Seguitò lo anno
1507, nel principio del quale nacquano movimenti nuovi per le cose di Genova.
Era nella fine dello anno nata in Genova differenzia tra e' gentiluomini ed el
popolo, la quale procedé tanto oltre, che el popolo, levato in arme, cacciò di
Genova tutti e' gentiluomini con le donne e famiglie loro, ma perché e'
ricorsono al re di Francia, sotto el dominio di chi era nello acquisto di
Milano venuta Genova, lui cercò pacificamente rimettergli nella patria Ma sendo
ostinati gli animi de' popolani ed intendendo che el re era disposto, se non
giovavano e' modi dolci, a usare la forza prese alla fine l'arme, si
ribellorono dal re ed accamporonsi al Castelletto che era guardato pel re,
richiedendo di aiuto el papa, lo imperadore, el re di Napoli ed e' viniziani. E
però nel principio di questo anno el re ordinato una grosso e potente esercito,
ne venne alla volta di Italia di che sendo avisata la città da Francesco
Pandolfini, che vi era oratore mandatovi in scambio di Niccolò Valori che vi
era stato mandato doppo Alessandro Nasi, si elesse oratori nuovi per onorarlo
in Italia Giovan Batista Ridolfi ed Alamanno Salviati, e' quali avendo
rifiutato vi furono mandati Pierfrancesco Tosinghi e Giovanni di Tommaso
Ridolfi.
El re intanto,
giunto a Milano, si aviò personalmente colle gente verso Genova, benché Roan ed
e' primi della corte molto lo sconfortassino dello andare in persona, perché,
rispetto a' luoghi aspri e difficili, pareva che si mettessi in qualche
pericolo, e quando bene non vi fussi pericolo, che non riuscendo la impresa,
giucassi troppo della riputazione sua. E certo questa impresa fu riputata tanto
difficile, che tutta Italia stava sospesa a aspettarne lo effetto perché oltre
allo essere fra Milano e Genova passi molto forti ed aspri dove avevano a
passare e' franzesi, oltre allo essere la città fortissima e di natura e di
accidente, si intendeva che quello popolo armigero ed uso alle zuffe era
ostinatissimo al difendersi. Avevano eletto uno popolano vile per doge, avevano
pieno Genova di soldati e fanti forestieri e pareva che con grande animo
aspettassino la venuta degli inimici; ma come el re in persona e le sue gente
si accostorono alla città, subito entrò fra loro tanta viltà e disordine,
essendo massime stati ributtati da uno passo forte, che prestissimamente si
dettono al re.
Credesi che
questa vittoria dispiacessi al papa ed al re di Napoli, nondimeno, massime el
re, non ne feciono, né prima né poi, segno manifesto. Ma certo fu che a' viniziani
dispiacque assai, e' quali considerando essere el re in Italia con sì grosso
esercito, e quanta riputazione aveva acquistata per la sì presta espugnazione
di Genova, città fortissima e potentissima, cominciorono molto a temere dello
stato loro, e però voltisi allo imperadore, lo richiesono facessi qualche
dimostrazione di volergli soccorrere in caso che el re gli offendessi; il che
lui fece volentieri, e gli servì di cinquemila uomini; publicando che gli
aiuterebbe con tutte le forze sue.
Ebbe di questa
vittoria grandissima allegrezza la città nostra, perché avendo e' pisani
mandato aiuto di molti uomini a' genovesi, el re dimostrò averlo per male e
disse molte volte agli oratori nostri che acquistata Genova, voleva renderci
Pisa, e che, bisognando, verrebbe a questa impresa per nostro capitano. Ma come
facevano tutte le nostre buone nuove, ogni cosa diventò vana, perché el re,
acquistata Genova, intendendo el sospetto de' viniziani e come e' si
gitterebbono in collo a' tedeschi e metterebbongli in Italia, con tutto che
fussi molto male disposto contro a loro, pure per non si recare tanta piena
adosso, fece ogni dimostrazione per assicurargli; e però subito rimandò parte
delle gente in Francia, licenziò e' svizzeri che aveva tolti a soldo, dette
voce volersi presto tornare in Francia. E così fece con effetto perché, come
ebbe rimessi e' gentiluomini in Genova, ordinato trarre da tutti somme grande
di danari, tagliato el capo al doge nuovo ed a altri de' primi, e molti
cacciatine, disegnato fortificare la città a suo proposito in più modi, ed in
ultimo aboccatosi a Saona col re di Napoli, si ritornò in Francia, seguitandolo
oratore in nome della città Giovanni di Tommaso Ridolfi.
