1501. Seguitò
lo anno 1501, sendo ancora gonfaloniere di giustizia Piero Soderini, nel quale
tempo el Valentino, fatto già, doppo l'acquisto di Imola e Furlì, signore di
Rimino e di Pesero, e con poca difficultà, perché quegli signori Pandolfo
Malatesta, e Giovanni Sforza, inteso lo sforzo suo e non avendo riparo, non lo
aspettorono ritornò a campo a Faenza; e benché e' faventini sostenessino da
principio ostinatamente lo impeto suo, pure di poi a ultimo stracchi e non
avendo speranza di soccorso, gli arrenderono la città, pattuita prima la salute
e liberazione di Astore loro signore. La qual cosa non osservò, perché lo menò
seco prigione, ed usatolo, come si disse, libidinosamente, perché era fanciullo
bellissimo, lo fece in ultimo amazzare, mostrando In uno tempo medesimo
perfidia, lussuria e crudeltà grande. E così el Valentino acquistata Faenza e
fatto signore di tanti stati di Romagna, venne in riputazione grande, e massime
perché aveva un buono esercito ed era signore valente e molto liberale ed amato
da' soldati ed aveva a' soldi sua Giampaolo Baglioni, Vitellozzo Vitelli, Paolo
Orsini e quasi tutta la milizia di Italia; in modo che la città nostra non si
trovando con ordine di forze e di danari, e con la piaga di Pisa e di Pistoia,
e drento con poco ordine e governo, né avendo intelligenzia e dependenzia alcuna
da Francia, cominciò a temerne assai, massime per essere a' soldi sua e'
Vitelli e gli Orsini inimici della nostra città.
Espugnata che
ebbe el Valentino Faenza, ne venne alla volta di Bologna per fare pruova di
mutare quello stato ed insignorirsene per la Chiesa, ma vedendo che e'
Bentivogli erano drento bene provisti e che la impresa sarebbe lunga e
difficile, fatto certo accordo con loro e tocca buona somma di danari, si
partì. E non essendo ancora uscito del bolognese, messer Giovanni fece amazzare
messer Agamennone figliuolo di messer Galeazzo Mariscotti con certi altri sua
fratelli, dicendo avevano tenuta pratica di dare al Valentino Bologna, o perché
in fatto fussi vero o pure perché sotto questo colore volessi levarsegli dinanzi,
parendogli che messer Agamennone fussi uomo di ingegno ed ambizioso, e che per
nobilità e per molti conti avessi séguito e riputazione grande in Bologna.
Partito el Valentino di Bologna, se ne venne nel mese di maggio, sendo
gonfaloniere di giustizia Lorenzo di Lotto Salviati, in su' terreni nostri, e
per la via di Valdimarina ne venne a Campi, avendo lasciato Piero de' Medici a
Luiano in bolognese ed avendo con seco Vitellozzo e gli Orsini.
Dette questa
cosa alterazione assai nella città, perché el popolo fece giudicio che e' fussi
venuto con ordine de' cittadini principali, e' quali con questo mezzo volessino
mutare lo stato, ed accrebbesi questo sospetto, perché essendo entrato
Valentino colle gente in Valdimarina che è luogo stretto, fu opinione del volgo
che se si fussi mandate le gente si potevano, sarebbe stato rotto, ma che chi
l'aveva fatto venire, fussi stato operatore della salvazione sua. Per le quali
cose inveleniti gli animi, e sparlandosi publicamente di molti, massime di Bernardo
Rucellai di Lorenzo di Pierfrancesco, di Benedetto de' Nerli, di Alfonso
Strozzi e simili, fu pericolo che la moltitudine non corressi col fuoco a casa
e' cittadini più nominati; ma seguitando poco poi l'accordo con Valentino, si
fermorono le cose, perché come Valentino fu giunto e férmosi a Campi, faccendo
e' sua molti danni ne' luoghi circumvicini, gli fu mandati più oratori, fra gli
altri el vescovo de' Pazzi, Benedetto de' Nerli, Piero Soderini ed Alamanno
Salviati, e' quali finalmente feciono accordo con lui, e così se ne stipulò el
contratto: che e' si partissi de' terreni nostri sanza fare più danno o lesione
alcuna; fussi condotto per nostro capitano generale per tre anni, con certo
numero d'uomini di arme e con condotta di ducati trentamila l'anno, lasciassisi
Cerbone cancelliere de' Vitelli, a instanzia di Vitellozzo. E così convenuto,
si partì accompagnato da Piero Soderini, Luigi dalla Stufa ed Alessandro
Acciaiuoli, e' quali usassino seco l'uficio di imbasciadori ed attendessino
come commessari a fare provedere pe' luoghi donde aveva a passare, acciò che e'
non seguissi disordine; e benché si usassi tutte le diligenzie, nondimeno e'
sua feciono molti danni pe' terreni nostri.
