Assettati con
somma laude e felicità questi disordini che apartenevano alla conservazione
dello imperio e della quiete di fuora, la signoria volse gli animi a riordinare
le cose e lo stato della città, per la disordinazione del quale nascevano tutti
gli altri disordini e confusione, che erano di natura che perseverandosi in
essi, ciascuno dubitava avere a vedere el fine ed ultimo esterminio della
città. In che s'ha a intendere che e' sarebbe difficile immaginarsi una città
tanto conquassata e male regolata quanto era la nostra, e tutto el male
procedeva per non vi essere uno o più uomini particulari che vegghiassino
fermamente le cose publiche e che avessino tale autorità che, consigliato
quello fussi utile a fare, potessino di poi essere instrumenti a condurlo a
esecuzione, anzi mutandosi di due mesi in due mesi le signorie, e di tre e
quattro in tre e quattro e' collegi, ognuno per la brevità del tempo che aveva
a essere in magistrato, procedeva con rispetto e trattava le cose publiche come
cose di altri e poco apartenente a sé. Aggiugnevasi che e' signori ed e'
collegi, per e' lunghi divieti che danno le legge della città alla casa ed alla
propria persona dall'una volta all'altra, non possono essere el più delle volte
se non uomini deboli e di poca qualità ed esperienzia degli stati; in modo che
se e' non prestano fede a' cittadini savi ed esperti, anzi vogliono procedere
di loro capo ed autorità, come interveniva allora perché avevano sospetto che
e' primi cittadini non volessino mutare lo stato, impossibile è che la città
non vadia in perdizione. Concorrevaci tutti e' disordini che fanno e' numeri
grandi, quando hanno innanzi le cose non punto digestite, la lunghezza al deliberare,
tanto che spesso vengono tardi; el non tenere secreto nulla, che è causa di
molti mali.
Da questi
difetti nasceva che non pensando nessuno di continuo alla città, si viveva al
buio degli andamenti e moti di Italia; non si cognoscevano e' mali nostri prima
che fussino venuti; non era alcuno che avisassi di nulla, perché ogni cosa
subito si publicava, e' principi e potentati di fuora non tenevano
intelligenzia o amicizia alcuna colla città, per non avere con chi confidare,
né di chi si valere, e' danari andando per molte mani, e per molte spezialità,
e sanza diligenzia di chi gli amministrava, erano prima spesi che fussino posti
e si penava el più delle volte tanto a conoscere e' mali nostri e di poi a fare
provisione di danari, che e' giugnevano tardi, in modo che e' si gittavano via
sanza frutto, e quello che si sarebbe prima potuto fare con cento ducati non si
faceva poi con centomila.
Nasceva da
questo che, bisognando ogni dì porre provisione di danari e provisione grosse,
la brigata doppo el corso di molti anni era sì stracca che non voleva vincere
più provisione, in modo che non avendo danari, ogni dì la signoria sosteneva e'
cittadini più ricchi in palagio e gli faceva per forza prestare al commune, e
nondimeno non se ne cavava tale provedimento che e' non fussino constretti a
ultimo lasciare trascorrere ogni cosa, stare sanza soldati, tenere sanza
guardia e munizione alcuna le terre e le fortezze nostre. E però e' savi
cittadini e di riputazione, vedute queste cattive cagione, né vi potendo
riparare perché subito si gridava che volevano mutare el governo stavano male
contenti e disperati e si erano in tutto alienati dallo stato; ed erano el più
di loro la maggior parte a specchio, né volevano esercitare commessarie o
legazione se non per forza e quando non potevano fare altro, perché sendo
necessario pe' nostri disordini che di ogni cosa seguitassi cattivo effetto,
non volevano avere addosso el carico e grido del popolo sanza loro colpa.
Di qui procedeva
che uno Piero Corsini, uno Guglielmo de' Pazzi erano tutto dì mandati
commessari, perché, non volendo andare gli uomini savi e di riputazione,
bisognava ricorrere a quegli che andavano volentieri; così andorono in Francia
imbasciadori uno Giovacchino Guasconi, uno Luigi dalla Stufa e simili che non
accadde nominare, perché uno messer Guidantonio Vespucci, uno Giovan Batista
Ridolfi, uno Bernardo Rucellai, uno Piero Guicciardini non andavano se non
quando non potevano fare altro. Di qui nasceva che la città non solo non aveva
riputazione cogli altri potentati di Italia, ma né ancora co' sua propri
sudditi; come si vedde nelle cose di Pistoia dove non sarebbono e' pistolesi
tanto trascorsi, se avessino temuta o stimata la città. Aggiugnevasi a questi mali
così publici che non sendo nella città nessuno che avessi perpetua autorità, e
quegli che erano in magistrato, per essere a tempo, procedendo con timore e con
rispetti era introdotta una licenzia sì publica e grande, che e' pareva quasi a
ognuno, massime che fussi di stirpe punto nobile, lecito di fare quello che e'
volessi. Così chi si trovava ne' magistrati, se avessi nelle cose che vi si
trattavano una spezialtà ed una voglia o onesta o disonesta bisognava che ne
fussi satisfatto e contento.
