Era in somma pace
la città, uniti e stretti e' cittadini dello stato e quello reggimento in tanta
potenzia che nessuno si ardiva contradirlo; dilettavasi el popolo ogni dì di
spettaculi, di feste e cose nuove; nutrivasi coll'essere la città abundante di
vettovaglie e tutti gli esercizi in fiore ed essere; pascevansi gli uomini
ingegnosi e virtuosi collo essere dato ricapito e condizione a tutte le
lettere, a tutte le arte, a tutte le virtù; e finalmente la città sendo drento
universalmente in somma tranquillità e quiete, di fuori in somma gloria e
riputazione per avere un governo ed un capo di grandissima autorità, per avere
frescamente ampliato lo imperio, per essere stata in gran parte causa della
salute di Ferrara e poi del re Ferrando, per disporre di Innocenzio interamente,
per essere collegata con Napoli e con Milano, per esser quasi una bilancia di
tutta Italia, nacque uno accidente che rivoltò ogni cosa in contrario, con
scompiglio non solo della città, ma di tutta Italia. E questo è che nel detto
anno 1491 avendo Lorenzo de' Medici avuto un male lungo e giudicato nel
principio da' medici di non molta importanza, né forse curato con la diligenzia
si conveniva, e però occultamente avendo sempre preso forze, finalmente a dì...
di aprile 1492 passò della presente vita.
Fu denotata
questa morte come di momento grandissimo da molti presagi: era apparita poco
innanzi la cometa; erasi uditi urlare lupi; una donna in Santa Maria Novella
infuriata aveva gridato che uno bue colle corna di fuoco ardeva tutta la città,
eransi azzuffati insieme alcuni lioni ed uno bellissimo era stato morto dagli
altri, ed ultimamente un dì o dua innanzi alla morte sua, di notte una saetta
aveva dato nella lanterna della cupola di Santa Liperata e fattone cadere
alcune pietre grandissime, le quali caddono verso la casa de' Medici, ed alcuni
etiam riputorono portento che maestro Piero Lione da Spuleto, per fama
primo medico di Italia, avendolo curato, si gittò come disperato in un pozzo e
vi annegò, benché alcuni dissono vi era stato gittato drento.
Era Lorenzo de'
Medici di età di anni quarantatré quando morì, ed era stato al governo della
città ventitré anni, perché quando morì Piero suo padre nel 69, era di anni
venti; e benché rimanessi tanto giovane e quasi in cura di messer Tommaso
Soderini ed altri vecchi dello stato, nondimeno in brieve tempo prese tanto
piede e tanta riputazione, che governava a suo modo la città. La quale autorità
ogni dì multiplicandogli e di poi diventata grandissima pella novità del 78 e
di poi per la ritornata da Napoli, visse insino alla morte governandosi e
disponendosi la città tanto interamente a arbitrio suo, quanto se ne fussi
stato signore a bacchetta. E perché la grandezza di questo uomo fu grandissima,
che mai Firenze ebbe un cittadino pari a lui, e la fama sua molto amplissima e
doppo la morte e mentre visse, non mi parrà fuori di proposito, anzi utilissimo
descrivere particularmente e' modi e qualità sua, per quanto n'abbi ritratto
non da esperienzia, perché quando morì io ero piccolo fanciollo, ma da persone
e luoghi autentichi e degni di fede, e di natura che, se io non mi inganno, ciò
che io ne scriverrò sarà la pura verità.
Furono in
Lorenzo molte e preclarissime virtù; furono ancora in lui alcuni vizi, parte
naturali, parte necessari. Fu in lui tanta autorità, che si può dire la città
non fussi a suo tempo libera, benché abondantissima di tutte quelle glorie e
felicità che possono essere in una città, libera in nome, in fatto ed in verità
tiranneggiata da uno suo cittadino; le cose fatte da lui, benché in qualche
parte si possino biasimare, furono nondimeno grandissime, e tanto grande che
recano più ammirazione assai a considerarle che a udirle, perché mancano, non
per difetto suo ma della età e consuetudine de' tempi, di quegli strepiti di
arme e di quella arte e disciplina militare che recono tanta fama negli
antichi. Non si leggerà in lui una difesa bella di una città, non una
espugnazione notabile di uno luogo forte, non uno stratagema in uno conflitto ed
una vittoria degli inimici; e però non risplendono le cose sue di quegli
fulgori delle arme; ma bene si troverrà in lui tutti quegli segni ed indizi di
virtù, che si possono considerare ed apparire in una vita civile. Nessuno
eziandio degli avversari e di quegli che l'hanno obtrettato, negano che in lui
non fussi uno ingegno grandissimo e singulare; e ne fa tanto fede l'avere
ventitré anni governata la città e sempre con augumento della potenzia e gloria
sua, che sarebbe pazzo chi lo negassi, massime sendo questa una città
liberissima nel parlare, piena di ingegni sottilissimi ed inquietissimi, ed uno
imperio piccolo da non potere cogli utili pascere tutti e' cittadini, ma sendo
necessario che, contentatane una piccola parte, gli altri ne fussino esclusi.