Questa venuta
del Valentino potette essere causata da se proprio perché stimassi, veduti e'
disordini della città, averne a migliorare condizione, o disegnando la condotta
o qualche altro acquisto; ma lui disse da poi molte volte cogli uomini nostri
in sua giustificazione che quando partì del bolognese, la intenzione sua era
andarsene per Romagna e non toccare e' terreni nostri, ma che sendone richiesto
instantissimamente da Vitellozzo e gli Orsini, non potette loro negarlo; ma che
poi, vedendosi in sul nostro, volle pigliare quello vantaggio potette avere. Da
altro canto Vitellozzo e gli Orsini, parlando a Campi separatamente cogli
imbasciadori nostri che erano iti al duca Valentino, mostrorono con parole e
gesti efficaci che Vitellozzo non pretendeva avere ricevuta ingiuria alcuna
dalla città, ma da pochi cittadini, de' quali quando si pigliassi qualche
onesto modo che vi fussi drento lo onore suo, sanza lesione però di chi l'aveva
offeso, che e' vorrebbe essere buono figliuolo e servidore della città, e così
gli Orsini perché e' conoscevano molto bene quanto questa amicizia potessi
essere utile per l'una parte e per l'altra. Le quali offerte loro non furono
accettate, perché la brigata non se ne fidava, e dubitavasi non l'avessino
fatto per mettere qualche disunione e scandolo.
Quel che si
fussi la cagione di questa venuta, la fu di gran terrore a' cittadini savi per
più cagione: l'una per il sospetto che prese el popolo a torto che e' cittadini
vi tenessino mano, el quale multiplicò molto nella mente degli uomini e con
tanta infamia de' primi, che a casa Piero Soderini furono dipinti ceppi e
forche; l'altra, perché la città si trovava male condizionata col re, ed in
modo che non molti giorni innanzi, non si gli faccendo e' pagamenti che
s'avevano a fare per virtù de' capitoli fatti a Milano secondo e' debiti tempi
aveva molto svillaneggiato di parole Pierfrancesco Tosinghi nostro
imbasciadore, insino a dirgli che non voleva che egli stessi in corte perché
non vi voleva imbasciadori degli inimici suoi; e però dubitorono e' più savi che
questa mossa di Valentino non avessi origine da lui, che ci volessi battere con
questo bastone. E per levarsi da dosso tanto affanno, acconsentirono a una
condotta violenta, e che non si poteva osservare per la somma del danaro, e
perché la città non si sarebbe potuta fidare di lui; e così feciono provisione
di danari al re, in modo che lui addolcito comandò al Valentino che non ci
molestassi. Partitosi el Valentino, ne venne in quello di Siena e con ordine di
Pandolfo Petrucci suo intrinseco amico, voltò le gente a Piombino, ne cacciò el
signore e si insegnorì di quello luogo con gran dispiacere della città che si
doleva che ne' luoghi vicini multiplicassino tanto le forze sue.
