1495. E così
sendo in preda lo stato nostro, venne a Firenze el cardinale di San Malò, primo
uomo che avessi el re di Francia, ed avuti quarantamila ducati andò a Pisa,
data intenzione di rendercela, almeno el corpo della terra; e statovi pochi dì
sanza fare conclusione in beneficio nostro, se ne tornò al re Carlo. El quale
vittoriosamente aveva finito con mirabile celerità la impresa di Napoli; perché
partitosi da Firenze ed entrato in quello di Roma, papa Alessandro non si
potendo difendere, si era accordato seco con condizione di dargli per sua
sicurtà alcune terre e per statico un suo figliuolo, e datogli el fratello del
Gran turco che era preso a Roma (el quale poco poi morì, e fu opinione avessi
avuto dal papa veleno a tempo) entrò in Roma per la settimana santa; ed avendo
fatto creare cardinale el vescovo di San Malò, si dirizzò alla volta del reame.
Le quali cose sendo intese dal re Alfonso, disperato potersi difendere,
lasciato lo stato in mano di Ferrando duca di Calavria suo primogenito, e
fattolo creare re lui non più re chiamato, ma don Alonso, se ne andò in Sicilia
in uno convento di frati, dove in termine di non molti mesi morì. Ma poco più
soprastette a fuggirsi el re nuovo Ferrando, perché non avendo el re Carlo
ostaculo alcuno alla campagna, ed acquistando ogni dì per universale rebellione
de' popoli, tanto terreno quanto e' cavalcava in pochissimi giorni si insignorì
di tutto el regno di Napoli, cosa troppo stupenda a considerarla. El re se ne
fuggì alla volta di Spagna, el signore Virginio Orsino ed el conte Niccola di Pitigliano
di casa Orsina furono presi in Nola; rimasono solo le fortezze di Napoli in
mano de' Ragonesi, le quali presto si dettono.
A Firenze si
sonò a gloria, e facesi dimostrazione grande di allegrezza per questa nuova,
benché in fatto dispiacessi insino al cuore pure la dependenzia avamo da lui, e
lo essere le fortezze nostre in sua mani, necessitavano a fare così. Furongli
mandati imbasciadori messer Guidantonio Vespucci, Lorenzo Morelli, Bernardo
Rucellai e Lorenzo di Pierfrancesco, sì per congratularsi seco di tanta
vittoria, sì per chiedergli le cose nostre, come era obligato restituirci,
finita la guerra di Napoli, massime sendosi dal canto nostro sborsata quella
somma di danari in che eravamo convenuti.
Questa vittoria
di Napoli, tanto presta e più che non era la opinione, sbigottì forte ognuno,
parendo che avendo aggiunto allo stato di Francia uno tanto regno, e trovandosi
uno esercito vittoriosissimo e colle arme in mano, tutta Italia restassi a sua
discrezione. La quale cosa non solo dispiaceva a' potentati italiani, ma
eziandio a Massimiano re de' romani ed a Ferrando re di Spagna, a' quali, per
la vicinità e le antiche controversie, ogni augumento di Francia era non meno
sospetto che molesto; e però per sicurtà degli stati communi si contrasse una
lega generale a difesa degli stati e contro a Francia tra papa, imperadore, re
di Spagna, viniziani e duca di Milano; e fattone capitano Francesco da Gonzaga
marchese di Mantova che era soldato de' viniziani, si dava in Lombardia pel
duca ed e' viniziani forte danari, e da ogni banda si ragunava gente per
opporsi al re Carlo, dal quale in sulla conclusione della lega si era
nascostamente fuggito el figliuolo del papa. Non vollono e' fiorentini, benché
richiestine, concorrervi né discostarsi dal re, per aspettare la restituzione
delle fortezze, secondo aveva promesso,
Attendevasi in
quello tempo nella città a fondare tuttavia e fortificare lo stato del popolo;
la qual cosa non sendo grata a' venti ed a molti cittadini di autorità, e
dubitandosi che loro, veduto appressarsi al fine dello uficio ed avere a
rimanere pari agli altri cittadini, non facessino una signoria a loro modo, ed
alterassino questo governo populare, cominciò fra Girolamo a predicare destramente
contro a loro, mostrando che sarebbe bene si finissi questo uficio. El nome e
lo uficio loro era in sì odiato dal popolo, sì per sospetto che non alterassino
el consiglio, sì per e' modi e portamenti loro, e' quali erano stati brutti e
sciocchi, e sanza unione alcuna. Avevano, la prima volta feciono la signoria,
creato gonfaloniere di giustizia Filippo Corbizzi, el quale era uomo di
pochissima qualità e di autorità e di virtù, ma era stato molto favorito da
Tanai de' Nerli, alla quale creazione si era opposto assai Francesco Valori,
dando favore a Pagolo Falconieri, uomo più spicciolato ancora che Filippo (il
che in quel tempo per piacere al popolo si cercava) e di più cervello e
migliore qualità che lui, ed essendo nati dispareri e non si potendo accordare,
fu forza pigliassino quello aveva più fave, benché non vincessi el partito.
