Nel medesimo
anno del mese di aprile, sendo ancora fra Ieronimo in prigione morì quasi di
subito Carlo re di Francia, e non avendo figliuoli, el regno venne per successione
nelle mani di Lodovico, duca d'Orliens, di casa reale, suo cugino e più
prossimo parente avessi el quale pretendendo spettargli non solo lo stato di
Francia, ma ancora per conto del re Carlo el reame di Napoli, e per conto suo
di Orliens el ducato di Milano, nella incoronazione si intitolò re di Francia
di Ierusalem e di Sicilia e duca di Milano. E perché egli aveva per donna una
sorella carnale del re Carlo, sterile brutta e quasi uno mostro, che l'aveva
presa sforzato dal re Luigi suo padre, rifiutata questa moglie con dispensa di
papa Alessandro, tolse colla medesima dispensa la reina vecchia, moglie del re
Carlo, per avere lo stato di Brettagna di che lei per eredità era duchessa. E
perché questa dispensa era molto ardua e difficile e contro a ogni onestà, non
l'arebbe ottenuta se non a vantaggio del papa; col quale fece secreta
intelligenzia che in caso acquistassi lo stato di Milano, come disegnava volere
fare, gli darebbe aiuto a ottenere e' vicariati di Romagna, quali pretendeva
essere devoluti alla Sedia apostolica. E così unito el papa col re, e vòlto a
fare imprese, disegnò fare uno stato per suo figliuolo: ed essendogli mancato,
come è detto, el duca di Candia e non avendo altri atto a tanto peso che Cesare
Borgia suo figliuolo, stato fatto da lui cardinale, lo privò del cappello,
avendo fatto provare che per essere bastardo era inabile, benché prima, quando
lo fece cardinale, avessi fatto provare el contrario, e come era legittimo e
non suo figliuolo; e lo mandò in Francia imbasciadore al nuovo re e gli dette
per donna una franzese del sangue reale, figliuola di monsignore d'Alibret,
benché prima avessi cerco di dargli per moglie una figliuola del re di Napoli,
che era in Francia, ma invano, perché la fanciulla, non avendo licenzia dal padre,
non volle mai acconsentire.
A questo nuovo
re, che era riputato nostro benivolo, mandò la città tre imbasciadori, messer
Cosimo de' Pazzi vescovo aretino, Piero Soderini e Lorenzo di Pierfrancesco che
si trovava verso Galizia, dove era andato innanzi alla ruina di fra Ieronimo,
sendogli dato carico da lui ed e' fautori sua, che e' si voleva fare capo e
tiranno della città. Nel medesimo tempo si fece una legge quale, se si fussi
seguitata, sarebbe stata utilissima a' giovani, cioè che ogni imbasciadore e
commessario generale che andava fuora, avessi a avere uno giovane deputato
dagli ottanta che fussi di età di anni ventiquattro insino in quaranta, el
quale si trovassi presente a tutte le pratiche e segreti, acciò che imparassi e
pigliassi esperienzia e così poi quando fussi di maggiore età fussi più atto a'
governi ed allo stato.
Preso ed arso
come è detto, fra Girolamo, tutti e' pensieri degli uomini si voltorono alla
impresa di Pisa, sendone massime confortati e dato speranza dal duca di Milano,
el quale molto tempo innanzi considerando quanta pazzia fussi stata lasciare e'
viniziani entrare nel dominio di Pisa, e che quella città era uno instrumento
da fargli signori col tempo di Italia, desiderava che e' fiorentini se ne
reintegrassino; e nondimeno non si era voluto scoprire colle arme in loro
aiuto, o perché non confidava nella città avendo esoso fra Ieronimo e forse
Francesco Valori, perché stimassi avere co' modi dolci e sanza rompere,
condurre e' viniziani a restituircela, o perché, dubitando della ritornata del
re Carlo in Italia, non gli paressi da suscitare nuove discordie, e così
incitare el re Carlo a passare. E però aveva fatto che a Roma, a Vinegia si era
più volte per gli oratori dello imperadore e massime del re di Ispagna e del re
di Napoli, mossa pratica, che non sendo in Italia nessuno potentato amico de'
franzesi, eccetti e' fiorentini e' quali tutto dì gli stimolavano ed incitavano
al passare, sarebbe bene, per tôrre ogni occasione di scandalo e guerra nuova,
reintegrargli di Pisa e riguadagnarsigli ed unirgli colla lega.
