Scoprissi la congiura fatta
contro a Giano uno giorno che io Dino ero con alquanti di loro per raunarci in
Ognissanti, e Giano se ne andava a spasso per l'orto. Quelli della congiura
fermavano una falsa legge, che tutti non la intendevano; che si avesse per
nimica ogni città o castello che ritenesse alcuno sbandito nimico del popolo: e
questo feciono, però che la congiura era fatta con falsi popolani, per
sbandeggiare Giano e metterlo in odio del popolo. Io conobbi la congiura, e
dubitai per che faceano la legge sanza gli altri compagni. Palesai a Giano la
congiura fatta contro a lui, e mostra' li come lo faceano nimico del popolo e
degli artefici, e che, seguitando le leggi, il popolo li si volgerebbe addosso,
e che egli le lasciasse, e opponessesi con parole alla difensione. E così fece,
dicendo: «Perisca innanzi la città, che tante opere rie si sostengano». Allora
conobbe Giano chi lo tradiva, però che i congiurati non si poteano più coprire.
I non colpevoli voleano esaminare i fatti, saviamente; ma Giano, più ardito che
savio, gli minacciò farli morire. E però si lasciò di seguire il fare le leggi,
e con grande scandolo ci partimo.
Rimasono quivi i congiurati
contro a Giano; i quali furon messer Palmieri di messer Ugo Altoviti, messer
Baldo Aguglioni giudice, Alberto di messer Iacopo del Giudice, Noffo di Guido
Bonafedi, e Arriguccio di Lapo Arrighi. I notai scrittori furono ser Matteo
Biliotti e ser Pino da Signa. Tutte le parole dette si ridissono assai
peggiori: onde tutta la congiura s'avacciò di ucciderlo; perché temeano più
l'opere sue che lui.
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