Fanne fede la amicizia ed el credito grande che ebbe con molti principi in
Italia e fuori di Italia; con Innocenzio, col re Ferrando, col duca Galeazzo,
col re Luigi di Francia, infino al Gran turco, al Soldano, dal quale negli
ultimi anni della sua vita fu presentato di una giraffa, di uno lione e di
castroni; che non nasceva da altro che da sapere lui con gran destrezza ed
ingegno trattenersi questi principi. Fanne fede, apresso a chi lo udì, e'
parlari sue publichi e privati, tutti pieni di acume ed arguzia grande, co'
quali in molti luoghi e tempi, e massime nella dieta di Cremona, si fece
acquisto grandissimo. Fanne fede le lettere dettate da lui, piene di tanto
ingegno che più non si può desiderarne; le quale cose tanto parvono più belle,
quanto furono accompagnate da una eloquenzia grande e da uno dire
elegantissimo.
Ebbe buono
giudicio e di uomo savio, e nondimeno non di qualità da potersi paragonare
collo ingegno; e furono notate in lui più cose temerarie: la guerra di
Volterra, che per volere sgarare e' volterrani in quegli allumi, gli constrinse
a ribellarsi ed accese un fuoco da mettere sottosopra tutta Italia, benché el
fine fussi buono; doppo la novità del 78, se si portava dolcemente col papa e
col re, non arebbono forse rottogli guerra, ma el volere procedere come
ingiuriato e non volere dissimulare la ingiuria ricevuta, potettono essere
cagione della guerra con grandissimo danno e pericolo della città e suo;
l'andata a Napoli fu tenuta deliberazione troppo animosa e troppo corsa,
sendosi messo nelle mani di uno re inquietissimo infedelissimo ed inimicissimo
suo, e se bene la necessità della pace, in che era la città e lui, lo scusi,
nondimeno fu opinione l'arebbe potuta fare standosi in Firenze, con più sua
sicurtà e non con meno vantaggio.
Appetì la
gloria e la eccellenzia più che alcuno altro, in che si può riprendere avere
avuto troppo questo appetito nelle cose eziandio minime, pel quale non voleva
eziandio ne' versi, ne' giuochi, negli esercizi essere pareggiato o imitato da
alcuno cittadino, sdegnandosi contro a chi facessi altrimenti; fu troppo
eziandio nelle grande, conciosiaché volessi pareggiarsi e gareggiare in ogni
cosa con tutti e' principi di Italia, il che dispiacque assai al signore
Lodovico. Nondimeno in universum tale appetito fu laudabile e fu cagione
fare celebrare in ogni luogo, eziandio fuori di Italia, la gloria ed el nome
suo, perché si ingegnò che a' tempi sua fussino tutte le arte e le virtù più
eccellente in Firenze che in altra città di Italia. Principalmente alle lettere
ordinò di nuovo a Pisa uno Studio di ragione e di arte, e sendogli mostro per
molte ragione che non vi poteva concorrere numero di studianti come a Padova e
Pavia, disse gli bastava che el collegio de' Lettori avanzassi gli altri. E
però sempre vi lesse a' tempi sua, con salari grandissimi, tutti e' più
eccellenti e più famosi uomini di Italia non perdonandosi né a spesa né a
fatica per avergli, così fiorirono in Firenze gli studi di umanità sotto messer
Agnolo Poliziano, e' greci sotto messer Demetrio e poi el Lascari, gli studi di
filosofia e di arte sotto Marsilio Ficino, maestro Giorgio Benigno, el conte
della Mirandola ed altri uomini eccellenti. Détte el medesimo favore a' versi
vulgari, alla musica, alla architettura, alla pittura, alla scultura, a tutte
le arte di ingegno e di industria, in modo che la città era copiosissima di
tutte queste gentilezze; le quali tanto più emergevano quanto lui, sendo
universalissimo, ne dava iudicio e distingueva gli uomini, in forma che tutti
per più piacergli facevano a gara l'uno dell'altro. Aiutavalo la sua liberalità
infinita, colla quale abondava a' valenti uomini le provisione e gli
soppeditava tutti gli instrumenti necessari alle arte loro come quando per fare
una libreria greca mandò el Lascari, uomo dottissimo e che leggeva greco in
Firenze, e cercare insino in Grecia libri antiqui e buoni.