Questi modi
dispiacevano tanto a' cittadini savi e che solevano avere autorità, che erano
quasi stracchi del vivere, perché e' vedevano la città rovinare ed andarne alla
'ngiù cento miglia per ora vedevano essere spogliati di ogni riputazione e potere;
il che doleva loro e per rispetto proprio e perché in effetto quando gli uomini
di qualità non hanno, io non dico la tirannide, ma quello grado che si conviene
loro, la città ne patisce. Aggiugnevasi che ogni volta che nasceva qualche
scompiglio, el popolo pigliava sospetto di loro e portava pericolo che non
corressi loro a casa, in modo che ogni dì pareva loro, essere in sul tavoliere,
e però sommamente desideravano che el governo presente si mutassi o almeno si
riformassi, in modo che la città fussi bene governata, loro recuperassino parte
del grado loro, ed in quello che avevano si potessino vivere e godere
sicuramente. Era el medesimo appetito in quegli che si erano scoperti inimici
di Piero de' Medici, perché per e' disordini della città avevano a stare in
continuo sospetto che e' Medici non tornassino, e così riputavano avere a
sbaraglio lo essere loro. Così gli uomini ricchi e che non attendevano allo
stato, dolendosi di essere ogni dì sostenuti e taglieggiati a servire di danari
el commune, desideravano uno vivere nel quale, governassi chi si volessi, non
fussino molestati nelle loro facultà.
Allo universale
della città, che erano gli uomini di casa basse e che conoscevano che negli
stati stretti le casa loro non arebbono condizione, erano gli uomini di buone
case, ma che avevano consorti di più autorità e qualità di loro e però vedevano
che in uno vivere stretto rimarrebbono adrieto; a tutti costoro, che erano in
fatto molto maggiore numero, piaceva molto el governo, nel quale si faceva poca
distinzione da uomo a uomo presente e da casa a casa; e con tutto intendessino
vi era qualche difetto, pure ne erano tanto gelosi e tanto dubio avevano che
non fussi loro tolto, che come si ragionava di mutare ed emendare nulla, vi si
opponevano. Ma di poi, stracchi dalle grande e spesse gravezze che si ponevano,
da non rendere el Monte le paghe a' cittadini, ed in ultimo mossi da questi
casi di Arezzo e da tanto pericolo che si era portato, che si toccava con mano
essere causato da' disordini nostri, cominciorono a conoscere sì chiaramente
che, non si pigliando migliore forma, la città si aviava al fine suo, che e'
diventorono facili a acconsentire che si pigliassi qualche modo di riformare el
governo, pure che lo effetto fussi che el consiglio non si levassi, né lo stato
si ristrignessi in pochi cittadini.
Trovando
adunche la signoria la materia bene disposta ed essendovi caldi, massime
Alamanno Salviati, cominciorono a trattare e consultare quello che fussi da
fare, e finalmente discorrendo si risolverono che e' non fussi da ragionare di
fare squittini, di dare balìa a' cittadini e così di levare el consiglio, per
più cagioni: prima, perché come lo stato si ristrignessi in pochi, nascerebbe,
come si era veduto ne' Venti ed in molti altri tempi, divisioni e sette fra
loro, in modo che lo effetto sarebbe che quando si fussino prima bene percossi,
bisognerebbe fare uno capo ed in fine ridursi a uno tiranno; di poi, che quando
fussi bene utile el fare così el popolo ne era tanto alieno che mai vi si
condurrebbe; e però non essere bene di ragionare né di attendere allo
impossibile, ma pensare un modo che, mantenendosi el consiglio, si resecassino
quanto più si poteva e' mali della città e loro; e' quali erano in somma, che
le cose grave ed importante si trattavano per mano di chi non le intendeva; e'
cittadini savi e di qualità non avevano grado né reputazione conveniente; nella
città si amministrava pe' magistrati nostri poca giustizia e ragione, massime
nel criminale.
Occorreva a
questo uno modo: creare a vita uno magistrato di venti, quaranta, sessanta,
ottanta o cento cittadini, e' quali creassino e' commessari ed imbasciadori,
come facevano allora gli ottanta e non avessino autorità di creare altri ufici
e magistrati per non tôrre la autorità al consiglio; vincessino le provisione
di danari, massime per finale conclusione, e così non avessino di poi a ire in
consiglio; di loro si creassino e' dieci; con loro si trattassino e
consultassino le cose importante dello stato, come si fa a Vinegia co' pregati.
Di questo nascerebbe che, stando loro continuamente, la città arebbe chi
vegghiassi le cose sue; sendo e' più savi della città, sarebbono bene intese e
consultate, prevederebbono di danari a' tempi e quando bisognassi, arebbono
sempre buona notizia delle cose che andassino a torno, perché loro vi
attenderebbono, sarebbonne di continuo avisati perché nessuno temerebbe essere
scoperto da loro, ed e' potentati di Italia non fuggirebbono el tenere pratica
con loro, perché arebbono di chi si fidare e con chi si valere. Così arebbono
bene governate le cose publiche, e' cittadini savi e di qualità ritornerebbono
in grado e riputazione conveniente; ed essendo nella città uomini che arebbono
qualche autorità e riverenzia, si reprimerebbe la licenzia di molti, ed e'
magistrati nelle cose criminali farebbono più el debito loro, e se non lo
facessino, non mancherebbe trovare de' modi che provedessino a questa parte.
