Con questa
azione si finì l'anno 1498, nel quale se bene fussino accidenti grandi
nondimeno furono molto maggiori quegli del sequente anno 1499, nei principio
del quale el duca Ercole dette in Vinegia el lodo delle nostre differenzie con
viniziani. E lo effetto fu che e' viniziani dovessino per tutto dì 25 di
aprile, che era il dì di san Marco, avere lasciato Pisa e Bibbiena e tutte le
cose tenevano in quello contado e per satisfazione di parte delle spese avevano
fatte in quella guerra, dovessino avere da noi in termine di quindici anni ducati
centottantamila, pagandone ogni anno ducati dodicimila, dovessino e'
fiorentini, recuperando Bibbiena, perdonare a' bibbienesi; ed in caso che e'
pisani volessino essere compresi in questo accordo, si intendessi el commerzio
e governo della città renduto a' fiorentini, e' quali avessino a riavere tutto
el contado di Pisa, a mandare in Pisa uno podestà, con questo che Vicopisano e
le fortezze fussino tenute da' pisani per loro sicurtà, ed el duca di Ferrara
vi avessi a mandare uno dottore che fussi proposto alle appellazioni, e credo
ancora al criminale.
Dispiacque
assai a' viniziani questo lodo, perché dicevano che rimanendo e' pisani
abandonati, venivano assolutamente in mano de' fiorentini, e però, che
recuperando, come si poteva dire, e' fiorentini per virtù di questo lodo Pisa,
dovevano essere condannati a satisfargli di presente almeno di buona parte
delle spese fatte in questa guerra che ascendevano alla somma di ducati
settecentomila o più; e dolsonsi in modo del duca, che egli temé assai non gli
fussi fatto villania e fu costretto, per satisfare loro, aggiugnere pochi dì
poi al lodo certe dichiarazione, le quali restrignevano le preeminenzie e
iurisdizione che e' fiorentini avevano a avere in Pisa, e fortificavono la
sicurtà de' pisani. E fatto questo, doppo qualche dì si risolverono volentieri
al lodo, non già ratificandolo espressamente, ma cavando le gente di Pisa e
Casentino al tempo debito, dissono averlo ratificato co' fatti.
Furono le
medesime doglienze ne' fiorentini, a' quali dispiacquono due cose: l'una che
rimanendo le fortezze a guardia ed in mano de' pisani, loro non riacquistavano
el dominio della città, in modo che e' pisani rimanevano liberi di potere ogni
volta di nuovo ribellarsi, il che era credibile farebbono, rispetto alla
ostinazione e malignità loro ed allo odio grande ci portano; l'altra che e'
pareva aspro che e' viniziani, e' quali, per avere occupato le cose nostre e
molestatoci ingiustamente, avevano di ragione a rifarci di quello avamo speso,
fussino pel lodo fatti creditori di ducati centottantamila; né ci pareva
beneficio l'avere a rilasciare Pisa ed el Casentino, sapendosi che erano in
termini che vi potevano poco stare, e però furono ambigui al ratificare; ma
confortandone instantemente el duca di Milano, e mostrando che ogni principio
di entrare in Pisa in qualunque forma era da stimare assai, perché non
mancherebbono poi de' modi a insignorirsene interamente, e che la somma del
danaio per essere divisa in tempi lunghi non era grave, e promettendo anche
aiutargli in questo pagamento, finalmente ratificorono.
Minore
ambiguità fu ne' pisani, perché parendo loro essere stati rivenduti da'
viniziani, e non si fidando delle promesse de' fiorentini e che e' patti
avessino a essere loro osservati, non vollono in modo alcuno acconsentire,
benché el duca di Milano tenessi pratiche ed ogni industria che e' si
disponessino. E così el duca rimase ingannato delle ragioni per le quali si era
affaticato su questo accordo, perché né e' viniziani gliene seppono grado, né
e' fiorentini per la ostinazione de' pisani rimasono in modo espediti che si
potessi valere di loro o di loro gente.
