il correttor? L'avite forme

S'affacciaro a' suoi sogni? o forse assise

In quella nube ad aspettar si stanno

Il canto di Fonarre? Aman sovente

Gli antichi padri visitar le piagge,

Ove i lor figli a sollevar son pronti

L'asta di guerra: o scioglierem noi forse

Canto di lode a quel terror dei forti,

Al furibondo struggitor del campo,

Sir di Moma selvosa?411 Oblio non copre

Disse Catmòr, quel bellicoso nembo.

Cantor d'antichi tempi, alto Moilena

Sorger vedrà di quel campion la tomba,

Soggiorno della fama; ora il mio spirto

Tu riconduci alla passata etade;

L'età de' padri miei, quand'essi osaro

Irritar l'onde d'Inisuna intatte.

Ché non solo a Catmorre è dolce e cara412

La rimembranza di Lumon selvoso,

Lumon di molti rivi, amato albergo

Di verginelle dal bel sen di neve.

Lumon ricco di fonti, ecco tu sorgi

Sull'alma di Fonarre413; il sole investe

I fianchi tuoi d'ispide piante ombrosi:

Per li tuoi folti ginestreti io scorgo

Balzare il cavriol; solleva il cervo

La ramosa sua fronte, indi s'inselva

Tremando, che spuntar vede da lungi

Fra cespo e cespo l'inquiete nari

Del veltro indagator che lo persegue.

A lenti passi per la valle intanto

S'aggirano le vergini, le belle

Figlie dell'arco dalle bianche braccia.

Per mezzo i rivi della lunga chioma

Traguardan esse, e l'azzurrine luci

Alzano al colle. Ah d'Inisuna il duce

Cercate indarno, ei non è qui: di Cluba414

L'accoglie il golfo sinuoso; ei l'onde

Ama calcar nella scavata quercia,

Quercia famosa che 'l gran Larto istesso

Dagli alti gioghi di Lumon recise,

Per gir con essa a barcollar sul mare.

Le donzellette palpitanti415 altrove

Volgono il guardo, per timor che basso

L'eroe non giaccia inabissato o infranto,

Che mai più visto non avean l'alato

Mostro novel cavalcator dell'onde.

Ma non teme quel prode: i venti appella,

E insultar osa all'oceàn. Sorgea

Dinanzi a lui fra 'l nebuloso fumo

La verde Erina; tenebria notturna

Piombò sul mare inopportuna, e al guardo

Ne tolse i boschi; paventaro i figli

Di Bolga, ove drizzarsi? Ecco da un nembo

Spuntar Tontena focosetta il crine,

Che l'ondoso sentiero a Larto addita.

Culbin cerchiato di sonanti boschi

La nave accoglie: uscia non lungi un rivo

Dall'orrida di Dutuma spelonca,

Spelonca ove talor gli spirti antichi

Con le nebbiose mal compiute forme

Oscuramente luccicar fur visti.

Sogni presaghi di futuri eventi

Sceser sopra l'eroe; mirò sette ombre

De' padri suoi, le mal distinte intese

Misteriose voci, e qual per nebbia,

Travide i fatti di venture etadi.

Vide i re d'Ata, i gloriosi figli

Della sua stirpe; essi godeano in campo

Guidar le squadre, somiglianti in vista

A sgorgheggiar di nebulose strisce

Onde al soffio d'autunno Ata s'adombra.

Larto fra dolci armonici concenti

Alzò di Samla le capaci sale,

Che dovean risonar d'arpe e di conche.

Spesso ei d'Erina ai cavrioli e ai cervi

Turbò la natia calma, e guerra ignota

Portò ne' lor pacifici covili:

Non però di Lumon verde la fronte

Perdeo la rimembranza; egli più volte

Valicò l'onde a riveder quei poggi,

Ove Flatilla416 dalla bianca mano

Stava dall'alto risguardando il mare,

L'invido mar che l'amor suo le invola.

Salve altero Lumon, ricco di fonti,

Sull'alma di Fonar tu sorgi e brilli.

Spunta il mattin; le nebulose vette

Lievemente s'indorano; le valli

Mostrano aperte l'azzurrino corso

De' lor garruli rivi: odon le schiere

Lo scudo di Catmorre, alzansi a un tratto

Come s'alzan talor le affollate onde,

Quando col suo fischiar le scuote e desta

Rapida imperiosa ala di vento.

