Nell'anno dalla incarnazione di
Cristo MCCLXXX, reggendo in Firenze la parte guelfa, essendo scacciati i
Ghibellini, uscì d'una piccola fonte uno gran fiume, ciò fu d'una piccola
discordia nella parte guelfa una gran concordia con la parte ghibellina. Ché,
temendo i Guelfi tra loro, e sdegnando nelle loro raunate e ne' loro consigli
l'uno delle parole dell'altro, e temendo i più savi ciò che ne potea advenire,
e vedendone apparire i segni di ciò che temeano (perché uno nobile cittadino
cavaliere, chiamato messer Bonaccorso degli Adimari, guelfo e potente per la
sua casa, e ricco di possessioni, montò in superbia con altri grandi, che non
riguardò a biasimo di parte, ché a uno suo figliuolo cavaliere, detto messer
Forese, dié per moglie una figliuola del conte Guido Novello della casa de'
conti Guidi, capo di parte ghibellina), onde i Guelfi, dopo molti consigli
tenuti alla Parte, pensarono pacificarsi co' Ghibellini che erano di fuori. E
saviamente concordarono ridursi con loro a pace sotto il giogo della Chiesa,
acciò che i legami fussono mantenuti dalla fortezza della Chiesa: e celatamente
ordinorono, che il Papa fusse mezo alla loro discordia. Il quale, a loro
petizione, mandò messer frate Latino, cardinale, in Firenze, a richiedere di
pace amendue le parti. Il quale giunto, domandò sindachi di ciascuna parte, e
che in lui la compromettessono; e così feciono. E per vigore del compromesso
sentenziò, che i Ghibellini tornassono in Firenze con molti patti e modo; e
accordò tra loro li ufici di fuori; e al governo della città ordin= XIIII
cittadini, cioè VIII Guelfi e VI Ghibellini; e a molte altre cose pose ordine,
e pene ad amendue le parti, legandoli sotto la Chiesa di Roma. Le quali leggi e
patti e promesse fe' scrivere tra le leggi municipali della città.
La potente e superba famiglia
degli Uberti, sentenziò stesse alcuno tempo a' confini, con altri di loro
parte: e dove fussono le loro famiglie, godere i loro beni come gli altri; e a
quelli che sostenessono lo incarico de' confini, fusse dato dal Comune, per
ristoro del suo esilio, alcuni danari il dì ma meno al non cavaliere che al
cavaliere.
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