Fatto lo
accordo ed osservato dalle parte principale, e' fiorentini entrorono in Bibbiena
abandonata e gittorono le mura in terra, il che fu biasimato perché parve
contro allo accordo, nel quale si era promesso perdonare agli uomini di
Bibbiena; parve ancora disutile, perché per rispetto de' pisani pareva tempo da
usare dolcezza. Pisa rimase in mano de' pisani, e cognoscendosi bisognava la
forza, dirizzandosi gli animi a farne impresa, perché Pagolo Vitelli, fatto lo
accordo, era ito a Castello non molto fermo colla città, vi fu mandato da'
dieci Piero Corsini, el quale, fatte con lui nuove riconvenzione, lo ricondusse
in quello di Pisa, e lui vi rimase commessario insieme con Pierfrancesco
Tosinghi che vi era prima commessario per stanza.
Nel quale tempo
avendosi a creare e' dieci di balìa nuovi, e faccendosene secondo lo ordine le
nominazioni in consiglio grande dove andorono sempre a partito e' primi uomini
della città, non fu mai possibile ne vincessi nessuno, e benché la signoria ne
facessi molte volte pruova, tutto fu vano, in modo che e' fu necessario
lasciare la città in tempi di guerra e di imprese grande. sanza el magistrato
de' dieci. Le cagioni furono, perché la guerra di Pisa era stata molto lunga e
vi si era speso drento somma infinita di danari con quegli si erano dati al re
di Francia, e tutti sanza frutto e successo alcuno, in modo che sendo
multiplicato ogni di e' nostri disordini, la moltitudine che non considera la
circumstanzia delle cose, credeva che e' fussi proceduto perché e' primi
cittadini non avessino voluta la recuperazione di Pisa anzi avessino avuto caro
tenere la città in continui affanni, acciò che la avessi più bisogno della
opera loro e per avere più facilmente occasione, quanto più fussino stracchi ed
indeboliti e' cittadini, mutare el consiglio grande: e perché questi primi
sempre intervenivano nel magistrato de' dieci, però el nome di quello
magistrato era in sommo odio, e vulgarmente per gli uomini più popolani si
diceva: «né dieci né danari non fanno pe' nostri pari». Aggiugnevasi che, come
interviene quando e' cittadini non hanno uno sopracapo chi e' temino o
riverischino, le spezialtà di molti che erano stati de' dieci, erano sute
grandissime, sì in dare favori estraordinari a qualche condottiere, come dicemo
di sopra del conte Rinuccio, sì in volere fare guadagnare qualche cosa a' cittadini
loro parenti o amici, in modo che quando si era fatto qualche fazione, avevano
mandato fuora sanza alcuno proposito uno numero grandissimo di commessari;
delle quali cose erano multiplicate assai le spese della città, ed oltre a una
difficultà estrema che si era introdotta di vincere provisione di danari in
consiglio grande, el nome del magistrato de' dieci era allora più esoso al
popolo che cosa si potessi loro proporre. E però disperata la signoria, che ne
era gonfaloniere di giustizia per maggio e giugno Francesco Gherardi, che e' si
vincessino e' dieci, governava lei le cose della guerra, chiamando sempre una
pratica de' primi cittadini, per consiglio de' quali si deliberavano le cose
importante; e vòlti gli animi di tutti alla impresa di Pisa, esaminando le
forze nostre e degli avversari, si conchiuse che, poi che e' pisani erano
abbandonati e per le condizione di Italia non potevano sperare soccorso potente
di luogo alcuno le nostre gente sole erano atte a espugnarla sanza e' favori
del duca di Milano; al quale dispiacque assai el non essere richiesto,
parendogli che la città non volessi in questo caso obligo seco, per non essere
tenuta aiutarlo nella guerra contro a Francia, che tutto di riscaldava.
Fatta questa
conclusione, e bisognando danari per la esecuzione, si messe in consiglio
grande una provisione di danari la quale aveva difficultà grandissima a
vincerla per le condizioni dette di sopra, e perché el popolo desiderava che
nella elezione de e' magistrati di drento e di onore si seguitassi quello modo
che si teneva negli ufici di fuora e di utile, cioè di imborsare tutti quegli
che avessino vinto per la metà delle fave e una più, e però davano le fave
bianche a ogni cosa. Fecesene pratica, e veduto quanto importava Pisa alla
città e come la impresa, per essere e' pisani soli, era molto riuscibile e più
che fussi stata in tempo alcuno doppo el 94, con tutto che el desiderio del
popolo si cognoscessi dannoso alla città, pure per meno male si conchiuse di
fare una nuova provisione di danari, nella quale si congiunse che gli ufici di
drento si eleggessino come quelli di fuora, eccetto che e' si nominassi chi
doveva andare a partito. E così proposta questa provisione, era el popolo tanto
infastidito del pagare danari, ed anche aveva sì poca fede in Paolo Vitelli,
che non si sarebbe vinta; se non che Francesco Gherardi gonfaloniere con tanta
destrezza ed umanità e con modi tanto dolci e da prudente seguitò di proporre
la provisione, che finalmente per virtù sua, benché non sanza difficultà
grande, si ottenne.
