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Fernando Colombo Historie IntraText CT - Lettura del testo |
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73 - La sollevazione e i rumori che l'Ammiraglio trovò nella Spagnola per la malvagità di un Orlando, che egli vi aveva lasciato per giudice generale.
Entrato adunque l'Ammiraglio nella città di San Domingo con la vista quasi perduta dal soverchio vegliare che continuamente aveva fatto, sperò d'esservi giunto per riposarsi dei travagli patiti in quel viaggio e di trovarvi molta pace fra le sue genti, ma trovò nondimeno tutto il contrario, perché tutte le famiglie dell'isola erano in gran tumulto e sedizione: giacché gran parte della gente da lui lasciatavi era già morta, e degli altri ve n'erano più di 160 ammalati di mal francese: e oltre che molti altri s'erano sollevati con Orlando, non trovò i navigli che dalle Canarie dicemmo egli aver mandato con soccorso. Di che sarà necessario che noi ragioniamo ordinatamente per seguire e compire il filo della storia, cominciando dal giorno che l'Ammiraglio partì per Castiglia, la quale partenza, come dicemmo, fu nel mese di marzo dell'anno 1496 essendo scorsi 30 mesi dal giorno della sua tornata, nel principio del qual tempo, per la speranza della sua presta tornata e d'essere di breve soccorsi, fu nella gente alcuna quiete. Ma passato il primo anno, mancando loro di quelle cose di Castiglia, e crescendo le infermità e travagli tuttavia, rimasero scontenti delle cose presenti e privi di speranza di miglioramento nell'avvenire, senza però che s'intendessero le querele di molti ch'erano scontenti, fra i quali mai non manca chi inciti e pretenda farsi capo di parte, come allora toccò la sorte ad un Francesco Orlando, nativo della torre di Don Ximeno, a cui l'Ammiraglio aveva data tanta reputazione e autorità presso gl'Indiani e i Cristiani, col lasciarlo giudice maggiore, che non meno era ubbidito che la sua persona. Da che si può presumere che fra lui e il prefetto, ch'egli aveva lasciato per governatore, non ci fosse quella buona volontà che per il bene pubblico ricercavasi, sì come il tempo e l'esperienza fecero conoscere. Pertanto, tardando l'Ammiraglio a tornare, né mandando alcun soccorso, l'Orlando incominciò a drizzare il suo pensiero a voler impadronirsi dell'isola, proponendo di ammazzare i fratelli dell'Ammiraglio, come quelli nei quali poteva trovar maggior resistenza, e per dare a ciò effetto aspettò l'occasione. E avvenne che il prefetto, uno dei fratelli dell'Ammiraglio, andò ad una provincia occidentale chiamata Suragna, 80 leghe discosta dall'Isabella, dove detto Orlando rimase in suo luogo, benché sotto il governo di don Diego, secondo fratello dell'Ammiraglio: di che l'Orlando si sdegnò in tal maniera che, mentre il prefetto dava ordine come il cacico di quella provincia pagasse il tributo ai Re Cattolici che a tutti gl'Indiani dell'isola l'Ammiraglio aveva imposto, l'Orlando cominciò nell'isola segretamente a trarre alcuni alla sua divozione. Ma perché niun male ardisce d'alzar la testa in un subito, o senza alcuna finta cagione, quella che Orlando tolse per fondamento e porta del suo disegno fu che nella stessa Isabella era una caravella in terra che il prefetto aveva fatta fare per mandarla in Castiglia se la necessità ve lo costringesse: e perché per mancanza di sartie e d'altri apparecchi non poté essere gettata in acqua, l'Orlando finse, e pubblicò esserne altra la cagione, e che al beneficio di tutti conveniva che quella caravella si mettesse ad ordine, acciò che in quella potesse andare alcun di loro in Castiglia a dar nuova dei loro travagli, per cui sotto colore del bene comune, faceva grande istanza che essa si gettasse in acqua: e perché don Diego Colón per detta mancanza di sartie non lo consentiva, avvenne che l'Orlando con più animo e sfacciatezza cominciò a trattare con alcuni segretamente, che detta caravella si gettasse in acqua al dispetto di lui, dicendo a quelli i quali egli stimava consentir seco che, se al prefetto e a don Diego ciò non piaceva, era perché volevano rimanere col dominio del paese, e tener loro continuamente soggetti, senza che vi fosse alcuna naviglio col quale potessero far sapere ai Re Cattolici la loro sollevazione e tirannia. E poiché sapevano, ed era chiaro, quanto crudele e terribile fosse il prefetto, e la travagliata e mala vita che loro dava, fabbricando terre e fortezze, e poiché essi erano senza alcuna speranza della venuta dell'Ammiraglio con soccorso, era bene che pigliassero la loro libertà, e non permettessero che sotto il colore del soldo, il quale mai non si pagava loro, fossero soggetti ad un forestiero, potendo godere una buona e riposata vita, e di grandissima utilità, poiché tutto quello che nell'isola si avesse e commutasse l'avrebbero tra di loro ugualmente partito, e si sarebbero serviti degl'Indiani a loro volontà, senza che li tenessero così in freno: e che ancora non era loro permesso che potessero pigliar per moglie una donna indiana che piacesse a loro: e oltre che il prefetto loro faceva osservare i tre voti di religione, non mancavano digiuni e discipline con le prigionie, e castigo, le quali cose contro di essi per ogni minima colpa si eseguivano. Laonde, poiché egli aveva la bacchetta e l'autorità del Re, la quale di tutto quello che sopra ciò potesse succedere li assicurava senza che ne ritornasse a loro pregiudizio, li esortava a fare quello che li consigliava, per cui non potevano errare. Con queste, e con altre tali parole, dipendenti dall'odio che egli al prefetto portava, e con la speranza dell'utile, tirò tanti alla sua devozione che un giorno, essendo tornato il prefetto da Suragna all'Isabella, alcuni d'essi deliberarono di dargli delle pugnalate, tenendo ciò per così facile cosa, che avevano apparecchiato un laccio per appiccarlo dopo morto. E la cagione per cui allora più s'erano a ciò incitati fu la prigione d'un Barahona amico dei medesimi congiurati, contro il quale, se Dio non ispirava in animo al prefetto che non procedesse all'esecuzione della giustizia, senza dubbio l'avrebbero ucciso.
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