1494 Erano in
Firenze Lorenzo e Giovanni figliuoli di Pierfrancesco de' Medici, giovani
ricchissimi e di gran benivolenzia col popolo per non avere maneggiato cose che
dispiacessino; e' quali non sendo bene contenti di Piero, massime Giovanni che era
di natura inquietissimo e sollevava Lorenzo uomo bonario, cominciorono a tenere
qualche pratica col signore Lodovico per mezzo di Cosimo figliuolo di Bernardo
Rucellai, el quale, inimico di Piero, si era partito di Firenze. E sendo in su'
princìpi, e non avendo ancora trattato cosa di importanza, venuta la cosa a
luce, di aprile nel 94 furono tutt'a due sostenuti; e poi che ebbono aperto
quello che avevano, benché Piero fussi malissimo disposto con loro, nondimeno
non concorrendo a insanguinarsi e' cittadini dello stato furono liberati e
confinati fuori di Firenze alle loro possessioni a Castello, e Cosimo Rucellai
assente ebbe bando di rubello.
Ed in quegli
medesimi dì entrorono in Firenze quattro imbasciadori franzesi, e' quali andavano
a Roma, ed esposono per transito la deliberazione del re e gli apparati faceva
per passare in Italia, richiedendo la città lo favorissi o almeno gli
concedessi per le sue gente passo e vettovaglia. Fu per voluntà di Piero, che
per intercessione degli Orsini si era tutto dato al re di Napoli, contro al
parere di tutti e' savi cittadini, negato l'uno e l'altro, pretendendo non
poterlo fare per la lega vegghiava ancora col re Alfonso, e ribollendo ogni dì
le cose, furono mandati dalla città imbasciadori a Vinegia Giovan Batista
Ridolfi e Paolantonio Soderini, per intendere la intenzione loro circa a questi
movimenti e persuadere loro non volessino lasciare andare innanzi la ruina di
Italia. E così ogni dì più la città si scopriva per Napoli contro a Francia,
con dispiacere universale del popolo, inimico naturalmente della casa di Ragona
ed amico di Francia, contro alla voglia ancora de' cittadini dello stato, e'
quali vedendo Piero tanto ostinato a questa via non si ardivano contradirgli; e
massime che messer Agnolo Niccolini e quegli più suoi intrinsechi, parlavano
sempre nella pratica sanza rispetto per questa parte.
Aveva Piero
fatto una pratica stretta di cittadini, co' quali si consultavano queste cose
dello stato: messer Piero Alamanni, messer Tommaso Minerbetti, messer Agnolo
Niccolini, messer Antonio Malegonnelle, messer Puccio Pucci, Bernardo del Nero,
Giovanni Serristori, Pierfilippo Pandolfini, Francesco Valori, Niccolò Ridolfi,
Piero Guicciardini, Piero de' Medici ed Antonio di Bernardo; a' quali tutti, da
pochi in fuora, dispiaceva questa risoluzione, nondimeno sendo favorita da' più
intrinsechi, non si opponevano, eccetto qualche volta e non molto Francesco
Valori e Piero Guicciardini. Ma perché Piero in spirito intendeva quanto la
sodisfacessi, non conferiva loro tutte le lettere e gli avisi, ma solo quelle
cose che diminuivano ed erano in disfavore del re di Francia, el quale tutto dì
si metteva in ordine, ed a Genova per conto suo si armavano legni e se ne
faceva scala della guerra.