La quale vinta,
subito si dettono danari in campo, ed el capitano nostro andatone a campo a
Cascina con sua grandissima gloria in pochissimi dì la espugnò. Benché, come lo
menava la sorte sua, questa vittoria gli multiplicassi carico col popolo;
perché in Cascina fu preso Rinieri figliuolo di messer Pietro Paolo dalla
Sassetta, el quale, sendo nella guerra de' pisani a' soldi nostri, si era di
poi partito occultamente, non so per che cagione, ed itosene a Pisa, dove in
ogni tempo, e massime quando el duca Ercole dette el lodo, aveva operato assai
contro alla città, confortando allora e' pisani a non volere ratificare; e
perché questi portamenti erano in lui tanto più molesti quanto più erano alieni
da uno nostro raccomandato e che fussi stato a' soldi nostri, però era in sommo
odio al popolo. Aggiugnevasi che sendo costui stato non molto innanzi a Milano,
si riputava che se el duca malignava nelle cose di Pisa, di che la città non
era in tutto chiara, lui sapessi el segreto suo; e però sendo lui stato preso,
fu subito scritto al capitano che l'aveva nelle mani, lo mandassi a Firenze, e
si giudicava che da poi che e' fussi esaminato di quello sapeva, gli sarebbe
tagliato el capo; ed aspettandosi a Firenze, venne nuove come lui si era
fuggito, ed in fatto fu lasciato da Paolo, el quale non volle essere bargello
di uno soldato da bene e valente. Ma a Firenze chi aveva sospetto di lui
interpretò perché e' non volle che Rinieri, che sapeva e' segreti de' pisani e
si credeva sapessi quegli del duca circa alle cose di Pisa, lo scoprissi di
pratiche tenute col duca e co' pisani contro alla città, e per questa voce si
accrebbe grandemente la mala opinione era di lui ed el carico aveva di
malignare in queste cose.
Presa Cascina,
usci la signoria vecchia con tanta grazia e favore di Francesco Gherardi, che
sanza dubio molti anni innanzi non era stato uno gonfaloniere di giustizia che
fussi uscito con benivolenzia pari a lui, in modo che al certo e' si trovava con
più credito ed autorità nel popolo che altro cittadino da Firenze; ed entrata
la signoria nuova, fatta per tratta, si attendeva e nella città ed in campo a
provedere le cose oportune per andare a campo a Pisa.
Nel quale tempo
crescevano ogni dì le angustie del duca di Milano, perché el re di Francia si
ordinava e metteva in punto con gran celerità, el papa, con tutto avessi tenuto
qualche pratica di accordo col duca, si era dichiarato talmente pel re, che
monsignore Ascanio disperato di potere fare frutto con lui ed anche forse
temendo di sé, aveva abbandonato la corte ed itosene a Milano; nel medesimo
termine erano e' viniziani risoluti interamente, per la ambizione di acquistare
Cremona, alla disfazione dello stato di Milano; le cose della Magna erano sì
fredde che e' disegni fatti di quella provincia riuscivano fondati in aria; non
si poteva durante la impresa di Pisa fare fondamento in Pagolo Vitelli. In modo
che el duca era in cattivi termini, e massime che per sue colpa si privava di
uno rimedio che sarebbe stato in sue potestà, perché sendo nate certe
differenzie tra lui ed el marchese di Mantova, suo capitano, circa alla
condotta, le quali erano nutrite da messer Galeazzo da Sanseverino per
ambizione di essere lui capitano in luogo del marchese, fu sì poco in questa
parte el giudicio del duca, che non vi pose rimedio; in forma che el marchese
si alienò da lui e così per colpa sua gli uscì di mano uno instrumento che
pareva attissimo o a guidare lo esercito contro a' franzesi o a difendere lo
stato di Milano dalla banda de' viniziani.
