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Melchiorre Cesarotti Poesie di Ossian IntraText CT - Lettura del testo |
Come allor che di verno orrido vento
L'onde del lago della rupe afferra
Tenacemente in tempestosa notte,
E le inceppa di ghiaccio, al guardo incerto
Del mattutino cacciator da lungi
I biancheggianti cavalloni ondosi
Sembrano ancora diguazzarsi; ei tende
L'orecchio al suon dei disuguali solchi;
Ciascuno è cheto, luccicante, e sparso
Di rami e sterpi e di cespugli e d'erbe,
Squassanti il capo, e zufolanti al vento
Su i lor grigi di brina aspri sedili;
Così mute al mattin splendean le file
Delle morvenie squadre. Ogni guerriero
Fuor dell'elmetto traguardava al colle,
Ove Fingallo fra la nebbia avvolto
Si mostra e cela. Ad or ad or l'eroe
Scorgesi in maestosa oscuritade
D'arme sonando passeggiar; battaglia
Di pensier in pensier fosca si volve
Lungo la poderosa anima audace.
Miralo, ei scende, ei vien: primo comparve
L'acciar di Luno: da una nube a mezzo
Spuntava l'asta, foscheggiava ancora
Fra la nebbia il brocchier, ma quando il Duce
Tutto quant'era in suo regal sembiante
Chiaramente visibile avanzossi,
Crollando i grigi rugiadosi crini,
Allor le voci clamorosi alzarsi
Dell'oste sua che gli si strinse intorno:
Terribil gruppo; e un echeggiar di scudi
L'aer di lungo mormorio percosse.
Tal si scuotono, s'alzano, rimbombano
I flutti intorno ad un aereo spirto,
Che per la via scorrevole del vento
Cala sul mare: il peregrin sul balzo
Ode l'alto fragor, declina il guardo
Sopra il turbato golfo, e vede, o pargli
Veder la fosca formidabil forma:
Torreggian l'onde imbizzarrite, e fanno
Dell'inquiete terga archi spumosi.
Di Dutno il figlio, il battaglier di Strumo,
E di Cona il cantor stavan prostesi
Sotto l'albero suo; ciascun da lungi
Stava; ciascuno vergognoso il guardo
Sfuggia del Re; ché i nostri passi in campo
Non seguì la vittoria419. Un picciol rio
Scorreami innanzi; io nella lucid'onda
Gìa diguazzando la punta dell'asta
Sbadatamente ché colà non era
D'Ossian lo spirto; ei s'avvolgea confuso
Tra varie cure, e ne mettea sospiri.
Figlio di Morni, il Re parlò, Dermino
Di damme cacciator, perché vi state
Sì lagrimosi, taciturni, immoti?
Con voi Fingal non ha rancor; voi sete
Mia forza in guerra, e mia letizia in pace.
Ben vi sovvien, che una piacevol aura
Fu la mia voce al vostro orecchio, allora
Che per la caccia ripuliva i dardi
Il mio Fillàn; ma il mio Fillano adesso
Ah non è qui... né qui la caccia! Or via,
Perché vi state sì lontani e foschi,
Spezzatori di scudi? Ambo avviarsi;
Miraro il Re, che avea volta la faccia
Verso il vento di Mora: onda di pianto
Scappava all'occhio per l'amato figlio;
Che nell'antro dormia; pur si rivolse,
E sedato parlò: Cromala alpestre,
Campo di venti, a cui corona intorno
Fanno boscose balze, e nebbia eterna,
L'ondoso rugghio del ceruleo Luba
Sgorga alla vista; dietro a lui serpeggia
Il chiaro Lava per la cheta valle.
S'apre nel fianco della rupe un antro
Profondo e cupo: sopra quello un nido
Aquile altere di robuste penne
Fanvi e dinanzi spaziose querce
S'odono al vento strepitar di Cluna.420
Qui colla bionda giovenil ricciaja
Sta Feradarto, l'occhiazzurro figlio
Del buon Cairba regnator d'Ullina.