Ma ogni cosa
era suta vana perché e' viniziani ambiziosi e cupidi del dominio di Italia,
faccendo a questo disegno gran fondamento di Pisa, avevano deliberato non la rendere,
e però el duca sendo certo che e' non ne uscirebbono sanza la forza,
confidandosi ancora più della parte che reggeva ed inoltre parendogli che in
sulla creazione del nuovo re non fussi da temere così presto delle cose di
Francia, benché sapessi e' sua pensieri tutti essere vòlti alle cose di Italia,
confortò la città a volere fare impresa gagliarda contro a Pisa confortando si
ingegnassino ancora avere favore dallo imperadore, da Roma e da Napoli, e lui
promettendo non mancare di tutti quegli aiuti che fussino possibili. Le quali
persuasioni e proferte accettandosi, e seguitandosi e consigli in gran parte,
non bisognando provedere di oratore a Roma perché vi era messer Francesco
Gualterotti, fu eletto a Napoli Bernardo Rucellai.
Era morto molti
mesi innanzi el re Ferrandino sanza figliuoli, ed era succeduto Federigo suo
zio, secondogenito del re Ferrando vecchio; ma parendo al duca che e' favori
del re di Napoli si potessino cercare più cautamente e che el mandare
imbasciadore fussi di troppo dimostrazione, e di fare che el nuovo re di
Francia diventassi inimico della città, il che era contro al disegno aveva
fatto che la città potessi essere buono mezzo a accordarlo con Francia,
persuase non si mandassi imbasciadore, e così si seguitò. E per risolvere
meglio con lui e' modi si avessino a tenere ed e' favori bisognassino in questa
impresa, vi fu mandato oratore messer Guidantonio Vespucci benché vi fussi
oratore stanziale messer Francesco Pepi, o per mostrare di stimare più queste
cose, o giudicando che messer Guido fussi più a proposito per essere uomo di
più riputazione ed anche più atto a questi maneggi di lui. E per disporre e'
genovesi a non dare favore a' pisani e non volere che e' viniziani loro inimici
si facessino sì grandi, fu mandato per consiglio del duca, imbasciadore a
Genova, e fu Braccio Martelli a chi fu dato per sottoimbasciadore Piero di
Niccolò Ardinghelli. E così attendendosi allo ordine di questa spedizione, e
così e' viniziani sendo ingrossati in quello di Pisa, si fece a Santo Regolo
uno fatto di arme, e' particulari del quale non narro perché non sono in mia
notizia. Lo effetto fu che e' nostri furono rotti ed el commessario Guglielmo
de' Pazzi ed el conte Rinuccio da Marciano governatore del campo si ritrassono,
benché con pericolo grande, salvi in Santo Regolo. Ebbene Guglielmo
universalmente imputazione grandissima, e fu in gran parte attribuita alla
temerità sua, el quale volenteroso non solo in campo aveva consigliato lo
appiccarsi, ma ancora insino quando era in Firenze aveva detto publicamente, e
credo in consiglio o negli ottanta, che e' bisognava fare diguazzare le arme.
