In questo
tempo, e poi che el campo nostro si levò da Pisa ed innanzi fussi morto Pagolo Vitelli,
e' franzesi, e con loro messer Gian Iacopo da Triulci fuoruscito di Milano ed
inimico del duca, scesi in sullo stato di Milano, presono Non, castello
fortissimo, ed altri luoghi di quello stato; da altra banda e' viniziani
roppono guerra di verso Lodi. Ma perché el duca si rincorava difendersi da'
viniziani con poca perdita e gli premevano più e' franzesi, spinse tutte le
gente sua a Alessandria della Paglia alle frontiere de' franzesi sotto messer
Galeazzo a Sanseverino, el quale era bellissimo giostratore, ma per viltà e
poca esperienzia nella arte militare non punto atto a guidare uno campo; dove
venendo e' franzesi doppo uno acquisto prestissimo i Valenza, Tortona ed altri
luoghi circumstanti, inviliti bruttamente sanza aspettargli abandonorono Alessandria
in modo che tutta quella provincia si dette subito a' franzesi; ed el duca
sbigottito, non avendo soccorso d~ luogo alcuno, dubitando non essere rinchiuso
in Milano accompagnato da monsignore Ascanio suo fratello, da messer Galeazzo
da Sanseverino ed altri gentiluomini, insieme co' figliuoli e col tesoro si
fuggì nella Magna, e lasciò el castelletto bene guardato, fattone castellano
Bernardino da Corte suo allevato, con disegno che tenendosi el castelletto, di
fare esercito nella Magna, e per via del castello recuperare Milano.
E partito lui,
e' milanesi, che già avevano deputati alcuni gentiluomini a governo della
terra, mandati imbasciadori a' franzesi, si dettono loro; e quali, entrati
drento pochi dì poi, per defetto del castellano che vi era drento, el quale el
duca aveva scelto per più fedele, acquistorono el castelletto; e così tutto lo
stato di Milano venne interamente in mano del re, eccetto Cremona e la
Ghiaradadda, le quali, secondo le convenzioni, furono de' viniziani, benché e'
cremonesi, non ostante che el campo de' viniziani fussi intorno alle mura
stessino molti dì duri e mandassino imbasciadori al re che gli volessi
accettare. Ma el re, con tutto che ne fussi stimolato molto da' milanesi, non
vi volle acconsentire né mancare della osservanzia della fede, e loro sanza
colpo di spada acquistorono uno stato di entrata ducati centocinquantamila lo
anno, e che era el terzo del ducato di Milano, benché in quel tempo medesimo
avessino grandissimi danni dal turco, che tolse loro Modone, Lepanto, Corone,
luoghi importantissimi. E così facilmente si perdé lo stato di Milano e
divisesi in mano degli inimici sua.....
La quale cosa
benché dolessi a tutti quegli a chi dispiaceva Italia squarciarsi e venire al
tutto in mano di barbari e da altra banda e' viniziani ogni dì diventare
maggiori, nondimeno ognuno d'accordo confessò che e' modi e portamenti di
quello principe l'avessino meritato. Perché se bene e' fu signore di grande
ingegno e valente uomo, e così mancassi di crudeltà e di molti vizi che
sogliono avere e' tiranni, e potessi per molte considerazioni essere chiamato
uomo virtuoso, pure queste virtù furono oscurate e coperte da molti vizi;
perché e' fu disonesto nel peccato della soddomia, e come molti dissono, ancora
da vecchio non meno paziente che agente; fu avaro, vario, mutabile e di poco
animo; ma quello perché trovò meno compassione fu una ambizione infinita, la
quale, per essere arbitro di Italia, lo costrinse a fare passare el re Carlo ed
empiere Italia di barbari; e poi sendo tornato el re Carlo in Francia ed
essendo tempo da riunire Italia, a acconsentire anzi confortare e' viniziani
pigliassino la guardia di Pisa, acciò che la guerra e perturbazione di altri
aprissi la via a qualche suo ghiribizzo, le quali cose per giusto giudicio di
Dio, ritornorono, benché con danno e ruina di altri, finalmente sopra el capo
suo.
Spacciato lo
stato di Milano, la città nostra rimase molto ambigua ed in aria, perché,
avanti che le genti del re scendessino in Italia, sendo richiesti dal re
capitolare seco contro al duca di Milano, l'avevano sempre recusato, allegando
non poterlo fare perché el duca guasterebbe loro la impresa di Pisa, pure
strignendoli, si gli era secretamente promesso di non gli essere contro, con
speranza che espedite le cose di Pisa, si procederebbe più là. Venute di poi le
gente sua in Italia, strignendo ogni di più lui la declarazione, la città se ne
risolve tanto adagio, che lui acquistò prima Milano che se ne facessi conclusione
alcuna, nondimeno gli oratori nostri feciono seco in Lione una bozza di
appuntamento con condizione assai ragionevole, con riservo che fra tanti giorni
avessi a essere approvato dalla città.
