Messer Corso, infermo per le
gotti, fuggìa verso la badìa di San Salvi, dove già molti mali avea fatti e
fatti fare. Gli sgarigli il presono, e riconobberlo: e volendolne menare, si
difendeva con belle parole, sì come savio cavaliere. Intanto sopravenne uno
giovane cognato del mariscalco. Stimolato da altri d'ucciderlo, nol volle fare;
e ritornandosi indietro, vi fu rimandato: il quale la seconda volta li dié
d'una lancia catelanesca nella gola, e uno altro colpo nel fianco; e cadde in
terra. Alcuni monaci ne 'l portorono alla badia; e quivi morì, a dì [...] di
settenbre 1307, e fu sepulto.
La gente cominciò a riposarsi, e
molto si parlò della sua mala morte in varii modi, secondo l'amicizia e
inimicizia: ma parlando il vero, la sua vita fu pericolosa, e la morte
reprensibile. Fu cavaliere di grande animo e nome, gentile di sangue e di
costumi, di corpo bellissimo fino alla sua vecchieza, di bella forma con
dilicate fattezze, di pelo bianco; piacevole, savio e ornato parlatore, e a
gran cose sempre attendea; pratico e dimestico di gran signori e di nobili
uomini, e di grande amistà, e famoso per tutta Italia. Nimico fu de' popoli e
de' popolani, amato da' masnadieri, pieno di maliziosi pensieri, reo e astuto.
Morto fu da uno straniero soldato così vilmente; e ben seppono i consorti chi
l'uccise, ché di subito da' suoi fu mandato via. Coloro che uccidere lo feciono
furon messer Rosso dalla Tosa e messer Pazino de' Pazi, che volgarmente per
tutti si dicea: e tali li benediceano, e tali il contrario. Molti credettono,
che i due detti cavalieri l'avesson morto; e io, volendo ricercare il vero,
diligentemente cercai e trovai così esser vero.
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