Ei qui la voce di Condano ascolta,
Mentre canuto a quella fioca luce
Curvasi e canta; il giovine in un antro
Ne ascolta il canto, ché Temora è fatta
Stanza de' suoi nemici. Egli talvolta
Esce a ferir le saltellanti damme,
Quando la densa nebbia il campo adombra.
Ma come spunta il Sol, più non si scorge
Lungo il rio, presso il balzo; egli la stirpe
Fugge di Bolga che locossi altera
Nel seggio de' suoi padri. Or voi n'andate,
Fidi miei duci, e gli recate annunzio,
Che, i di lui dritti a sostener, la lancia
Fingallo impugna; e che i nemici suoi
Dell'usurpato suo regal retaggio
Non andran forse trionfanti e lieti.
Alza lo scudo poderoso, o Gaulo,
E proteggi il garzon; tu di Temòra
Rizza l'asta, o Dermin; dentro il suo orecchio
Tu la dolce armonia, Carilo infondi;
E le gesta de' padri a lui rammenta.
Siagli tu scorta ver Moilena erbosa,
Campo dell'ombre ch'io di là mi spingo
Fra la torbida mischia: anzi che scenda
La buja notte, di Dumòra il giogo
Fa di salir, indi rivolgi il guardo
Verso l'irriguo Lena: il mio vessillo
Se qui vedi ondeggiar spiegato al vento
Sopra il lucido Luba, esso diratti,
Che di Fingal l'ultimo campo ai tanti
Della sua scorsa etade onta non reca421.
Tacque; e a' suoi detti s'avviaro i duci
Lenti, accigliati, taciturni: obliquo
Volgeano il guardo sull'armata Erina,
Foschi per doglia, che non mai dal fianco
Si spiccaron del Re, qualor di guerra
Ruggia tempesta: dietro lor movea
Grigio-crinito Carilo, sovente
L'arpa toccando; ei prevedea l'alterna
Strage, e suono mettea flebile e basso,
Quasi d'auretta querula, che a scosse
Vien dal cannoso Lego, allor che il sonno
Pian pian sul ciglio al cacciator discende.
Ma di Cona il cantor perché sta chino
Lì su quel rio? disse Fingallo: è questo,
Padre d'Oscàr, tempo di lutto? in pace
Si rimembrin gli eroi, dacché 'l rimbombo
Degli scudi cessò: curvati allora
Nella tua doglia, e coi sospiri accresci
L'aure della montagna; allora in folla
Schierinsi innanzi al tuo angoscioso spirto
Gli abitatori della tomba amati.
Or vedi Erina minacciosa e fosca
Che sul campo precipita; mio figlio
Alza il tuo scudo; ah figlio mio son solo.
Qual talor subitana aura di vento
D'Inisuna sul mar fere una lenta
Nave, che torpe in odiosa calma,
E la sospinge a cavalcar sull'onde;
Così la voce di Fingal riscosse
Dal torpor di tristezza Ossian, e al campo
Riconfortato lo sospinse. Alzai
Lo scudo mio, che gìa spargendo intorno
Nel bujo della zuffa omai vicina
Torbida luce, qual di smorta Luna
Nei lembi d'una nube, anzi che sorga
Tenebrosa tempesta. Ecco dal Mora
L'aspra guerra precipita: Fingallo
Guida i suoi prodi, il gran Fingal: sull'alto
Veggonsi sventolar l'altere penne
Dell'aquila temuta: i grigi crini
Scendon sull'ampie spalle: avanza il passo
Come tuon fragoroso; egli a' suoi duci
Spesse mettenti dall'acciar scintille,
E dal monte scagliantisi sovente
Lo sguardo animator volge, e s'arresta
Fermo e grande a veder: rupe il diresti,
Che sotto il ghiaccio incanutisce e il vento
Frange coi boschi; dall'irsuta fronte
Spiccian lucidi rivi, e infranti al balzo,
Spruzzano i nembi con l'occhiuta spuma.
Giunse all'antro di Luba, ove giacea
Muto Fillàn: su lo spezzato scudo
Stavasi Brano cheto cheto; al vento
Sparse dell'elmo erravano le penne,
E colla punta luccicante uscia
Fuor delle foglie d'arida ginestra
La lancia del garzon. Dolor sconvolse
L'alma del re, qual improvviso turbo
Sulla faccia del lago; altrove il passo
Rivolse in fretta, e si curvò sull'asta.