Questa rotta fu
da principio di disordine grandissimo, non solo in quello di Pisa, dove se e'
nemici avessino voluto spendere e seguitare la vittoria non avevano
contradizione alcuna, ma eziandio in tutta quella provincia; la quale tutto dì
era infestata di scorrerie e prede da stradiotti albanesi, che condotti in Pisa
da' viniziani, scorrevano ora in quello di Volterra, ora in Valdinievole, ora
in verso San Miniato ed insino a Castello Fiorentino. Ma di poi sendo
infiammati gli animi di tutti ed ingagliarditi nelle avversità, fatta
conclusione di strignere e' pisani, fu condotto per nostro capitano generale
Pagolo Vitelli dandogli di condotta, insieme con Vitellozzo suo minore
fratello, credo trecento uomini di arme; così si rimesse in ordine el conte
Rinuccio, riservatogli el titolo di governatore, benché con difficultà si
accordassi di rimanere a' soldi nostri e volere e' Vitelli per superiori. Né
era minore la caldezza del signore Lodovico, el quale doppo la giunta di messer
Guido, consultate bene queste cose e fatta una dieta a Mantova circa alle
pratiche di Italia, mandò buono numero di cavalli in quello di Pisa agli aiuti
nostri sotto el signore di Piombino, messer Carlo degli Ingrati ed altri
condottieri. E perché si cognosceva che e' viniziani, per divertire la impresa
di Pisa, ci offenderebbono forse dalla banda di Romagna, per avere più fortezza
in quella provincia, fu tolto a soldi nostri con ordine del duca, Ottaviano
figliuolo di madonna di Imola, e lei co' figliuoli e discendenti fatta
cittadina di Firenze, acciò che la potessi essere donna di Giovanni di
Pierfrancesco, rispetto che nel 94, parendo che e modi di Piero non fussino
secondo la natura di quella casa, ma costumi Orsini, e che el parentado loro
avessi in molte cose nociuto assai alla città, si era fatta una legge che
nessuno cittadino potessi tôrre per donna alcuna forestiera che fussi signora o
di sangue di signori; e benché detto parentado in fatto fussi contratto, pure
non si publicò mai vivente Giovanni, el quale pochi mesi poi mori lasciandola
grossa.
Così ordinata
la espedizione di Pisa, trovandosi in campo commessario Benedetto de Nerli e di
poi Iacopo di messer Luca Pitti, e per sottocommessario Francesco di
Pierfilippo Pandolfini, era el nuovo capitano molto sollecito ed industrioso in
fare cavalcate, in condurre artiglierie per luoghi montuosi e che era quasi
impossibile, ed in effetto in dare ordine a tutte le cose che fussino
necessarie a una espedizione. Nel quale tempo el duca di Milano condusse per
capitano el marchese di Mantova, e promettendolo a fiorentini per a Pisa, per
dubio che el capitano nostro non avessi per male di avere superiore, fu mandato
da' dieci in campo Piero Guicciardini per posarlo in questa parte, e così per
confortarlo a fare qualche impresa ed intendere la intenzione sua; ma di poi si
posò questa pratica, perché el marchese si acconciò con viniziani, benché di
poi adiratosi con loro, ritornò presto a' servigi del duca. E perché era
qualche opinione che e' viniziani per fuggire questa guerra, non fussino alieni
dallo accordo, pure che si trovassi qualche onorevole modo da lasciare Pisa,
furono mandati imbasciadori a Vinegia a trattare questa pratica, messer
Guidantonio Vespucci e Bernardo Rucellai, e per sottoimbasciadore Niccolò di
Piero Capponi; e quali stati a Vinegia forse due mesi, veduto che e' viniziani
simulavano, se ne ritornorono a Firenze sanza fare conclusione alcuna.
In questo mezzo
el capitano nostro, fatto forte alla campagna, avendo. prima in qualche
battaglia leggiere danneggiati assai e' pisani, ne venne a campo a Vicopisano,
e preso prima prestissimamente uno bastione che vi era stato fatto da' pisani
per fortezza di quel luogo, espugnò in pochi dì Vico; la quale prima
espedizione sua gli dette grandissima riputazione, per essere Vico luogo forte
e che nella antica guerra di Pisa non si vinse se non con uno esercito più grosso,
ed in spazio di molti e molti mesi; e di poi in questa nuova, si era nell'anno
1495 difeso dal campo nostro, quale benché fussi governato da messer Francesco
Secco, ed altri buoni capi e fussi di numero non minore, nondimeno si era
partito sanza effetto e molto danneggiato dagli inimici.
