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Francesco Guicciardini
Considerazioni intorno ai discorsi del Machiavelli sopra la prima deca di Tito Livio

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  • LIBRO SECONDO.
    • XXIV. Le fortezze generalmente sono molto più dannose che utili.
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XXIV. Le fortezze generalmente sono molto più dannose che utili.

 

Non si debbe laudare tanto la antiquità, che l'uomo biasimi tutti gli ordini moderni che non erano in uso apresso a' romani; perché la esperienzia ha scoperte molte cose che non furono considerate dagli antichi, e per essere inoltre e' fondamenti diversi, convengono o sono necessarie a una, delle cose che non convenivano o non erano necessarie all'altre. Però se e' romani nelle città suddite non usorono di edificare fortezze, non è per questo che erri chi oggidì ve le edifica, perché accaggiono molti casi per e' quali è molto utile avere le fortezze, ed a uno principe overo tiranno co' cittadini medesimi, ed a uno signore co' sudditi suoi, ed a uno potentato co' forestieri.

Le ragione mi paianomanifeste, che io mi maraviglio che questa opinione abbia contradittori, perché principalmente se, quali sono gli imperi, tali fussino sempre e' sudditi, cioè che quando sono bene trattati amassino el principe suo, io confesso che quanto a loro sarebbono, a ogni principe che governassi bene, inutile le fortezze, perché basterebbe a difenderlo da' cittadini e sudditi suoi lo amore de' populi. Ma considerato quanto molte volte e' popoli eziandio bene trattati, sono spesso poco ragionevoli, quanto desiderosi di cose nuove, quanto possi valere in loro la memoria dello antico principe se ora sono sotto uno imperio nuovo, quanto lo appetito della libertà se sono usati a averla, e quanto spesso per questo e per altri rispetti uno principe o tiranno è sforzato governare e' cittadini o sudditi suoi con qualche ingiuria, dico che ed a quelli che possono avere e' popoli amici, ed a quelli che non possono sperare di conseguire questa benevolenzia, è necessario fare qualche fondamento in sulla forza, in sul tenere e' popoli suoi in qualche terrore; altrimenti sarebbe troppo spesso in preda della leggerezza, della malignità, del giusto odio de' sudditi suoi. E quella ragione che si adduce nel Discorso che le fortezze danno animo a' prìncipi a essere insolenti e fare mali portamenti, è molto frivola, perché se s'avessi a considerare questo, arebbe uno principe a stare sanza guardia, sanza arme, sanza eserciti, per avere tanto più a cercare di vivere in modo che fussi grato a' popoli, quanto più si trovassi esposto alla loro discrezione. Di poi le cose che in sé sono utile non si debbono fuggire, se bene la sicurtà che tu trai di loro ti possa dare animo a essere cattivo; verbigrazia, hass'egli a biasimare la medicina, perché gli uomini sotto la fidanza di quella si possono guardare manco da' disordini e dalle cagione che fanno infermare? Non è questa buona ragione, né da fare rifiutare el bene, quando el male che ne può seguire è in potestà tua se séguiti o no.

E per venire a' particulari secondo l'ordine del Discorso, dico che a uno tiranno di una città, ed a ogni principe, sono utilissime le fortezze in quella città, perché né el popolo né gli inimici particulari, vedendo el principe sicuro nella fortezza sua, non possono per ogni leggiere occasione fare movimento; perché è difficile farlo in modo che si amazzi el principe con tutta la sua progenie; non facile avere le forze ed e' soccorsi preparati in modo che si possa rinchiudere o pigliare la fortezza sì presto che el principe non abbia tempo a ripigliare la terra con gente nuove introdotte per la fortezza. El medesimo dico di una città suddita, la quale per el freno della fortezza non può pensare alla ribellione se non vede esercito forestiere inimico del principe in quella provincia. Né sono buoni gli esempli di Milano e gli altri che lui allega, che benché avessino le fortezze perderono gli stati, perché non per ribellione de' popoli soli, ma per occasione di guerra potente; e si potria dire che se non l'avessino avute, l'arebbono perdute forse molto prima eziandio ne' tempi della pace. E se per virtù della fortezza non si recupera sempre la terra persa, si è anche visto qualche volta recuperarne, come intervenne a monsignore di Fois a Brescia, che ancora che si trovassi con esercito potente, se non fussi stato introdotto per la fortezza, non era bastante a recuperare Brescia. E quando per via della fortezza non si recupera la terra, è el timore della fortezza bastante a tenere impegnati li inimici sanza farci altra offesa insino l'abbino acquistata; el quale intervallo di tempo può essere causa di gran beneficio a chi si truova assaltato.

E quanto allo esemplo che si allega de' romani, posposto lo esemplo del duca Guido, di Ottaviano e degli altri, la autorità de' quali non basta a confondere la autorità di tanti altri che hanno edificato le fortezze, dico che se e' romani non usorono fortezze, due potettono essere le cause: l'una, che come altrove ha detto lo autore, ne' princìpi dello imperio loro non usorono ridurre le città in espressa servitù, ma tenerle sotto ombra di libertà e di confederazione equale, el quale instituto non comportava lo edificarvi fortezze; l'altra, che trovandosi sempre con gli eserciti ordinati e potentissimi, ed in molti luoghi con le colonie, giudicorono avere minore bisogno delle fortezze, massime che erano consueti distruggere più presto le città, le quali reputavano inimicissime; e nondimanco se l'avessino giudicate inutile, arebbono distrutto quella di Taranto e l'altre che trovorono edificate, perché così sarebbe inutile una fortezza edificata da altri, come quella che fussi edificata da te. Confesso adunche che in molti casi ed in molti tempi le fortezze non giovano; che alla sicurtà dello stato tuo sono degli altri remedi, forse qualche volta più utili e più gagliardi che le fortezze; ma che le fortezze spesso sono utili a chi le tiene, per assicurarsi dalle congiure, per fuggire le rebellione e per recuperare le terre perdute. Però non sanza cagione e' tempi nostri le adoperano, furono in uso apresso agli antichi, ed e' romani a Taranto e negli altri luoghi che le trovorono fatte non le smurorono.

 


 




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