Sopravenne
quasi nel medesimo tempo a Italia nuovo accidente, perché el re di Francia,
desideroso recuperare el reame di Napoli e veduto el re Federico tenere
pratiche grande con Ferrando re di Spagna, per non avere a combattere a un
tratto con lui e con Spagna, aveva segretamente fatto accordo con Spagna di
dividere insieme quello regno per metà; e di poi mandò le gente sue nel reame,
le quali passorono pe' terreni nostri poco di poi che el duca Valentino si era
partito. Da altra parte el re di Spagna, sendo ancora segreto questo accordo
fatto con Francia, mandò in Calavria una armata grossa con buono esercito,
fattone capitano Consalvi Ferrando uomo valentissimo, dimostrando al re
Federico farlo per suo aiuto; ma come e' franzesi entrorono nel reame, si
scoperse in loro favore.
El re Federigo,
vedutosi tanta piena adosso, aveva fatto disegno di tenere Capova e messovi
drento gran numero di fanterie ed ancora cavalli assai ed el conte Rinuccio da
Marciano condotto pochi mesi innanzi a' soldi sua; ma e' fu tanto l'impeto e la
gagliardia de' franzesi, che alla prima battaglia, e credo el primo dì poi che
ebbono piantato le artiglierie, la espugnorono e vi feciono drento grandissima
uccisione e crudeltà, e di soldati, fra' quali fu morto el conte Rinuccio, e di
terrazzani, ché in su quella furia non perdonorono a sesso né a età alcuna. La
quale cosa intesa che ebbe el re Federigo, abbandonato Napoli, si fuggì in
Ischia, e pochi dì poi capitolò co' capitani del re dare loro Ischia e le
fortezze del reame che erano in mano sua, e lui andarsene in Francia, dove
avessi a essergli assegnato dal re uno stato di entrata di trentamila scudi
l'anno; e così fatto questo accordo, si fece secondo e' patti la divisione tra
Francia e Spagna, nella quale a Spagna toccò Calavria e credo lo Abruzzi, a
Francia toccò Napoli, Capua, Caeta, l'Aquila ed el resto del reame.
Nel medesimo
anno e del mese di settembre o di ottobre, papa Alessandro maritò madonna
Lucrezia sua figliuola bastarda a don Alfonso primogenito di Ercole duca di
Ferrara; el quale parentado fu per la parte del duca disonorevole, per essere
lei bastarda e di casa privata, ed inoltre avere avuti dua mariti; uno el
signore Giovanni di Pesero, dal quale fu menata, ma di poi el papa, fatto
provare che gli era impotente, lo disfece, l'altro un bastardo di casa di
Ragona, el quale fu di notte morto in Roma dal duca Valentino; e di poi perché
era ferma opinione che el papa suo padre e Valentino suo fratello avessino
avuto a fare con lei. E così pel contrario essere la casa da Esti nobilissima
ed usa a parentadi grandi, perché la donna del duca Ercole ' era stata
figliuola del re Ferrando, e la prima donna di don Alfonso, che era morta sanza
figliuoli, era stata figliuola del duca Galeazzo; e nondimeno fu tanta la
instanzia che ne fece el re di Francia per satisfare al papa, tanta la dote, sì
grande la sicurtà se ne cavò, perché al duca gli parve con questo parentado
fermare lo stato suo, che e' si stimò più l'utile che l'onore; e così le cose
del papa procedevano con grandissimo favore di fortune.
Ne' medesimi
tempi si trattava accordo tra el re di Francia da una parte e Massimiano e
Filippo arciduca di Borgogna da altra parte, la qual cosa desiderandosi assai
da Francia, venne el cardinale di Roano, che assolutamente governava el re a Milano,
e di quivi ne andò nella Magna a aboccarsi collo imperadore. Dove, doppo
trattato di qualche dì, si conchiuse con molti patti segreti che pretendevano a
acconciare a modo loro le cose di Italia, lega ed intelligenzia tra quegli
principi, e publicamente si maritò a uno piccolo figlioletto dello arciduca una
piccola fanciullina figliuola del re di Francia, promettendogli per dote lo
stato di Milano; le quali convenzione, come di sotto si dirà, non ebbono
effetto alcuno.