Per le quali
cose vedendosi a Firenze la debolezza sua, ed instando el re che la città si
dichiarassi in suo favore, erano vari e' pareri de' cittadini: alcuni non si
volevano inimicare al duca, parendo fussi cattivo pagamento agli aiuti e favori
ci aveva dati, e' quali erano stati di natura che si poteva dire per opera sua
e' viniziani essere stati cacciati di Toscana; ed inoltre giudicando che el
duca colla potenzia sua e co' favori trarrebbe della Magna, si difenderebbe in
modo che non sarebbe inghiottito sì facilmente come era la opinione di molti,
ed a questo parere concorrevano massime quegli che si erano travagliati contro
al frate, che sempre erano stati inclinati alle cose del duca e più alieni da
Francia, alcuni altri considerando la gran potenzia del re di Francia congiunto
co' viniziani e col papa, facevano giudicio che lo stato di Milano non avessi
rimedio e che e' fussi pazzia volere perire con lui, ricordando quanto fussi stato
el danno della città nel per volere opporsi al re Carlo; e così sendo di varie
opinione e' cittadini, non se ne faceva conclusione o risoluzione alcuna.
In questo
tempo, sendo a ordine gli apparati della guerra, Pagolo Vitelli col nostro
esercito si pose a campo a Pisa a dì... ed avendo piantate le artiglierie,
cominciò a strignere la terra. e di poi el dì di san Lorenzo, non sendo ordine
al dare la battaglia presono e' soldati suoi Stampace, ròcca forte di Pisa. Per
la quale perdita in modo sbigottirono e' pisani che si cominciorono a ritirare
indrieto, e messer Piero Gambacorti ed alcuni altri fuggirono a Lucca, in forma
che se e' si seguitava la vittoria, Pisa era sanza dubio el dì nostra. E durò
questa occasione, come dicono, bene otto o dieci ore, ma el capitano che non
aveva ordinato el dì dare la battaglia, non credendo forse che e' nimici
fussino in tanto terrore e disordine, fermò e' soldati sua; e però e' pisani
rincorati feciono ripari da quella parte, in modo che per la via di Stampace
non si potessi entrare nella terra. Erano intanto cominciate nel campo nostro,
per la cattiva aria che vi suole essere in quegli tempi, certe febre
pestilenziale, delle quale molti erano già amalati, e fra gli altri tutti a due
e' commessari, che ne morì Piero Corsini, e furono mandati subito in luogo loro
Francesco Gherardi e Paolantonio Soderini e' quali vi ammalorono in pochi dì,
in forma che e' cittadini vi andavano male volentieri; pure vi fu mandato Luigi
della Stufa e Pierantonio Bandini che subito ammalorono; e vi fu di poi mandato
Piero Vespucci che ancora lui in ultimo ne tornò ammalato a Firenze.
In questo mezzo
el capitano aveva colle artiglierie gittato in terra tanto muro, che molti
giudicavano che, dandosi la battaglia, Pisa si otterrebbe; e lui non lo negava,
ma diceva sarebbe con molta uccisione degli uomini suoi, e però essere meglio
differire el darla tre o quattro dì, perché sarebbe in terra tanto muro, che al
certo con poco danno e pericolo de' soldati si vincerebbe, e però essere meglio
pigliare el partito più sicuro, massime che in sì piccola dilazione non poteva
sopravenire nulla che piggiorassi le condizione nostre. E finalmente avendo
diterminato el dì di dare la battaglia, ed essendo quello dì venuta per sue
richiesta in Firenze la tavola di Santa Maria Impruneta, erano tante
multiplicate le malattie in campo, che vi si trovò sì poco numero di sani,
massime essendo ammalato ancora el capitano, che non si potette dare la
battaglia; e pochi dì poi, diminuendosi ogni dì lo esercito nostro ed essendo
entrati in Pisa, mandati da' lucchesi, trecento fanti, disperata la vittoria,
si levò da campo. La quale cosa gli accrebbe infinitamente el carico aveva
nella città, e non solo appresso la moltitudine ed e' volgari, ma ancora
appresso a molti che usavano el palagio ed avevano autorità.