Questa medesima
liberalità gli conservava el nome e le amicizie co' principi e fuora di Italia,
non pretermettendo lui alcuna spezie di magnificenzia, con sua gandissima spesa
e danno, colla quale potessi trattenersi gli uomini grandi; in forma che
moltiplicando a Lione, a Milano, a Bruggia e ne' luoghi dove erano e' traffichi
e ragione sua, le spese per le magnificenzie e donativi, e diminuendosigli e'
guadagni per non essere governate da uomini sufficienti, come Lionetto de'
Rossi, Tommaso Portinari e simili, ed inoltre non gli sendo renduti e' conti
bene, perché lui non si intendeva della mercatura e non vi badava, si condusse
più volte in tanto disordine, che fu per fallire e gli fu necessario aiutarsi e
co' danari degli amici e co' danari publici. E però nel 78 accattò da'
figliuoli di Pierfrancesco de' Medici ducati sessantamila, e' quali non potendo
loro rendere, gli pagò di quivi a qualche anno assegnando loro Cafaggiuolo
colle possessione aveva in Mugello; ordinò che in quella guerra e' soldati si
pagassino al banco de' Bartolini, dove lui participava; e per suo ordine era
ritenuta ne' pagamenti tanta quantità che portava circa a otto per cento, che
tornava danno al comune; perché e' condottieri tenevano tanto manco gente che
si salvavano, ed el commune bisognava facessi tante più condotte. Così di poi
in altro tempo si valse del publico per soccorrere a' bisogni e necessità sua,
che furono più volte sì grandi, che nello 84 per non fallire, fu constretto
accattare dal signore Lodovico ducati quattromila e vendere un a casa aveva in
Milano per altri quattromila, che era stata donata dal duca Francesco a Cosimo
suo avolo; che è da credere rispetto alla sua natura tanto liberale e
magnifica, lo facessi colle lagrime in su gli occhi. Di che vedutosi abandonato
dagli aviamenti de' trafichi, si volse a fare una entrata di possessione di
quindicimila o ventimila ducati; e si distese in modo oltra alle antiche sue in
quello di Pisa che doveva essere a diecimila.
Fu di natura
molto superbo, ed in modo che, oltre al non volere che gli uomini si gli
opponessino, voleva ancora intendessino per discrezione, usando nelle cose
importante poche parole e dubie; nello ordinario del conversare molto faceto e
piacevole; nel vivere in casa più tosto civile che suntuoso, eccetto che ne'
conviti co' quali onorava molto magnificamente assai forestieri nobili che
venivano a Firenze, fu libidinoso e tutto venereo e constante negli amori sua,
che duravano parecchi anni; la quale cosa, a giudicio di molti, gli indebolì
tanto el corpo che lo fece morire, si può dire, giovane. L'ultimo amore suo, e
che durò molti anni, fu in Bartolomea de' Nasi, moglie di Donato Benci nella
quale, benché non fussi formosa, ma maniera e gentile era in modo impaniato,
che una vernata che lei stette in villa, partiva di Firenze a cinque o sei ore
di notte in sulle poste con più compagni e la andava a trovare, partendosene
nondimeno a tale ora, che la mattina innanzi dì fusse in Firenze. Della quale
cosa dolendosi molto Luigi dalla Stufa ed el Butta de' Medici che vi andavono
in sua compagnia, lei accortasene gli messe tanto in disgrazia di Lorenzo, che per
contentarla mandò Luigi imbasciadore al Soldano, ed el Butta al Gran turco.
Cosa pazza a considerare che uno di tanta grandezza riputazione e prudenzia, di
età di anni quaranta, fussi sì preso di una donna non bella e già piena di
anni, che si conducessi a fare cose che sarebbono state disoneste a ogni
fanciullo.