Fatta che ebbe
monsignore di Roano questa conclusione, ne venne a Milano, dove gli fu mandato
imbasciadori dalla città messer Antonio Malegonnelle e Benedetto de' Nerli. La
cagione fu perché el re pretendeva che non avendo noi fattigli certi pagamenti
a' debiti tempi ed inoltre non gli avendo pagati per la impresa del reame
ducati cinquantamila in luogo de' fanti, secondo la forma de' capitoli fatti a
Milano, essere rotti quegli capitoli, e lui non essere più obligato a alcuna
nostra protezione. E se bene la città si potessi assai giustificare, e massime
perché a cinquantamila ducati non era obligate se non doppo la recuperazione di
Pisa e le altre cose nostre, nondimeno essendo lui più potente, ed avendo nelle
nostre differenzie a essere giudice e parte, non accettava alcuna nostra
giustificazione, mostrando apertamente essere male disposto contro a noi, e
però la paura s'aveva di lui ed el desiderio che e' non avessi a malignare, era
una delle cagioni che inclinava e' cittadini a volersi accordare seco. Ma la
potissima era che noi ci trovavamo sanza soldati e sanza forze e sanza
dependenzia di potentato alcuno che ci potessi difendere, ed e converso si vedeva
essere in sull'arme e potentissimo el duca Valentino signore di Romagna e di
Piombino, ambizioso ed inimico nostro e che aveva occasione di nuocerci per non
avere noi osservatagli quella condotta che si era fatta per necessità, e con
lui in condotte ed intelligenzia stretta e' Vitelli, gli Orsini, Giampaolo
Baglioni, lo stato di Siena e tutta quella fazione. Aggiugnevasi lo essere
fuora e' Medici e' quali intendendo la male disposizione del papa e del re ed
e' disordini nostri, tenevano strette pratiche con l'uno e con l'altro,
promettendo somme grandi di danari se fussino restituiti in casa, ed a questi
effetti si trovava Giuliano in Francia.
Le quali cose
conosciute molto innanzi da savi cittadini, erano state cagione che loro
avevano un pezzo innanzi desiderato che si facessi di nuovo qualche
appuntamento col re; ma la multitudine che era stracca dello spendere ed
inoltre male disposta e contenta del re, non conoscendo da se medesima e'
pericoli e non prestando fede a altri, non ne aveva mai voluto udire nulla;
pure ora allargandosi e multiplicando tutto dì e' pericoli nostri, conscendeva
più facilmente. E perché si sapeva quanto monsignore di Roano poteva nel re, e
che, acconcio lui, era acconcio ogni cosa, però vi fu mandati a trattare seco a
Milano e' sopradetti imbasciadori, e' quali non feciono conclusione, perché
Roano con varie cagioni differì tanto, che ebbe a tornare in Francia, dove lo
seguitorono, oratori nuovi per la città, monsignore de' Soderini e Luca
d'Antonio degli Albizzi, e' quali ebbono un maneggio molto difficile per la
ingordigia che era in Francia e le contradizione che avavamo di Italia. In modo
che dove si credette facessino in prima giunta apuntamento, furono da Lione
rimessi a Bles, a Bles dondolati con varie scuse, tanto che vi consumorono in
vano circa a otto mesi sanza avere mai una buona parola, anzi ributtati sempre
con modi villani dal re, dal Roano e da tutta la corte, e fatto in presenzia
loro carezze e date lunghe audienze a Giuliano de' Medici, el quale prometteva
loro danari assai, ed aveva per la via di Roma facultà di dare loro sicurtà di
banchi. In forma che si ritrasse che la pratica nostra si mandava de
industria a lungo e che la intenzione del re non era capitolare con noi,
anzi lasciarci correre adosso qualche piena, a fine che o noi stretti dalla
necessità ci gli cacciassimo sotto con qualche suo grande vantaggio, o
veramente che fussimo forzati rimettere e' Medici in casa, sperando in ogni
tempo potersi più valere di loro che del presente stato; il che si vergognava
fare colle arme e forze sue, non avendo nessuna giusta causa rispetto a
portamenti nostri e la fede osservata colla casa sua.