Ma saltellando al calpestio ben noto
Del passo di Fingal, festoso accorse
Brano dal bianco petto; il fido veltro
Accorre, e accenna, e guaiola, e risguarda
Pur alla grotta, ove giacea prosteso
L'amato cacciator, ch'egli solea
Spesso guidarlo all'albeggiar del giorno
De' cervetti al covil: Fingallo il pianto
Più non ritenne; tenebrìa di doglia
Gli adombrò tutta l'anima: ma come
Forte vento talor spazza repente
Le tempestose nubi, e al sole aperti
Lascia i lucidi rivi e i colli erbosi;
Tal la possente immagine di guerra
Rischiarò l'alma annuvolata: il Luba
Fermo sull'asta sua varca d'un salto,
Batte lo scudo; a quel rimbombo l'oste
Pinsesi in fuor col minacciante acciaro.
Né paurosa di battaglia il segno
Erina intese; ella s'avanza: oscuro
Malto traguarda dal velluto ciglio;
Presso gli è Idalla, amabil raggio; il torvo-
Guardante Maronnàn seguelo; inalza
L'acuta asta Clonàr; Cormiro al vento
Scuote la chioma cespugliosa; avanza
Dietro la rupe maestoso e lento
D'Ata l'eccelso eroe; prime spuntaro
Le due lance del Duce, indi comparve
La metà del brocchier, meteora in notte
Su la valle dell'ombre; intero alfine
Rifulse e grandeggiò; l'un oste e l'altra
Scagliasi allora nella zuffa, e l'arme
Già già pria di ferir pugnan coi lampi.
Quai con tutta di lor poderose onde
La formidabil massa a scontrar vansi
Due procellosi mari allor che intorno
Lo scoglioso Lumon, rombar le penne
Odon dei venti; sfilano sul balzo
L'ombre combattitrici: sul profondo
Precipitosi piombano spezzati
Diradicati boschi, e fansi inciampo
Delle sconce balene ai passi ondosi;
Tai si mischian le armate: ora Fingallo,
Or s'avanza Catmor; morti su morti
Tombano in folla: degli eroi su i passi
Sgorgano scintillanti onde d'acciaro;
E quindi e quinci ai lor fendenti a terra
Va un monte d'elmi, ed un filar di scudi.
Ecco per mano di Fingal percosso
Stramazza Maronnano, e col suo corpo
Attraversa il ruscel: s'ammassan l'onde
Sotto il suo fianco, e gorgogliando balzano
Sul cerchiato brocchiero: è là trafitto
Da Catmorre Clonàr422, né però il duce
Preme il terreno; una ramosa quercia
nel suo cader gli afferra il crine: al suolo
Rotola l'elmo, abbandonato pende
Dalla ciarpa lo scudo, e vi serpeggia
Il nero sangue in grossi gorghi: ahi lassa!
Tu piangerai bella Tlamina423, e spesso
Farà la chiusa mano oltraggio al petto.
Né l'asta Ossian scordò; con essa il campo
Sparge di morte: il giovinetto Idalla,
Leggiadra voce dell'ondoso Clora,
S'avanza: ohimè, perché la lancia arresti424,
Mal accorto, perché? scontrato innanzi
T'avessi altrove alla tenzon del canto!
Malto basso lo vede, egli s'offusca425,
E mi sguarda, e s'avventa: ambi curviamci,
Ambi la lancia...Ecco repente il cielo
Rabbujasi, raggruppasi; rovesciasi
Stemprato in pioggia procellosa: intorno
Alle voci ululabili dei venti
Rimugge il bosco: or quel colle, or questo
Vestono falde d'abbagliante foco,
E in tempestosi vortici di nebbia
Rotola il carro assordator del tuono.
