Di questa
novità di Firenze e pericolo dello stato nacque alla città una guerra
gravissima, perché el re Ferrando e papa Sisto, considerando quanta offesa
avessino fatta a chi aveva el governo della città, e che mai più vi potrebbe
essere fede o amicizia, deliberorono apertamente e colla forza di fuora fare
pruova di quello che aveano tentato occultamente e colle arme civile, e per
dare qualche principio iuridico alla impresa loro, el papa escomunicò Lorenzo
ed interdisse la città per avere impiccato lo arcivescovo di Pisa e sostenuto
el cardinale di San Giorgio. Fu per parte della città risposto gagliardamente a
questa ingiuria, mandando in publico lettere a tutti e' principi cristiani in
giustificazione loro e carico del papa, facendo etiam consigliare a
tutti e' primi dottori di Italia che de iure questo interdetto era nullo
e non valeva. Finalmente venendosi dalle censure e guerra spirituale alle arme
e guerra temporale, el papa e re, condotto per capitano, a spesa commune,
Federigo duca di Urbino, e fatto intelligenzia co' sanesi', mandorono le gente
loro per la via di Siena a' danni nostri. Fu in questo esercito ancora Alfonso
duca di Calavria, primogenito del re ed apresso a lui ed el duca Federigo era
la cura del tutto. Dall'altra banda e' viniziani e lo stato di Milano, secondo
gli oblighi della lega, mandorno gente di arme e fanterie in favore de'
fiorentini, ma non quello numero sarebbe suto necessario, in modo che trovandosi
superiore di forze lo esercito inimico, el nostro non potendogli stare a petto
alla campagna, si ridusse in sul Poggio Imperiale, sendo commessari generali
messer Luigi ed Iacopo Guicciardini. E non andavano le cose bene, perché
mancando un capitano generale che fussi condotto da tutta la lega, le gente de'
collegati non erano in quella ubidienzia che bisognava; di che lo esercito
inimico, oltre allo essere superiore di forze, andava sanza rispetto
campeggiando e' luoghi gli pareva. Presono adunche Radda, Rencine, Brolio,
Cacchiano e la Castellina, dove stettono a campo ventinove dì.
Era venuto in
questo mezzo in campo, capitano di tutta la lega Ercole duca di Ferrara, el
quale però, per non essere pari agli inimici di gente, non scese del Poggio, ma
molestava e' sanesi con prede e scorrerie, tenendo sempre fermo gli
alloggiamenti in sul Poggio, per essere quello sito fortissimo, ed un freno
agli inimici, che, poi che ebbono espugnati e' primi luoghi in sulle frontiere,
non ardissino distendersi più verso e' luoghi vicini alla città. Di che gli
inimici, per non perdere tempo, volsono alla fine dello anno lo esercito verso
la Valdichiana ed accamporonsi al Monte a San Sovino. Dette questa cosa
alterazione grande alla città, per essere el Monte luogo di importanza per la
qualità del castello e per la oportunità alle altre terre del paese; e però si
fece risoluzione si soccorressi in ogni modo, e subito fu mandato in quella
parte commessario messer Bongianni Gianfigliazzi, acciò che insieme col conte
di Pitigliano disegnassino e' modi necessari e gli alloggiamenti oportuni a
questo soccorso. Ed in questo mezzo si scrisse nel campo nostro (el quale,
rimasto per la partita degli inimici superiore da quella banda, aveva fatte
grande prede in sul sanese e presi alcuni luoghi di non molta importanza) che
el capitano insieme con Iacopo Guicciardini, lasciate le gente bastavano per
guardia del paese, si transferissino alla volta del Monte ed agli alloggiamenti
che si disegnassino pel conte di Pitigliano e per messer Bongianni. Volsonsi a
quella volta e doppo molte dispute e dispareri alloggiorono presso al campo
inimico; dove sendo, si fece tregua per alcuni giorni. La quale fu accettata
da' nostri, perché sendo nello autunno pareva loro utile ogni tempo si
togliessi agli inimici, sendosi allo stremo dello anno; fu accettata da loro,
perché, sendo la natura del duca di Urbino fare le cose sue più sicuramente
poteva, si volle fortificare da una banda donde dubitava potere essere offeso,
e la quale però non era stata prevista da' nostri. Finalmente, spirata la
triegua, gli uomini del Monte si dettono loro spontaneamente, benché da par
loro si fussino potuti tenere alcuni dì, ed inoltre avessino la speranza
propinqua del soccorso ed el tempo di natura da credere che el campo fussi
necessitato a levarsene presto.