E così si
terminò questa impresa di Pisa, la quale fu cominciata con speranza grandissima
di avere a riuscire, avendo uno esercito grosso, uno capitano valente, e gli
inimici soli ed abbandonati di soccorso da tutti e' potentati di Italia. Ma el
fine fu vergognoso e con assai danno, rispetto alla spesa fatta che fu grande,
ed alla morte di più commessari, cioè di Piero Corsini, Francesco Gherardi,
Paolantonio Soderini e Pierantonio Bandini, de' quali Francesco Gherardi che
nuovamente era salito in somma benivolenzia, non poté più dolere alla città; la
quale universalmente non si dolse della morte di Paolantonio, perché con tutto
fussi valentissimo uomo e molto prudente ed eloquente ed amatore della libertà,
nondimeno era tenuto ambizioso, e che desiderassi mutare el governo e
ristrignere lo stato in pochi cittadini.
Levato el campo
da Pisa, si creò la signoria nuova per settembre ed ottobre, che ne fu gonfaloniere
Giovacchino Guasconi, nel principio della quale trattando Paolo, desideroso di
recuperare l'onore suo, che si rifacessi el campo, e di ritornare a Pisa,
mostrando per molte ragioni che erano capace a qualche savio, che la impresa
era facile, nondimeno la città vi rinculava e si risolveva al no, parte per
essere stracca, parte per non avere più fede in Pagolo, el sospetto del quale
ogni dì cresceva per molti conti, massime doppo la tornata di Piero Vespucci
che ne fece malissima relazione. In modo che non potendo la cosa stare più
così, che fussi capitano nostro uno riputato inimico nostro, anzi bisognando
facessi qualche effetto, in ultimo Bernardo Rucellai, Filippo Buondelmonti,
Luca degli Albizzi, concorrendo ancora nel parere loro Antonio Canigiani e
Braccio Martelli che erano commessari in campo, ristrettisi col gonfaloniere e
con Francesco Guiducci e Niccolò di Alessandro Machiavelli che erano de'
signori, gli persuasono volessino fare punire Pagolo; e disposti per mezzo di
questi tre gli altri signori, eccetto Antonio Serristori, che per essere in
casa ammalato non gli fu conferito nulla, la signoria commesse a' commessari di
Cascina quello avessino a fare; e' quali sotto colore di praticare el rifare el
campo, lo chiamorono in Cascina a consiglio e quivi lo sostennono, e subito,
come era ordinato, el signore Piero dal Monte e conte Pirro da Marciano ne
andorono al padiglione di Vitellozzo per pigliarlo, ma intesa la cosa, sendo
urtati da certi suoi uomini, ebbe tempo a salvarsi e si fuggì a Pisa, donde poi
si ridusse a Castello.
Venuta a
Firenze la nuova della presa di Pagolo, la quale era segretissima a tutti e'
primi cittadini, eccetti quegli che ne erano stati autori, la signoria,
volendolo a Firenze, mandò subito per lui Filippo Buondelmonti e Luca di
Antonio degli Albizzi, e' quali trovatolo per la via bene guardato, la sequente
sera lo condussono a Firenze; ed avendolo subito esaminato a parole né
cavandone cosa alcuna, lo messono alla fune ed avendogli dati più tratti di
fune e non confessando, lo ritrovorono con altri tormenti, ed ogni cosa in
vano. E così avendo ricerche le lettere e scritture sua, ed esaminato con ogni
modo Cerbone da Castello suo cancelliere, e messer Cherubino dal Borgo a San
Sepolcro molto confidato suo, non vi trovorono cosa di sustanzia per la quale
potessino comprendere che egli avessi, o per pratiche tenute con altri principi
o per inclinazione sua ingannato la città. Ma sendo el gonfaloniere ed e'
compagni in ferma opinione che lui avessi errato e che per essere uomo valente
non si lasciassi sforzare da' tormenti, e così che messer Cherubino e Cerbone
non confessassino perché lui non conferissi con loro e' sua segreti, lo effetto
fu che gli otto per comandamento della signoria gli feciono, la sera poi che
era stato condotto a Firenze, a ore ventitré, tagliare el capo, con grandissimo
gaudio di tutto el popolo che lo riputava nocente, stando cheti e' cittadini di
riputazione, a chi dispiaceva, per non venire in sospetto d'avere tenuto queste
pratiche con lui. E così ebbe miseramente fine Pagolo Vitelli, el quale era
allora in più riputazione che altro capitano di Italia.
