La città di
Firenze, come di sopra si è detto, era governata per le mani di Lorenzo de'
Medici, e lui era capo dello stato; el quale, benché apresso di sé avessi un
numero di cittadini nobili e prudenti ne' quali si distribuivano gli onori
della città e si trattavano le cose di importanza, nondimeno in molte cose
seguitava solo el suo consiglio e parere contro alla voluntà degli altri e
teneva precipua cura che nella città non si facessi alcuno sì potente che lui
avessi cagione da temerne.
Era allora in
Firenze la famiglia de' Pazzi ricchissima più che alcuna altra della città, ed
aveva trafichi in molti luoghi del mondo e di qui era in grande riputazione in
molte parte di Italia e fuori di Italia; era nobile nella città e con parentado
grande ed uomini molto magnifichi e liberali, e nondimeno non avevano mai in
alcuno tempo avuto molto stato, per essere tenuti troppo superbi ed altieri, la
quale cosa gli uomini in una città libera non possono comportare; pure la
nobilità, el parentado, le ricchezze ed el distribuirle largamente, faceva loro
credito ed amici assai. Capo di questa casa era messer Iacopo uomo d'assai
riputato e tutto da bene, se si gli fussi levato el vizio di giucare e
bestemmiare; era sanza figliuoli, e per questo rispetto tanto più tutta la casa
concorreva a lui per valersene ed in vita e doppo la morte. Aveva molti nipoti,
fra' quali uno, figliuolo di messer Piero suo fratello, si chiamava Renato,
tenuto uomo savio e di più cervello che alcuno che fussi in casa, e, fuora del
solito della famiglia, benvoluto dal popolo. Un altro chiamato Guglielmo,
figliuolo di Antonio, aveva per donna una figliuola di Piero di Cosimo, e così
veniva a essere cognato di Lorenzo; un altro vi era, chiamato Francesco, pure
figliuolo di Antonio, quale era sanza donna, uomo molto inquieto animoso ed
ambizioso, stavasi a Roma el più del tempo e teneva amicizia grandissima con
quegli prelati e massime col conte Girolamo, nipote di papa Sisto ed a chi el papa
aveva dato Imola e Furlì.
Pareva a
Lorenzo de' Medici che questa casa fussi troppo grande e che, ogni favore che
si gli dessi, crescerebbe tanto che sarebbe pericolosa allo stato suo; e però
negli onori e magistrati della città gli teneva adrieto né dava loro quello
grado si sarebbe convenuto. Cominciorono di qui a gonfiare gli animi, a
scoprirsi gli odi e le emulazione, a crescere e' sospetti, e tanto più quanto,
sendo Lorenzo malvoluto da papa Sisto e dal conte Girolamo, gli vedeva essere
favoriti dall'uno e l'altro. Il che era nato, perché quando Sisto fu fatto
papa, avendosi a vendere Imola, Lorenzo, desideroso che la città comperassi
Imola e considerando che per essere el papa nuovo nello stato, non aveva danari
da comperarla se non ne fussi servito o da sé che era suo depositario, o da'
Pazzi che erano sua tesorieri, gli pregò non lo servissino di danari, acciò che
non la potendo comperare el papa, Imola venissi nelle mani nostre. Loro lo
promessono, e poco di poi servirono el papa per questa compera di ducati
trentamila e rivelorono a lui ed al conte Girolamo la richiesta fatta loro da
Lorenzo; di che el papa sdegnato, gli tolse la depositeria che gli era di
grande utilità, e Lorenzo si dolse assai de' Pazzi, e caricògli, avendo presa
onesta, che per opera loro la città non avessi avuto Imola. Ed in effetto
augmentandosi ogni di più questo umore maligno, e Lorenzo pensando
continuamente che non crescessi in loro ricchezza o grandezza, fece nel 76 fare
una legge disponente delle eredità ab intestato, per vigore della quale
e' furono privati di una eredità d'una donna de' Borromei che, secondo la
interpretazione di una legge antiqua, aparteneva loro.
Concepéronne di
questo e' Pazzi grandissimo sdegno; in modo che Francesco, quale per essere di
statura piccola si chiamava volgarmente Franceschino, che quasi del continuo
stava a Roma, cominciò a tenere pratica col conte Girolamo di tôrre lo stato a
Lorenzo, persuadendo el conte che, sendo Lorenzo suo inimicissimo, come fussi
morto papa Sisto, lo perseguiterebbe tanto gli tòrrebbe lo stato di Romagna.