Fra lo scompiglio e fra l'orror tremanti
Rannicchiarsi i nemici, e sbalordita
Di Morven l'oste si ristette: io fermo
Mi tenni pur sopra il ruscel, lasciando
In preda ai venti il crin fischiante. Io sento
La voce di Fingal, sento le grida
Del fuggente nemico: accorro, il padre
Cerco, ma scappa al guardo; un incessante
Alternar di baleni e di tenebre
Lo mostra a mezzo, e tosto il cela; or l'elmo
Traspare or l'asta: e ben; sia bujo o luce,
Pugniam; batto lo scudo, incalzo i passi
D'Alnecma: innanzi a me rotte e disperse
Sfuman le schiere. Alfin risguarda il Sole
Fuor d'una nube; di Moilena i cento
Rivi disfavillar; ma presso al monte
Vedi di nebbia spaziar colonne
Lente, dense, atre: ov'è Fingallo? il prode
Catmorre ov'è'? sul rio, sul balzo, al bosco?
Non già; che fia? sento un colpir d'acciari:
Colà, colà di quella nebbia in seno
È la zuffa dei Re. Così talvolta
Pugnan due spirti entro notturna nube
Pel governo dell'onde o 'l fren dei venti.
Precipitai: si sollevò, si sperse
La grigia nebbia: scintillanti i Duci
Sul Luba grandeggiavano. Catmorre
Posava al balzo: penzola lo scudo
Dal braccio illanguidito; e il rio che spiccia
Fuor dal masso vicin lo batte e inonda.
Gli sta presso Fingallo: ei vide il sangue
Del campion d'Ata: a quella vista al fianco
Lentamente discendegli la spada,
Ed in voci pacifiche e pietose
Parla con gioja tristeggiante e fosca.
Cede l'eroe d'Alnecma? o vuol pur anco
La lancia sollevar? chiara abbastanza
È la tua fama in Ata. Ata soggiorno
Per te d'ogni stranier; spesso il tuo nome,
Qual aura del deserto, a colpir venne
L'orecchio di Fingal. Vieni al mio poggio,
Vieni alla festa mia, cedi; i possenti
Ceder ponno senz'onta: io non ho sdegno
Col dimesso nemico, e non m'allegro
Al cader d'un eroe: mio studio e cura
È saldar piaghe di guerrier ferito426.
Note mi son l'erbe dei colli, e spesso
Amo di corne le salubri cime,
Mentre del rivo ondeggiano sul margo:
Teco godrò dell'arte mia far prove.
Vientene, e che? tu stai pur fosco e muto
Prence d'Ata ospital? Sull'Ata, ei disse,
S'alza una rupe; ondeggianvi di sopra
Ramose piante; ad essa ampia nel mezzo
S'apre una grotta a cui ruscel non manca.
Colà prosteso, il calpestio più volte
Sentii del peregrin, che di mie conche
Giva alla sala; in sul mio spirto ardea
Vampa di gioja, e benedissi il balzo,
Che de lor passi rispondeva al suono.
Qui fia nel bujo il mio soggiorno; io quindi
Salirò spinto da piacevol canto
Sopra l'auretta che sparpaglia i velli
Del cardo de' miei poggi: e in giù dall'alto
Traguarderò fuor dell'azzurra nebbia
Sul caro balzo e sul diletto speco:
La mia tomba sia questa. - Ohimè! di tomba
Perché parla il guerriero? Ossian, t'accosta,
Miralo, egli spirò. Gioja ti scontri
Quasi ruscel, gioja t'inondi e bei,
Alma leggiadra e dei stranieri amica.
Mancò il possente: ah figliuol mio, sia questo
L'ultimo de' miei fatti; è tempo omai
Ch'io cessi dalle pugne: odo qui presso
La chiamata degli anni, essi passando
Della lancia m'afferrano la punta,
E sembran dir: perché Fingal non posa
Nelle sue sale? Alma d'acciaro, il sangue
Così dunque t'alletta? - Anni scortesi,
No che nel sangue io non m'allegro; il pianto
Di vedove e di figli è a me torrente
Vernal che scende a desolarmi il core.
Ma che? quand'io pacifico e tranquillo
Giaccio su i colli miei, sorge la voce
Poderosa di guerra, e sì mi desta
Dal mio riposo, e la mia spada appella.
