STORIE
FIORENTINE
Nel 1378 sendo
gonfaloniere di giustizia Luigi di messer Piero Guicciardini successe la novità
de' Ciompi, di che furno autori gli otto della guerra, e' quali per essere
stati raffermati più volte in magistrato, s'avevano recata adosso grande
invidia e grande contradizione da' cittadini potenti, e per questo si erano
rivolti a' favori della moltitudine; e però procurorono questo tumulto, non
perché e' Ciompi avessino a essere signori della città ma acciò che col mezzo
di quegli, sbattuti e' potenti ed inimici sua loro rimanessino padroni del
governo. Il che fu per non riuscire perché e' Ciompi, preso lo stato e creato
e' magistrati a loro modo e non a arbitrio degli otto, volevano potere
tumultuare ogni dì la città, e non arebbono gli otto potuto ritenergli; se non
che Michele di Lando' uno de' Ciompi ed allora gonfaloniere di giustizia,
vedendo che questi modi partorivano una inevitabile ruina della città,
accordatosi cogli otto e cogli aderenti loro, fu cagione di tôrre lo stato a'
Ciompi; e così el bene e la salute della città nacque di luogo che nessuno
l'arebbe mai stimato. Rimase el governo più tosto in uomini plebei e nella
moltitudine che in nobili, e fecionsene capi messer Giorgio Scali e messer
Tommaso Strozzi e' quali con questo favore popolare governorono tre anni la
città, e feciono in quel tempo molte cose brutte e massime quando senza alcuna
colpa, ma solo per levarsi dinanzi gli avversari loro, tagliorono el capo a
Piero di Filippo degli Albizzi che soleva essere el più riputato cittadino di
Firenze, a messer Donato Barbadori ed a molti altri innocenti; ed in ultimo,
come è usanza, non potendo essere più soportati, ed abandonati dal popolo, a
messer Giorgio fu tagliato el capo; messer Tommaso campò la vita col fuggirsi
ed ebbe bando in perpetuo lui e suoi discendenti e messer Benedetto degli
Alberti, che era uno de' primi aderenti loro, fu confinato,
Ebbe la città
in quegli tempi più volte molti tumulti, e finalmente con uno parlamento si
fermò lo stato nel 93, sendo gonfaloniere di giustizia messer Maso degli
Albizzi, el quale in vendetta di Piero suo zio, cacciò di Firenze quasi tutti
gli Alberti, e rimase el governo in mano di uomini da bene e savi, e con
grandissima unione e sicurtà si continuò insino presso al 1420; e non fa
maraviglia, perché gli uomini erano tanti stracchi delle turbulenzie passate,
che abattendosi a uno vivere ordinato, tutti volentieri si riposorono. E
veramente in quegli tempi si dimostrò quanta fussi la potenzia della città
nostra quando era unita, perché soportorono dodici anni la guerra di Giovan
Galeazzo con spesa infinita e di eserciti italiani ed esterni, che feciono
passare in Italia in diverse volte uno duca di Baviera, uno conte di Ormignacca
con quindicimila cavalli, uno imperadore Ruberto; ed a pena sendo usciti di
questa guerra, credendosi che la città fussi esausta e per carestia di danari
per riposarsi qualche tempo, feciono la impresa di Pisa, nella quale, e nella
compera e nella espugnazione, spesono una somma infinita di danari. Ebbono di
poi la guerra con Ladislao re di Napoli e difesonsi francamente anzi ne
acquistorono Cortona, in ricompenso però di buona somma di danari; comperorono
Castrocaro, e finalmente ebbono tanti successi, e nella città che si conservò
libera, unita e governata da uomini da bene e buoni e valenti, e fuora, che si
difesono da inimici potentissimi ed ampliorono assai lo imperio, che
meritamente si dice che quello è stato el più savio, el più glorioso, el più
felice governo che mai per alcuno tempo abbi avuto la città nostra.