Per la qual
cosa el re Alfonso, considerando di quanto momento sarebbe el levargli la
oportunità di Genova, avendo spalle da alcuni fuorusciti genovesi, fece impresa
mutare lo stato di Genova e mandò a Pisa don Federigo suo fratello con una
grossa armata; el quale di poi andato a porto Spezie e messo gente in terra,
furono quegli che scesono ributtati e rotti; di che don Federigo, non riuscendo
la impresa, si ritornò a Pisa. E parendo al re ed a Piero che el tenere bene
guardata Serezzana, rispetto allo essere el passo fortissimo, impedissi al re
Carlo potere passare da quelle parte, per tòrgli ancora el passo di Romagna,
mandorono Ferrando duca di Calavria, primogenito del re, in Romagna con uno
esercito grosso, acciò che colle spalle di Cesena, terra della Chiesa, e di
Faenza, che era nella nostra raccomandigia, si opponessi a' franzesi. Nel qual
tempo el re Carlo, desideroso passare pe' terreni nostri pacificamente, mandò
di nuovo uno oratore a Firenze a richiedere del passo, promettendo largamente
amicizia e tutti e' favori e commodità potessi fare alla città; la quale cosa
sendo pure rifiutata, cacciò del regno suo tutti e' mercatanti nostri. Né per
questo si raffreddava la ostinazione di Piero; anzi parte mosso dalla amicizia
teneva col re Alfonso e cogli Orsini, parte insospettito dal signore Lodovico,
con favore di chi el re Carlo passava, e perché Lorenzo e Giovanni di
Pierfrancesco erano partitisi da' confini e rifuggitisi a lui, ogni dì
perseverava nella ruina sua, ed attendendo a fortificarsi e fare capo grosso a
Pisa per rispetto di Serezzana e di quella banda, vi furono mandati commessari
generali per conto di tutta la guerra, Pierfilippo Pandolfini e Piero
Guicciardini.
Era una parte
dello esercito del re Carlo poco innanzi passate l'Alpe, e da poi lui
personalmente col resto dello esercito venutone in Italia; nel quale era
grandissimo numero di uomini d'arme, fanterie ed artiglierie, ma quanto non so
el particulare. Ed era entrata in Italia una fiamma ed una peste che non solo
mutò gli stati, ma e' modi ancora del governargli ed e' modi delle guerre,
perché dove prima, sendo divisa Italia principalmente in cinque stati, papa,
Napoli, Vinegia, Milano e Firenze, erano gli studi di ciascuno per
conservazione delle cose proprie, vòlti a riguardare che nessuno occupasse di
quello d'altri ed accrescessi tanto che tutti avessino a tèmerne, e per questo
tenendo conto di ogni piccolo movimento che si faceva e faccendo romore
eziandio della alterazione di ogni minimo castelluzzo, e quando pure si veniva
a guerra erano tanto bilanciati gli aiuti e lenti e' modi della milizia e tarde
le artiglierie, che nella espugnazione di uno castello si consumava quasi tutta
una state, tanto che le guerre erano lunghissime ed e' fatti d'arme si
terminavano con piccolissima e quasi nessuna uccisione Ora per questa passata
de, franciosi, come per una subita tempesta rivoltatasi sottosopra ogni cosa,
si roppe e squarciò la unione dl Italia ed el pensiero e cura che ciascuno
aveva alle cose communi in modo che vedendo assaltare e tumultuare le città, e'
ducati ed e' regni, ciascuno stando sospeso cominciò attendere le sue cose
proprie né si muovere per dubitare che uno incendio vicino, una ruina di uno
luogo prossimo avessi a ardere e ruinare lo stato suo. Nacquono le guerre
subite e violentissime, spacciando ed acquistando in meno tempo uno regno che
prima non si faceva una villa; le espugnazione delle città velocissime e
condotte a fine non in mesi ma in dì ed ore, e' fatti d'arme fierissimi e
sanguinosissimi. Ed in effetto gli stati si cominciorono a conservare, a
rovinare, a dare ed a tôrre non co' disegni e nello scrittoio come pel passato,
ma alla campagna e colle arme in mano.
Sceso el re in
Italia e venendone a Milano, el signore Lodovico, benché fussi passato per
introdotto suo e fussi in amicizia seco, nondimeno considerando la infidelità
de' principi e massime de' franzesi, e' quali per gli utili e commodi loro
tengono poco conto della fede e dell'onore, cominciò a dubitare che el re sotto
ombra di volere che lo stato fussi liberamente in mano del duca Giovan Galeazzo
suo nipote, non lo levassi di quello governo a qualche suo proposito; per
tòrgli ogni occasione di nuocere, gli dette el veleno. Del quale sendo morto lo
innocentissimo giovane, fatti subito ragunare e' cittadini di Milano, sendovi
alcuni che per suo ordine lo proposono, fu eletto duca, benché del signore
morto rimanessi uno piccolo e bellissimo fanciullo. Entrato di poi el re Carlo
in Milano e quivi ricevuto onoratissimamente, se ne venne per la via di
Pontriemoli con una parte dello esercito alla volta di Lunigiana, avendone
mandate una altra in Romagna a rincontro del duca di Calavria; e perché el
castello di Serezzana era fortissimo e bene fornito di artiglierie e di tutte
le cose necessarie da difesa, per non vi perdere tempo voltosi verso Fivizzano
lo prese e saccheggiò con uno grandissimo terrore di tutta quella provincia.
