Ritrovandomi in detto consiglio
io Dino Compagni, disideroso di unità e pace fra' cittadini, avanti si
partissono dissi: «Signori, perché volete voi confondere e disfare una così
buona città? Contro a chi volete pugnare? contro a' vostri fratelli? Che
vettoria arete? non altro che pianto». Risposono che il loro consiglio non era
che per spegnere scandalo e stare in pace.
Udito questo, m'accozai con Lapo
di Guaza Ulivieri, buono e leale popolano, e insieme andamo a' priori, e
conducemovi alcuni erano stati al detto consiglio, e tra i priori e loro fumo
mezani, e con parole dolci raumiliamo i Signori: e messer Palmieri Altoviti,
che allora era de' Signori, fortemente li riprese sanza minaccie. Fu loro
risposto che di quella raunata niente più si farebbe; e che alcuni fanti eran
venuti a loro richiesta, fussono lasciati andare sanza esser offesi. E così fu
da' signori priori comandato.
La parte adversa continuamente
stimolava la Signoria gli punisse, perché aveano fatto contro agli Ordini della
Giustizia, per lo consiglio tenuto in Santa Trinita, per fare congiura e
trattato contra il reggimento.
Ricercando il segreto della
congiura, si trovò che il Conte da Battifolle mandava il figliuolo con suoi
fedeli e con arme a petizione de' congiurati: e trovaronsi lettere di messer
Simone de' Bardi, per le quali scrivea facessono fare gran quantità di pane,
acciò che la gente che venia avesse da vivere. Il perché chiaramente si
comprese la congiura ordinata per lo consiglio tenuto in Santa Trinita; onde il
Conte e 'l figliuolo e messer Simone furono condannati in grave pena.
Scopertisi gli odii e le
malivolenzie d'amendue le parti, ciascuno procurava offendere l'altro: ma
troppo più baldanzosamente si scopriano i Donati che i Cerchi, nello sparlare,
e di niente temeano.
|