Ferono di poi gonfaloniere Tanai de' Nerli, uomo nobile, ricchissimo e potente
pel numero de' figliuoli, e massime per essersi tanto Iacopo adoperato nella
cacciata di Piero, ma che nelle cose dello stato valeva poco, il che dispiacque
assai a ognuno, parendo cosa brutta che uno accopiatore creassi se medesimo, e
massime che sendo stato un'altra volta gonfaloniere a tempo di Lorenzo pareva
fussi stato mosso solo dalla ambizione. Doppo lui feciono Bardo Corsi ancora
del numero de' venti, la creazione di chi in sé non dispiaceva, perché era
vecchio e stato tenuto indrieto ed ammunito dalla casa de' Medici. Ma sendo in
tutte queste elezione di varie voluntà, si erano in modo disuniti che non vi
era né fede né concordia fra loro; e benché molte volte tentassino di riunirsi,
pure ogni cosa era vana, ed essendosi sparta questa divisione, n'avevano carico
apresso a ognuno, e inoltre la potenzia loro era più debole, in modo che aggiugnendovisi
la autorità ed el credito di fra Girolamo, si cominciò pel popolo a sparlarne e
minacciargli, e loro a trovarsi in travagli grandissimi, e' quali umori
riscaldando, Giuliano Salviati, o impaurito o persuaso da fra Ieronimo,
spontaneamente rifiutò lo uficio. Di che nacque che e' compagni vedendosi,
oltre alla disunione in tanto grido, e non parendo essere loro sanza carico
delle persone, messono in consiglio una provisione di rifiutare tutti, la quale
si vinse con grandissimo favore, e loro subito rinunziorono del mese di maggio
1495, e la autorità di fare la signoria si transferì al popolo, el quale creò
primo gonfaloniere di giustizia Lorenzo Lenzi.
El re Carlo in
questo tempo udita la lega fatta, deliberò tornarsi in Francia, e lasciato a
guardia del reame una parte delle gente d'arme franzese sotto alcuni de' suoi
capitani, e qualche italiano sotto Camillo Vitelli, ne venne col resto alla
volta di Toscana. E perché gli aveva sempre agli oratori nostri negata la
restituzione delle cose nostre, ed inoltre loro avevono ritratto, lui essere
malissimo disposto contro a tutti gli italiani, ed in spezie che alcuni de'
primi suoi avevono molto in odio la città nostra, entrò tanto sospetto
universalmente ne' nostri cittadini, che tutti ammoniti dal pericolo passato,
si provederono di arme, empierono le casa di fanti del contado, fortificando
ancora la città con tutti quegli instrumenti che fussino atti a difendere,
acciò che se e' volessi come l'altra volta alloggiare in Firenze, si gli
potessi concedere la entrata securamente. Le quali cose sendogli venute a
notizia, parte per non s'avere a cimentare quivi, parte perché male poteva
soprastare; intendendosi che e' viniziani ed el duca di Milano avevano, per
opporsigli, congregato uno grossissimo esercito in Parmigiana, partitosi da
Siena, deliberò sanza toccare la città andarsene a Pisa, ed avendo a
Poggibonizi trovato fra Girolamo e parlato con lui, mostrandogli reverenzia,
sanza frutto però nelle cose nostre di Pisa, se ne andò a Pisa per andarsene
alla volta di Lombardia; ed essendo quivi, o circa a quello tempo, ebbe nuove
come Lodovico duca di Orliens aveva per trattato preso Novara, terra del duca
di Milano. Di poi partitosi da Pisa, lasciando pure guardate per sé le nostre
fortezze, ne andò per Lunigiana, e saccheggiato Pontriemoli, terra dello stato
di Milano, ne venne in Parmigiano, dove trovò essere alloggiati in sul Taro gli
eserciti de' viniziani e del duca, tanto superiori a lui di numero, che solo
quegli de' viniziani lo avanzavano di gran lunga.