Aggiunsesi a questo trattato messer Francesco Salviati arcivescovo di Pisa, el
quale, quando era in minoribus sendo vacato lo arcivescovado fiorentino
l'arebbe ottenuto con favore del pontefice, se non che Lorenzo colla autorità
publica si gli oppose e fu cagione fussi dato a messer Rinaldo Orsini cognato
suo, e di poi vacando quello di Pisa ed avendolo impetrato dal papa, e
dispiacendo a Lorenzo, penò tempo assai innanzi ne potessi conseguire la
possessione, e per questa offesa era inimicissimo a Lorenzo.
Costoro
praticando insieme e' modi a fare tale effetto, si risolverono che el muovere
guerra alla città non fussi a proposito per essere cosa lunga pericolosa ed
incerta, ed inoltre perché non mancherebbe alla città lo aiuto di qualche
potentato di Italia; ma che era una via sola, di amazzare Lorenzo, il che
pareva facile, perché lui andava solo disarmato e sanza sospetto alcuno di
simile insulto; e massime sperando che, morto Lorenzo, non mancherebbe loro
favori, perché oltre al parentado e potenzia loro, credevano che el popolo, pel
desiderio e speranza della antica libertà, gli avessi a seguitare. Faceva in
questa conclusione difficultà Giuliano fratello di Lorenzo perché a amazzarlo
insieme con Lorenzo era tanto più difficile, e rimanendo lui non era fatto
nulla, perché gli era bene voluto dal popolo, ed inoltre perché avendo e'
cittadini dello stato un capo a chi ricorrere, si pensava piglierebbono le arme
e seguirebbenlo. Conchiusono adunche aspettare tanto che uno di loro fussi
fuora della città, e tanto più quanto credettono avessi a essere presto perché
era voce che Giuliano toglieva per donna una figliuola del signore di Piombino,
e pareva ragionevole che, togliendola, dovessi andare a Piombino a vederla. Di
poi, non succedendo questo parentado, stettono in espettazione che Lorenzo,
come aveva dato intenzione, dovessi andare a Roma, con disegno mentre era in
Roma di amazzare Giuliano, e che Lorenzo fussi ritenuto. Risolvendosi anche di
poi questa speranza, e dubitando che per essere la pratica in bocca di molti
non venissi a luce, conchiusono essere necessario non aspettare più e
amazzargli tutt'a dua col modo ed ordine che di sotto si dirà.
Concorreva in
questo trattato non solo el conte, ma eziandio la santità del papa ne era
conscia e lo desiderava, benché per rispetto dello onore suo faceva menare el
trattato al conte Girolamo. Concorrevaci eziandio el re Ferrando, quale, sendo
confidatissimo ed in grande intelligenzia col pontefice, si era sdegnato che lo
stato di Firenze si fussi aderito e collegato con Vinegia e Milano, e si
persuadeva, mettendo uno stato nuovo in Firenze aversi a valere di quella città
a modo suo, e di poi rispetto alla potenzia ed autorità sua, a quello si poteva
promettere del papa, alla oportunità di questa republica, avere a essere quasi
arbitro di tutta Italia, vedendo massime morto el duca Galeazzo, quale se fussi
stato vivo, non sarebbe al re entrato in questi farnetichi. Concorrevaci
Federigo duca di Urbino, per essersi molti anni innanzi interamente dato e
dedicato al re, aggiugnevasi la oportunità di Città di Castello, di che sotto
governo della Chiesa era capo messer Lorenzo Iustini da Castello, conscio e fautore
di questa pratica ed inimico di Lorenzo, per avere lui sempre favorito messer
Nicolò Vitelli da Castello suo avversario.
Questi tanti
favori non solo accesono l'arcivescovo e Franceschino, uomini animosi ed
inquieti, ma eziandio lo persuasono a messer Iacopo, el quale ci era stato un
pezzo freddo e renitente, non perché non avessi odio grande verso Lorenzo, ma
perché più maturamente considerava quanto la cosa fussi pericolosa e difficile
e quanto bello stato e ricchezza e' mettessi in sul tavoliere. Risolvendosi
adunche mettere a effetto el loro pensiero, ed essendosene lo arcivescovo,
secondo lo ordine, ito a Pisa, Franceschino a Firenze, Giovan Francesco da
Tollentino se ne andò in Romagna nello stato del conte, e messer Lorenzo ne
andò a Castello, ciascuno di loro due con ordine di venirne el dì deputato con
cavalli e fanterie verso Firenze.