Dal 1420 poi al
1434 venne la guerra del duca Filippo, e la divisione della città in due parte,
d'una di quale era a capo Niccolò da Uzzano, uomo riputato molto savio ed
amatore della libertà, dell'altra Giovanni di Bicci de' Medici e di poi Cosimo
suo figliuolo e finalmente doppo molte contese ed agitazione, partorirono nel
1433 che sendo gonfaloniere di giustizia, di settembre, Bernardo Guadagni, la
parte di Niccolò da Uzzano, el quale era già morto, avendo una signoria a suo
proposito, fece sostenere in palagio Cosimo de' Medici e di poi lo confinò
insieme con Lorenzo suo fratello ed Averardo suo cugino, a Vinegia; ed in capo
di pochi mesi eziandio fu preso messer Agnolo Acciaiuoli, ebbe della fune e fu
confinato in Grecia.
Cacciato Cosimo,
rimasono capi del governo messer Rinaldo degli Albizzi, Niccolò Barbadori,
Peruzzi, Bischeri, Guadagni, Castellani, Strozzi ed altri simili, ma poco lo
seppono tenere, perché el settembre seguente che fu in capo dello anno la
signoria che ne fu gonfaloniere Niccolò Cocchi, non però sanza grande tumulto e
pericolo rispetto a quella parte che prese le arme, fece parlamento e rimesse
Cosimo e cacciò e' capi della parte avversa. E perché l'una e l'altra
rivoluzione, cioè del 33 e del 34, fu fatta dalla signoria che entra di
settembre e che si era tratta el dì di san Giovanni dicollato, però fu ordinato
che per lo avenire la signoria non si traessi più in tal dì, ma el dì dinanzi,
e così si è sempre osservato, eccetto pochi anni a tempo di fra Girolamo. Furono
potissima cagione di questa ritornata di Cosimo, Neri di Gino Capponi, Piero di
messer Luigi Guicciardini, Luca di messer Maso degli Albizzi ed Alamanno di
messer Iacopo Salviati, ma massime vi si operorono Neri e Piero.
Tornato Cosimo
e fatto capo del governo e fatta fare una Balìa di cittadini, per sicurtà dello
stato cacciò di Firenze in grandissimo numero tutti gli avversari sua, che
furono molte famiglie nobilissime e ricchissime, ed in luogo di quelle cominciò
a tirare su di molti uomini bassi e di vile condizione, e dicesi che sendo
Cosimo ammunito da qualcuno che e' non faceva bene a spegnere tanta nobiltà, e
che mancando gli uomini da bene, Firenze rimaneva guasta, rispose che parecchi
panni di San Martino riempierebbono Firenze di uomini da bene; volendo inferire
che cogli onori e colle ricchezze gli uomini vili diventavano nobili.
Erano allora
nella città molte casa nobile che si chiamavano di famiglia, le quali pe' tempi
adrieto, sendo grande e soprafaccendo gli uomini di manco forze, erano state
per opera di Giano della Bella private de' magistrati della città, massime del
priorato e de' collegi, e fatto contra loro molti ordinamenti e legge forte che
reprimevano la loro potenzia, e nondimeno era stato riservato loro alcuno
uficio, ne' quali per legge avevono a avere una certa parte, ed oltra ciò nelle
legazione e ne' dieci della Balìa avevono buono corso. Con costoro non aveva
Cosimo inimicizia particulare, perché loro sendo alienati dello stato, non
l'avevono offeso nelle sue avversità, e nondimeno rispetto alla loro
maggioranza e superbia non gli amava, né si sarebbe confidato di loro, e però
per tôrre loro quella parte de' magistrati riservata loro dalla legge, e
nondimeno in modo che vi avessino a concorrere, fece una provisione, e si disse
con consiglio di Puccio Pucci, che quelle tali famiglie che vulgarmente si
chiamavano de' grandi, fussino fatte di popolo; e così levò loro le legge che
gli opprimevano ed abilitogli a tutti gli onori come gli altri cittadini. Di
che nel principio acquistò con loro grado grande, e nondimeno lo effetto fu che
non vincevano gli squittini e non erano eletti a' magistrati; in modo che non
solo non acquistorono di quegli ufici a' quali prima erono inabili, ma vennono
anche a perdere quegli che la legge dava loro di necessità.
