Il Vescovo d'Arezo, come savio
uomo considerando quel che advenire gli potea della guerra, cercava
patteggiarsi co' Fiorentini, e uscire con tutta la schiatta sua d'Arezo, e dar
loro le sue castella del vescovado in pegno; e per le rendite e pe' fedeli
volea, l'anno, fiorini IIIm, i quali li promettesse messer Vieri de' Cerchi
ricchissimo cittadino. Ma i Signori che erano in quel tempo, erano in gran
discordia: i quali furono messer Ruggieri da Cuona giudice, messer Iacopo da
Certaldo giudice, Bernardo di messer Manfredi Adimari, Pagno Bordoni, Dino
Compagni autore di questa Cronaca, e Dino di Giovanni, vocato Pecora, che
furono da dì XV d'aprile a dì XV di giugno 1289. La cagione della discordia fu
che alcuni di loro voleano le castella del Vescovo, e spezialmente Bibiena
bello e forte, alcuni no; né non voleano la guerra, considerando il male che di
quella segue: pur infine per tutti si consentì di pigliarle, ma non per
disfarle. E d'accordo rimisono in Dino Compagni, perché era buono e savio uomo,
ne facesse quanto li paresse: il quale mandò per messer Durazzo, nuovamente
fatto da lui cavaliere, e in lui commise conchiudesse il trattato col Vescovo
il meglio potesse.
Il Vescovo d'Arezo in questo mezo
pensò, che se consentisse al trattato, sarebbe traditore; e però raunò i
principali di sua parte, e quelli confortò prendessono accordo co' Fiorentini:
e che egli non volea perdere Bibbiena, e che la fusse afforzata e difesa;
altrimenti prenderebbe accordo egli. Gli Aretini, sdegnati per le parole sue,
perché ogni loro disegno si rompeva, ordinavano di farlo uccidere: se non che
messer Guglielmo de' Pazi, suo consorto, che era nel consiglio, disse che
sarebbe stato molto contento l'avessono fatto, non l'avendo saputo; ma essendo
richiesto, non lo consentirebbe, ché non volea esser micidiale del sangue suo.
Allora deliberarono di pigliarla eglino; e come disperati, sanza altro
consiglio si misono in punto.
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