Fu tenuto da
qualcuno di natura crudele e vendicativo per la durezza usò nel caso de' Pazzi,
imprigionando e' giovani innocenti e non volendo si maritassino le fanciulle,
doppo tante uccisione si erano fatte in quegli giorni. Nondimeno quello
accidente fu tanto acerbo, che non fu maraviglia si risentissi
estraordinariamente, e si vede pure poi che mitigato dal tempo, dette licenzia
che le fanciulle si maritassino e fu contento che e' Pazzi uscissino di
prigione e andassino a stare fuori del territorio; vedesi ancora negli altri
suoi processi non avere usato crudeltà, né essere stato uomo sanguinoso. Ma
quello che fu in lui più grave e molesto che altra cosa, fu el sospetto, causato
forse non tanto da natura, quanto dal cognoscersi avere a tenere sotto una
città libera, e nella quale era necessario che le cose s'avevano a fare, si
facessino da' magistrati e secondo gli ordini della città e sotto spezie e
forma di libertà; e però ne' principi suoi, come prima cominciò a pigliare
piede, attese a tenere sotto quanto poteva tutti quegli cittadini, e' quali
cognosceva o per nobilità o per ricchezza o per potenzia o per riputazione
dovere essere stimati per lo ordinario. E benché a questi tali, se erano di
casa e stirpe confidente allo stato, fussino concessi largamente e' magistrati
della città, le imbascierie commessene e simili onori, nondimeno non si fidando
di loro, faceva signori degli squittini, delle gravezze, e conferiva gli intrinsechi
segreti sua a uomini, a chi e' dava riputazione, che fussino di qualità che
sanza lo appoggio suo non avessino seguito. Di questi fu un messer Bernardo
Buongirolami, Antonio di Puccio, Giovanni Lanfredini, Girolamo Morelli (benché
questo diventò poi sì grande che nel 79 gli fece paura), messer Agnolo
Niccolini, Bernardo del Nero, messer Pietro Alamanni, Pierfilippo Pandolfini,
Giovanni Bonsi, Cosimo Bartoli ed altri simili, benché in tempi diversi,
urtando qualche volta messer Tommaso Soderini, messer Luigi ed Iacopo
Guicciardini, messer Antonio Ridolfi, messer Bongianni Gianfigliazzi, messer
Giovanni Canigiani, e poi Francesco Valori, Bernardo Rucellai, Piero Vettori,
Girolamo degli Albizzi, Piero Capponi, Pagolantonio Soderini ed altri simili.
Dì qui nacque el tirare su Antonio di Bernardo, el quale, sendo artefice, fu
proposto alla cura del Monte con tanta autorità che si può dire governassi e'
due terzi della città ser Giovanni notaio alle riformagione, el quale,
figliuolo di uno notaio da Pratovecchio, ebbe tanto favore, che avendo avuto
tutti gli altri magistrati e sendo molto compiaciuto da lui, sarebbe stato
gonfaloniere di giustizia; messer Bartolomeo Scala, quale, figliuolo di uno
mugnaio da Colle, sendo cancelliere maggiore della signoria, fu fatto
gonfaloniere di giustizia con grandissimo scoppio e sdegno di tutti gli uomini
da bene, ed insomma, benché gli uomini della qualità di quegli di sopra
intervenissino alle cose, nondimeno nel consiglio del Cento, negli squittini,
nelle gravezze, vi mescolava tanti uomini mezzani, de' quali aveva fatto
intelligenzie, che loro erano signori del giuoco.
Questo medesimo
sospetto gli fece tenere cura che molti uomini potenti da per loro non si
imparentassino insieme, e si ingegnava apaiargli in modo non gli dessino ombra,
strignendo qualche volta, per fuggire queste coniunzioni, de' giovani di
qualità a tôrre per donna alcune che non arebbono tolte, ed insomma era la cosa
ridotta in modo che non si faceva parentado alcuno più che mediocre sanza
participazione e licenzia sua. Questo medesimo sospetto fu causa, acciò che gli
imbasciadori che andavano fuora non uscissino della voglia sua, di ordinare che
a Roma, a Napoli, a Milano stessi fermo un cancelliere salariato dal publico,
che stessi a' servigi dello imbasciadore vi risedeva, co' quali lui teneva
conto da parte ed era avisato delle cose occorrente. Non voglio mettere fra'
sospetti el menarsi drieto un numero grande di staffieri colle arme, e' quali
lui favoriva assai dando a alcuni spedali e luoghi pii, perché la novità de'
Pazzi ne fu cagione; nondimeno non era spezie di una città libera e di uno
cittadino privato, ma di uno tiranno e di una città che servissi. Ed insomma
bisogna conchiudere che sotto lui la città non fussi in libertà, nondimeno che
sarebbe impossibile avessi avuto un tiranno migliore e più piacevole; dal quale
uscirono per inclinazione e bontà naturale infiniti beni, per necessità della
tirannide alcuni mali ma moderati e limitati tanto quanto la necessità
sforzava, pochissimi inconvenienti per volontà ed arbitrio libero, e benché
quegli che erano tenuti sotto si rallegrassino della sua morte, nondimeno agli
uomini dello stato ed ancora a quegli che qualche volta erano urtati,
dispiacque assai, non sapendo dove per la mutazione delle cose avessino a
capitare. Dolse ancora molto allo universale della città ed al popolo minuto el
quale del continuo era tenuto da lui in abondanzia, in piaceri, dilettazioni e
feste assai; dette grandissimo affanno a tutti gli uomini di Italia che avevano
eccellenzia in lettere in pittura, scultura o in simili arte, perché o erano
condotti da lui con grandi emolumenti, o erano tenuti in più riputazione dagli
altri principi, e' quali dubitavano, non gli vezzeggiando, non se ne andassino
da Lorenzo.