Legò Cosimo lo
stato col fare dare a un numero di cittadini balìa per anni cinque, e fece
squittini nuovi di tutti e' magistrati della città drento e di fuori; e
nondimeno, per la autorità aveva la balìa, e' signori quasi sempre a suo tempo
non si trassono a sorte, ma si eleggevano dagli accopiatori a modo suo; e
quando era a tempo de' cinque anni che durava la balìa, faceva prorogare quelle
autorità per altri cinque anni
Ebbe sopratutto
cura che nessuno di quegli cittadini che erano stati sue fautori non si facessi
sì grande che lui avessi da temerne, e per questo rispetto teneva sempre le
mani in sulla signoria ed in sulle gravezze per potere esaltare e deprimere chi
gli paressi; nelle altre cose e cittadini avevono più autorità e disponevano
più a loro modo che non feciono poi a tempo di Lorenzo, e lui dava volentieri
loro ogni larghezza pure che fussi bene sicuro dello stato. E parendogli che
Neri di Gino avessi più riputazione e forse più cervello che alcuno altro
cittadino di Firenze, dubitando non pigliassi tanto credito che avessi da
temerne lo adoperava più che alcuno altro in tutte le cose importanti della
città drento e fuori, e nondimeno cominciò a dare credito a Luca Pitti, el
quale non era valente uomo, ma vivo liberale animoso e più servente e per gli
amici che alcuno altro che fussi a Firenze, e così uomo da fargli fare ogni
cosa sanza rispetto, e non di tal cervello che gli paressi avere da temerne.
Cominciò costui molte volte nelle pratiche, massime quando le cose non erano di
molta importanza, quando Neri aveva parlato, a dire tutto el contrario di
quello che aveva consigliato Neri, e quivi per ordine di Cosimo erano molti che
riprovavano el parere di Neri ed approvavano quello di Luca; di che
accorgendosi Neri e vedendo lo stato di Cosimo in modo da non potere alterarlo
e che volendo rompere con lui sarebbe come dare del capo nel muro, sendo
savissimo, mostrava non vedere ed aveva pazienzia aspettando tempo ed
occasione.
Era in quello
tempo Baldaccio d'Anghiari capitano di fanterie, uomo di grande animo e valente
nel mestiero suo e di grande credito apresso a' soldati e molto stretto ed intrinseco
amico di Neri; di che temendo Cosimo, e volendo levare a Neri questo
instrumento attissimo a fare novità aspettando che Neri fussi fuora di Firenze
o imbasciadore o commessario, fece che messer Bartolomeo Orlandini gonfaloniere
di giustizia mandò per lui in palagio, ed avutolo in camera lo fece subito da
gente ordinate quivi per quello, gittare a terra dalle finestre.
Nel tempo che
tornò Cosimo era la città collegata co' viniziani ed i n guerra contro al duca
Filippo, la quale si continuò per dodici o quattordici anni, tirandosi eziandio
adosso qualche volta la guerra con papa Eugenio e col re Alfonso, delle quali
cose perché sono notissime non ne dirò altro; e così de' successi del conte
Francesco, e come con favore della città acquistassi el ducato di Milano. Solo
dirò questo, che quando e' viniziani presono la difesa dello stato di Milano
contro al conte Francesco, venuto a Firenze in consulta quello si avessi a fare
perché ed el conte ed e' viniziani erano stati amici e collegati della città,
la più parte si accordava che si dovessi conservare la amicizia de' viniziani e
favorirgli contro al conte. A Cosimo parve altrimenti, e mostrò con ragione che
era meglio favorire el conte: e così si segui. Di che lui ne acquistò Milano e nacquene
la salute di Italia; perché se così non si faceva e' viniziani si facevano
sanza dubio signori di quello stato e successivamente in breve di tutta Italia;
sì che in questo caso la libertà di Firenze e di tutta Italia s'ha a
ricognoscere da Cosimo de' Medici.
Sendo di poi el
conte diventato duca di Milano e non avendo fatto pace co' viniziani, fu el
disegno loro tenergli questo cocomero in corpo, giudicando che essendo entrato
in uno stato nuovo e spogliato e sanza danari e bisognandogli stare armato, si
consumerebbe da se medesimo; di che accorgendosi el duca si risolvé essergli
necessario, poi che non poteva avere pace ragionevole da' viniziani, accozzare
tante forze che potessi rompere loro guerra, e così per forza recuperare quello
avevono occupato doppo la morte del duca Filippo, e ridurgli a' loro termini.