Sendo giunto
quivi, con intenzione, se non era impedito andarsene alla volta di Francia, fu
disputa nel campo italiano quello fussi da fare. Pareva al signore Ridolfo da
Gonzaga, zio del marchese, ed a alcuni altri condottieri de' più vecchi, non si
dovessi apiccare zuffa con loro, anzi andargli costeggiando mentre che erano in
sullo stato di Milano; e così sarebbono al sicuro che e' non dannificherebbono
quello stato, ed anche potrebbe essere che la carestia delle vettovaglie gli
strignerebbe in modo che e' sarebbono forzati o fare fatto d'arme con
grandissimo disavantaggio, o veramente pigliare quelle condizioni che fussino
loro date dalla lega. Al marchese desideroso di combattere parve altrimenti, e
credo ancora messer Marchionne Trivisano proveditore viniziano fussi del
medesimo parere; e finalmente apiccata la battaglia, si fece un fierissimo
fatto di arme, el quale durò molte ore, benché e' franzesi fussino assai minore
numero, ma si aiutarono assai colle artiglierie. Lo effetto fu che la sera si
divise la zuffa ed ognuno si tornò a' sua alloggiamenti, in modo che non sendo
fuggito nessuno, non si può dire alcuna parte fussi rotta. Ma el danno de'
franzesi non fu molto grande; quello degli italiani fu grandissimo, perché fu
morti della parte loro quattro o cinquemila persone, e molti uomini di capo,
fra' quali el signore Ridolfo da Gonzaga; e tutto questo danno fu da'
marcheschi perché e' ducheschi, che erano sotto el conte di Gaiazzo, per ordine
del duca non si mescolorono quasi punto nel fatto di arme. La cagione fu,
perché el duca vedendo e' viniziani avere più gente di lui assai ed essere in
su' terreni sua, dubitò se el re di Francia era rotto, di non rimanere a
discrezione de' viniziani naturalmente inimici suoi, e che per ambizione non
tengono conto di lega o di fede. Apresso può essere che e' considerassi che
mettendo e' sua a pericolo della fortuna, se e' fussino rotti che lui portava
più pericolo che e' viniziani, per essere e' franzesi in sul suo, e che e'
sarebbe stato el primo a perdere lo stato. Così può essere che e' pensassi,
quando el re fussi rotto, che questa sarebbe ingiuria di qualità da non ne fare
mai pace con Francia; la quale cosa aveva da stimare più lui che altri, per
essere loro vicino, e che riputerebbono più l'offesa da lui, per essere stato
egli el primo che gli avessi chiamati in Italia, e di poi, fattosi duca di
Milano, avessi vòlto loro le punte. Queste cagione lo potettono muovere a avere
più caro che, per ogni affetto che potessi nascere, e le genti sua e quelle del
re rimanessino salve.
Fatto el fatto
di arme, e' franzesi non avendo più chi si gli opponessi, sanza contradizione
alcuna se ne vennono in Asti, dove sendo giunti, feciono triegua per poco tempo
colla lega, cosa grata all'una parte e l'altra; ed el duca di Milano con parte
delle genti viniziane e con le sue accampato a Noara, la recuperò più tosto per
fame che per forza.
Nel quale tempo
poco prima che fu circa a quegli giorni che el re giunse in Asti, sendo molto
male contenti e' popoli del reame della signoria de' franzesi preso animo per
la partita del re e per la nuova lega, e' napoletani e molti altri popoli si
ribellarono, ed el re Ferrando, chiamato Ferrandino, ritornò in Napoli. E perché
nel reame era gente grossa pel re di Francia e molte città si tenevano a sua
divozione volendo ricuperare el regno interamente e non avendo danari, accattò
da' viniziani, per mezzo del re di Spagna e del duca di Milano, certa somma di
danari, dando per loro sicurtà nelle loro mani Otranto, Brandizio ed altri
porti del reame; ed e' viniziani all'incontro promessono a lui ed al re di
Spagna rendere detti porti, ogni volta che fussino rimborsati de' danari loro;
e fatta questa convenzione, el marchese di Mantova, come soldato de' viniziani,
passò nel reame contro a' franzesi. Dove, doppo non molti mesi, lo effetto fu
che e' franzesi sendo rotti, ed affamati di poi in Atella, ed essendo stato
morto Camillo Vitelli e loro ridotti a piccolo numero, né avendo altra speranza
di soccorso dal re Carlo che bruttamente gli lasciò perire, bisognò che
uscissino del reame; e quegli pochi che rimasono, fatto accordo col re Ferrando
e restituitogli tutto lo stato suo, ne ritornorono per acqua in Francia.