Questa
conclusione piaceva assai, ma si dubitava che el popolo per el grande sospetto
che aveva che non si mutassi lo stato, come e' vedessi ordinare deputazione di
cittadini non vi concorrerebbe, e però si risolverono che egli era meglio fare
uno gonfaloniere di giustizia che fussi o in perpetuo o per uno lungo tempo, di
tre anni o cinque per due cagioni: l'una perché quando bene si facessi quella
deputazione di cittadini di che è detto di sopra, nondimeno non pareva che
avessi la sua perfezione se non vi fussi uno gonfaloniere almeno per lungo tempo;
e di poi feciono giudicio che essendo eletto uno gonfaloniere savio e da bene,
che avendo fede col popolo sarebbe poi el vero mezzo a condurre facilmente
quello o altro disegno, di che lo effetto fussi che le cose di importanza si
governassino per mano de' primi cittadini della città, e che gli uomini di
conto avessino quella autorità che meritamente si conveniva loro. E non
pensorono che se la sorte dava loro uno gonfaloniere ambizioso, che e' non
vorrebbe in compagnia uomini di riputazione, perché non gli potrebbe disporre e
maneggiare a suo modo, e così che essendo eletto libero non vorrebbe legarsi da
se medesimo; e però che prima si doveva fare gli ordini, poi l'uomo che vi
aveva a vivere sotto, non prima l'uomo sciolto, che stesse a lui se s'aveva a ordinare
e legare, o no.
Fatta adunche
questa risoluzione nella signoria e di poi persuasola destramente a' collegi,
si cominciò a praticare e' modi e la autorità sua co' cittadini più savi e si
conchiuse che la autorità sua fussi quella medesima che solevano avere pel
passato e' gonfalonieri di giustizia, non accresciuta né diminuita in alcune
parte, eccetto che e' potessi proporre e trovarsi a rendere el partito in tutti
e' magistrati della città nelle cause criminali. Questo fu fatto perché,
trattandosi di uno delitto di uno uomo nobile, se e' magistrati per rispetto vi
andassino a rilento, lui la potessi proporre, e colla autorità e presenzia sua
muovergli a osservanzia delle leggi.
Venne di poi in
consulta quale fussi meglio, o farlo a vita o per tempo lungo di qualche anno;
a molti non pareva da farlo a vita, perché si potessi qualche volta mutare e
dare parte a altri; di poi se e' riuscissi uomo non sufficiente o per
ignoranzia o per malizia, che e' finirebbe qualche volta, e la città non
l'arebbe adosso in perpetuo, inoltre lo stare uno tempo lungo, bastare a fare
quegli effetti buoni che si cercavano per la creazione sua, perché la città
arebbe chi vegghierebbe le cose publiche ed uno timone fermo e che potrebbe introdurre
gli ordini buoni; inoltre, che ricordandosi di essere a tempo, non gli parrebbe
avere tanta licenzia, quanta se fussi perpetuo, e più consentirebbe a ridurre
e' cittadini al governo in compagnia sua, che se fussi a vita.
A molti, fra'
quali era Giovan Batista Ridolfi, pareva el contrario; assegnavanne massime due
ragione: l'una, che sendo fatto a vita, arebbe el maggiore grado che potessi
desiderare nella città e però che l'animo suo si quieterebbe e contenterebbe, e
potrebbe sanza rispetto alcuno pensare al bene della città, dove, se fussi a
tempo, non poserebbe forse così l'animo, ma penserebbe come vi si potesse
perpetuare, o con favore della moltitudine o con qualche via estraordinaria; il
che non potrebbe essere se non con danno ed alterazione grande della città; di
poi, che sendo in perpetuo, potrebbe più vivamente fare osservare la giustizia
e punire e' delitti, perché avendo a stare sempre in quello magistrato, non
arebbe rispetto e paura di persona, dove sendo a tempo, si ricorderebbe avere a
tornare un dì cittadino privato, e non vi sarebbe gagliardo, anzi procederebbe
con quegli riguardi che facevano gli altri magistrati della città, e così
verrebbe a mancare la osservanza della giustizia, che era uno di quegli effetti
principali pel quale si introduceva questo nuovo modo. Deliberossi finalmente
non lo fare in perpetuo, ma per tempo lungo di tre anni; e così sendo ferma la
provisione e tirandosi innanzi, Piero degli Alberti, Bernardo da Diacceto ed
alcuni simili cominciorono a gridare che gli era meglio farlo a vita e tanto
intorbidorono, che quella provisione non si vinse, mossi perché e' non piaceva
loro farlo in modo alcuno e si persuasono che el popolo non concorrerebbe mai a
farlo a vita.
La signoria adunche
che ci era calda, massime Alamanno, alterata in su questa contradizione, ordinò
la provisione di farla a vita, e vi si aggiunse avessi a avere cinquant'anni;
non potessi avere magistrato alcuno della città; e' sue figliuoli non potessino
essere de' tre maggiori; fratelli e figliuoli di fratelli non potessino essere
de' signori, non potessino né lui né sua figliuoli fare trafico ed esercizio
alcuno, il che si fece acciò che ne' conti del dare ed avere non avessino a
soprafare altri; avessi di salario ducati milledugento l'anno; potessi essere,
portandosi male, privato del magistrato da' signori e collegi, dieci capitani
di parte guelfa ed otto, congregati insieme pe' tre quarti delle fave e' quali
potessino essere chiamati a petizione di qualunque de' signori potessi essere
eletto ognuno che fussi inabile per conto di divieto o di specchio. E fu presa
sì larga questa parte, che e' si interpretò che etiam quegli che vanno
per le minore arte potessino essere eletti, il che si fece o per inavvertenza o
perché la arte minore ci concorressi più volentieri.