Fatti questi
preparamenti secondo e' disegni loro, partì da Pisa d'aprile 1478 el cardinale di
San Giorgio, fratello o vero nipote del conte Girolamo, che vi era a studio,
non conscio per la età di questo trattato, e sotto nome di andare a Roma, venne
a alloggiare a Montughi al luogo di messer Iacopo de' Pazzi, di poi, innanzi
che entrassi in Firenze, sendo convitato da Lorenzo, andò a Fiesole a desinare
al luogo suo, e fu el consiglio de' congiurati dare quivi effetto a tanta
opera, ma non eseguirno, rispetto che Giuliano, sentendosi indisposto, non vi
venne. Differirono adunche per [farla] a Firenze, dove entrato el cardinale, ed
avendo la domenica mattina a dì... a desinare con Lorenzo, parve loro non fussi
tempo farla in casa di Lorenzo, dubitando che Giuliano non vi mangierebbe, e
presono partito per la mattina alla messa, in Santa Liperata, che si ordinava
cantare solenne, e dove non facevono dubio s'aveva a trovare Lorenzo e
Giuliano.
Venne adunche
el cardinale alla messa, accompagnato dall'arcivescovo Salviato, da Giovanni
Batista da Montesecco condottiere del conte e che era quivi per quella opera, e
da molti perugini, tutti venuti a quello effetto, e come el prete che cantava
la messa si communicò, subito, come era dato lo ordine ed el segno,
Franceschino de' Pazzi che andava per chiesa a braccia con Giuliano, l'assaltò ed
amazzollo. Da altro canto un ser Stefano cancelliere di messer Iacopo con
alcuni altri furno adosso a Lorenzo e non bastando loro interamente l'animo lo
ferirono in sulla spalla, lui si cominciò a discostare e, tratto fuori un
pugnale, a difendersi, e concorrendovi brigata, cominciò a ridursi in salvo, ed
in quello furore fu morto Francesco Nori che era seco; finalmente Lorenzo, con
aiuto di chi era a torno e de' preti, fu condotto vivo in sagrestia e, chiusa
la porta, guardato non potessi essere morto.
Mentre che
queste cose si facevano in chiesa, l'arcivescovo, che poco innanzi si era
partito accompagnato da molti parenti ed amici de' quali la più parte non
sapeva nulla, ed alcuni sui fidati e perugini, era ito in palagio per occuparlo,
sotto colore di volere visitare la signoria; messer Iacopo era in casa a ordine
per montare a cavallo e, correndo per la città, gridare «libertà» per sollevare
el popolo. Non successe in palagio el disegno allo arcivescovo; anzi, volendo
fare violenzia, fu ributtato e rinchiusesi in certe stanze che vi sono, da se
medesimo, di che la signoria, veduto questo tumulto, fece serrare le porte del
palagio, con animo di guardarlo e difenderlo da ciascuno. Sopravenne intanto
messer Iacopo, e vedendo la porta chiusa volle sforzare el palagio; ma fu
ributtato da' sassi che erano gittati da e' ballatoi.
Era in questo
mezzo corso el romore per la città, e benché in quel principio ognuno fussi
spaventato, pure intendendosi Lorenzo essere vivo ed el palagio essere
assaltato e difendersi, gli amici dello stato ripresono vigore e prese le arme
parte ne andò a soccorso del palagio, parte in Santa Liperata a cavarne Lorenzo
e conducerlo vivo a casa. El popolo ancora parendogli lo amazzare Giuliano, che
aveva benivolenzia, stato uno atto molto brutto e contra ogni civiltà, massime
in chiesa in dì solenne; e vedendo el palagio per quella parte, e la vittoria
aviarsi di là, e parendo che el volere occupare el palagio fussi un volere
occupare la libertà, cominciorno a correre per la terra, gridando «palle
palle», ché tal segno ha l'arme de' Medici; in modo che sendo el concorso
universale per Lorenzo, messer Iacopo si fuggì fuora di Firenze e gli amici di
Lorenzo insignoriti dello stato cominciorno a usare la vittoria.
