La città in
questo mezzo, benché doppo la rotta dal Poggio avessi avuto qualche soccorso da
Vinegia, nondimeno veduto Colle in modo stretto che era da credere si potessi poco
tenere, e benché el tempo dello ire alle stanze si appressassi, pure
considerando in quanti pericoli avessino a essere lo anno futuro, e massime
perché si dubitava lo stato di Milano non seguitassi la parte del re o saltem
si stessi neutrale, e vedendo bisognare pigliare modo alla salute sua o
coll'avere altri soccorsi da' collegati che pel passato o col pigliare la pace
con più tollerabili condizioni si potessi, mandorono imbasciadore a Vinegia
messer Luigi Guicciardini a fare intendere a quella signoria, come etiam si
era fatto l'anno passato mediante messer Tommaso Soderini, in che condizione si
trovava lo stato nostro, e che ci era uno unico rimedio, di transferire la
guerra in su' terreni degli inimici, el quale, rispetto alla debolezza nostra e
la mutazione del governo di Milano, era fondato in gran parte in quella
signoria. Le quali cose sendo mostre per lo oratore, non feciono quello frutto
che meritamente dovevono fare. Di che sendo a Firenze per lettere di messer
Luigi certificati, e come da loro non si poteva sperare più che pel passato,
Lorenzo de' Medici, considerando in che pericolo si trovava lo stato suo e
dubitando che questa guerra lunga e pericolosa non straccassi in modo la città,
che e' cittadini, per levarsi questa febre da dosso, non gli togliessino lo
stato, voltosi tutto a' pensieri della pace, né gli parendo altro modo che di
placare lo animo del re, massime disperandosi del pontefice, e conferito questo
suo pensiero con pochi o con nessuno, fatto una sera a dì 6 di dicembre chiamare
da' dieci una pratica di circa quaranta cittadini de' principali, disse avergli
fatto chiamare per conferire loro una sua deliberazione, nella quale non
ricercava lo consigliassino, ma solo lo sapessino; avere considerato quanto la
città avessi bisogno di pace, non potendo difendersi per se medesima da sì
potenti inimici, né volendo e' collegati fare el debito loro; e perché gli
avversari pretendevano lo odio essere più tosto seco che colla città, ed el re
in particulare aveva detto non essere inimico della città, ma amarla e
desiderare la amicizia sua e cercare di ottenerla colle battiture sua, poi che
altro modo non gli era giovato, però essere disposto transferirsi personalmente
a Napoli; la quale andata gli pareva utilissima, perché, se gli inimici desideravano
lui solo, l'arebbono nelle mani e per saziarsi di lui non bisognerebbe
perseguitassino più la città; se e' desideravano non lui, ma la amicizia
publica, questo essere modo a intendergli presto ed a potere ancora migliorare
le condizioni della pace; se e' volevano altro, questa andata lo dimostrerebbe,
e intendendosi quello che e' volessino, e' cittadini si sforzerebbono con
qualche modo più vivo difendere la libertà e lo imperio; cognoscere in quanto
pericolo si mettessi ma essere disposto preporre la salute publica al bene
privato e pel debito universale di tutti e' cittadini verso la patria e pel
particulare suo, rispetto a avere avuti dalla città più benefìci e più
condizione che alcuno altro; sperare che quegli cittadini che erano presenti non
mancherebbono in conservare lo stato e l'essere suo, e così raccomandare loro
sé, la sua casa e famiglia; e sopratutto sperare che Dio, risguardando alla
iustizia publica ed alla sua buona intenzione privata, aiuterebbe questo
pensiero; e quella guerra che si era principiata col sangue del suo fratello e
suo, si poserebbe e quieterebbe per le sue mani.