El modo del
crearlo fussi questo: chiamassisi el consiglio grande, nel quale potessino
intervenire per dì tutti quegli avevano el beneficio non ostante fussino a
specchio, il che si fece acciò che chi fussi eletto fussi con consenso più
universale del popolo, ognuno che fussi in consiglio avessi autorità di
nominare chi gli pareva e quegli tutti nominati andassino a partito, e tutti
quegli che vincevano el partito per la metà delle fave e una più, o uno o più
che fussino, andassino un'altra volta a partito, e quello o quegli che
vincevano, andassino questa seconda volta a partito, e tutti quegli che
vincevano, riandassino poi a partito la terza volta; e di quegli che vincevano
questa terza volta, si pigliassi chi vinceva per la metà delle fave e una più,
ed avessi più fave che gli altri che fussino iti a partito la terza volta, se
altri vi era ito; e questo tale fussi gonfaloniere di giustizia a vita.
Presesi questo
modo perché la elezione non si sarebbe mai vinto si fussi cavata del popolo; e
però ordinorono questi vagli, acciò che avessi più maturità che fussi
possibile. Aggiunsesi che la elezione si facessi a tempo della signoria futura,
acciò che el popolo potessi meglio pensare e risolversi a chi fussi a
proposito, e che chi fussi eletto, fussi publicato quando la signoria che aveva
a entrare di novembre, e pigliassi el magistrato in calendi di novembre
prossimo futuro. Aggiunsesi in questa provisione un altro capitolo, che dove
gli ottanta si traevano a sorte di quegli che avevano vinto el partito ora se
ne pigliassi pochi più di cento che avessino vinto per le più fave, e di quegli
si traessino gli ottanta, dando la rata a' quartieri. Il che fu fatto acciò che
in quello consiglio si trovassino uomini più scelti perché, come è detto di
sopra, quando in quello consiglio intervenissino tutti gli uomini savi e di
qualità, sarebbe utilissimo alla città.
Ordinata e
ferma questa provisione, e vinta fra' signori e collegi si misse negli ottanta,
dove si dubitò avessi assai difficultà, perché si credeva che molti cittadini
che pretendevano d'avere a essere gonfalonieri di giustizia se si creassi per
dua mesi, non vi concorrerebbono per non si privare di quella degnità.
Aggiugnevasi che Bernardo Rucellai publicamente la disfavoriva, e la cagione si
diceva perché e' vedeva volgersi el favore a Piero Soderini, del quale lui era
particulare inimico; nondimeno sendo riscaldata dalla signoria e da' collegi,
si vinse con poca fatica la seconda volta che ebbono gli ottanta. Chiamossi di
poi el consiglio grande, ed avendovi parlato in favore chi era deputato pe'
collegi, e di poi Piero Guicciardini ed Iacopo Salviati ed altri uomini da
bene, si accostò el primo dì a poche fave; in modo che l'altro dì facilmente si
condusse alla sua perfezione. Acquistòvi, fra gli altri che la favorirono, gran
laude Piero di Niccolò Ardinghelli, giovane di trentuno o trentadue anni, che
era de' dodici el quale, avendovi per conto de' compagni parlato su più volte,
satisfece tanto a ognuno, che pochi dì poi fu creato dagli ottanta commessario
a Castiglione Aretino, e si fece una via da dovere avere tanto stato quanto
uomo da Firenze, se non se l'avessi poi tolto da se medesimo.
Vinta questa
provisione e dato principio alla riordinazione della città, uscì la signoria,
la quale avendo trovata la città in somma confusione, smembrato Arezzo con
tutta quella provincia, Pistoia quasi perduta e ribellata, aveva rassicurata la
città di Pistoia, recuperato Arezzo e ciò che si era perso in quella
rivoluzione, ed in ultimo vinta la provisione di riformare lo stato, lasciato
ognuno in somma allegrezza e speranza; e però uscì meritamente con somma
commendazione, sendo però ogni buona opera attribuita a Alamanno Salviati,
Alessandro Acciaiuoli e Niccolò Morelli, e sopra tutto a Alamanno, in modo che
e' tre quarti di quella gloria furono sua.
Successe in
luogo loro gonfaloniere di giustizia Niccolò di Matteo Sacchetti, a tempo del
quale la città richiese el re che per sicurtà nostra ci concedessi che le sue
gente che erano venute in Toscana, o almeno una parte di quelle sotto
monsignore di Lancre, rimanessino alle stanze in sul nostro. Rispose el re che
era contento vi stessino qualche tempo, ma perché potrebbe essere che n'arebbe
bisogno per sé, le voleva potere rivocare a ogni sua posta, non avendo rispetto
se ci lasciassi provisti o no. Acconsentillo da principio la città; di poi non
se ne sapendo bene risolvere, tutte le gente si partirono e tornorono in
Lombardia, di che la città venne a entrare in nuovi pensieri, perché el re,
sendo riconciliato con Valentino, prese la volta di Francia; ed el Valentino
contro alla opinione di molti che credevano che lo dovessi menare seco in Francia
e quivi ritenerlo onestamente, accompagnatolo insino in Asti, se ne ritornò in
Romagna agli stati sua. Donde la città trovandosi sanza arme, cominciò a avere
gran paura di lui, e benché si intendessi che el re gli aveva alla partita
raccomandato lo stato nostro, nondimeno si dubitava che, avendo una occasione
di offenderci, non la usassi, avuto poco rispetto al re, col quale, secondo la
natura de' franzesi, si truova doppo el fatto facilmente rimedio, e lui ne
aveva veduta la esperienzia, sendosi sì intrinsecamente riconciliato seco, non
ostante che el re si fussi persuaso che ciò ch'egli aveva fatto, fussi stato
per cavarlo di Italia, e massime che nella recuperazione di Arezzo e delle
altre cose nostre, el papa ed e' Vitelli e gli Orsini avevano publicamente
detto che come el re fussi partito di Italia, ci farebbe uno altro assalto, el
quale sarebbe di natura che non sarebbono e' franzesi ogni volta a tempo a
liberarci. Ed essendo adunche in questa ambiguità, sopravenne uno accidente, el
quale per qualche poco di tempo ci assicurò; el quale perché si intenda meglio,
bisogna ripetere la origine sua da' fondamenti.