Preso Vico, fu
lunga consulta quello si dovessi fare: el capitano considerando quanto Pisa
fussi forte, ripiena di uomini valenti e disperati, ed a ordine di artiglierie
e tutte le cose necessarie a difendersi e così quanto quella espugnazione
avessi a essere difficile, giudicava che e' fussi bene pigliare e' luoghi
vicini, insignorirsi in tutto del paese, faccendo bastioni e luoghi forti, e
così privargli d'ogni speranza di soccorso. Molti, massime e' meno pratichi,
erano in contraria opinione ed insuperbiti per la vittoria di Vico e lo essere
alla campagna sanza riscontro, desideravano si andassi diritto a campo a Pisa,
ed a questa risoluzione si accordava in Firenze tutta la moltitudine. Durò questa
varietà di pareri molti dì, e finalmente sendo el capitano ostinatissimo, per
dare principio al suo disegno ne andò a campo a Librafatta; la quale presa, e
di poi la Torre di foce, e fatti in certi passi che non si potevano guardare
altrimenti bastioni fortissimi, consumò la state. Di che nel popolo cominciò
avere carico grande, come se e non volessi condurre a fine la impresa, ma
mantenerci nella guerra; e non solo lui, ma ancora el duca di Milano che si
diceva volere tenere la guerra in luogo, perché e' viniziani e noi stessimo in
sulla spesa.
In questo tempo
e' viniziani non avendo troppa commodità di mandare soccorso in Pisa, per
divertire questa espedizione cercorono romperci dalla banda di Siena; e perché
la città per fuggire questo pericolo, si era poco innanzi, per ricordi ed opera
del duca di Milano, accordata co' sanesi, accordo certo disonorevole benché
necessario, perché si sospesono per cinque anni le ragione di Montepulciano e
gittossi in terra el ponte a Valiano, Pandolfo Petrucci, che governava allora
Siena, non volle acconsentire alle dimande loro e dubitando di qualche scandolo
drento, perché el popolo per odio de' fiorentini vi era pure vòlto, richiese si
mandassino per sua sicurtà gente in su' confini, e così fu mandato al Poggio
Imperiale el conte Rinuccio da Marciano con dugento uomini d'arme. Disperati
adunche e' viniziani da questa banda, mandorono gente in Romagna alla volta di
Marradi, dove a riscontro vi furono mandate parte delle nostre gente, ed el
duca di Milano vi mandò potente soccorso sotto el governo del conte di Caiazzo
e di Fracasso, in modo che con queste forze e col favore si traeva delle terre
di madonna di Imola, facilmente si difese lo stato nostro da quella banda, in
modo che renduti vani in ogni luogo gli sforzi de' viniziani, pareva che le
cose nostre tutto dì migliorassino e riducessinsi in buoni termini.
Aggiugnevasi che nella città pareva ritornassi ogni dì la unione, e già nel
consiglio, quando si creavano e' magistrati, non erano difettati più e'
piagnoni che gli altri; in modo che, creandosi del mese di ottobre lo uficio
de' dieci che aveva a entrare poi di dicembre, ne furono eletti con messer
Guido uno de' capi dell'altra parte, messer Domenico Bonsi, Batista Serristori
e Luca di Antonio degli Albizzi, che erano stati fautori del frate.