L'appelli? omai fia vano. Ossian, tu prendi
La lancia di Fingal; per lui la inalza
Quando sorge il superbo. I miei grand'avi
Sempre i vestigi miei segnar dall'alto;
Grate fur loro le mie gesta: ovunque
Mossi a guerre, o perigli, ognora io vidi
Le nebulose lor colonne azzurre
Farmisi scorta di vittoria in pegno.
Ossian, sai tu perché? sempre il mio braccio
Gli oppressi ricattò; contro il superbo,
Contro l'alma feroce arse soltanto
Lo sdegno mio, né s'allegrò il mio sguardo
Sulle sciagure altrui, sull'altrui morte.
Per questo al mio passar le avite forme
Verran tutte festose in su la soglia
Dell'aeree lor sale ad incontrarmi
In graziosa maestà, con veste
Di luce candidissima, e con occhi
Placidamente in dolce foco accesi:
Ove al superbo ed al crudel son esse
Lune pregne d'orror, che a spaventarlo
Mandan vampa feral nunzia di sdegno.
Abitator di vorticosi venti,
Tremmòr padre d'eroi, mirami, io porgo
La lancia ad Ossian mio: quest'atto inviti,
E allegri i sguardi tuoi. Spesso io ti vidi
Fuor d'una nube balenarmi al volto;
Tal ti mostra a mio figlio, allor ch'ei l'asta
Rizza nelle battaglie; egli in mirarti
Membrerà il tuo valor, Tremmorre invitto,
Già signor dei mortali, ora dei nembi.
La lancia ei porse alla mia mano; e a un tempo
Erse una pietra, onde col grigio capo
Narrasse il fatto all'altre età; sott'essa
Pose una spada, e colla spada un cerchio
Del rinomato scudo; oscuro intanto
Volgeasi e muto in fra pensieri; alfine
Sciolse la voce in cotai detti: O pietra,
O pietra, allor che le remote etadi
Ti faran polve, e che sarai già spersa
Per entro il musco roditor degli anni,
Verrà qui forse peregrin non degno,
E passerà fischiando: alma codarda!427
Ah tu non sai quanto di fama un giorno
Sfavillasse in Moilena! è qui, che l'asta
Fingallo al figlio nella man depose,
E coronò col memorabil atto
L'ultimo de' suoi campi.428 Or via, ti scosta
Ombra, non uom; gloria t'ignora; il margo
D'un rio t'arresta in ozio vile; ancora
Poch'anni, e poi se' nulla; oblio t'attende
Per ingoiarti, abitator palustre
Di grossa nebbia, sconosciuto al canto.
Tal non sarà Fingal, fama qual manto
Fia che 'l rivesta, ed il suo nome altero
Irraggerà di nobili faville
Le tarde età, perché il suo forte acciaro
Schermo fu sempre all'infelice oppresso.
Disse; e alla quercia s'avviò che curva
Pendea sul Luba: una pianura angusta
Sotto vi giace, e vi discorre il fonte
Che spiccia dalla rupe: ivi di Selma
Lo spiegato vessillo ondeggia al vento,
E 'l suo cammino a Feradarto addita429;
A Feradarto che in ascosta valle
Sta palpitante e di sua sorte incerto:
Lucido il Sole d'occidente intanto
Fende le nubi; il gran Fingal ravvisa
Morven sua trionfante, ode le voci
Romorose, confuse; osserva i moti
D'inquieta esultanza, e se n'allegra;
Qual cacciator che dopo aspra tempesta
Mira splendere al sol le cime e i fianchi
Del natio colle; il già dimesso capo
Rizza lo spino, e i cavrioli in frotta
Fanno sull'alto, scorribande e tresche.
Ma d'altra parte entro muscoso speco
Stavasi il grigio Clòmalo430; già spente
N'eran le luci, ed un baston sostegno
Faceasi all'arco delle annose terga.
Pendea dinanzi dal suo labbro intenta
Sulmalla ad ascoltar le grate istorie
Dei prenci d'Ata. Del cantor cessato
Già nell'orecchio era il fragor lontano
Del conflitto crudel; s'arresta a un tratto;
E gli scappa un sospiro: a lui sovente
Sull'alma balenavano gli spirti
Dei duci estinti; ei ravvisò Catmorre
Sanguinoso, prosteso. A che sì fosco?