Nel qual tempo
sendo già venuto el re in Italia e parendogli; per essere le condizione sua
migliore, da potere trarre da noi più somma di danari, o perché gli fussi fatte
sinistre relazione di noi che ci intendessimo col duca di Milano, stimulato
ancora da' viniziani inimicissimi nostri e da messer Gian Iacopo da Triulzi al
quale e' pisani aveano offerto el dominio di Pisa, e lui ne ricercava el
consenso del re, mutò le condizione di quello si era ragionato in Francia, in
modo che innanzi si facessi conclusione, furono le difficultà molte ed e' trattati
lunghi; pure finalmente si fece conclusione, intervenendovi per la città con
libera commissione gli oratori vecchi ed e' nuovi che erano stati mandati a
congratularsi: messer Francesco Gualterotti, Lorenzo Lenzi ed Alamanno
Salviati. Di che fu lo effetto che noi fumo finalmente accettati da lui in
lega, e si obligò a mandare le gente sue a recuperare e restituirci Pisa e le
cose nostre, eccetto Serezzana, ed e converso la città si obligò pagare
a lui quella quantità di danari di che eravamo debitori al duca Lodovico, che
ce ne aveva serviti in prestanza, che furono circa a fiorini venticinquemila,
dargli un certo sussidio di uomini d'arme e di fanterie, in caso gli fussi
molestato lo stato di Milano; e così per la impresa disegnava fare del reame di
Napoli, servirlo di quattrocento uomini di arme e cinquemila svizzeri pagati
per tre mesi, o in cambio di quegli svizzeri dargli ducati cinquantamila, tôrre
a instanzia di San Piero in Vincola per nostro capitano el prefetto di
Sinigaglia suo fratello. E si stipulò el contratto, e per molte parole e segni
sue si fece allora giudicio fussi bene disposto inverso la città; e così stato
poco a Milano, si ritornò di Francia, dove lo seguitorono per conto della città
messer Francesco Gualterotti e Lorenzo Lenzi.
Ne' medesimi
tempi sendo gonfaloniere di giustizia per novembre e dicembre Giovan Batista
Ridolfi, uomo che per conto della casa, di essere riputato prudentissimo, e per
molte qualità era stimato assai si propose in consiglio grande una provisione
di danari, la quale non si vincendo ed essendo ita a partito molte volte,
Giovan Batista non potendo soportare che una provisione sì necessaria non si
vincessi rittosi disse che se gli animi de' cittadini erano volere abandonare
la città, che quegli eccelsi signori non lo patirebbono e, quando non avessino
altro rimedio, sosterrebbono le paghe del Monte de' tre quattro e sette per
cento. La quale parola benché fussi detta con animo libero ed affezionato alla
città, nondimeno dispiacque tanto a chi la udì, che ricimentandosi subito la
provisione, gli scemò el favore in tanta somma che non fu più possibile
vincerla. Il che ho voluto dire, perché chi ha a governare la città si ricordi
che chi non può sforzare e' popoli, bisogna che proceda con loro con dolcezza e
pazienzia; e come si viene all'aspro, cominciono a sdegnare ed intraversarsi,
in modo che non si dispongono più a fare nulla.
In questo tempo
Cesare Borgia, chiamato el Valentino per avere in Francia uno stato di quello
titolo, con le gente di papa Alessandro suo padre ne venne allo acquisto dello
stato di Imola e Furlì, ed el re, secondo le convenzioni fatte con loro quando
ottenne la dispensa, gli servì di trecento o quattrocento lancie di più
condotte, sotto el governo di monsignore di Allegri, con tutto che per noi si
facessi grande instanzia che prima mandassi a espedire la impresa di Pisa, ed
el re vi fussi inclinato; ma lo vinse la importunità del papa. La quale cosa
vedendo quella madonna, donna di grandissimo animo e molto virile, mandatone a
Firenze e' figliuoli, benché grandi, con tutto el mobile suo, si preparò
gagliardamente alla difesa, ma sendo abbandonata da tutti, perché nessuno
ardiva opporsi a chi aveva el segno e favore di Francia, finalmente
ribellandosi e' popoli, e lei sendo rinchiusa ed assediata nella ròcca di
Furlì, el Valentino, per male guardia per trattato di quegli che erano drento,
ebbe la ròcca, dove presa madonna Caterina la mandò a Roma; e così
insignoritosi di quello stato, fondò el principio suo e cominciò, per essere in
sulle arme e co' danari e forze della Chiesa, a essere temuto.