Benché gli
Orsini, Vitelli, Baglioni e Pandolfo Petrucci fussino o soldati o aderenti ed in
una intelligenzia col papa e col duca Valentino, nondimeno la unione più
stretta e quasi una fazione era tra Vitelli, Orsini Baglioni e Pandolfo, e'
quali per molti rispetti e per correre una medesima fortuna, erano di una
volontà medesima. Costoro conoscendo la ambizione del duca Valentino e lo
appetito suo infinito del dominare, el quale prima si estendeva ne' luoghi più
vicini ed in quegli dove aveva qualche titolo e colore di ragione, in fatto
n'avevano sospetto e ne temevano, massime considerando che Perugia e Città di
Castello apartenevano di ragione alla Chiesa, e così una parte degli stati
degli Orsini, e l'altra, essere in su' terreni di Roma, e così, spacciati loro,
accadere di Siena. E però doppo lo acquisto di Faenza avevono avuto caro che e'
non gli fussi riuscita la impresa di Bologna, e perché non pareva da loro
essere così gagliardi contro al papa ed alla Chiesa, massime avendo lo appoggio
di Francia, arebbono desiderato rimettere Piero de' Medici in Firenze, parendo
che colle forze di quello stato si sarebbono assicurati.
Da altra banda
el Valentino secretamente gli aveva in odio e desiderava la ruina loro, parte
perché intendendo questi umori n'aveva preso sospetto, parte per ambizione e
desiderio di insignorirsi di quegli stati; e però fu opinione di qualcuno, che
se bene da un canto gli piacessi che noi avessimo perduto, o perché sperassi
acquistare qualcuna delle terre nostre, o perché credessi che noi per
difenderci fussimo forzati pigliare accordo seco con qualche suo grande
vantaggio, da altro gli dispiacessi, dubitando che o Vitellozzo non acquistassi
per sé qualcuna di quelle nostre terre, o e' Medici ritornassino in Firenze. Ma
di poi venendone el re in Italia, lui e prima per lettere e di poi a bocca col
re, per sua giustificazione sempre disse che lui non aveva saputo nulla di
questo insulto, ma che era stata opera di Vitellozzo ed Orsini sanza sua
participazione: di che nacque che comandando el re a Vitellozzo che venissi a
Milano, lui impaurito non vi volle mai andare, allegando per scusa lo essere
ammalato, e però el re si sdegnò molto forte contro a Vitellozzo e cominciollo
a riputare suo capitale inimico.
Arebbe avuto el
re, per lo ordinario, desiderio che Vitellozzo e gli Orsini perissino, perché
riputava essere utile a conservazione del suo stato che la milizia di Italia si
spegnessi, e però, aggiuntoci questo odio particulare, vi era su molto
infiammato; da altro canto, se bene si era adirato col papa e Valentino, non se
ne fidava molto, pure per essersi inimicato come di sotto si dirà, nel reame
cogli spagnuoli, pensava, riconciliandosi seco, potersene valere in quella
provincia; e così da altro canto che se fussi suo inimico, gli potrebbe nuocere
nelle cose del reame, e si farebbe forse una unione fra 'l papa, re di Spagna e
viniziani, che lo metterebbe in assai pericoli. Per questo, sendone massime
persuaso da monsignore di Roano, con chi el papa si manteneva assai faccendolo
legato di là da' monti, ed esaltando e' sua nipoti alle dignità ecclesiastiche,
si contrasse uno accordo ed una unione tra loro, lo effetto della quale fu che
el re permetteva al Valentino insignorirsi di Bologna, di Perugia e di Città di
Castello e lui gli prometteva nel reame tutti e' favori possibili. E però sendo
tornato Valentino in Romagna e preparandosi alla impresa di Bologna, sentito
che ebbono questo Vitellozzo e gli Orsini e quella fazione perché non avevano
ancora notizia quello che si fussi designato degli stati loro, considerando che
se el Valentino pigliava Bologna, arebbono tutti a stare a sua discrezione, si
ristrinsono insieme e deliberorono fare forza di opprimere la grandezza del
Valentino, innanzi che crescessi più. Furono in questa intelligenzia messer
Giovanni Bentivogli, pel pericolo ed interesse suo e perché era parente
nuovamente degli Orsini, Pandolfo Petrucci, Giampaolo Baglioni, gli Orsini,
Vitellozzo Liverotto da Fermo ed el duca Guido di Urbino al quale si obligorono
rendergli e conservargli lo stato suo. E così accendendosi uno principio di
nuovo fuoco, la città diminuì assai la paura del Valentino, e così di
Vitellozzo e degli altri.
Nel quale
tempo, secondo la provisione fatta di agosto, si venne alla creazione del
gonfaloniere a vita, e ragunato el consiglio grande dove intervenne più che
duemila persone e fatte le nominazione, nelle quale nominò ognuno che volle
nominare, andorono a partito e' nominati che furono più di dugento; e lo
effetto fu che nella prima squittinazione vinsono solo tre, che furono messer
Antonio Malegonnelle, Giovacchino Guasconi e Piero Soderini, e riandati a
partito la seconda volta, non vinse se non Piero Soderini, el quale riandando
solo la terza volta, vinse el partito; in modo che, benché el publico non
scoprissi chi era fatto, nondimeno necessariamente si manifestò, poi che la
seconda e terza volta andò lui solo e così rimase fatto gonfaloniere di
giustizia a vita Piero di messer Tommaso Soderini, che a pena aveva
cinquant'anni non ancora finiti.
