Dimorando lo Imperadore in
Cremona, i Bresciani, i quali avean fatti i suoi comandamenti e ricevuto il suo
vicario, messer Tibaldo Brociati e messer Maffeo di Maggio capi ciascuno d'una
parte, messer Maffeo, che prima tenea la terra, per ubidire dipose la signoria
nella volontà dello Imperadore.
Messer Tibaldo, che dallo
Imperadore fu beneficiato, perché prima andava cattivando per Lonbardia,
povero, co' suoi seguaci, e da lui fu rimesso nella città, il tradì. Perché,
mandando da Cremona pe' cavalieri che venissono a ubidirlo, vi mandò della
parte di messer Maffeo tutti quelli aveano ubbidito. Il quale, quando se ne
avide, mandò per alcuni nominatamente; i quali non vennono: feceli citare sotto
termine e pena; e anche non vennono. Lo Imperadore, intendendo la loro malizia,
con pochi appresso uscì della camera, e fecesi cignere la spada, e dirizossi
col viso verso Brescia, e la mano pose alla spada, e meza la trasse della
guaina, e maladì la città di Brescia. E riformò la città di Cremona di vicario.
A dì XII di maggio 1311 lo
Imperadore con sua gente cavalcò a Brescia, e con gran parte de' Lonbardi, e
conti e signori. E posevi l'assedio, perché così fu consigliato; ch'ella non si
potea tenere, perché non erano proveduti di vittuaglia, e erano nella fine
della ricolta: «e veggendo il campo posto, la gente si arrenderà tosto; e se tu
la lasci, tutta la Lonbardia è perduta, e tutti i tuoi contrarii quivi faranno
nidio; e questa fia vettoria da fare tutti gli altri temere». Fermò l'assedio:
mandò per maestri; ordinò edificii e cave e coverte; e molti palesi segni fece
da combattere. La città era fortissima e popolata di pro' gente, e dal lato del
monte avea una forteza, e tagliato il poggio: la via non potea esser loro tolta
d'andare a quella forteza; la città era forte a conbatterla. Quivi si stette un
giorno, pensando assalirla di verso la Magna; però che avutala, la città era
vinta.
Messer Tibaldo, volendo
soccorrere, andò là; e, per giustizia di Dio, il cavallo incespicò e cadde: e
fu preso, e menato allo Imperadore, della cui presura molto si rallegrò. E
fattolo esaminare, in su uno cuoio di bue il fe' strascinare intorno alla
città, e poi li fe' tagliare la testa, e il busto squartare. E gli altri presi
fece impiccare.
Così incrudelirono quelli dentro
inverso quelli di fuori: ché quando ne pigliavano uno, lo ponieno su' merli,
acciò fusse veduto; e ivi lo scorticavano, e grande iniquità mostravano: e se
presi erano di quelli dentro, erano da quelli di fuori impiccati. E così, con
edificii e balestra, dentro e di fuori, guerreggiavano forte l'uno l'altro. La
città non si potea tanto strignere con assedio, che spie non v'entrassono
mandate da' Fiorentini, i quali con lettere gli confortavano, e mandavano
danari.
Un giorno messer Gallerano, fratello
dello Imperadore, grande di persona, bello del corpo, cavalcava intorno alla
terra per vederla, sanza elmo in testa, in uno giubbetto vermiglio. Il quale fu
fedito d'un quadrello sul collo, per modo che pochi dì ne visse: acconcioronlo
alla guisa de' signori, e a Verona fu portato, e quivi fu onorato di sepultura.
Molti conti, cavalieri e baroni vi morirono, tedeschi e lonbardi: assai
v'infermarono, perché l'assedio durò fino a dì XVIII di settembre.
A dì XVIIII di settenbre 1311;
perché il luogo dove era il campo era disagiato, e 'l caldo grande, la
vettuaglia venìa di lunge, e' cavalieri erano gentili; e dentro alla terra ne
morivano assai di fame e di disagio, per le guardie si convenia loro fare, e
pe' sospetti grandi; per mezanità di tre cardinali, stati mandati dal Papa allo
Imperadore, i quali furono messere d'Ostia, messere d'Albano e messere dal
Fiesco, si praticò accordo tra lo Imperadore e i Bresciani, di darli la terra,
salvo l'avere e le persone: e arrenderonsi a' detti cardinali.
Lo imperadore entrò nella terra,
e attenne loro i patti. Fece disfare le mura, e alquanti Bresciani confinò, e
dall'assedio si partì con molti meno di suoi cavalieri, che vi morirono, e
molti se ne tornoron indietro malati.
|