Ma sopravenne
sulla fine di questo mese uno accidente che rimescolò tutto lo stato nostro;
perché e' viniziani, avendo seco e' Medici, ebbono furtivamente in Casentino
Bibbiena, per trattato tenuto con certi parenti di ser Piero cancelliere di
Piero de' Medici ed eziandio per mala cura di Cappone di Bartolomeo Capponi,
che vi era per questi sospetti stato mandato commessario. Fu questa piaga di
grande importanza, avendo e' nimici in corpo ed in luogo sì propinquo alla
città, e' quali erano molto più temuti per avere seco e' Medici che avevano
molti amici del nostro contado. Dubitandosi adunche di Poppi, Pratovecchio e di
altri luoghi del Casentino, vi furono subito mandati fanterie e commessari, fu
posta la taglia drieto a Giuliano de' Medici, che prima non l'aveva se non
Piero; voltoronvisi le gente di Milano sotto la cura del Fracasso, perché el
conte di Caiazzo era già ritornato in Lombardia; e per cavarne a ogni modo gli
inimici, si levò in ultimo Pagolo Vitelli di quello di Pisa, dove non faceva
nulla, e fu adiritto in Casentino, dove fu creato commessario generale Piero
Corsini, sendo ito per commessario dalla parte di Pisa Piero Guicciardini. Fu
alla fine del medesimo mese, nella creazione della nuova signoria, eletto
gonfaloniere di giustizia Bernardo Rucellai, el quale sendo un poco amalato
rifiutò, seguitando la natura e modi sua, di che si dirà in altro luogo; ed
èbbene gran carico, quasi come se e' non degnassi lo essere gonfaloniere e non
si potessi saziare la ambizione sua; fu in suo luogo sustituito messer
Guidantonio Vespucci.
Per la venuta
di Pagolo Vitelli in Casentino non solo si confermorono le terre nostre, ma
ancora si cominciorono a strignere tutto dì gli inimici; in forma che pigliando
animo e' villani del paese che sono naturalmente uomini armigeri e sono in
luoghi forti dove non si possono adoperare e' cavalli, ne feciono molte volte
occisione, trovandosi a tutto come capo uno abbate Basilio dello ordine di Camaldoli,
el quale aveva in Casentino una badia; furono ancora rotti e perseguitati da
Pagolo Vitelli tanto che finalmente le gente loro si ridussono in Bibbiena col
duca di Urbino e con Giuliano de' Medici, donde non si potevano partire a loro
posta e non avevano vettovaglia per molto tempo. E benché e' processi del
nostro capitano in quella provincia fussino e felici e industriosi, nondimeno
perché e' primi urti e più spessi che ebbono gli inimici, furono dallo abbate
Basilio e da' paesani, si accrebbe molto nel popolo la opinione cattiva
conceputa di lui la state passata, come se e' volessi a compiacenzia del duca
tenere la guerra viva; massime che poi che gli inimici furono ridotti in
Bibbiena, stimandosi fussi facile cosa lo acquistarla, pareva al popolo le cose
andassino molto adagio; il che nasceva perché lo esercito nostro si poteva poco
adoperare, sendo nel cuore del verno ed in luoghi montuosi ed aspri.
Aggiunsesi che
essendo el duca di Urbino malato gravemente in Bibbiena, el capitano e Pier
Giovanni da Ricasoli, che vi era commessario, gli concederono, sanza saputa de'
dieci, licenzia di uscirne ed andarsene a Urbino, allegando averlo fatto perché
se e' fussi morto lo stato suo sarebbe ito in mano de' viniziani; ebbene l'uno
e l'altro gran carico e nondimeno non ne fu altro. Per la qual cosa per tutta
la città era molto celebrato ed esaltato el nome dello abbate Basilio e pel
contrario si sparlava publicamente del capitano e anche del duca di Milano el
quale con tutto che ogni dì sollecitassi la impresa di Bibbiena, richiedendo di
intendere quello bisognassi e promettendo farlo largamente, con tutto avessi
anche insino allora servito di gente e di danari, nondimeno perché era in
opinione di ambizioso ed astuto e che si governassi più tosto con girandole e
tranelli che realmente non poteva tanto fare che in Firenze dalla moltitudine
ed ancora da molti che maneggiavano lo stato gli fussi creduto.
Erano in questi
termini le cose della città, e da altra parte Italia universalmente si
adirizzava a movimenti grandissimi perché el nuovo re di Francia, avendo per
via del matrimonio colla regina vecchia conservato al reame di Francia lo stato
di Brettagna, ed essendosi bene stabilito nel regno ed in tutto assicurato
aveva in tutto vòlto el pensiero al passare in Italia, prima alla impresa di
Milano e poi di Napoli; ed essendo cosa di momento grandissimo ne stavano molto
sollevati tutti e' potentati di Italia, secondo gli appetiti e passione loro ed
e' termini in che si trovavano.
