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Dino Compagni
Cronica

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    • 12 - Cavilli de' giudici contro gli Ordinamenti di Giustizia; severa esecuzione dei medesimi, opposizioni, dal Popolo e da' Grandi; ardire e fermezza di Giano della Bella (1293).
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12 - Cavilli de' giudici contro gli Ordinamenti di Giustizia; severa esecuzione dei medesimi, opposizioni, dal Popolo e da' Grandi; ardire e fermezza di Giano della Bella (1293).

 

I maladetti giudici cominciorono a interpretare quelle leggi: le quali aveano dettate messer Donato di messer Alberto Ristori, messer Ubertino dello Stroza e messer Baldo Aguglioni. E diceano che, dove il maleficio si dovea punire con effetto, lo distendevano in danno dello adversario; e impaurivano i rettori: e se l'offeso era ghibellino, e il giudice era ghibellino; e per lo simile faceano i Guelfi: gli uomini delle famiglie non accusavano i loro consorti per non cadere nelle pene. Pochi malifìci si nascondevano, che dagli adversari non fussono ritrovati; molti ne furono puniti secondo la legge. E i primi che vi caddono furono i Galligai; che alcuno di loro fe' uno malificio in Francia in due figliuoli d'uno nominato mercatante, che avea nome Ugolino Benivieni, ché venneno a parole insieme, per le quali l'uno de' detti fratelli fu fedito da quello de' Galligai, che ne morì. E io Dino Compagni, ritrovandomi Gonfaloniere di Giustizia nel 1293, andai alle loro case e de' loro consorti, e quelle feci disfare secondo le leggi. Questo principio seguitò agli altri gonfalonieri uno male uso; perché, se disfaceano secondo le leggi, il popolo dicea che erano vili se non disfaceano bene affatto. E molti sformavano la giustizia per tema del popolo. E intervenne che uno figliuolo di messer Bondalmonte, avea commesso uno malificio di morte, gli furono disfatte le case; per modo che dipoi ne fu ristorato.

 

Molto montò il rigoglio de' rei uomini, però che i grandi, cadendo nelle pene, erano puniti; però che i rettori temeano le leggi, le quali voleano che con effetto punissono. Questo effetto si distendea tanto, che dubitavano se l'uomo accusato non fusse punito, che il rettore non avesse difensionescusa: il perché niuno accusato rimanea impunito. Onde i grandi fortemente si doleano delle leggi, e alli essecutori d'esse diceano: «Uno caval corre, e della coda nel viso a uno popolano; o in una calca uno darà di petto sanza malizia a uno altro; o più fanciulli di piccola età verranno a quistione; gli uomini gli accuseranno: debbano però costoro per sì piccola cosa esser disfatti?».

 

Giano della Bella sopradetto, uomo virile e di grande animo, era tanto ardito che lui difendeva quelle cose che altri abbandonava, e parlava quelle che altri tacea; e tutto facea in favore della giustizia contro a' colpevoli: e tanto era temuto da' rettori, che temeano di nascondere i malifìci. I grandi cominciorono a parlare contro a lui, minacciandolo che non per giustizia ma per fare morire i suoi nimici il facea, abbominando lui e le leggi: e dove si trovavano, minacciavano squartare i popolani che reggeano. Onde alcuni, che gli udirono, rapportorono a' popolani; i quali cominciorono a inacerbire, e per paura e sdegno innasprirono le leggi; sì che ciascuno stava in gelosia. Erano i principali del popolo i Magalotti, però che sempre erano stati aiutatori del popolo: e aveano gran séguito, e intorno a loro aveano molte schiatte che con loro si raunavano d'uno animo, e più artefici minuti con loro si ritraevano.

 




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