Lasciò tre
figliuoli maschi: Piero, el primo, di età d'anni circa ventuno; messer Giovanni
cardinale, el secondo, el quale poche settimane innanzi alla sua morte aveva
ricevuto el cappe]lo ed era stabilito nella dignità del cardinalato, Giuliano,
el terzo, ancora fanciullo. Fu di statura mediocre, el viso brutto e di colore
nero, pure con aria grave; la pronunzia e boce roca e poco grata perché pareva
parlassi col naso.
Sono molti che
ricercano chi fussi più eccellente o Cosimo o lui; perché Piero, benché di
pietà e clemenzia avanzassi l'uno e l'altro, fu sanza dubio inferiore di loro
nelle altre virtù. Nella quale quistione pare da conchiudere che Cosimo avessi
più saldezza e più giudicio, perché lui fece lo stato, e da poi che l'ebbe
fatto, se lo godé trent'anni sicuramente, si può dire, e sanza contradizione,
comportando bene uno pari di Neri, e gli altri di chi aveva qualche sospetto,
sanza venire a rottura con loro e nondimeno in modo ne fussi sicuro. Ed in tante
occupazioni dello stato non lasciò le cura della mercatantia e delle cose sue
private, anzi le governò con tanta diligenzia e con tanto cervello, che si
trovò sempre le ricchezze maggiore dello stato, el quale era grandissimo, e non
fu constretto per bisogno avere a maneggiare l'entrate publiche, né a usurpare
quello de' privati. In Lorenzo non fu tanto giudicio, benché avessi una briga
sola di conservare lo stato, perché lo trovò fatto; nondimeno lo conservò con
molti pericoli, come fu la novità de' Pazzi e la gita di Napoli; nelle
mercatantie e cose private non ebbe intelligenzia, in modo che andandogli male,
fu forzato valersi del publico e forse in qualche cosa del privato, con
grandissima infamia e carico suo, ma abondorono in lui eloquenzia destrezza ingegno
universale in delettarsi di tutte le cose virtuose e favorirle; in che Cosìmo
al tutto mancò, el quale si dice, massime da giovane, essere stato nel parlare
più tosto inetto che altrimenti.
La
magnificenzia dell'uno e dell'altro fu grandissima, ma in spezie diverse:
Cosimo in edificare palazzi, chiese nella patria e fuori della patria, e cose
che avessino a essere perpetue ed a mostrare sempre presente fama di lui,
Lorenzo cominciò al Poggio a Caiano una muraglia suntuosissima e non la finì
prevenuto dalla morte; e con tutto fussi in sé cosa grande, nondimeno rispetto
alle tante e tali muraglie di Cosimo, si può dire murassi nulla; ma fu
grandissimo donatore e co' doni e liberalità sua si fece grandissime amicizie
di principi e di uomini erano apresso a loro. Per le quali cose si può in
effetto a mio giudicio conchiudere che, pesato insieme ogni cosa, Cosimo fussi
più valente uomo, e nondimeno per la virtù e per la fortuna l'uno e l'altro fu
sì grandissimo, che forse dalla declinazione di Roma in qua non ha avuto Italia
uno cittadino privato simile a loro.
Intesasi in
Firenze la morte di Lorenzo, perché morì a Careggi al luogo suo, vi concorse
subito moltissimi cittadini a visitare Piero suo figliuolo, al quale, per essere
el maggiore, si aparteneva per successione lo stato; e di poi si feciono in
Firenze le esequie sanza pompa e suntuosità, ma con concorso di tutti e'
cittadini della città, tutti con qualche segno di bruno, e con dimostrazione di
essere morto uno publico padre e padrone della città; la quale sì come in vita
sua, raccolto insieme ogni cosa, era state felice, così doppo la morte sua
cadde in tante calamità ed infortuni, che multiplicorono infinitamente el
desiderio di lui e la riputazione sua.
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