Questa perdita
del Monte sbigottì ed alterò assai l'universale della città, perché fu contro
la opinione commune, riputandosi che quel luogo fussi forte ed eziandio molto
fedele ed ebbonne el capitano e commessari e le gente nostre gran biasimo, ed
imputatine di viltà, come se non fussi bastato loro lo animo a soccorrerlo e di
qui gli uomini del Monte, privati di speranza del soccorso, si fussino dati.
Nondimeno pe' più savi si ritrasse essere stata malignità di parecchi capi
della terra, e' quali a poco a poco avevano persuaso la moltitudine, che da sé
naturalmente era inclinata alla divozione nostra e così che le gente nostre
meritavano scusa, perché non potevano avere a fare con gli inimici, se non con
gran disavantaggio.
Nel medesimo
tempo fu in Firenze un poco di disordine causato dagli otto della balìa. Quello
magistrato ne' tempi passati era stato creato con grandissima autorità nelle
cose criminali, sottoposta pure nel giudicare, benché non nel procedere, alle
leggi e statuti della città, e con potestà libera ed assoluta e fuora di ogni
legge, ne' peccati concernenti lo stato; e fu invenzione di chi si trovava
nelle mani el reggimento, per avere un bastone a loro posta, col quale
potessino stiacciare el capo a chi volessi malignare ed alterare el governo. E
benché la origine sua nascessi da violenzia e tirannide, riuscì nondimeno un
ordine molto salutifero; perché come sa chi è pratico nella terra, se el timore
di questo magistrato, che nasce dalla prontezza del trovare e' delitti e
giudicargli, non raffrenassi gli animi cattivi a Firenze non si potrebbe
vivere; e così come detto ufficio fu pienissimo circa alle cose criminali, gli
fu proibito per espresso non potessi impacciarsi nel civile. El quale ordine
non si osservò interamente, perché a poco a poco per spezialità di chi era
nell'ufficio e pe' mezzi e favori degli uomini che vi venivano vi si cominciò a
introdurre molti casi civili, chamandogli, per qualche ragione indiretta,
criminali, la qual cosa sendo molto trascorsa, parve a Lorenzo di correggerla,
e però si fece una riforma che dichiarò e distinse molti casi, ne' quali gli
otto non potessino cognoscere. E perché la fu ordinata da Gismondo dalla Stufa
che allora si trovava degli otto fu chiamata la gismondina; e sendosi osservata
per qualche uficio, gli otto che si trovorono in questo tempo, non piacendo
loro, un dì subito sanza conferirne o con magistrati o con chi governava la
città, la stracciorono ed arsono. La qual cosa parendo fussi un toccare lo
stato avendolo fatto di loro propria autorità, e massime ne' tempi che
correvano, dispiacque a chi reggeva, e subito furono cassi dello uficio e fatti
altri in loro scambio. Né fu fatta loro altra punizione, perché si ritrasse non
era stata malignità contro al governo, ma più tosto leggerezza; ed essere stati
messi su da' cancellieri dello uficio, a' quali piaceva vi si cognoscessi di
ogni caso, perché si valevano più; e si riconfermò la gismondina, benché oggi
non si osservi, e quietossi la cosa.