In questo tempo
ancora, cioè quando el re tornò in Asti, sendovi oratore messer Guidantonio
Vespucci e Neri Capponi, e forse ancora el Soderino vescovo di Volterra, si
fece convenzioni nuove col re, dandogli certa somma di danari, e lui con grande
efficacia promisse la restituzione delle cose nostre; la quale cosa pareva
verisimile, per lo essere lui fuori di Italia e non avere più a servirsene, e
per avergli noi interamente osservato la fede e rimasti in Italia soli amici
sua. La quale pratica agitandosi, si mandò el campo nostro a Vicopisano del
mese di agosto di detto anno 1495, e statovi molti dì sanza fare profitto
alcuno, sendo feriti e guasti assai de' nostri, el campo con vergogna si levò.
Vennono di poi le commessioni di Francia a chi era nelle fortezze nostre che ce
le restituissino, ed e' contrasegni delle ròcche; a' quali effetti racozzate le
gente nostre, e sendovi mandati commessari Francesco Valori e Paolantonio
Soderini, un dì improvisamente assaltorono el borgo di San Marco; el quale preso
di subito e trovato la porta aperta, erano già cominciate a entrare le gente
nostre sanza resistenzia ed e' pisani impauriti a ritrarsi di là d'Arno, quando
el castellano francioso della cittadella nuova cominciò a trarre le artiglierie
contro a' nostri, il che sentendo e' commessari, non sapendo el successo de'
nostri ed el disordine de' pisani, feciono subito ritirare adietro, e così si
perdé una bellissima occasione di recuperare Pisa. La quale, se si seguitava la
vittoria, era el dì assolutamente nelle mani nostre, ed e' commessari n'ebbono
nella plebe carico grande benché a torto, perché la ragione voleva che, traendo
la cittadella facessino quello feciono, e se bene el fare altrimenti dava la
vittoria, s'aveva a imputare più tosto al caso che alla ragione. Stati di poi
alcuni dì nel borgo di San Marco, e veduto che el castellano, o perché in
secreto avessi così ordine dal re, o per altra cagione non voleva dare la
cittadella, el campo nostro si partì, non vi faccendo frutto alcuno; e così
furono vane tutte le imprese di questa state, nelle quali si spese tanta somma
di danari, che vulgarmente e' dieci che sedevano si chiamorono e' dieci
spendenti, che furono e' primi dieci eletti dal popolo, uomini la maggior parte
vecchi e tenuti buoni, ma poco pratichi a governare lo stato. Furonne capi
messer Francesco Pepi e Filippo Buondelmonti.
Sopravenne poi
di Francia monsignore di Lilla, mandato per questa restituzione, ed essendo per
la venuta sua la città nostra in grande speranza, volle la sorte nostra che
egli ammalò e morì in Firenze, dove fu sepulto, fattogli dal publico onore
grandissimo; e finalmente doppo molti messi e lettere mandate di qua e di là,
ci fu renduto solo Livorno nel quale era a guardia monsignore di Beumonte. El
castellano di Pisa, avuto certa somma di danari da' pisani, che ne furono
serviti dal duca di Milano, dette loro la cittadella nuova che vi era stata
edificata da' fiorentini, la quale subito disfeciono, riserbatasi la vecchia
che vi era anticamente. Pietrasanta venne in mano de' lucchesi, avendola però a
ricomperare dal re buona somma di danari; Serezzana in mano de' genovesi; e
così si dissipò lo stato nostro e si divise ne' nostri vicini. Cosa miserabile
a dire, che e' genovesi, e' sanesi, e' lucchesi, e' quali poco innanzi
tremavano ~ le arme nostre, ora sanza rispetto alcuno lacerassino e si
insignorissino del dominio nostro, non però colle forze e riputazione loro, ma
usando per instrumento un re di Francia, el quale non tenuto conto de' capitoli
fatti con noi in Firenze e giurati in sull'altare sì solennemente, non delle
convenzioni fatte di poi in Asti, non dell'avere osservato sì pienamente la
fede, sì dandogli tanti danari, sì seguitando la parte sua soli in tutta
Italia, perfidamente rivendé noi e le cose nostre agli inimici nostri.