Le cagione
perché lui fu in tanto magistrato preposto a tutti gli altri furono molte: era
di casa buona e nondimeno non piena di molti uomini, né copiosa di molti
parenti, era ricco e sanza figliuoli, era riputato cittadino savio e valente,
era tenuto amatore del popolo e di questo consiglio, aveva buona lingua.
Aggiugnevasi che si era dal 94 in qua affaticato assai nelle cose della città,
e dove gli altri cittadini reputati come lui avevano fuggite le brighe e le
commessione, lui solo l'aveva sempre accettate, e tante volte esercitate quante
era stato eletto, e però n'aveva acquistato opinione di essere buono cittadino
ed amatore delle cose publiche; ed inoltre la multitudine, veduto adoperarlo
più che gli altri e non pensando che la cagione era perché e' simili a lui
fuggivano gli ufici, credeva procedessi
perché e' fussi più valente uomo che gli altri. Aggiunsesi el favore
datogli da Alamanno ed Iacopo Salviati, e' quali, avendo amici e parenti assai
e trovandosi in somma grazia e credito del popolo, né essendo per la età ancora
capaci di quello magistrato, messono ogni loro forza che fussi eletto Piero
Soderini, mossi non per avere parentado ed amicizia intrinseca con lui, ma
perché riputorono che la creazione sua dovessi essere a beneficio della città;
e fu di tanta efficacia questo aiuto, che in ogni modo gli accrebbe el quarto
del favore. Fu eletto, sendo assente ed ancora commessario a Arezzo insieme con
Antonio Giacomini perché Luca d'Antonio degli Albizzi era morto in quegli
giorni, in luogo di chi fu poi eletto Alamanno Salviati; ed avuta la nuova
della elezione, ne venne in Casentino, pochi dì poi venne in Firenze standosi
sempre in casa insino al dì che e' fussi publicato.
In questo tempo
gli Orsini, Vitelli e gli altri aderenti, fatta una dieta alla Magione in
quello di... e quivi conchiusa e publicata la loro nuova lega ed intelligenzia,
ne vennono nello stato di Urbino, el quale recuperorono con poca fatica, e
renderonlo al signore vecchio. Sbigottì assai el papa e Valentino di questo
assalto; e pure voltisi a' rimedi avisorono subito in Francia, chiedendo aiuto,
feciono quanti soldati a cavallo ed a piede potevano, e richiesono
istantissimamente la città di collegarsi insieme, per potersi valere di quella
in tanto bisogno. Così da altra parte e' collegati feciono per mezzo di
Pandolfo Petrucci molte richieste, offerendo qualche commodità circa a Pisa la
quale cosa per intendere meglio, fu mandato occultamente a Siena ser Antonio da
Colle, ed in effetto non avendo loro facultà di farlo la città si risolvé di stare
neutrale insino a tanto che e' si intendessi chiaramente la voluntà del re di
Francia. E perché e' si credeva che e' sarebbe inclinato a favorire Valentino,
per ritenerselo intanto con qualche dimostrazione, vi fu mandato da' dieci a
lui che era in Imola, Niccolò Machiavelli cancelliere de' dieci, ed a Roma fu
mandato ser Alessandro Bracci, uomo esercitato in queste cose, per dare pasto
al papa insino a tanto che vi andassi messer Giovan Vettorio Soderini che vi
era deputato oratore.
Nel medesimo
tempo la città, vedendosi spogliata di arme, condusse per capitano generale el
marchese di Mantova, el quale, el dì che fu fatta la condotta, si trovava in
Milano che ne andava a dirittura in Francia; ma perché el marchese si era di
nuovo riconciliato col re, del quale era stato lungamente inimico, el re non si
fidava interamente di lui, e però gli dispiacque questa condotta, parendogli
che el mettere in mano al marchese le forze della città nostra gli potessi in
qualche accidente nuocere assai. Disse adunche lui e Roano a Luigi dalla Stufa,
che vi era oratore solo, perché el Gualterotto non aveva passati e' monti, che
el desiderio loro era, questa condotta non andassi innanzi, e nondimeno che e,
si facessi con tale destrezza che el marchese non si accorgessi della cagione;
e però fu necessario introdurre molte cavillazioni per impedirla, tanto che lo
effetto fu che la condotta non ebbe luogo; e pure el marchese cognobbe che e'
non era stato per difetto nostro, ma per opera del re.
Entrò di poi in
calendi di novembre el nuovo gonfaloniere di giustizia, nel quale furono due
cose nuove e singulari: l'una, essere creato a vita, l'altra, essere creato
diciotto mesi poi che era stato una altra volta: conciosiaché secondo le legge
ordinarie della città bisognassi dall'una volta alla altra stare almeno tre
anni. Successene di poi una altra non meno nuova, che mentre che e' sedeva in
magistrato, furono de' signori e collegi alcuni de' sua consorti Soderini,
conciosiaché innanzi a lui non solo fussi proibito el trovarsi insieme de' tre
maggiori due di una casa medesima, ma ancora quando era de' signori uno di una
casa, da poi che era uscito avevono e' sua consorti divieto uno anno a potere
essere de' signori, e sei mesi de' collegi. Entrò con grandissima grazia e
riputazione e con universale speranza della città che non solo a tempo suo le
cose avessino a essere prospere, ma ancora s'avessi per opera sue a riformare
ed introdurre un vivere sì buono e santo, che la città n'avessi lungamente a
godere, la quale si trovava in molte onde e pensieri.