Mesta Sulmalla si ritrasse e lenta

Ver la grotta di Lona: il piè s'avanza,

Ma rivolgesi il guardo, e glie l'offusca

Nebbia di duol che in lagrime distilla.

Giunta alla rupe che la valle adombra,

L'alma le scoppia in un sospir; s'arresta,

Guarda l'amato Re, geme e si cela.

Su su percotansi417

Le corde tremule:

Gioja non abita

Nell'arpa amabile?

Sgorgala, sgorgala

D'Ossian sull'anima,

Figlio d'Alpin.

Cantore, io odoti,

Ma scorda il vivido

Suono piacevole:

Dolcezza flebile

Ad Ossian devesi,

Ad Ossian misero,

Che siede in tenebre,

Già presso al fin.

O verde spina del colle dei spirti,

Che scuoti il capo all'agitar del vento;

Perché fra i rami tuoi frondosi ed irti,

Una fresc'aura mormorar non sento?

Falda ventosa,

Non erra in te.

Ombra nascosa,

Dunque non v'è?

Pur fra i nembi sovente418

So che la smorta gente - alto sospira,

Quando la colma Luna

Torbida e bruna - per lo ciel s'aggira.

Ullin, Carilo, e Rino,

Voci de' giorni antichi, ah voi mandate

Il vostro suon che l'anima ristori.

V'ascolto, ah sì v'ascolto,

Figli del canto; or dite,

Qual nubiloso tetto

A voi porge ricetto?

Fuor d'invisibil arpa

Spargete voi gli armoniosi lai,

Vestiti della nebbia mattutina,

Quando giubbato il sol d'orati rai

Spunta dalla verdiccia onda marina?


 




398 - Il Lego così spesso mentovato da Ossian era un lago nel Connaught in cui scaricavasi il fiume Lara. Sulle rive di questo lago abitava Brano, suocero di Ossian, visitato spesso dal poeta innanzi e dopo la morte di Evirallina. Siccome la nebbia che s'alzava da Lego cagionava infermità e morte, i bardi finsero ch'egli fosse la residenza dell'ombre , durante l'intervallo tra la loro morte, e la recita dell'elegia funebre sulle lor tombe.



399 - L'uffizio di sparger la nebbia sulla tomba appartenendo a quello spirito che aveva la più prossima relazione coll'estinto, quest'ufizio vien a ragione adempiuto dall'ombra di Conar, capo di quella famiglia, per la cui difesa Filano avea perduta la vita.



400 - Cathmor mostra di non ravvisarla, per non impegnarsi in tenerezze inopportune.



401 - Un'ombra.



402 - Non è già che la voce di Sulmallaglie la facesse conoscere solo in quel punto; ma le sue parole lo intenerirono, sicché non potè più a lungo dissimular di conoscerla.



403 - Sulmalla supponeva di non esser conosciuta da Cathmor



404 - Pensieri senili, pensieri de' tempi antichi.



405 - Ripiglia Cathmor.



406 - Cluan-er, fratello di Son-mor, ucciso da Cormac, figlio di Conar.



407 - Era questi il padre di Borbarduthul. Il poeta non perde mai di vista l'idea d'illustrar maggiormente l'antichità delle contese tra i Caledonj e i Fir-bolg.



408 - Suil-allin, la moglie di Son-mor.



409 - Questo luogo deve intendersi del sangue dei guerrieri uccisi nel calor della battaglia, e non già di prigionieri sacrificati all'ombra di Clunar. Una tale atrocità non poteva esser approvata dall'animo generoso di Cathmor.



410 - Far vela.



411 - A Foldath.



412 - Con ciò accenna delicatamente di aver l'occulta mira di far cosa grata a Sulmalla, toccando l'origine comune delle loro famiglie.



413 - Questa è la canzone di Fonar.



414 - Braccio di mare nel Connaught.



415 - Queste non son più le donzelle che guardavano il colle di Lumon, esse son quelle che si trovano sulle sponde del Cluba, mentre Larthon sta per imbarcarsi.



416 - Flathal. Era questa la moglie di Larthon.



417 - Ossian interrompe la sua storia e fa una scappata lirica.



418 - Le ombre venivano e partivano fischiando.






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