A Firenze erano
le cose condizionate e disposte male, e lo stato di Piero molto indebolito; ed
el popolo vedendosi tirata adosso una guerra potentissima e da non potere
reggere, sanza bisogno e necessità alcuna, anzi per favorire e' ragonesi che
erano universalmente in odio, contro a' franzesi amati assaì nella città,
sparlava publicamente di Piero, massime sapendo essere state deliberazione sua
contro la volontà de' primi cittadini dello stato. Aggiugnevasi in genere tutte
quelle cagione che fanno e' popoli inimici de' grandi, el desiderio naturale di
mutare le cose, la invidia ed el carico di chi aveva maneggiato, inoltre tutti
coloro che erano inimici e tenuti sotto dallo stato, risentitisi e venuti in
speranza che la città tornassi alla libertà antica, e loro avessino a essere
nel grado giudicavano meritare, facevano più pericolosa questa male
disposizione. Concorrevaci che e' governi di Piero in sé, e la natura sua era
di qualità, che non solo era in odio agli inimici, ma ancora dispiaceva agli
amici, e quasi non la potevano sopportare; lui uomo altiero e bestiale e di
natura da volere più tosto essere temuto che amato, fiero e crudele, che a'
suoi dì aveva di notte dato delle ferite e trovatosi alla morte di qualche
uomo; sanza quella gravità che si richiedeva a chi fussi in tale governo,
conciosiaché in tanti pericoli della città e suoi propri stava tutto dì nelle
vie publicamente a giocare alla palla grossa; di natura caparbio, e che non si
intendendo delle cose, o voleva governarle secondo el cervello suo, credendo
solo a se medesimo, o se prestava fede e si consigliava intrinsecamente con
persona, non erano quegli cittadini che avevano esperienzia delle cose della
città, e governatola lungo tempo, ed erano tenuti savi, ed avevano interesse
nel bene e nel male publico, e naturalmente erano amici di lui, del padre e
della casa sua, ma con ser Piero da Bibbiena, con messer Agnolo Niccolini e
simili uomini ambiziosi e cattivi, e che lo consigliavano in tutte le cose
secondo che ciecamente erano traportati dalla ambizione e le altre cupidità, e
per compiacerlo ed essergli più cari, lo indirizzavano el più delle volte per
quella via per la quale lo vedevano inclinato e vòlto.
E però,
trovandosi Piero in gran pericolo per el disordine di fuori e la male
disposizione di drento, si risolvé essergli necessario accordarsi con Francia,
giudicando quello che era vero che posata bene questa parte, ognuno nella città
per timore o altro si rassetterebbe, e seguitando adunche, benché in diversi
termini e poco a proposito, l'esemplo del padre Lorenzo quando andò a Napoli,
una sera furiosamente accompagnato da Iacopo Gianfigliazzi, Giannozzo Pucci ed
altri amici suoi, se ne andò a Serezzana a trovare el re, dove era venuto da
Milano el duca Lodovico. Quivi doppo molte pratiche e ragionamenti si conchiuse
di dare in mano del re per sua sicurtà le fortezze di Pisa, di Serezzana, di
Pietrasanta e di Livorno; e di subito gli furono sanza altra licenzia della
città e sanza e' contrasegni, consegnate quelle di Serezzana e Pietrasanta da
Piero di Lionardo Tornabuoni e Piero di Giuliano Salviati.
A Firenze in
sulla partita di Piero avendo ognuno preso animo e licentia, non solo si
continuava ed accrescevasi nello sparlare publicamente, ma ancora si
cominciorono in palagio a risentire e' cittadini fra' quali messer Luca Corsini
(che era de' signori e stato fatto da Piero, come confidato e sfegatato dello
stato, per rispetto di Piero Corsini suo fratello) ed Iacopo di Tanai de' Nerli
e Gualterotto Gualterotti che erano gonfalonieri di compagnia, messi su, come
si crede, da Piero Capponi che era inimicissimo del governo, cominciorono nelle
pratiche a dire male di Piero, e che la città sotto la cura sua rovinava, e che
sarebbe bene levarla di mano sua e della tirannide e restituirla a uno vivere
libero e popolare. E di poi sentendosi le convenzione di dare quelle terre in
mano del re, e di già essere data Serezzana, si cominciò a gridare per la città
che le si dessino in nome del publico e non del tiranno, e però si elesse
imbasciadori, che subito cavalcorono al re, fra Ieronimo Savonarola da Ferrara,
che predicava in Firenze e di chi di sotto si dirà, Tanai de' Nerli, Pandolfo
Rucellai, Pier Capponi e Giovanni Cavalcanti.
