Sedea in quel tempo nella sedia
di San Piero papa Bonifazio VIII, il quale fu di grande ardire e alto ingegno,
e guidava la Chiesa a suo modo, e abbassava chi non li consentia. Erano con lui
sua mercatanti gli Spini, famiglia di Firenze ricca e potente: e per loro stava
là Simone Gherardi, uomo pratico in simile esercizio; e con lui era uno
figliuolo d'uno affinatore d'ariento, fiorentino, si chiamava il Nero Canbi,
uomo astuto e di sottile ingegno, ma crudo e spiacevole. Il quale tanto aoperò
col Papa per abassare lo stato de' Cerchi e de' loro sequaci, che mandò a
Firenze messer frate Matteo d'Aquasparta, cardinale Portuense, per pacificare i
Fiorentini. Ma niente fece, perché dalle parti non ebbe la commessione volea, e
però sdegnato si partì di Firenze.
Andando una vilia di San Giovanni
l'Arti a offerere, come era usanza, e essendo i consoli innanzi, furono
manomessi da certi grandi, e battuti, dicendo loro: «Noi siamo quelli che demo
la sconfitta in Campaldino; e voi ci avete rimossi degli ufici e onori della
nostra città». I Signori, sdegnati, ebbono consiglio da più cittadini, e io
Dino fui uno di quelli. E confinorono alcuni di ciascuna parte: cioè, per la
parte de' Donati, messer Corso e Sinibaldo Donati, messer Rosso e messer
Rossellino della Tosa, messer Giachinotto e messer Pazino de' Pazi, messer Geri
Spini, messer Porco Manieri, e loro consorti, al Castel della Pieve; e per la
parte de' Cerchi, messer Gentile e messer Torrigiano e Carbone de' Cerchi,
Guido Cavalcanti, Baschiera della Tosa, Baldinaccio Adimari, Naldo Gherardini,
e de' loro consorti, a Sarezano, i quali ubidirono e andorono a' confini.
Quelli della parte de' Donati non
si voleano partire, mostrando che tra loro era congiura. I rettori li voleano
condannare. E se non avessono ubidito e avessono presa l'arme, quel dì
avrebbono vinta la terra; però che i Lucchesi, di conscienzia del Cardinale,
veniano in loro aiuto con grande esercito d'uomini.
Vedendo i Signori che i Lucchesi
veniano, scrissono loro, non fussono arditi entrare su loro terreno; e io mi
trovai a scrivere la lettera: e alle villate si comandò pigliassono i passi. E
per studio di Bartolo di messer Iacopo de' Bardi tanto si procurò, che
ubidirono.
Molto si palesò allora la volontà
dcl Cardinale, che la pace, che egli cercava, era per abbassare la parte de'
Cerchi e inalzare la parte de' Donati. La quale volontà, per molti intesa,
dispiacque assai. E però si levò uno di non molto senno, il quale con uno
balestro saettò uno quadrello alla finestra del vescovado (dove era il
Cardinale), il quale si ficcò nell'asse: e per paura si partì di quindi, e andò
a stare oltrarno a casa messer Tommaso per più sicurtà.
I Signori, per rimediare allo
sdegno avea ricevuto, gli presentorono fiorini MM nuovi. E io gliel portai in
una coppa d'ariento, e dissi: «Messere, non li disdegnate perché siano pochi,
perché sanza i consigli palesi non si può dare più moneta». Rispose gli avea
cari; e molto li guardò, e non li volle.
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