Ed a questo effetto si trovava gente assai, ma gli mancava danari a poterle
mettere in ordine, e vedendo non potere sperare nel re Alfonso che gli era
inimico, né nel papa che voleva stare neutrale, cercava per fare questi effetti
avere sussidio di danari da' fiorentini.
A Cosimo ed a'
più savi pareva da farlo, per ovviare a tanta grandezza de' viniziani, ma
bisognando gran somma di danari e vedendo el popolo che si stava in pace e non
gustava e' pericoli futuri, alieno in tutto dallo spendere, non si ardivano
mettere innanzi questa pratica, e però scrivevano al duca che chi governava era
bene disposto, ma che avessi pazienzia perché non era tempo a parlare di simile
materia. E certo se e' viniziani si fussino portati prudentemente, ed atteso a
tenere bene disposta con umanità e buone parole la città, né ricercala di
alcuno aiuto, ma contentatisi si stessino a vedere, era facile cosa
conducessino a fine e' loro disegni, dove pel contrario la loro arroganzia e
durezza aperse la via a' favori del duca Francesco. Perché avendo fatta lega
col re Alfonso, richiesono la città, a chi riservorono el luogo, ci volessi
entrare drento, il che sendo loro negato, e risposto che la Italia era in pace
e però non bisognava fare nuove leghe, insuperbiti grandemente cacciorono di
tutto el loro dominio e' mercatanti fiorentini, fatte loro prima molte
stranezze, ed operorono che el re Alfonso fece el medesimo. Il che inteso a
Firenze deputorono messer Otto Niccolini imbasciadore a Vinegia; e chiedendo
salvocondotto per lui, lo negorono, credendo con questi modi che la città o per
paura o per voluntà di potere usare el dominio loro conscendessi a ogni cosa.
Ma fu tutto el contrario: perché el popolo se ne sdegnò tanto che fu poca
fatica a chi governava persuadere loro che fussi bene pensare a difendersi ed a
offendere e' viniziani, e però mandorono al duca Dietisalvi di Nerone, e
feciono con lui lega a difesa degli stati servendolo di gran quantità di
danari, di che el duca roppe guerra a' viniziani ed el re Alfonso a noi, con
quegli effetti che per essere celebrati in su tutte le istorie non si
raccontono.
Questi modi de'
vinizani non so se nacquono da loro, o pure se chi desiderava favorire el duca
in Firenze persuase loro per qualche modo destro che la via d'avere aiuto dalla
città era questa, per ridurre con tali inconvenienti el popolo a infiammarsi
contra loro; e certo se el disegno fussi nato così, non potette uscire se non
da uomo di gran prudenzia. Quel che si sia, tal cosa può dare esemplo che chi
non può assolutamente comandare a' popoli e sforzargli, gli conduce a ciò che
vuole più tosto colle carezze e modi dolci che colle asprezze; benché
altrimenti è in chi può comandare loro e domargli; e questa qualità se è in
popolo nessuno, è nel nostro che, come si dimostra ogni dì per mille esempli,
quando teme potere essere sforzato di presente si condurrebbe coll'aspro in
ogni luogo, ma quando è fuora di questa paura, non si conduce col mostrargli
timore minacci o sospetto, ma solo col dolce e colle speranze.
Fatta di poi la
pace in Lodi fra 'l duca e fiorentini da una parte, ed e' viniziani dall'altra,
e di poi a Napoli pace e lega universale di tutta Italia, eccetto e' genovesi e
Sigismondo Malatesta signore di Rimino, la città stette molti anni sanza
guerra, nondimeno con sospetti di fuora e con movimento drento; le quale cose
secondo la mia notizia narrerò più particularmente, perché da quello tempo in
qua non ci è ancora chi abbi scritto istorie.