Gli inimici,
preso el Monte, se ne andorno alle stanze; ed in Firenze, pensandosi all'anno
sequente, si attese a pensare e' preparamenti per tempo nuovo, ed a questo
effetto ristrignersi co' collegati, mostrando loro e' nostri pericoli e
strignendogli a' soccorsi. Fu però mandato a Vinegia oratore messer Tommaso
Soderini ed a Milano si trovava Girolamo Morelli; e' quali molte volte
discorsono e mostrorno come gli eserciti che noi avevamo avuti fra nostri e
loro la state passata, non erano bastanti stare in campagna ed a petto agli
inimici, e però non si faccendo maggiore sforzo, che loro continuamente si
insignorirebbono de' luoghi nostri ed indebolirebbonci in modo che noi saremo
constretti pigliare con gran disavantaggio nostro e di tutta la lega qualche
partito con loro, benché la intenzione nostra fussi prima morire che abandonare
la lega e mancare della fede nostra, essere necessario, se ci volevano
conservare lo stato secondo gli oblighi mandare aiuti più gagliardi e fare
altri disegni che l'anno passato. Soggiunsono di poi che, quando bene ci
mandassino l'esercito che fussi per resistere agli inimici ad essere loro mai
nondimeno non bastare per la salute nostra, perché e' danni che si facevano
così da' soldati nostri come dagli inimici a' nostri cittadini e sudditi erano
tanto grandi e sì innumerabili che continuandosi più tempo era impossibile a
reggerli, avendo massime tanto peso d'avere colle borse private a sostenere
tutte le spese ed incarichi della guerra; consumarsi a poco a poco questo corpo
ed in modo diminuirsi, che, non si rilevando, cadrebbe da se medesimo, la vera
ed unica medicina di questo male essere che fra noi ed e' nostri collegati si
facessi tanta forza che si potessi cacciare gli inimici di su' nostri terreni e
perseguitargli in ogni luogo e fare la guerra potentemente a casa loro.
Questi discorsi
e ragione introdussono in pratica molti modi da fare questo effetto, e
disegnossi due modi: uno di fare armata per mare e con essa infestare le marine
del re Ferrando, e così divertire la guerra in Toscana, l'altra chiamare in
Italia angioini e voltargli alla impresa di Napoli. Finalmente dolendo la spesa
a' collegati, non se ne fece la conclusione si doveva, ma si deliberò per
difesa nostra in questa forma: condussesi a' soldi nostri per capitano nostro
Ruberto Malatesta signore di Rimino, e si disegnò con lui fare uno campo in
quello di Perugia per levare quella città dalla divozione della Chiesa e di poi
potere ferire negli altri luoghi nello stato del papa; e per fare questa
impresa più riuscibile, si disegnò per questo campo el conte Carlo del Montone,
sperando che la riputazione la benivolenzia e parte aveva in Perugia, l'avessi
facilmente a fare ribellare, dalla parte di Siena e verso el campo inimico fu
disegnato el duca di Ferrara capitano generale di tutta la lega, ed el marchese
di Mantova capitano dello stato di Milano. Furono etiam in qualche
speranza d'avere aiuti dal re di Francia, al quale sendosi mandati imbasciadori
da tutta la lega, che vi andò per la nostra città messer Guidantonio Vespucci a
fare querela del pontefice e tentarlo volessi insieme cogli altri principi
chiamare il papa a concilio e così richiederlo di aiuti per la difesa nostra,
aveva quel re più volte promesso mandare buono numero di gente d'arme in
Italia, ed in effetto ogni cosa fu vana se non che con lettere e con
ambasciadori al pontefice, con minacci e protesti favorì assai la causa nostra.
Disegnati
l'anno 1479 questi apparati, e venendone el tempo nuovo da esercitargli, el
signore Ruberto da Sanseverino fuoruscito dello stato di Milano, con gente e
favori del re scorse di quello di Genova insino in sulle porte di Pisa; la
quale città, per non aspettare la guerra, era improvista di tutte le cose
necessarie. Ma subito vi furono mandati commessari messer Bongianni
Gianfigliazzi ed Iacopo Guicciardini, e di poi presto vi si volse el duca di
Ferrara, ed in modo si raffrenorno gli impeti degli inimici, ed eziandio si scoprì
in Pisa uno trattato, che el signore Ruberto vedendosi inferiore di gente e
dubitando ancora, venendo aiuto da Milano, non essere rinchiuso, si ritirò e
partissi d'in sul nostro.