El papa,
desideroso di fare uno stato per Valentino suo figliuolo, né ci conoscendo
altra via che la passata de' franzesi, non cessava di continuo sollecitare e
stimolare questa impresa.
Erano e'
viniziani aviluppati in affanni grandissimi, perché oltre a' travagli e rotte
del Casentino ed el conoscere assolutamente non potere più tenere Pisa né la
potere lasciare sanza gran danno e vergogna, si ritrovavano dalla parte di
levante in sospetto grande di guerra col turco, el quale si intendeva fare
apparati grandissimi per mare e per terra per venire a' danni loro; temevano
ancora che el duca di Milano se si posassi insieme collo imperadore e'
fiorentini, non gli offendessi in Lombardia, e come avevano sospetto di lui, così
se ne riputavano grandemente ingiuriati, perché per opera sua erano al disotto
nelle cose di Pisa, nelle quali se avessino avuto a fare co' fiorentini soli,
arebbono ottenuto ciò che volessino; ed inoltre credevano che egli concitassi e
stimolassi el turco contro a di loro, mossi adunche da paura e da sdegno, erano
vòlti col pensiero alle cose di Francia e cercavano collegarsi col re contro al
duca, spignendovegli anche la ambizione, perché disegnavano acquistare qualche
terra dello stato di Milano.
E' fiorentini
avevano dua pensieri: l'uno cacciare e' viniziani di Casentino, l'altro riavere
Pisa; e perché l'uno e l'altro, massime el primo, non si potevono fare sanza
favore del duca, erano da un canto sforzati procedere con lui, da altro temendo
assai la potenzia del re ed anche avendo speranza da lui, se si accordassino
seco della restituzione di Pisa, stavano da principio ambigui, ma poi per
conforto del duca si risolvevano allo accordo.
El re Federigo
trovandosi nello stato molto debole e quasi sanza forza, con tutto che avessi a
participare del male, pure perché el pericolo di Milano era primo, o per non
potere o per non sapere, non pareva si risentissi in queste cose come sarebbe
stato el debito.
El duca si
trovava in pensieri grandissimi, conoscendo che la potenzia di Francia era di
gran lunga superiore alla sua; e considerato non si potere valere della unione
di Italia, per essere el papa certo con Francia ed e' viniziani dubii, teneva
pratiche collo imperadore; inoltre riputando Paolo Vitelli uomo valentissimo
per potersene valere ne' sua bisogni, desiderava da cuore che noi ci
reintegrassimo col favore suo delle cose nostre, parendogli che quando questo
fussi per opera e beneficio suo, che non solo conseguirebbe lo intento suo di
Pagolo Vitelli, ma ancora arebbe a' sua bisogni tutte le forze della città
nostra. Ed inoltre sapendo e' viniziani essere stracchi delle cose di Pisa e
che volentieri se ne uscirebbono per via di accordo, e così sapendo quanto si
tenessino offesi da lui e desiderando placargli acciò che per sdegno non si
accordassino col re, cominciò, per fare loro beneficio a fare tenere pratica
dal duca di Ferrara, come uomo di mezzo, di composizione tra e' viniziani e
noi, confortando caldamente la città volere pigliare ogni accordo pel quale e'
viniziani si uscissino di Casentino e di Pisa. Ed inoltre dubitando che questo
rimedio con viniziani non bastassi, confortava e' fiorentini a fare accordo col
re di Francia, parendogli che oltre a potere questo essere buono mezzo a farlo
venire in qualche composizione tollerabile col re, fussi ancora la via a
escludere e' viniziani dalla amicizia di Francia; perché, secondo le pratiche
andavano a torno, el re ci aveva a promettere la restituzione di Pisa, e così a
obligarsi contro a' viniziani; e consequentemente fatto l'accordo nostro col
re, quello de' viniziani rimaneva incompatibile; e così e' viniziani sarebbono
forzati o unirsi con lui alla difesa degli stati di Italia o almeno starsi
neutrali e così lui colle forze sue e con qualche aiuto dalla Magna, potersi
più facilmente difendere da Francia.