Fu sanza dubbio
uomo valentissimo nella arte militare e di buono animo ed atto a cose grandi,
ed aveva condotta la vittoria di Pisa in termini, che si può dire, quando vi fu
a campo, si riducessi a uno asso: ma ebbe molte parte da non satisfare a una
republica come questa: fu uomo avaro, e che con ogni cavillazione cercava di
vantaggiarsi sempre nelle condotte e ne' pagamenti; fu rozzo, e che seguitando
le opinione sue non mostrava di stimare punto e' commessari ed e' cittadini si
avevano a maneggiare seco, il che lo fece venire a noia a molti; volse sempre,
nelle imprese che aveva a fare, tanti ordini e provedimenti, ed andare con
tanta sicurtà e vantaggio, che recava alla città una spesa intollerabile, la
quale trovandosi consumata per gli affanni di tanti anni, male volentieri
comportava tanto carico; tenne sempre pratiche ed amicizie in Pistoia, nel
Borgo a San Sepolcro ed in molte terre principale nostre, il che faceva
sospetto a qualche savio che e' non fussi vòlto a fare stato e signoria nel
dominio nostro.
Ma circa alla
principale cause perché e' fu morto, è opinione quasi chiara che e' fussi
innocente; ed ècci una ragione potentissima, perché sendo lui nel mestiere del
soldo, lo stato e lo essere suo era in essere riputato uomo valente e fedele,
le quali cose tanto gli dava lo acquisto di Pisa e gli toglieva el non l'avere,
che si può dire fussi fondata in quella impresa la gloria e riputazione sua; e
si vede che l'avere Pisa gli recava grandissimo onore ed utilità sanza alcuno
danno, e pel contrario el non l'avere, detrimento grandissimo sanza conoscervi
drento compense di beneficio alcuno; inoltre se egli avessi malignato, non è da
credere l'avessi fatto per suo disegno proprio, ma per qualche suo interesso
che dependessi da satisfarne a altri: a' pisani non è credibile, perché da loro
non poteva conseguire o danari o condizione o cosa alcuna, eccetto el dominio
di Pisa, el quale gli sarebbe stato debito, sendo quella città spogliata ed
avendola a difendere col suo; di poi di tanti pisani che si sono presi ne'
tempi seguenti ed esaminati, de' quali ne è stati alcuni a chi erano noti tutti
e' segreti di Pisa, ne sarebbe stato qualcuno da chi si sarebbe intesa questa
pratica; a altri potentati di Italia ancora non è verisimile, né mai fu persona
vi pensassi, eccetto al duca di Milano del quale si ebbe sospetto; e nondimeno
chi considererà bene ne farà el giudicio medesimo, perché gli è certo che el
duca, massime in questi ultimi tempi, desiderò assai che noi riavessimo Pisa
per potere usare per capitano Pagolo in chi aveva gran fede, e quando fussi
stato di appetito contrario, non è da credere che Pagolo l'avessi stimato,
vedendolo in tanto pericolo col re di Francia che non ne poteva più sperare
cosa alcuna. In modo che per queste ragione io tengo certissimo che Pagolo
andassi dirittamente colla città, e desiderassi per lo interesse ed onore suo sopra
ogni altra cosa la vittoria di Pisa.
Il che è tanto
più credibile, quanto meglio si possono giustificare le calunnie dategli e che
lo mettevano in sospetto: e prima, se preso Vicopisano e' non volle andare
diritto a Cascina e di poi alla espugnazione di Pisa, anzi finì la state nello
acquisto di Librafatta, di Torre di foce ed in fare bastioni ne fu cagione
perché e' pareva impossibile, sendo in Pisa molti valenti uomini pisani e molti
soldati de' viniziani, ed essendo aperta la via del soccorso, acquistarla se
prima non si chiudevano e' luoghi donde potessi venire aiuto; la quale cosa
fatta, giudicava che el vedersi stretti e sanza speranza di più aiuto gli
invilirebbe tanto che più facilmente si condurrebbono, ed inoltre che per questo
modo mancherebbono loro le cose necessarie, in modo che o colle arme o colla
fame se n'arebbe onore. E che questa fussi ragione di savio ci hanno dimostro
poi gli effetti, e' quali ci hanno mostro quanto sieno stata difficile le
imprese fatte contro a' pisani, ancora soli ed abbandonati da ognuno.