Doppo la pace
fatta, e' viniziani dettono subito licenzia al conte Iacopo Piccinino loro
soldato; e la cagione in verità fu, prima per levarsi da dosso la spesa della
condotta sue che era ducati centomila secondo, perché avevano capitoli con
Bartolomeo Coglione da Bergamo loro condottiere, che la condotta sua fussi
ducati centomila mentre el conte Iacopo era a' soldi loro, e partito lui si
riducessi a ducati sessantamila; terzo, per alleggerire e' sudditi loro che
dove stanziavano le genti del conte Iacopo pativano disagi e danni
innumerabili.
A Milano ed a
Firenze dispiacque assai questa cosa, dubitando che el conte Iacopo, per essere
soldato di riputazione ed a chi facilmente tutti e' cassi e sviati farebbono
capo, non suscitassi qualche movimento in Italia, e forse per ordine occulto
de' viniziani, e così si raccendessi la guerra passata, e massime che in quegli
dì morì papa Niccola che era stato autore della quiete universale e fu in suo
luogo creato Calisto. E però el duca e la città feciono grande instanzia per
imbasciadori, che e' viniziani lo sopratenessino almeno tanto tempo che le cose
di Italia fussino un poco più assodate. Non vollono e' viniziani farne nulla; e
però partitosi de' terreni loro, stando Italia sospesa di quello avessi a fare,
roppe guerra a' sanesi sotto pretesto di conti vecchi avevano col padre Niccolò
Piccinino; ma risentendosene e' signori della lega e massime el papa ed el duca
Francesco che mandorono gran numero di gente in soccorso de' sanesi, fu tanto
stretto che per non avere luogo dove ridursi era necessario si spacciassi; se
non che el re Alfonso, mandatogli alcune galee, lo ridusse salvo con le sue
gente nel reame, di che si vedde che quel che aveva fatto era stato di
consentimento del re, el quale era inquietissimo e non poteva vivere in pace.
Seguitò poi che el re roppe guerra a' genovesi e mandò, credo, el conte Iacopo
in Romagna a' danni de' Malatesti che a sua contemplazione erano fuori della
lega universale.
Ne' quali tempi
trovandosi ancora e' sanesi in molta disunione e faccendosi ogni dì fuorusciti,
la città stava in gran sospetto e paura del re, che ancora teneva le mani ne'
casi di Piombino, dubitando che se acquistava la oportunità di alcuno di quegli
luoghi, sendo naturalmente tanto ambizioso ed inquieto, questa vicinità non
mettessi la città in qualche grave pericolo. Aggiugnevasi che nella città era
disunione grande e molti malcontenti e cupidi di cose nuove; di che el governo
presente non era gagliardo come soleva, anzi pareva indebolito, e però e'
cittadini dello stato si risolvevano, per ovviare a' pericoli e sicurare lo
stato, che come avessino uno gonfaloniere di giustizia a loro proposito, fussi
da purgare la città di umori cattivi. A Cosimo non pareva, ed ancora Neri, che
poco poi morì, era di medesima opinione, giudicando forse che rispetto agli
andamenti del re ed e' sospetti di fuora, non fussi bene accrescere travagli
alla città. E stando le cose in questi termini, nel 1457 el re, che era tutto
vòlto alla espugnazione di Genova, si morì, lasciato el regno a don Ferrando
suo unico figliuolo non legittimo, di che posati e' tumulti e pericoli di
fuora, Cosimo si risentì e volse lo animo a assicurare lo stato; e però sendo
nel 58 gonfaloniere di giustizia Luca Pitti, sonorono a parlamento, e ristretta
la autorità ed el governo della città a loro proposito e riformato el
reggimento, confinorono ed ammunirono un numero grande di cittadini, in modo
che Cosimo e gli aderenti sua rimasono al tutto e sicuramente padroni del
governo; e Luca Pitti, che fu poi fatto cavaliere dal popolo, ne acquistò tale
riputazione e credito, che doppo Cosimo era assolutamente el primo cittadino di
Firenze.