Era
gonfaloniere di giustizia Francesco dello Scarfa, ed e' signori, uomini tutti
stati scelti per amici grandi ed affezionati del reggimento; e nondimeno messer
Luca si era apertamente scoperto inimico, e con lui concorreva Chimenti
Cerpellone, ed el gonfaloniere pareva uomo da lasciare correre. Da altra parte
Antonio Lorini, Francesco d'Antonio di Taddeo e Francesco Niccolini favorivano
vivamente la causa di Piero; in modo che, sendo una sera venuti a parole,
messer Luca corse furiosamente a sonare la campana grossa a martello, e sendo
ritenuto da chi gli corse drieto, non poté sonare più che due o tre tocchi, e'
quali sendo uditi per la terra, che era circa a tre ore di notte, el popolo
tutto corse in piazza, e di poi non sentendo più sonare né suscitare in palagio
o fuori movimento alcuno, ognuno non bene sapendo quello fussi stato, si
ritornò a casa. E così stando la città sospesa ed alterata, Piero avendo aviso
dagli amici sua come le cose in Firenze transcorrevano troppo, e che ognuno per
la assenzia sua aveva preso animo e baldanza, presa licenzia dal re, se ne
tornò a Firenze a dì 8 di novembre. Tornata molto dissimile da quella di
Lorenzo suo padre quando tornò da Napoli, che gli andò incontro tutto il popolo
della città e fu ricevuto con somma letizia, recandone seco la pace e la
conservazione dello stato della città, a Piero non andò incontro se non pochi
amici sua, e fui ricevuto con poca allegrezza, tornando massime sanza
conclusione ferma, se non di avere diminuito e smembrato Pisa e Livorno, occhi
principali dello stato nostro, e Pietrasanta e Serezzana acquistate da suo
padre con grandissima spesa e gloria.
Tomato, andò
subito a visitare la signoria, e riferito generalmente quello aveva fatto, gli
inimici sua e quegli si erano scopertigli contro, entrati in grandissimo
timore, si risolverono che bisognava giucare del disperato. In modo che el
giorno sequente, a dì di novembre 1494, che era el dì di san Salvadore, sendosi
inteso che el signore Paolo Orsino, nostro soldato, con cinquecento cavalli era
venuto alle porte per essere a' favori di Piero, ed essendo la maggiore parte
della signoria volta contro a Piero, Iacopo de' Nerli con alcuni altri collegi
che lo seguitavano, armato era ito in palagio, e fattolo serrare, si stava a
guardia della porta, quando Piero per riscaldare gli amici aveva in palagio, e
credendo nessuno avessi animo di vietargli lo entrare, cogli staffieri sua e
gran numero di armati, armato ancora egli, benché sotto el mantello, ne venne
al palagio; e quivi sendogli risposto che se voleva entrare entrassi lui solo e
per lo sportello, sbigottito vedendosi perduto lo stato, si ritornò a casa.
Dove come fu giunto, intendendo che e' signori inimici sua chiamavano el
popolo, e come el popolo si cominciava a levare gridando: «viva popolo e
libertà», e di poi sendogli per uno corriere de' signori notificato come e'
signori l'avevano fatto rubello al quale partito concorsono gli amici sua per
paura e quasi sforzati per conforto di chi gli era apresso, montato a cavallo
prese la via di Bologna. Uditosi Piero essere stato ributtato dal palagio, si
mosse solo in suo favore el cardinale e Pierantonio Carnesecchi e' quali con
armati ne vennero verso piazza; ma di poi intendendo che el popolo multiplicava
contro a Piero e che lui era stato fatto rubello e si partiva, ognuno si ritirò
a casa, ed el cardinale in abito di frate si uscì sconosciuto di Firenze; così
si fuggì Giuliano loro fratello ser Piero da Bibbiena e Bernardo suo fratello,
e' quali erano in odio grandissimo del popolo.