Se le cose del
Casentino andorono più adagio che non si sperava o desiderava, ne fu cagione lo
essere nel cuore del verno ed in luoghi asprissimi, la emulazione fra lui ed el
conte Rinuccio, che faceva gli effetti suoi ancora in Firenze, e' provedimenti
che per la stracchezza della città e malo governo si facevano tardi e deboli.
Se lasciò andare Rinieri della Sassetta, non fu per dubio che e' rivelassi le
pratiche sue col duca, le quali né l'uno né l'altro, quando fussino state, gli
arebbe confidate, ma perché vedendolo andare a una morte e strazio manifesto,
seguitò in questo la commune consuetudine de' soldati di Italia, che
considerando a' casi che possono intervenire in sé, si riguardano l'uno
l'altro. Se el dì di san Lorenzo, che si prese Stampace, non seguitò contro
agli inimici, fu perché quella vittoria fu sanza ordine ed improvisa, ed in dì
che non era deputato el dare la battaglia, in modo che lui non sapendo el
disordine degli inimici, si stette come prima aveva disegnato; se e' differì
poi el dare la battaglia, fu perché non considerando a' casi estraordinari
delle malattie, giudicò Pisa essere in termini che conveniva si pigliassi, e
però volle più tosto differire tre o quattro dì per acquistarla con poco
pericolo e facilmente, che averla più presto con difficultà e danno
grandissimo; se in ultimo e' non dette la battaglia, ne furono causa le
malattie, delle quali lui non era indovino, né vi poteva riparare. Per le quali
cose si può conchiudere e fermare la innocenzia sua, e nondimeno la opinione
contraria era tanto radicata in quasi ognuno, che la sua morte fu gratissima,
in modo che Giovacchino Guasconi, benché e' non fussi valente uomo, anzi, come
di poi si scoperse, debole e da poco, ne acquistò grandissima riputazione ed
autorità.
Soportò la
morte Paolo con animo grandissimo e come si apartiene a' valenti uomini, non
vilmente querelandosi e dolendosi, non faccendo segno di sbigottirsi e
perturbarsi di una morte violenta e sì vicina e sempre dicendo che per suo
conto e' sua figliuoli né quegli di casa sua non potrebbono mai essere chiamati
traditori. Fu impiccato con lui messer Cherubino dal Borgo che era nostro
ribelle, e Cerbone fu confinato nelle Stinche in perpetuo.
Fatto questo,
el gonfaloniere volonteroso in tutte quelle cose in che e' credeva satisfare
alla moltitudine, propose una legge, che e' si creassino cinque uomini con
autorità di rivedere dove erano andati e' danari aveva spesi la città, ed e'
conti di chi gli aveva maneggiati, e chiarire debitori chi si trovassi in mano
danari apartenenti al commune, la quale legge vinta e creati e' cittadini, fu
cosa ridicula che, come gli uscì di palagio, fu notificato a loro, ed el primo
che fussi da loro condannato. E la cagione fu, perché sendo lui imbasciadore in
Francia, ed a Milano messer Francesco Pepi, si fece una legge per la quale si
accrescevano e' salari agli imbasciadori; e perché le leggi raguardano in
futuro, messer Francesco Pepi e lui, che già erano fuori, non vi si includevano
e non vi furono compresi espressamente, o per inavvertenzia di chi la fece o
pure perché così fussi la loro intenzione. Di che ritornati a Firenze, e
parendo che, se bene secondo el rigore non avessino a godere el beneficio di
quella legge, pure che la equità gli aiutassi e vi fussi la medesima ragione
che negli altri che furono fatti poi, cercorono di essere pagati in quella
forma; e Giovacchino sendo gonfaloniere scioccamente fece pagare sé e messer
Francesco. E però subito come fu uscito, sendo notificati a' cinque uficiali,
furono chiariti debitori di quella somma e condannati a riporre su quello che
avevano soprapreso, e così la legge fatta da Giovacchino in danno ed infamia di
altri per satisfare al popolo, ritornò in capo suo.
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