Cessato questo
pericolo, el duca e messer Bongianni se ne andorono verso el Poggio, ed Iacopo
ne venne in quello di Arezzo, dove pochi dì poi giunse el nostro capitano
magnifico Ruberto Malatesta, ed aspettavasi el conte Carlo del Montone el
quale, sendo amalato, si fermò in Cortona e quivi pochi dì poi si morì,
tagliando una grande speranza si era conceputa per la venuta sua, rispetto al
credito ed alla parte aveva in Perugia, nondimeno colle gente vi erano si
seguitò la impresa e presesi alcune castella del perugino. E perché lo esercito
del papa e re, colla persona de' due duchi Calavria ed Urbino campeggiava dalla
banda di Siena e però non attendeva alla difesa del perugino, fu mandato dagli
inimici in quella parte un altro esercito sotto la cura del prefetto, nipote
del papa, e di messer Matteo da Capua; e' quali arrivati si affrontorono co'
nostri e, doppo un bello fatto di arme in che molto apparì la prudenzia ed
ordine grande del capitano magnifico Ruberto, e' nostri ebbono una gloriosa
vittoria, pigliando gran numero di uomini e cavalli degli inimici e
spogliandogli insieme degli alloggiamenti.
Dalla parte di
Siena non si era fatto ancora cosa notabile, perché e' nostri stavano in sul
Poggio, donde operavano più in difesa de' paesi nostri che in offesa degli
inimici, e gli avversari, temendo dello esercito nostro, non potevano sforzare
le nostre terre e non ardivano volere fare fazione co' nostri rispetto al
disavantaggio arebbono avuto per la fortezza del Poggio. Ma avendo le nuove
della rotta di Perugia e dubitando di quello stato, si volsono a gran giornate
in là; il che presentendosi pe' nostri che già erano accampati a alcune
castella in sul lago di Perugia, perché erano di numero molto inferiori agli
inimici, si ritrassono a salvamento a piè di Cortona ma el campo del Poggio, rimanendo
per la partita del campo opposito sanza riscontro, scese del Poggio ed andò a
campo a Casoli, castello grosso de' sanesi che confina con noi dalla parte di
Volterra; e piantatovi le artiglierie, lo prese per forza e saccheggiollo. Di
che nel saccheggiare e dividere la preda nacque gran quistione e contesa fra
quegli del duca di Ferrara e quegli del marchese di Mantova, e vennono alle
mani, e con gran difficultà furono divisi da' commessari nostri messer
Bongianni e Girolamo degli Albizzi.
Furono, e per
la rotta del perugino e per la avuta di Casoli, e' successi nostri tanto
felici, che indubitatamente eravamo al disopra della guerra, e si faceva
giudicio che la vittoria dovessi essere dal nostro; ma mutossi la fortuna e
recò quella gloria e felicità agli avversari, che ragionevolmente doveva essere
nostra; perché la quistione nata nel sacco di Casoli fra e' ferraresi e
mantovani fu di tanta efficacia, sendo massime fra quegli dua principi qualche
sdegno ed inimicizia antica, che per fuggire maggiore scandolo, fu necessario
pigliare partito di separargli. E però fu mandato el marchese di Mantova nel
perugino a congiugnersi col magnifico Ruberto ed el duca di Ferrara insieme col
signor Gostanzo di Pesero rimase a fare la guerra nella parte di Siena.
Sendo adunche
le gente nostre divise in due parte quasi pari, ed in modo che, se bene unite
insieme sarebbono stati superiori agli inimici, nondimeno così separate
ciascuna di loro era molto inferiore gli inimici, esaminando e' casi loro, si
risolverono tenere lo esercito unito in mezzo quello di Siena e la Valdichiana,
acciò che, come el campo del Poggio facessi movimento, potessino in tre o
quattro dì essere loro adosso; e così con questo terrore ritenergli che non
ardissino campeggiare con artiglierie, e così che non rimanessi loro da fare
fazione, se non prede e scorrerie e cose di poco momento; e così medesimamente
raffrenare, quando si movessi, lo esercito di verso Perugia. E parve loro con
questi modi che el campo loro, più grosso che alcuno degli inimici, potessi
facilmente avere occasione di opprimerne uno, e quando pure questo non fussi,
stimavano assai consumare questo anno e tenerci colla guerra addosso, e fu
parola del duca di Urbino, che e' fiorentini el primo anno della guerra erano
vivi e gagliardi, el secondo mediocri, el terzo spacciati; e che ci aspettava
al terzo anno.