E' pisani
potendosi male difendere da noi, si raccomandorono alla lega, e sendo
accettati, vi entrorono in nome della lega gente del duca e de' viniziani; e
poco di poi el duca, o per inviluppare e' viniziani in più imprese e così
consumargli in sulla spesa grande, o per altra cagione, gli richiese che soli
rimanessino a Pisa. La quale cosa sendo consultata assai a Vinegia, e
contradetta da messer Filippo Trono e molti altri gentiluomini vecchi a' quali
non piaceva entrare in tanti viluppi, e da altra parte confortata assai da
messer Augustino Barbarigo doge e da' suoi sequaci, e' quali erano assai e più
giovani, finalmente si deliberò accettarla, e così e' viniziani, uscendosene el
duca, rimasono soli in Pisa con titolo di guardarla per la lega, in nome
conservando a' pisani la libertà, in fatto insignoritisi delle fortezze e
disponendone a arbitrio loro. Fumo di poi tentati istantemente dalla lega,
desiderando e' signori collegati unire Italia per tôrre ogni pensiero al re
Carlo di ritornarci; la quale cosa non fu acconsentita perché non ci volevano
rendere Pisa, e non riavendo Pisa, non era a proposito della città la unione di
Italia; anzi la disunione ci era utile e la passata del re Carlo ed ogni
tumulto, e massime che el re Carlo tutto dì diceva agli oratori nostri (che vi
era el vescovo de' Soderini e Giovacchino Guasconi) volere ritornare in Italia
e che cognosciuti tanti segni della fede nostra, e così e contra la perfidia
de' viniziani e del duca, volerci ristorare di tanti affanni e punire loro
delle ingiurie gli avevano fatte.
Aggiugnevasi a
questa disposizione le prediche di fra Ieronimo, el quale, doppo la cacciata di
Piero ed ordinazione del consiglio grande, continuando nel predicare in Santa
Liperata con maggiore audienzia che mai vi avessi predicatore alcuno, e dicendo
apertamente essere stato mandato da Dio a annunziare le cose future, aveva
molte volte affermate più conclusione, così concernenti lo universale della
religione cristiana, come el particulare della città nostra: aversi a rinnovare
la Chiesa e riformarsi a migliore vita, induttavi non con beni e felicità
temporali, ma con flagelli e tribulazione grandissime; avere prima a essere
percossa e tribulata grandemente Italia di carestia, di peste, di ferro, ed
avervi a entrare più barbieri esterni, e' quali coll'arme la raderebbono insino
alle ossa; aversi prima a mutare gli stati di quella, non vi si potendo
resistere con consiglio, con danari e con forze; la città nostra avere a patire
tribulazione assai e ridursi a uno pericolo estremissimo di perdere lo stato,
nondimeno perché la era stata eletta da Dio dove si avessi a predire tanta
opera, e perché di quivi s'aveva a spargere in tutto el mondo el lume della
rinnovazione della Chiesa, però che la non aveva a perire, anzi che quando bene
si perdessi tutto el dominio nostro, sempre la città si salverebbe, ed in
ultimo ricotta co' flagelli a una vera vita e semplicità cristiana,
recupererebbe Pisa e tutte le altre cose perdute; non però con aiuti e mezzi
umani, ma col braccio divino, ed in tempo che nessuno vi spererebbe ed in modo
che nessuno potrebbe negare non essere immediate state opera di Dio;
acquisterebbe ancora molte altre cose che non furono mai sue, e diventerebbe
molto più florida, più gloriosa e più potente che mai; lo stato populare e
consiglio grande, introdotto in quella, essere stato per opera di Dio, e però
non s'avere a mutare, anzi qualunque lo impugnassi, capiterebbe male;
aggiugnendo che queste cose avevano a essere sì preste, che non era alle
prediche sue nessuno uomo sì vecchio, che vivendo quanto poteva vivere secondo
el corso naturale, non le potessi vedere. Disse ancora molti altri particulari,
e circa alle persecuzione aveva a patire così spirituale come temporale; le
quali cose lascio indrieto, perché non fanno a proposito della materia
presente, e perché ci sono in piè e stampate le prediche sue, che ne possono
dare chiara notizia.