Erasi quanto al
governo di drento fatto uno principio buono, di avere creato uno gonfaloniere a
vita; ma come a una nave non baste uno buono nocchiere se non sono bene
ordinati gli altri instrumenti che la conducono, così non bastava al buono
essere della città l'avere provisto di uno gonfaloniere a vita che facessi in
questo corpo quasi lo uficio di nocchiere, se non si ordinavano le altre parte
che si richieggono a una republica che voglia conservarsi libera e fuggire gli
estremi della tirannide e della licenzia. E come non può essere chiamato buono
nocchiere in una nave quello che non provede a introdurre gli instrumenti di
che sopra è detto necessari, così in questa città non poteva essere chiamato
buono gonfaloniere a vita quello che non provedeva gli altri ordini necessari e
riparava agli inconvenienti detti di sopra.
Quanto alle
cose di fuora, la città si trovava due piaghe proprie: una le cose di Pisa, le
quali se non si posavano ed in forma che Pisa fussi mostra, non ci potevamo
posare noi; l'altra e' Medici, che benché paressino molto deboli e con pochi
amici e sanza parte nella città, nondimeno se bene da loro propri non pareva ci
potessino offendere e perturbare, pure per la potenzia avuta nella città e nel
contado nostro, erano uno instrumento col quale e' potentati inimici nostri ci
potevano più facilmente bastonare. Aveva la città di poi qualche altro male più
accidentale e meno proprio: la inimicizia con Vitellozzo, el quale era uomo sì
inquieto e di tale riputazione co' soldati ed appoggiato in modo da quella
fazione Orsini, Pandolfo e Baglioni, che e' bisognava fare conto che, non si
reconciliando o non si spegnendo, avessi a tenere la città in continui sospetti
ed affanni; la potenzia ed ambizione del papa e duca Valentino, che era da
temere assai rispetto alle forze grandissime della Chiesa e la vicinità degli
stati di Romagna con noi; lo essere el Valentino uomo valente ed in sulle arme,
e tanto più quanto per le cose di Pisa la città nostra era debole e
conquassata; questi erano e' mali che più si vedevano e palpavano per ognuno.
Aggiugnevasi lo stato grande de' viniziani e' quali se bene allora non
offendevano né cercavano di offendere la città, pure s'aveva a considerare che
erano sì grandi, che perdendo o per morte o per altro caso el re di Francia el
domino di Milano e del reame Italia tutta rimaneva in preda ed a loro
discrezione. E dato che questo male fussi sì grande che la città da sé non vi potessi
riparare, pure aveva a pensare di fare lo sforzo suo, e con lo incitare contro
a loro el re di Francia, e con tenere le mani in sulle cose di Romagna, se mai
per morte del papa o per altro accidente si alterassino. Eraci da stimare assai
le cose di Francia, colle quali la città pareva in buoni termini, e che el re e
monsignore di Roano, in chi era el pondo d'ogni cosa, ci fussi affezionato;
pure s'aveva a presupporre che la avarizia, la leggerezza loro ed el rispetto
che hanno a se medesimi era tanto, che di loro s'aveva a cavare più briga, più
spesa sanza comparazione che utile.
Trovavansi in
questi termini le cose nostre e perché più si mescolavano allora e' signori
collegati ed el Valentino che altra cosa di Italia, però gli animi ed e'
pensieri di tutti erano vòlti a quelle. El subito acquisto dello stato di
Urbino, e la riputazione che aveva massime Vitellozzo, avevano tanto sbigottito
el Valentino, che si trovava in Imola, ed e' sudditi sua, che è opinione che se
subito fussino andati alla volta di Romagna, arebbono fatto in quello stato
qualche grande sdrucito, e forse riportatane una assoluta ed intera vittoria ma
lo indugio loro fu tanto, o perché e' fussi lungo lo accozzare insieme le forze
di tante persone, dove sempre nasce mille difficultà o perché e' fussino tenuti
in pratiche di accordo, che el Valentino ebbe tempo prima fortificare le
fortezze e terre sua, di poi soldare cavalli e fanterie in somma da potersi
difendere e di poi aspettare a bell'agio l'aiuto di Francia, el quale veniva in
suo favore molto gagliardo perché el re subito scrisse a monsignore di
Ciamonte, che era a Milano, che spignessi in Romagna tutte le sue gente, e fece
intendere che non mancherebbe di tutti quegli aiuti che potessi. Per la qual
cosa e' viniziani, di chi si era dubitato, feciono intendere al papa e
Valentino, che erano parati servirlo di tutte quelle gente che avevano ed e'
fiorentini al tutto si confermorono o di fare accordo col papa o di starsi
neutrali.
Di che
sbigottiti assai e' collegati, cominciorono a tenere pratiche di accordo; e
finalmente gli Orsini, Vitelli e quella fazione si convennono restituire Urbino
al Valentino, tornare a' soldi sua, e che delle cose di Bologna e di messer
Giovanni si facessi uno compromesso. El quale capitolo perché fu sanza saputa
di messer Giovanni, lui sdegnatosi fece da parte un altro accordo con
Valentino, l'effetto del quale fu che el Valentino non molestassi quello stato
e fussine servito per tempo di più anni di certa somma di danari e di uomini
d'arme e così el Valentino, benché si trovassi forte in sulla campagna e di sua
gente e de' franzesi che erano arrivati in Romagna, fu contento a lasciare
stare Bologna, o perché così fussi el parere del re di Francia, di che messer
Giovanni era in protezione, o perché volessi, come di poi mostrò lo effetto,
essere più espedito a attendere a altro.