Fu preso lo
arcivescovo, che, come dissi, era rinchiuso in palagio, e subito fu impiccato
alle finestre del bargello; fu impiccato con lui Iacopo suo fratello,
consapevole di ogni cosa, fu impiccato un altro Iacopo Salviati, el quale era
stato più anni inimico dello arcivescovo, e di poi riconciliatosi, non sapendo
nulla, per la sua mala sorte l'aveva la mattina accompagnato in palagio; furono
impiccati tutti quegli perugini ed armati erano seco ed in tanta confusione e
furore alcuni etiam innocenti. Fu preso Franceschino, che sendosi per la
furia ferito da se medesimo in uno calcagno e però non avendo potuto fuggirsi,
si era ridotto in casa, donde sendo cavato e condotto in palagio, fu subito al
luogo degli altri impiccato, fu preso el cardinale in Santa Liperata, e per la
furia e rabbia del popolo a pena vi fu condutto salvo; fu preso Giovan Batista
da Montesecco; furono impiccati el dì più di cinquanta, né credo mai Firenze
vedessi un dì di tanto travaglio. El dì sequente messer Iacopo, che si era
fuggito, non sendo ancora fuora del territorio nostro fu preso ed esaminato fu
impiccato. Confessò che poi si era fatta la legge sopra le eredità, aveva
sempre avuto in animo farne simile vendetta; dicono ancora disse che oltre agli
altri favori e fondamenti in su' quali aveva preso animo ed appoggiatosi, era
stata la buona sorte di Franceschino, in che molto si confidava, e gli fu
risposto per messer Bongianni Gianfigliazzi, che era degli esaminatori, che
doveva più sbigottirsi per la sorte ottima di Lorenzo. Renato fu etiam impiccato
el dì medesimo. Costui prevedendo molto innanzi quale fussi la intenzione di
messer Iacopo e degli altri contro a Lorenzo, gli aveva confortati avessino
pazienzia e lasciassino fare al tempo, perché Lorenzo nelle mercatantie era in
tanto disordine che in pochi anni bisognava fallissi, e perduto le ricchezze ed
el credito era perduto lo stato, dicendo: «diangli a cambio e' danari vuole,
perché questi, benché con qualche nostra perdita, lo aiuteranno fallire più presto».
Finalmente non giovando le sue parole, e presentendo per conietture, perché da
lui si guardavano, quello ordinassino di fare, era, per non vi si trovare,
itosene in villa, fu preso quivi e impiccato. Nocegli lo essere tenuto savio ed
avere credito e benivolenzia nel popolo, perché però parve utile a chi aveva lo
stato levarselo dinanzi.
Giovan Batista
da Montesecco fu tenuto parecchi giorni preso; esaminato diligentemente,
confessò essere venuto a Firenze per comandamento del conte suo padrone ed
avere preso el carico di amazzare Lorenzo; e nondimeno quando si prese lo
ordine per in Santa Liperata, essergli venuto orrore rispetto al luogo, e
ricusato farlo di che nacque la salute di Lorenzo, perché se lui pigliava la
cura, sendo uomo valente animoso ed esercitato lo amazzava, fugli tagliato el
capo. Fu el cardinale sostenuto molti dì per avere una sicurtà in mano, acciò
che el papa non facessi villania a' mercatanti nostri erano in Roma; finalmente
assicurata questa parte, fu licenziato e accompagnato onorevolmente. Fuggirono
ser Stefano e Bernardo Bandini, che tutt'a dua avevono assaltato Lorenzo, e per
più sicurtà Bernardo ne andò in Turchia, donde l'anno seguente lo cavò Lorenzo,
e condotto a Firenze fu impiccato. Fu preso Guglielmo e rispetto al parentado e
prieghi della moglie sorella di Lorenzo, fu liberato e mandato a' confini.
Furono presi Giovanni fratello di Guglielmo, Andrea, Niccolò e Galeotto
fratelli di Renato, tutti innocenti, e furono confinati in perpetuo nelle
carcere di Volterra. Fu confiscata la roba di tutti, levate le arme per la
città, ordinato che alcuni rimasono di quella famiglia mutassino, massime nelle
cose del palagio, el nome, fatto decreto che le figliuole e sorelle de' morti e
confinati non si potessino per alcuno tempo maritare. El quale decreto fu
parecchi anni poi levato via, e quegli incarcerati a Volterra furono confinati
in perpetuo del territorio e cavati di carcere.
Questo tumulto
fu di pericolo assai a Lorenzo di perdere e lo stato e la vita, ma gli dette
tanta riputazione ed utilità, che quello dì si può chiamare per lui
felicissimo: morìgli Giuliano suo fratello, col quale arebbe avuta a dividere
la roba e lo stato messo in contesa; furongli levati via gloriosamente e coi
braccio publico gli inimici sua e quanta ombra e sospetto aveva nella città; el
popolo prese le arme per lui e, dubitando della vita, corse a casa gridando
volere vederlo, e lui si fece alle finestre con grande gaudio di tutti, e
finalmente in quello giorno lo ricognobbe padrone della città; fugli dato per
privilegio dal publico potessi per sicurtà della sua vita menare quanti famigli
armati voleva drieto, ed in effetto si insignorì in modo dello stato, che in
futurum rimase liberamente ed interamente arbitro e quasi signore della
città, e quella potenzia che insino a quello dì era stata in lui grande ma
sospettosa, diventò grandissima e sicura. E questo è el fine delle divisione e
discordie civile: lo esterminio di una parte, el capo dell'altra diventa
signore della città, e' fautori ed aderenti sua, di compagni quasi sudditi, el
popolo e lo universale ne rimane schiavo, vanne lo stato per eredità e spesse
volte di uno savio viene in uno pazzo, che poi dà l'ultimo tuffo alla città.
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