Questo modo di
predicare così l'aveva recato in odio al papa, perché nel predire la
rinnovazione della Chiesa detestava e mordeva molto scopertamente e' governi e
costumi de' prelati, avevonlo recato in odio a' viniziani ed al duca di Milano,
parendo loro che e' favorissi la parte di Francia e fussi cagione con questi
modi suoi che la città non si accordassi colla lega, avevano ancora fatto
diversi umori nella città, perché molti cittadini, o per non prestare
naturalmente fede a queste cose, o perché dispiaceva loro el governo populare,
quale vedevano caldamente essere favorito e mantenuto da lui, molti ancora
perché prestavano fede a' frati di San Francesco ed agli altri religiosi, che
tutti vedendo la riputazione de' frati di San Marco, si gli erano opposti;
molti ancora uomini viziosi, a' quali dispiaceva che lui, detestando la
soddomia e gli altri peccati ed e' giuochi, aveva molto ristretto el modo del
vivere: tutti insieme si gli erano levati fieramente contro; perseguitandolo in
publico ed opponendosi quanto potevano alle opere sue Eranne capi Piero Capponi
(benché lui, vedendo la potenzia dell'altra parte, qualche volta balenassi,
qualche volta simulassi), Tanai de' Nerli ed e' figliuoli, massime Benedetto ed
Iacopo; Lorenzo di Pierfrancesco, Braccio Martelli, e' Pazzi, messer
Guidantonio Vespucci, Bernardo Rucellai e Cosimo suo figliuolo, e' quali
avevano coda di Piero degli Alberti, Bartolomeo Giugni, Giovanni Canacci, Piero
Popoleschi, Bernardo da Diacceto e molti simili.
Da altra parte
erano molto favorite e commendate le opere sue da molti cittadini: alcuni
naturalmente inclinati al credere per bontà di natura e vòlti alla religione,
ed a chi pareva che le opere sue fussino buone e che le cose predette da lui
tutto dì si verificassino; alcuni maligni e di cattiva fama, per ricoprire le
opere sue ed acquistare nome buono con questo mantello di santità; alcuni
uomini, secondo el mondo, costumati, vedendo el favore e la potenzia aveva
questa parte, per correre più agli ufici ed acquistare stato e riputazione più
col popolo. Eranne capi Francesco Valori, Giovan Batista Ridolfi e Paolantonio
Soderini, messer Domenico Bonsi, messer Francesco Gualterotti, Giuliano
Salviati, Bernardo Nasi ed Antonio Canigiani. Contavacisi anche drento
Pierfilippo Pandolfini e Piero Guicciardini, e' quali però nelle controversie
ne nascevano, si portavano moderatamente ed in forma che non erano interamente
annoverati fra loro; avevano coda da Lorenzo e Piero Lenzi, Pierfrancesco e
Tommaso Tosinghi, Luca d'Antonio degli Albizzi, Domenico Mazzinghi, Matteo del
Caccia, Michele Niccolini, Batista Serristori, Alamanno ed Iacopo Salviati,
Lanfredino Lanfredini , messer Antonio Malegonnelle, el quale non era molto
innanzi per conto dello stato vecchio, benché Pierfilippo Pandolfini di già
fussi stato fatto de' dieci ed avessi riavuto la riputazione; Francesco
d'Antonio di Taddeo, Amerigo Corsini, Alessandro Acciaiuoli, Carlo Strozzi,
Luigi dalla Stufa, Giovacchino Guasconi, Gino Ginori e molti simili.
Aggiugnevasi lo universale del popolo, del quale molti erano inclinati a queste
cose, ed in modo che, sendo in odio ed in cattivo nome e' persequitori sua, ed e
converso e' fautori accetti e grati assai, gli onori ed e' magistrati della
città si davano sanza comparazione molto più agli uomini di questa parte che
agli altri; e però sendo in tanta potenzia e' fautori sua, e parendo loro che
secondo le sue predizione, e' potentati di Italia avessino a capitare male, ed
interpretando di nuovo el re di Francia avere a essere vittorioso, oltre alle
altre ragione che gli movevano, erano causa che la città non si accostassi
colla lega. E così sendo nata una grandissima divisione ed odio capitale negli
animi de' cittadini, ed in forma che in molti fratelli, in molti padri e
figliuoli era dissensione per conto delle cose del frate, nasceva un altro
disparere grandissimo: che tutti quegli favorivano el frate, tenevano la parte
di Francia, quegli lo disfavorivano arebbono voluto accordarsi colla lega.
Nel fine di detto
anno 1495 si murò e finì sopra la dogana la sala grande del consiglio, e vi si
ragunò tutto el popolo a fare la nuova signoria. avendovi prima predicato fra
Ieronimo; e fu creato gonfaloniere di giustizia, che entrò in calendi di marzo,
Domenico Mazzinghi e così tutto dì si augumentava e cresceva el vivere
popolare.
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