Morì nel
medesimo anno 1458 papa Calisto, e fu eletto in suo luogo papa Pio, chiamato
prima Enea de' Piccuolomini da Siena, el quale confermò nel regno di Napoli don
Ferrando e fece parentado con lui, conciosiaché el re per ottenere le bolle del
reame dette una sua figliuola non legittima per moglie a uno nipote del papa, e
per dote el ducato di Malfi. Ma poco poi Giovanni d'Angiò chiamato duca di
Calavria, e figliuolo del re Rinieri, pretendendo per le antiche differenzie
fra gli angioini e ragonesi el reame spettare a lui, partitosi da Genova dove
era a governo pel re di Francia, con una grossa armata venne nel reame, dove
aveva intelligenzia col duca di Sessa cognato del re Ferrando, col principe di
Taranto e con molti altri signori e baroni del regno, di che seguitò molte
ribellioni contro al re, e poco di poi el conte Iacopo che era per lui in
Romagna, avendo cattivi pagamenti, s'accordò co' franzesi con grandi partiti e
vantaggi, e passò nel reame a' favori loro. Di che el re vedendosi oppresso,
ricorse a dimandare aiuto a' potentati di Italia, pretendendo che per la lega
fatta a Napoli e' fussino obligati; da altra parte e' franzesi facevono grande
instanzia che el duca Giovanni fussi favorito; el papa ed el duca Francesco
dettono aiuto al re Ferrando; e' viniziani stettono neutrali. Così parve a
Cosimo ed a' più savi che la città dovessi starsi a vedere, e tenere e' panni a
chi voleva annegarsi, e non mettere pe' casi di altri lo stato suo a pericolo;
e massime che per avere el re Alfonso dato nel 54 aiuto al conte Iacopo quando
fece impresa contro a' sanesi, si poteva largamente dire avessi contrafatto
alla lega, e così essere finiti li oblighi avevono gli altri per vigore della
lega seco.
Lo effetto di
questa guerra fu che avendo avuto el re Ferrando una gran rotta al Sarno colla
morte di Simonetto suo primo condottiere, si fece giudicio avessi in brieve a
perdere lo stato, e così era sanza riparo, se dalla parte del duca Giovanni si
fussi con prestezza usata la vittoria. Ma e' principi del reame che erano seco
o per fraude per mantenere più la guerra, o per la buona sorte dei re don
Ferrando, che non gli lasciò cognoscere le occasione, furono tanto lenti che
ebbe tempo a ripigliare le forze e, sopravenendo aiuti da Roma e da Milano,
farsi di nuovo forte alla campagna. E finalmente feciono una altra volta fatti
d'arme, dove el duca di Calavria fu rotto, ed el re seguitò in modo la vittoria
che fu constretto lasciare el reame ed e' principi amici suoi in preda, e'
quali in breve tempo si accordorono col re el meglio potettono, ed el conte
Iacopo si patteggiò uscire del reame per mezzo del duca di Milano, ed andonne a
Milano a consumare el matrimonio con madonna Drusiana sua donna, che era
figliuola bastarda del duca Francesco.
Morì circa a
detto tempo, cioè nell'anno 146[4], Cosimo de' Medici, che era stato molti anni
in casa amalato di gotte e nondimeno non aveva mai intermesso el governare la
città. Lasciò alla morte non gli fussino fatte esequie suntuose, e così si
seguì, ma furongli dati tutti quegli onori che può una città libera dare a uno
suo cittadino, ed intra gli altri fu per publico decreto chiamato padre della
patria. Fu tenuto uomo prudentissimo, fu ricchissimo più che alcuno privato, di
chi s'avessi notizia in quella età, fu liberalissimo, massime nello edificare
non da cittadino, ma da re. Edificò la casa loro di Firenze, San Lorenzo, la
Badia di Fiesole, el convento di San Marco, Careggio, fuori della patria sua in
molti luoghi, eziandio in Ierusalem, ed erano gli edifici sua non solo
ricchissimi e di grande spesa, ma fatti ancora con somma intelligenzia; e per
lo stato grande, ché fu circa a trenta anni capo della città, per la prudenzia,
per la ricchezza e per la magnificenzia ebbe tanta riputazione, che forse dalla
declinazione di Roma insino a' tempi sua nessuno cittadino privato n'aveva
avuta mai tanta. E in tutte queste cose viveva in casa come privato e
civilmente, tenendo conto ancora delle possessione, che n'aveva infinite, e
delle mercatantìe, nelle quali ebbe tanto successo, che non fu uomo che si
impacciassi seco, o come compagno o come governatore, che non ne arricchissi.
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