Dette questo
parlare ammirazione a tutti quegli che non avevano prima notizia, ed e' pareri
furono in sé vari come si fa nelle cose grande; nondimeno, perché gli aveva
detto non ci ricercare drento consiglio, nessuno la contradisse. E così lui,
raccomandata la città ed el governo agli amici dello stato, si partì la notte
medesima; ed el dì sequente giunto a San Miniato al Tedesco, scrisse una
lettera alla signoria, scusandosi non gli avere prima communicato questo suo
disegno, perché gli pareva che el tempo ricercassi più tosto fatti che parole,
ed allegando le cagione della andata sua, quasi in quel medesimo modo aveva viva
voce fatto co' dieci e colla pratica. Giunto di poi a Livorno e trovatovi
due o tre galee mandate dal re Ferrando per levarlo, come ebbe avuto da Firenze
el mandato di potere conchiudere quanto voleva el popolo fiorentino, se ne andò
per acqua alla volta di Napoli. Aveva el re Ferrando, avisato di tale
deliberazione, credo dagli oratori milanesi che praticavano a Napoli la pace,
mandato a sua richiesta le galee in Porto Pisano, e per dare uno saggio di pace
innanzi che Lorenzo partissi, fatto che el duca di Calavria aveva richiesta la
città di levare le offese a disdetta di dieci dì, e così si era consentito.
Questa andata
di Lorenzo alterò assai e' viniziani per essere fatta sanza saputa loro, e
feciono concetto la pace essere conchiusa, e Lorenzo essere ito a cosa fatta, e
loro essere lasciati a discrezione; e nondimeno per impedirla se la non fussi
pure conchiusa, veramente sendo conchiusa, per accertarsene, ed in ogni evento
per trovarsi forti ed armati, subito feciono tornare in Romagna le gente loro che
erano in Toscana in aiuto de' fiorentini; richiesono lo stato di Milano e
fiorentini di rinnovare la lega, allegando che per qualche accidente si era
divulgato a Roma ed in più luoghi che la era rotta per non si essere osservata
secondo e' capitoli, e però essere bene per tôrre ogni ombra potessi nascere,
rinnovarla, e concorrendovi lo stato di Milano, la città, per non perturbare le
pratiche di Napoli, la negò. Tolsono per loro capitano el magnifico Ruberto
Malatesta; e perché gli era capitano de' fiorentini, e durava la condotta sua
qualche anno, e non voleva obligarsi a' viniziani se non in caso avessi
licenzia da' fiorentini, feciono tanta instanzia si dessi questa lincenza, che
la città, per non alienarsegli in tutto se pure seguissi guerra, lo fece,
benché molto male volentieri. Levate le offese, messer Lodovico e messer
Agostino da Campofregoso ci tolsono furtivamente Serezzana, e querelandosene la
città al duca di Calavria e di Urbino che fussi stata tolta sotto la fede loro
dagli uomini loro, dimostrorno averlo per male e fare ogni instanzia con
lettere ed imbasciadori ci fussi restituita; il che non ebbe effetto, o per la
ostinazione de' Fregosi, o perché egli operassino in fatto el contrario.
La città in
quel tempo si trovava molto inferma, e diminuita assai la virtù, sì per la
lunga guerra, sì etiam perché assai avevano preso animo di sparlare del
governo, e cercare novità e gridare che gli era bene che gli onori e le
gravezze non si distribuissino a arbitrio di pochi, ma de' consigli. Nasceva
questa audacia, perché molti facevano giudicio che el re avessi a tenere
Lorenzo, dicendo che lui, disperato potere sostenere questo, si era gittato
nelle braccia di quel re suo inimico temerariamente e sanza avere da lui fede o
sicurtà alcuna; e se pure l'aveva avuta, che el re non la osserverebbe, sendo
uomo sanza fede, come aveva mostro la esperienza passata nel conte Iacopo ed in
altri. E multiplicando ogni dì questo omore nella città, non si poteva pensare
a fare provedimenti alla guerra; e massime che molti delle casa dello stato, o
perché dispiacessi loro el governo presente, o per credere che Lorenzo non
avessi a tornare, cercavano cose nuove e volgevano credito a Girolamo Morelli;
el quale, sendo di riputazione grandissima e forse così savio come altri che
fussi nella città, avendo forse la medesima opinione di Lorenzo, era in qualche
sospetto collo stato, nata forse non meno della autorità che egli aveva, che da
alcuno suo sinistro portamento. Gli amici del reggimento pareva loro assai
conservare lo stato sanza mutazione, tanto che Lorenzo tornassi, ed
ingegnavansi creare signorie di qualità da potersene fidare.