Né molto poi,
sendosi simulatamente riconciliato co' collegati, ne vennono colle loro gente
Vitellozzo, Paolo Orsini, Liverotto da Fermo ed el duca di Gravina, che era di
casa Orsina, a trovarlo a Sinigaglia, dove lui industriosamente aveva esercito
più potente di loro e sanza loro saputa, perché aveva condotto un gran numero
di lancie spezzate, e così avendo condotti pochi cavalli per volta, non si era
inteso né saputo quanto numero avessi fatto. Pose adunche loro le mani adosso e
fece subito strangolare miserabilmente, con un modo però nuovo e crudele di
morte, Vitellozzo e Liverotto, e pochi dì poi el signore Paolo ed el duca di Gravina;
ed in quello dì medesimo el papa fece sostenere in palazzo el cardinale Orsino
e messer Rinaldo Orsini arcivescovo di Firenze e messer Iacopo da Santa Croce,
gentiluomo romano e de' primi capi di parte Orsina, de' quali fece subito
morire el cardinale; gli altri dua, avendogli sostenuti qualche tempo, lasciò.
Così finì el dì
suo Vitellozzo, e quelle arme che erano preposte a tutte le arme italiane, in
che è da notare che messer Niccolò suo padre ebbe quattro figliuoli legittimi,
Giovanni, Camillo, Pagolo e Vitellozzo, e' quali tutti nella milizia feciono
tale profitto che furono ne' tempi loro riputati de' primi soldati di Italia,
in modo che si faceva giudicio che avessi per la virtù di questi quattro
fratelli a essere una casa di grandissima potenzia ed autorità. Ma come volle
la sorte, questi principi sì felicissimi ebbono fini più infelici: Giovanni
innanzi al 94, sendo soldato di Innocenzio, fu nella Marca, nella guerra di
Osimo morto da una artiglieria; Camillo sendo nel reame a soldo del re Carlo,
fu, nella espugnazione di uno castello, morto da uno sasso gittato dalle mura,
a Paolo fu tagliato el capo, Vitellozzo fu strangolato; ed in effetto tutti e
quattro, sendo ancora giovani, perirono di morte violenta.
Di Liverotto
s'ha a intendere che e' fu da Fermo, di nobile casa; ed essendo valente soldato
ed in riputazione per essere cognato di Vitellozzo, e favorito da parte Orsina,
venne in disegno di occupare lo stato di Fermo, e vedendo che bisognava la
forza, ordinò che uno dì determinato molti soldati sua confidati spicciolati e
sotto nome di altre faccende, fussino in Fermo; el quale dì, essendovi lui,
convitò in casa sua messer Giovanni Frangiani suo zio, uomo di grande autorità,
con parecchi altri cittadini principali di Fermo, e doppo el convito, avendogli
con parecchi sua compagni crudelmente amazzati, corse la terra in suo nome,
essendo impauriti tutti e' cittadini, e non avendo alcuno ardire di parlare. Ma
come volle la giustizia divina, avendo fatto questo eccesso l'anno 1501 el dì
di san Stefano, fu nel sequente anno, el dì medesimo di san Stefano, fatto nel
sopra detto modo morire dal duca Valentino.
Morti che
furono crudelmente costoro, el duca si voltò collo esercito suo verso Città di
Castello, dove si trovava messer Iulio vescovo di Castello e fratello bastardo
di Vitellozzo, ed alcuni garzoni figliuoli di Giovanni, Camillo e di Pagolo, e'
quali intesa la venuta sua, essendo sanza forze e sanza speranze, si fuggirono;
di che lui acquistata quella terra, andò subito alla vòlta di Perugia, nella
quale entrò sanza resistenzia, perché Giampaolo, non avendo rimedio, se ne
fuggì. Vòlto di poi verso Siena, sotto nome di volerne cacciare Pandolfo suo
inimico, in fatto per fare pruova se potessi insignorirsene, poi che e' vedde
e' sanesi ostinati a difendersi, per virtù del quale rimanendo Siena come si
era, Pandolfo s'ebbe a partire ed andossene a Pisa, e nondimeno rimasono nel
governo gli aderenti ed amici sua, in modo che si poteva dire lo tenessino
fuora mal volentieri, ma per fuggire la guerra del Valentino, accordandosi
ancora lui a questo partito. Andossene di poi in terra di Roma allo acquisto
degli Orsini, dove in brieve tempo occupò ogni cosa, eccetto alcune terre di
Gian Giordano. Aveva in questo mezzo la città per mezzo di messer Giovan
Vettorio Soderini oratore nostro a Roma, trattato accordo col pontefice; e per
questa cagione essendo stato eletto oratore al duca Valentino Piero
Guicciardini ed avendo rifiutato, vi fu mandato Iacopo Salviati, a tempo che
ancora era a' confini nostri e non si era ritirato in quello di Roma. E
finalmente lo effetto fu che doppo molte pratiche, sendo quasi fermi ed
appuntati e' capitoli, non se ne fece conclusione alcuna, ora rimanendo dal
papa che voleva condizioni disoneste, ora da noi che volavamo intendere l'animo
del re di Francia.
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