Circa a questi
tempi ancora, sendo venuto el tempo della prima paga s'aveva a fare a'
viniziani de' ducati quindicimila per conto del lodo del duca di Ferrara e non
essendo fatta, e' viniziani feciono rapresaglia delle robe nostre che erano in
sul territorio loro; la quale cosa non fu di danno, perché a' più de'
mercatanti fiorentini che vi erano, non fu tocco nulla per privilegi avevano
della civiltà, e gli altri, sendone stati avvertiti, avevano assentate le cose
loro, in forma che non se ne patì niente, e nondimeno, come si intese a
Firenze, vi fu deputato imbasciadore per giustificare le cose nostre messer
Guidantonio Vespucci, e di poi, parendo che questa gita fussi invano, mutato el
consiglio in meglio, non fu mandato.
Nel medesimo
anno, essendo gonfaloniere di giustizia per gennaio e febraio messer Francesco
Pepi, ed avendo la città bisogno di danari, doppo molte dispute si propose
finalmente una gravezza ingiusta e disonesta ed in grandissimo danno di coloro
che avevano entrata di possessione. Erasi doppo el 94 posta, per uno magistrato
deputato a ciò, una decima universale a tutti e' beni de' secolari, ed erasi
usata qualche anno, ponendone secondo e' casi che occorrevano, una, dua o tre
per volta. ma perché questa decima gittava poco, chi era trovatore di gravezze
nuove ordinò in detto tempo che vi si facessi su una scala in su quegli che
pagavano di decima da cinque ducati in su, e di cinque ducati in cinque si
multiplicassi, in modo che quando si poneva una decima chi aveva di entrata
cinquanta ducati gli toccava a pagare cinque ducati solo, chi n'aveva trecento,
gliene sarebbe tocco da ottanta o cento; in modo che dove quello pagava uno
decimo della entrata sua, questo altro ne pagava uno quarto o uno terzo, e
chiamavasi decima scalata. Di modo che ponendosi l'anno tre o quattro di queste
decime, chi aveva di entrata ducati cinquanta pagava un terzo o un quarto della
entrata sua; chi n'aveva trecento pagava tutta la entrata sua; e
multiplicandosi proporzionabilmente, chi aveva di entrata cinquecento o
seicento ducati, pagava l'anno una volta e mezzo o dua la entrata sua.
Questo modo
così proposto, benché fussi ingiustissimo e di danno al publico, perché gli è
utilità della città mantenere le ricchezze, pure pensando ognuno alle commodità
sua, aveva favore assai; principalmente tutti e' poveri, avendo a avere una
gravezza, volevano più tosto questa che una altra, perché la gli offendeva
poco, tutti coloro che erano ricchi di danari la favorivano, perché la non gli
percoteva; restavano solo quegli avevano molte possessioni, e' quali erano
pochi; e se alcuno altro, se ne ritraeva per la disonestà della cosa. Messasi a
partito in consiglio e non si vincendo le prime volte vi parlò su Luigi
Scarlatti che era di collegio, molto vivamente, mostrando che egli era
ragionevole che chi aveva più ricchezze sentissi più e' carichi della città,
soggiugnendo che se e' si dolevano che questa gravezza gli impoverissi, che e'
gli scemassino le spese, e se non potevano tenere cavalli e servi, facessino
come lui che andava in villa a piè e si serviva da sé; e con queste ed altre
simili parole si riscaldò in modo che el parlare suo di dispiacere e di
disonestà avanzò la provisione. La quale si vinse con carico grande della
signoria apresso agli uomini da bene, e tanto più quanto sendo stato messo
innanzi questo modo alla signoria passata, Giovan Batista Ridolfi, che era
gonfaloniere benché non fussi ricco di possessione, l'aveva sempre
ostinatamente ricusata, in modo che a tempo suo non si apiccò mai.