Lorenzo, giunto
a Napoli, fu ricevuto dal re con onore grandissimo e sforzossi persuadergli che
se gli dava la pace e conservavalo nello stato, si varrebbe molto più della
città a suo proposito che se lo spacciassi; perché se si mutassi a Firenze
governo, potrebbe venire in mano di tali, che el re non ne disporrebbe come di
lui solo. Stette el re molti dì dubio, sendo da un canto molto stimolato dal
papa di spacciarlo, da altro parendogli vere le sua ragione, ed aspettava
vedere se questa suspensione facessi in Firenze novità alcuna. Finalmente non
si alterando nulla a Firenze, si risolvé alla pace ed a conservare Lorenzo, el
quale vedendosi menare in lunga si ritrovava in gran paura; e nondimeno si
soprasedé molti dì la conclusione, perché el re voleva farlo con meno
alterazione del papa fussi possibile, e non venendo da Roma la licenzia, fu
contento che Lorenzo si partissi, avendolo certificato di quello voleva fare in
ogni modo. Di che Lorenzo tornò per acqua e subito ritornato a Firenze, dove fu
ricevuto con grandissimi segni di letizia e benivolenzia, venne la nuova della
pace cosa molto desiderata e che gli recò grandissima riputazione, in modo che
quanto la sua deliberazione fu pericolosa e forse troppo animosa, tanto gli fu
lieto e glorioso il fine.
La pace dal
canto nostro ebbe quelle condizione in qualche parte che sogliono avere e' vinti;
perché non vi furono inclusi e' signori di Romagna che erano sotto la
protezione della nostra lega, ma ne fu fatto compromesso nel re, el quale aveva
a parole dato speranza di salvargli; non ci fu problema la restituzione delle
terre perdute, ma rimesse in arbitrio del re, el quale di poi nello 1481, alla
fine di marzo, restituì Vico, Certaldo, Poggibonzi, Colle ed el Monte a San
Sovino; la Castellina e le altre rimasono a' sanesi secondo le convenzione
avevano col re; pagossi certa somma di danari, e nondimeno fu pace con meno
disavantaggio non ricercavano le condizioni nostre. Aggiunsesi una lega
universale di Italia, non riservando la particulare e si dispose che perché e'
viniziani avessino cagione di acconsentirla, avessino tutti e' principi di Italia
a mandare loro imbasciadori, come altra volta si era fatto nel 54, al re
Alfonso. Fu ratificato ogni cosa dal re, Milano, Ferrara e noi; el papa
ratificò la pace; e' viniziani, non piacendo loro nuova lega, non ratificorono,
anzi feciono, fuora della opinione di tutti, una nuova lega col pontefice. A
Firenze si elesse imbasciadori al papa e re ed a rallegrarsi messer Antonio
Ridolfi e Piero di Lutozzo Nasi, di poi si deputò undici imbasciadori a Roma a
chiedere la assoluzione dalle censure messer Francesco Soderini vescovo di
Volterra, messer Luigi Guicciardini, messer Bongianni Gianfigliazzi, messer
Piero Minerbetti, messer Guidantonio Vespucci, Gino Capponi Domenico
Pandolfini, Antonio de' Medici, Iacopo Lanfredini Piero Mellini... e' quali
usate molte cerimonie e supplicazione la ottennono.
Quietate le
cose della città di fuori, parendo agli uomini del reggimento le cose drento
essere disordinate, attesono a restrignere lo stato e dettono pegli oportuni
consigli balìa a trenta cittadini per più mesi, e di poi a dugentodieci, e'
quali feciono squittino nuovo, ordinorono nuova gravezza, dettono a que' trenta
arroti quaranta, e' quali per cinque anni avessino molte autorità, e di creare
la signoria ed altro e circa le provisioni della città, che si chiamorono el
consiglio de' settanta, el quale si continuò poi di tempo in tempo in modo che
fu un consiglio a vita. E perché el magistrato de' dieci vacava, finita la
guerra, ordinorono si eleggessi di sei mesi in sei mesi, del numero de' settanta,
otto cittadini chiamati otto di pratica, e' quali avessino a vegghiare le cose
importante dello stato di fuora ed a tenerne quella cura nella pace, che
tenevano e' dieci nella guerra; e così rilegorono e riformorono lo stato con
più grandezza e stabilità di Lorenzo.
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