Stavane la
città molto sospesa ed in ambiguità grande e sanza speranza di alcuno buono
effetto, ma successe che, raffreddando lo accordo di Massimiano col re, lui
mandò in Italia alcuni imbasciadori, fra' quali fu Ermes fratello del duca
Giovan Galeazzo. Fermoronsi costoro in Firenze più dì e quivi feciono una
capitolazione colla città, che in caso che Massimiano passassi in Italia per la
corona dello imperio, la città pel debito aveva collo imperio, fussi tenuta a
sovvenirlo di trentamila ducati in certi tempi. Prese el re per questa stanza
degli imbasciadori e poi per la capitolazione qualche sospetto, che se e' ci
stranava troppo noi non ci alienassimo in tutto da lui e gittassimoci in collo
a Masimiano, col quale, come è detto di sopra, cominciava a ingrossare; in
forma che o per questa o per altre cagione, fece fuora di ogni opinione lo
apuntamento con noi. Lo effetto del quale fu che noi fussimo obligati per tre
anni dargli ogni anno ducati quarantamila; e lui per questo tempo si obligò
alla protezione nostra contro a qualunque ci offendessi, e di mandare a'
bisogni, quando lo richiedessimo, per difesa nostra quattrocento lancie. E
benché questa somma di danari fussi grave alla città che era stracca per tante
spese, nondimeno fu riputata buona nuova, parendo che rispetto alla riputazione
e potenzia del re, né el Valentino, né e' Vitelli, né alcuno potentato di
Italia ci dovessi molestare.
Fatto questo
appuntamento, ed essendo cessato el sospetto di guerre esterne, e non si
pensando ancora alle cose di Pisa per la stagione dello anno che non era ancora
da fare imprese, si volse el pensiero a due cose importanti della città: l'una,
perché el comune aveva in queste guerre accattato moltissimi danari da' suoi
cittadini, e però si trovava in molto debito e disagio perché se n'aveva a
pagare loro gli interessi, pigliare qualche modo che in uno spazio di tempo si
scaricassi questo debito, in forma che vi fussi drento la salvezza de'
cittadini con più commodità del commune che fussi possibile, l'altra perché e'
podestà e capitani che venivano a rendere ragione nella città, menavano seco
uomini imperiti ed ignoranti, e' quali o tenevano le lite immortale o le
decidevano non in quel modo sarebbe stato giusto, pigliare forma che e' ci
venissi a giudicare uomini valenti e buoni, acciò che la giustizia, che è uno
de' membri principali della città, si amministrassi rettamente.
Ed alla prima parte,
doppo lunghe consulte, si prese uno disegno secondo el quale el comune veniva a
scaricarsi in sei anni di tutto el debito de' danari prestati, ma per le
avversità e spese che seguitorono nella città non si poté osservare; all'altra
si ordinò che si eleggessi uno consiglio di giustizia che dovessi cominciare a
novembre prossimo 1502, al quale si deputassino cinque dottori forestieri,
uomini valenti, eletti da' signori e collegi, con salario di ducati cinquecento
per uno, e' quali dovessino stare tre anni, ed avessino tutti insieme a
giudicare le cause civili; e dalle sentenzie loro non si potessi appellare se
non a loro medesimi. E perché gli uomini da bene più facilmente ci venissino
sendo aggiunto l'onore allo utile, si ordinò che sempre uno di loro fussi
podestà, durando ciascuno nella podesteria per sei mesi; il che benché fussi
fatto con ragione, nondimeno ha disonorato lo ufficio della podesteria, perché
questi dottori sono stati eletti uomini di qualità che molti uomini nobili che
solevano appetire questo uficio per onorarsene, ora non lo desiderano. E questo
modo di giudicare che si chiamò consiglio di giustizia o vero Ruota dura ancora
che siàno a dì 23 di febraio 1508, benché si sia fatta qualche variazione nello
ordine del procedere, nel numero de' giudici e del salario e nondimeno non ha
fatto el frutto che si sperava e che doveva, perché la malignità e la
ignoranzia nostra è stata tale, che e' sono stati eletti quasi sempre uomini
non idonei, e di poi entrati in uficio sono stati guasti, in modo che sono
riusciti cattivi, e noi dapocamente e cattivamente gli abbiamo soportati.
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