Giunse in
questo tumulto in Firenze Francesco Valori, el quale tornava dal re, dove di
nuovo era stato mandato con più altri cittadini imbasciadore, e perché gli era
in somma benivolenzia del popolo sendo sempre stato uomo netto ed amatore del
bene, ed avendo fama di essersi opposto a Piero, fu ricevuto con grandissimo
gaudio di tutto el popolo, e portatone in palagio quasi di peso in sulle spalle
de' cittadini. Corse di poi el popolo furiosamente a casa Piero e la mandò a
sacco e di poi voltosi a casa Antonio di Bernardo e ser Giovanni da
Pratovecchio notaio delle riformagioni, le saccheggiò ed arse; e loro, benché
si fussino nascosti per le chiese e pe' conventi, pure ritrovati alla fine ne
furono menati presi al bargello. Corsono di poi a casa messer Agnolo Niccolini,
e già avendo messo fuoco alla porta, l'arebbono arsa, se non che messer
Francesco Gualterotti ed alcuni uomini da bene dubitando che questa licenzia
non troscorressi troppo, còrsivi raffrenorono la moltitudine e la ridussono in
piazza che con grandissime voce gridava: «viva el popolo e la libertà»; e quivi
per commessione della signoria messer Francesco Gualterotti, salito in sulla
ringhiera, notificò essere state levate via le monete bianche.
Veduto
spacciato lo stato di Piero vennono in piazza a cavallo con compagnia di armati,
Bernardo del Nero e Niccolò Ridolfi, gridando: «popolo e libertà»; ma ributtati
e cacciati come sospetti e con pericolo di essere morti se ne ritornorono a
casa, e la sera per più loro sicurtà accompagnati bene per commessione della
signoria ne vennono in palagio, e così Pierfilippo Pandolfini, el quale la sera
era tornato da Pisa partitosi sanza licenzia, o perché dubitassi delle cose di
Pisa, o perché, avendo inteso a Firenze sparlarsi assai di lui, volessi
provedere el meglio poteva a' fatti suoi. Messer Agnolo Niccolini, uno ancora
egli degli imbasciadori al re parendogli Piero fussi spacciato, e dubitando di
Lorenzo e Giovanni di Pierfrancesco, de' quali era stato inimicissimo e
concitatore di Piero contro a loro, partitosi da Pisa e presa la volta per la
montagna di Pistoia, ne andò in Lombardia. E così cacciato Piero e quietato un
poco el tumulto, benché el dì e la notte el popolo stessi armato a guardia
della città, si deliberò dalla signoria, che si sospendessi l'uficio degli otto
della pratica e de' settanta, e non si potessino ragunare insino a tanto si
deliberassi altro.
El medesimo dì
di san Salvadore, a dì 9 di novembre, el re Carlo avendo ricevute le fortezze
di Livorno, Pietrasanta e Serezzana, entrò in Pisa e gli furono consegnate le
cittadelle; le quali, secondo le convenzione, avessino a stare in mano del re
per sua sicurtà, e nondimeno e' corpi di Pisa e delle altre terre s'avessino
come prima a tenere e governare da' fiorentini. Ma la sera medesima ristrettisi
insieme e' pisani, andorono a chiedere al re rendessi loro la libertà; la quale
sendo conceduta gridando «libertà» andorono per fare villania agli uficiali
fiorentini, e' quali, udito el tumulto, si erano raccolti insieme e fuggiti nel
banco de' Capponi Tanai de' Nerli, Piero Capponi, Piero Corsini e Piero
Guicciardini ed alcuni altri; e quivi avendo avuta una guardia del re, si
salvorono dalla malignità e perfidia de' pisani. E vedendo la città al tutto
ribellata e, partendosi el re, non vi potere stare sicuri, el dì seguente con
lui si partirono e lasciatolo per la via, ne vennono a Firenze. Così el
medesimo giorno di san Salvadore ebbe dua grandissimi accidenti: la mutazione
dello stato nostro e la ribellione di Pisa, le più principali cose si potessino
alterare nello essere nostro.