Questi loro
ordini così disegnati riuscirono in buona parte, perché come el campo nostro di
Perugia si moveva, subito gli inimici andavano alla volta loro, in modo che
vedendogli superiori erano constretti a ritirarsi a luoghi salvi; e per questo
rispetto non si accampavano a terra alcuna con artiglierie, riputandosi
vergogna l'aversi di poi a levare, ed erano constretti infestare e' perugini
con scorrerie solo, e se pure andavano a un castello, non potevano combatterlo
con altro che con battaglia di mano. El medesimo interveniva a' nostri di verso
Siena, in modo che gli inimici con questa astuzia tenevano impedite molte più
gente che loro non erano, e consultandosi del rimedio a questo male, pareva
necessario unire insieme questi due eserciti, co' quali per essere in più
numero si sarieno sanza dubio urtati gli inimici, ma non si poteva, per la
quistione stata tra e' ferraresi e mantovani, e così perché el magnifico
Ruberto Malatesta ed el signore Gostanzo di Pesero, nostro soldato, erano
inimici ed incompatibili in uno campo medesimo. Restava ingrossare tanto l'uno
e l'altro campo che separati potessino stare a petto agli inimici; il che non
ebbe effetto, percné gli aiuti de' viniziani erano freddi e deboli, e così
dello stato di Milano; massime che in quello tempo el signore Lodovico,
monsignore Ascanio ed el signore Ruberto da Sanseverino con spalle e favore del
re presono Tortona ed alcune terre di quello stato; e lo effetto fu che madonna
Bona, mossa da paura e da persuasioni come donna, gli richiamò al governo del
figliuolo, e loro subito entrati incarcerorno messer Cecco e poi gli feciono
tagliare el capo.
Fu necessario,
intendendosi questi movimenti di Milano, che el marchese di Mantova loro
soldato ed el duca Ercole, capitano di tutta la lega, andassino a Milano benché
Ercole lasciassi in sul Poggio le sue gente a governo di messer Gismondo da
Esti suo fratello. Indebolito in questo modo e' nostri campi, e continuando gli
inimici la astuzia loro, si consumò tutta la state; pure finalmente e'
perugini, non volendo più soportare la guerra ed avendo così protestato al
papa, erano alle strette di pigliare accordo colla lega; quando gli inimici
intendendo farsi in sul Poggio Imperiale mala guardia ed essere disordinato
molto quel campo, di che era a governo messer Gismondo e commessario Girolamo
degli Albizzi, ed avendo certa intelligenzia in una bastìa vi era, partitisi
dal ponte a Chiusi a grandissime giornate, assalirono improvisamente e' nostri
in sul Poggio, e' quali per questo assalto sì subito sbigottiti, né si
rifidando al sito fortissimo, sanza fare alcuna difesa vilissimamente si
fuggirono e furono rotti.
Fu questa rotta
una percossa nel cuore alla città, la quale impaurita e pensando solamente alla
difesa della libertà, attese a riordinare el più poteva le gente rotte,
richiese instantissimamente di aiuto e' collegati e subito revocò le gente del
perugino, in modo che le pratiche dello accordo non ebbono conclusione.
Mandossi in quello di Arezzo el signore Gostanzo per guardia del paese; e
perché non poteva essere in uno luogo medesimo col magnifico Ruberto, ridussesi
el campo nostro a San Casciano, e gli inimici doppo una tanta vittoria ne
vennono a campo a Colle, dove stettono circa a sessanta dì; e finalmente non
sendo soccorso, l'ebbono a patti, del mese di...
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