Disse la bella; omai cessò nel campo
La fera zuffa; vincitor tra poco
Verrà 'l mio duce; d'occidente il sole
Tocca le grotte, già l'ingrata nebbia
Sorge dal lago, e quel poggetto adombra,
Giuncoso seggio delle damme; e in breve
Ei spunterà, vedrollo... il veggo; ah vieni
Solo diletto mio, vientene. - Er'egli
Lo spirto di Catmòr, lenta, alta, altera
Movea la forma: rannicchiossi a un punto
Dietro al fremente rio.431 - Travidi, è questo
Un cacciator che a lenti passi il letto
Cerca del cavriol; guerra ei non cura,
La sua sposa l'attende; egli fischiando
Carco di spoglie di cervetti bruni432
Tornerà alle sue braccia433. - Ella pur gli occhi
Tien volti al colle: ecco di nuovo appare
La maestosa forma. - Or sì ch'è desso. -
Corre a quello festosa; egli s'arretra,
Si rannebbia, digradano, svaniscono
Le sue membra fumose, e sfansi in vento.
Conobbe allor ch'ei più non era. - Ahi lassa!
Amor mio, tu cadesti!... Ossian, ah scorda
Scorda il suo lutto, egli a quest'alma è morte
Notte scese in Moilena; alto la voce
Risuonò di Fingallo, alzossi intorno
La fiamma della quercia; il popol tutto
Con gioja s'adunò, ma in quella gioja
Serpea qualch'ombra; che drizzando il guardo
Di fianco al Re, gli si scorgeva in volto
Non compiuta letizia e pensier gravi.
Piacevolmente dal deserto intanto
Venìa voce di musica; dapprima
Parea fiochetto mormorìo di fonte
Sopra lontana rupe; ella accostossi,
E lenta rotolavasi sul balzo,
Qual ala crespa di leggera auretta,
Che pel silenzio di tranquilla notte
Pian pian ferisce le vellute barbe.
Era cotesta di Condàn la voce
Mista all'arpa di Carilo: venièno
Essi con Feradarto, il sir gentile,
A Fingallo sul Mora. Ad incontrargli
Mossero pur del Lena i vati, a' canti,
Canti mescendo, e d'esultanza in segno
Alzossi un plauso universal di scudi.
Piena e splendida allor gioja s'aperse
Sulla faccia del Re, come talvolta
Raggio improvviso in nubiloso giorno.
Trasse ei dal cerchio del brocchiero un suono
De' suoi cenni forier: cessaro a un punto
Le grida, i canti; e 'l popolo sull'aste
Curvossi ad ascoltar la voce amata.
Morvenie schiere, è già di sparger tempo
Il mio convito, fra concenti e feste
Scorra la notte: sfavillaste, o prodi,
Assai nel bujo, or la tempesta è sgombra.
È rupe il popol mio; su questa io fermo
Spiccai più volte un aquilino volo
Verso la fama, e l'afferrai sul campo.
Or sia fine a' miei fatti. Ossian, tu l'asta
Hai di Fingallo; ella non è, tu 'l sai,
Verghetta di fanciul che i cardi atterra;
Questa è l'asta dei grandi; essi di quella
Spesso armata la man prestaro a morte.
Pensa a' tuoi padri, o figliuol mio, son essi
Dopo tant'anni, venerati raggi
D'intemerata fama, a lor t'agguaglia.
Fa che al nuovo mattin da te sia scorto
Feradarto in Temòra, e lui nel seggio
Loca degli avi suoi; fa' ch'ei rammenti
D'Erina i regi, ed il morvenio sangue
Che in sen gli serpe, e il tralignarne aborra.
Non si scordin gli estinti; a lor dovute
Son grate laudi: Carilo, tu sgorga
La voce tua, che gli rallegri in mezzo
Della lor nebbia, e sia compenso a morte.
Compiuta è ogn'opra; io col mattin tranquillo
Spiegherò le mie vele inver l'ombrose
Mura di Selma, ove Dutùla ondoso434
L'erboso letto ai cavrioli irriga.