Stando le cose
in queste ambiguità e sospensioni, fu mandato messer Antonio Strozzi da' dieci
a Ferrara per questa pratica di accordo che era nelle mani del duca, ed a
Milano fu eletto imbasciadore, per meglio risolvere le cose nostre con quello
principe, el vescovo de' Soderini, benché vi fussi ancora oratore per stanza
messer Francesco Pepi; e di poi desiderandosi la espugnazione di Bibbiena, si
disegnò mandare in campo due commessari di riputazione, e' quali intendessino
quel bisognava a quella impresa e la riscaldassino tanto che se ne venissi al
fine; e così furono eletti Giovan Batista Ridolfi e Paolantonio Soderini Ma
pochi dì poi, riscaldando la pratica di Ferrara, ed avendo el duca grande
intenzione da' viniziani della conclusione e volendo per più facilitarla
transferirsi a Vinegia, richiese gli fussino mandati imbasciadori con mandati
pieni; e però vi furono eletti Giovan Batista Ridolfi e Paolantonio Soderini, e
per sottoimbasciadore Alessandro di Donato Acciaiuoli e per scambio loro in
Casentino Antonio Canigiani e Lorenzo di Pierfrancesco; e la medesima sera fu
fatto a Roma imbasciadore stanziale messer Antonio Malegonnelle, e per
sottoimbasciadore Ruberto di Donato Acciaiuoli. Ed innanzi gli imbasciadori
partissino per Vinegia e Ferrara intendendosi per lettere di Francia come
l'accordo nostro si strigneva col re, e che e' viniziani pareva avessino rotto
sopravenne subito nuove fuora della opinione di tutti, essersi fatto accordo e
lega tra el re di Francia, papa e viniziani, e come e' viniziani si obligavano
a dare al re certa somma di danari, ed e converso acquistandosi lo stato
di Milano, avevano a avere Cremona con tutto el cremonese e la Ghiaradadda,
benché queste condizioni furono da principio segretissime.
Alterossi la
città assai per questa nuova, ma molto più si alterò e sbigottì el duca,
parendogli avere gran carestia di partiti; nondimeno disposto a non si
abbandonare, mandò subito per le poste a Firenze messer Galeazzo Visconti,
gentiluomo di Milano ed apresso a lui di grande autorità, a intendere donde
procedeva la tardità delle cose di Bibbiena e sollecitare el capitano e gli
uomini sua volessino una volta tirarla a fine, a confortare la città che per
ogni caso stessi bene armata e proveduta, ed in ultimo a sollecitare la partita
degli oratori per a Vinegia, perché, non sapendo ancora quanto lo accordo fra
el re ed e' viniziani fussi durabile, desiderava, se fussi possibile,
riconciliarsegli con questo beneficio, e quando non giovassi, che le cose
nostre fussino espedite per potersi valere de' Vitelli. Ed esposte messer
Galeazzo queste cose, ne andò in Casentino e comandò a Fracasso ne andassi a Milano,
dove giunto, ebbe subito bando di rubello per aver tenuto in Casentino pratiche
co' viniziani di cattiva natura.