Fu certo cosa
mirabile che lo stato de' Medici che con tanta autorità aveva governato
sessanta anni e che si reputava appoggiato dal favore di quasi tutti e' primi
cittadini, sì subitamente si alterassi per le mani di messer Luca Corsini ed
Iacopo de' Nerli, uomini giovani, sanza credito, sanza autorità, sanza
consiglio e leggierissimi. La quale cosa non nacque peraltro se non che e' modi
ed e' portamenti di Piero e la insolenzia di chi gli era apresso, avevano tanto
male disposto gli animi di tutti; e sopra tutto l'aversi recato adosso
pazzamente una guerra potentissima e che non si poteva sostenere, e l'avere
messo a scotto ed in preda sanza bisogno di cagione alcuna tutto lo stato
nostro, che chi si gli scoperse da prima contro trovò la materia disposta in
forma che, come gli fu dato principio di muoverla, fece da se medesima. Questo
fine ebbe e così perdé lo stato la casa de' Medici, casa nobilissima richissima
e riputatissima per tutta Italia, e per l'adrieto assai amata nella città, e'
capi della quale, massime Cosimo e Lorenzo, avevano con grandissime difficoltà,
con grandissime virtù, con tempo ed occasione, fatto conservato ed augumentato
lo stato, accrescendo non solo lo stato loro privato, ma eziandio lo imperio
publico della città, come fu el Borgo a San Sepolcro, Pietrasanta e Serezzana,
Fivizzano e quella parte di Lunigiana, el Casentino, lo stato di Pietramala e
Val di Bagno, tutte cose pervenute nella città sotto el governo di quella casa.
La quale a ultimo rovinò in brevissimo tempo sotto el governo di un giovane
temerario, el quale si trovò in tanti fondamenti di potenzia ed autorità, e sì
bene favorito ed appoggiato, che se non si fussi sforzato ed avessi fatto a
gara di perdergli, era impossibile non si conservassi; dove la sua pazzia non
solo rovinò sé, ma eziandio la città, spogliandola in otto giorni di Pisa,
Livorno, Serezzana e Pietrasanta luoghi donde come poi hanno meglio mostro gli
effetti, si traeva la potenzia, la sicurtà, la autorità e gli ornamenti nostri.
In modo che si può dire che uno di solo cancellassi, anzi lungamente
contrapesassi ed avanzassi a tutti e' benefìci che la città nostra aveva mai in
tempo alcuno ricevuti da quella casa; perché la perdita massime di Pisa fu sì
grande e di sì inestimabile danno alla città, che molti hanno dubitato quale
fussi maggiore nel dì di san Salvadore, o l'acquisto della recuperata libertà o
la perdita di Pisa; in che, pretermettendo molti discorsi si potrebbono fare,
voglio conchiudere aversi tanto più da stimare l'una cosa che l'altra, quanto
egli è più naturale agli uomini cercare prima avere libertà in se proprio, che
imperio in altri; massime che, parlando veramente, non si può dire avere
imperio in altri chi non ha libertà in sé.
Cacciato Piero,
furono per partito della signoria rimessi tutti e' cittadini stati confinati e
cacciati per conto di stato dal insino a dì 34 di novembre 1494; le quale cose
benché rallegrassino ognuno, erano nondimeno sì pericolosi gli accidenti che andavano
atorno, che gli animi non potevono gustare questi piaceri. E certo io credo che
già un grandissimo tempo la città non fussi stata in maggiori travagli: drento,
cacciata una casa potentissima e che sessant'anni aveva avuto el governo, e
rimesso tutti gli inimici di quella; per la quale mutazione rimanevano alterati
tutti e' modi del governo, stavano in sommo timore tutti quegli che avevano
avuto autorità a tempo di Lorenzo o di Piero, tutti quegli e' quali, o e'
maggiori loro, avevano in tempo alcuno offesi gli usciti o e' sua antecessori,
tutti quegli che o per compere o per vie di pagamento o di rapine possedevano
de' beni di chi era stato rubello; di fuori, smembrato tanto stato e quasi la
più parte del nostro dominio, donde si vedeva la città avere a restare
indebolita con meno entrate e forze e con una guerra difficilissima e
pericolosissima non solo co' pisani, ma con molti ci impedirebbono la
recuperazione. Aggiugnevasi in su e' nostri terreni un re di Francia con tanto
esercito, inimico ed ingiuriato da noi, pieno di cupidità e crudeltà, el quale
dava timore non solo di guastarci el paese nostro, di fare; ribellare el resto
delle terre suddite, ma etiam di saccheggiare la città, di rimettere
Piero de' Medici e forse insignorirsi di Firenze el quale se si partissi, el
meno male si potessi temere era avergli a dare una somma grandissima di danari
ed a votare la città delle sustanzie e sangue suo.
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