Ritornato, come
di sopra è detto, el re in Francia, lasciato bene guardato el castelletto e
gente assai alle stanze nello stato nuovamente acquistato, e' milanesi che
sommamente avevono desiderata la ruina del duca Lodovico, avevano mutato
volontà, e con tutto che e' modi de' franzesi non fussino stati disonesti in
verso loro e non gli avessino oppressati ed in effetto non si potessino dolere
della signoria loro, nondimeno sendo di natura e sangui diversi, ed inoltre non
si potendo assettare a mancare di quegli piaceri ed ornamenti dava la corte, ne
erano tanto infastiditi che non gli potevano comportare; e però molti gentiluomini
stimolorono segretamente el duca che era nella Magna, che e' volessi ritornare,
mostrandogli la via essere facile a riacquistare lo stato suo. E però lui,
seguitando e' loro conforti, ragunato buono esercito, accompagnato da Ascanio e
gli altri che l'avevano seguitato, ne venne alla volta di Milano, e non
trovando contradizione alcuna, riebbe pacificamente, da el castelletto in fuora
tutto quello tenevano e' franzesi di suo. E parendogli essere certo che e'
franzesi ritornerebbono con grosso esercito in Italia, si volse a tutti quegli
rimedi che e' poteva pensare importassino la salute sua: condusse assai
svizzeri e lanzinech, in modo che fece uno potente esercito mandò subito a
Vinegia a pregargli volessino essere seco, promettendo loro quietanza di Cremona
e Ghiaradadda, ed anche qualche altro vantaggio; scrisse a Firenze
congratulandosi come con amici e richiedendo in tanto suo bisogno la
restituzione di quegli danari aveva prestati loro, fece le medesime opere col
pontefice; ed ogni cosa invano perché né el papa, né e' viniziani, né e'
fiorentini vollono in modo alcuno scostarsi dal re. Fece ogni sforzo di
ottenere el castelletto, ma difendendosi e' franzesi gagliardamente ed avendo
abondanzia d'ogni cosa, non lo ottenne.
Ma come la
nuova di questa ribellione fu in Francia, si messono con somma velocità in
ordine le gente da ritornare alla ricuperazione, e passorono e' monti con gran
prestezza; nel quale tempo la città osservando le convenzione aveva col re, gli
dette certa somma di danari in scambio degli uomini d'arme e fanterie di che
era pe' capitoli obligata a servirlo per difesa della ducea di Milano. Da altra
banda e' franzesi che erano in Romagna agli aiuti del Valentino, stretti
insieme si ritrassono per tutto lo stato di Milano in Novara, donde che el duca
parendogli non potere reggere tanta piena e bisognare tentare la fortuna,
raccozzato tutto lo esercito suo, ne venne a Mortara alle frontiere de'
franzesi, con animo di fare fatto di arme. Ma quegli svizzeri erano nel campo
suo, tenuto pratica con svizzeri erano a' soldi del re, quando fu el tempo di
apiccarsi si tirorono da parte in forma che, abandonato dalle fanterie, fu con
poca fatica rotto, e lui miserabilmente preso, ed insieme messer Galeazzo da
Sanseverino; monsignore Ascanio fuggendo, fu in sulle terre de' viniziani preso
da Bartolomeo d'Albiano loro condottiere e menatone prigione a Vinegia.
E' milanesi,
udita la nuova, non avendo riparo alcuno, capitolorono, salvo l'avere e le
persone, con patto di pagare al re in certi tempi ducati trecentomila, di che
el re rimesse loro poi buona parte. El quale accordo dispiacque tanto a
svizzeri, a chi era stato promesso che Milano andrebbe a sacco, che, rubate, le
artiglierie del re, si tirorono da canto in luogo sicuro, e fu necessario, per
accordargli, dare loro, credo, ducati centomila che s'erano di presente avuti
da' milanesi; e così Milano tornò nuovamente in mano del re, ed el duca ne fu
menato prigione in Francia. E poco poi lo seguitò monsignore Ascanio, perché e'
viniziani richiestine dal re, benché male volentieri, pure per paura che
avevano di lui gliene dettono, e per la medesima paura roppono e' salvocondotti
a tutti e' gentiluomini milanesi che si erono fuggiti in sul loro, e gli
dettono prigioni al re. E così gli Sforzeschi perderono interamente lo stato,
sendo presi el duca ed Ascanio, e Caterina madonna d'lmola cacciata di
signoria, ed inoltre un piccolo figliuoletto di Giovanni Galeazzo menatone in
Francia e quivi fatto abate di una grossa badia, rimasene solo Giovanni signore
di Pesero che poco poi perdé lo stato, ed Ermes fratello minore di Giovanni
Galeazzo, uomo di poco sentimento, ed e' figliuoli del duca Lodovico, e' quali
erano nella Magna in corte di Massimiliano; e così si notò che tre grandi casa
di Ragona, Sforzeschi e Medici, che avevano acquistato potenzia in Italia,
averla ancora perduta quasi in uno medesimo tempo.
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