In questo tempo
lo uficio de' dieci accrebbe la condotta al conte Rinuccio, che fu cosa
perniziosa alla città; e perché si intenda meglio s'ha a sapere che fra e'
Vitelli ed el conte era emulazione grandissima perché el conte, sendo di una
medesima età che Pagolo e stato molto più tempo di lui a' soldi nostri, aveva
per male che lui gli fussi stato preposto in titolo, e per questa cagione,
quando Pagolo fu fatto capitano, si sarebbe alienato da' soldi nostri; se non
che per essere tenuto valente uomo e fedele, fu ritenuto con molti prieghi e
conservatogli el titolo di governatore del campo e datagli tanta condotta
quanta avevano e' Vitelli; e nondimeno non sendo bene contento, più tosto
intraversava ed opponevasi alle imprese di Paolo che altrimenti e tutto dì
cercava di salire in più condotta e più condizione di lui. Da altra banda
Pagolo, avanzandolo così di virtù come di titolo comportava male volentieri
questa emulazione, né gli pareva giusto el conte avessi condotta quanto lui, e
nondimeno, sendo così pregato, l'aveva acconsentito, ma non arebbe già patito
che egli lo avanzassi di condotta. Nascevano ogni dì fra loro contese e
dispareri, che non solo generavano divisione nel campo e tra' soldati, ma
ancora nella città, dove l'uno e l'altro aveva molti fautori, chi per amicizia,
chi perché giudicassino essere così el bene della città; in modo che per questa
discussione, che non era piccola, le imprese del Casentino erano ite molto più
debole e fredde che non sarebbono ite.
Aveva el conte
tenuto segretamente cogli amici suoi una pratica che gli fussi accresciuto la condotta,
e per ottenerla operato astutamente che da Milano e molti luoghi era venuto
aviso che lui era per condursi con viniziani con gran vantaggi; in su' quali
avisi mostravano gli amici sua che questa sarebbe cosa perniziosa alla città e
che l'arme nostre diminuirebbono, ed e converso quelle de' viniziani si
accrescerebbono in Toscana; e' quali oltre allo avere più gente, si varrebbono
d'uno uomo valente e che, per essere stato lungo tempo a' soldi nostri, aveva
gran notizie de' passi e del paese, ed anche amicizia con molti nostri sudditi.
Ed essendo udite queste ragione nello uficio de' dieci, de' quali si trovavano
Luca d'Antonio degli Albizzi e Bernardo Rucellai suoi grandissimi fautori, che
era stato eletto in luogo di messer Guido che era ito capitano di Pistoia,
finalmente ne feciono la condotta non avendo in compagnia chi bene considerassi
la importanza della cosa. E perché in luogo di Giovanni Manetti, morto, era
suto eletto de' dieci Piero Guicciardini che si trovava commessario in quello
di Pisa, dubitando che lui mosso o dal bene della città o da essere amico di
Pagolo non guastassi questa pratica, sollecitorono la conclusione in modo che
la feciono la sera che Piero tornò in Firenze, ed essendo egli ito alla
signoria e di poi a pigliare l'uficio ed in ultimo, non avendo notizia di
questa materia, preso licenzia de' compagni per essere stracco ed itosene a
casa, non gli dissono quello volessino fare, ma come fu partito, ne feciono el
partito. Il che intendendo Pagolo, ne fece fare da messer Currado suo
cancelliere molte doglienze, in modo che per posarlo fu necessario accrescere
la condotta ancora a lui al pari di quella del conte Renuccio.
E così la città
si trovò con tanto numero d'uomini d'arme adosso, che non poteva soportare
tanta spesa, benché più volte si fussi fatto el calculo di quegli dovessino
tenere e non gli passare; e lo uficio de' dieci ne acquistò tanto carico, e
così e' primi cittadini, parendo allo universale che e' governassino secondo le
loro spezialtà, non secondo la utilità della città, che ne seguì pessimi
effetti, come di sotto in altro luogo si dirà.
Partirono di
poi gli oratori e vennono a Ferrara, e quivi aboccatosi con quello principe,
pochi dì poi ne andorono insieme con lui a Vinegia, intendendosi che e'
viniziani da cuore desideravano lo accordo. Quivi sendosi più giorni dibattuto
le cose nostre, in ultimo. si compromessono tutte le differenzie nel duca di
Ferrara, benché per parte della città vi si andassi adagio, dubitando che più non
potessi in lui el rispetto e timore de' viniziani che la giustiza: pure per
conforto del duca di Milano vi si concorse.
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