In questo tempo
medesimo el re di Napoli, essendo stato richiamato al governo degli stati della
figliuola sua, deliberò tornarsene in Spagna, e però lasciato a Napoli uno
viceré, si imbarcò, menandone seco Consalvo, e fatta la via da Savona, dove era
aspettato dal re di Francia, entrò in Savona, e quivi stato alcuni dì a
parlamento con quello re, rimontato in nave e menandone seco Consalvo, se ne
andò in Spagna, dove gli fu consegnata, non sotto nome di re ma di governatore,
la amministrazione di tutti quegli stati della figliuola. Fu la partita sua di
Italia non con quello favore e riputazione che era venuto, e principalmente e'
popoli del reame, che l'avevano aspettato come uno Dio, rimasono molto male
contenti, perché e' fece loro imposizione assai di danari e messe ogni arte in
fare danari nel regno.
Così quegli che
speravano che egli avessi a acconciare Italia, ne rimasono poco satisfatti,
perché e' parve che e' pensassi a ogni altra cosa, e benché da molti, massime
dagli oratori nostri, gli fussi mostro quanto lui ed ognuno aveva da temere de'
viniziani per la potenzia loro, confortatolo a volere recuperare e' porti sua
ed abassargli, e quanto la città nostra se fussi reintegrata di Pisa sarebbe
buona a questi effetti, come molte volte aveva mostro la esperienzia de' tempi passati,
nondimeno in tutte le pratiche si tenne con lui di Pisa, ogni cosa si riferiva
a danari. Le quali cose erano imputate non solo alla natura sua che era
avarissima, ma nelle necessità si trovava per lo accordo fatto con Francia, per
vigore del quale era obligato dare a lui certa somma di danari, cioè
cinquantamila ducati l'anno, duranti certi tempi, conservare in stato o dare
ricompenso a molti che avevano seguitati e' franzesi, fare bene e rimunerare e'
partigiani sua; le quale cose, per essere meno gli stati che gli uomini che gli
bisognava contentare, era necessitato espedire con danari. E nondimeno la sua
partita dispiacque alla città, perché si credeva che fermandosi a Napoli
penserebbe a volerne essere un dì signore intero ed assoluto, ed a diminuire la
potenzia de' viniziani.
Partiti di
Italia e' due re, si cominciorono a suscitare nuovi tumulti per conto della
Magna perché e' si intendeva che lo imperadore disposto al tutto di passare in
Italia, aveva chiamato a Gostanza una dieta de' principi e communità della
Magna, e che aiutato dalle forze loro, verrebbe non tanto per la corona, quanto
per riconoscere la ragione dello imperio in Italia, e che sarebbe una impresa
comune di tutta la Magna. E perché si intendeva che el re di Francia stimava
assai questo movimento ed ordinava di fare preparazione grandissime e così che
el papa ed e' viniziani avevano uomini nella Magna, si cominciò a fare giudicio
nella città che sarebbe cosa di molto momento e però si propose per molti che
e' sarebbe bene mandarvi uno uomo. E fu eletto per opera del gonfaloniere, che
vi voleva uno di chi e' si potessi fidare, el Machiavello, el quale mettendosi
in ordine per andare, cominciorono a gridare molti uomini da bene, chi e' si
mandassi altri, essendo in Firenze tanti giovani da bene atti a andarvi ed e'
quali era bene che si esercitassino. E però mutata la elezione, fu deputato
Francesco di Piero Vettori con commessione generale e da intendere e scrivere,
non da praticare e conchiudere.
Ma riscaldando
ogni dì questa voce, si cominciò a praticare di mandare imbasciadori, a che
opponendosi vivamente el gonfaloniere, in ultimo la pratica conchiuse di
eleggergli, riscaldandosene massime Giovan Batista Ridolfi, che aveva nelle
pratiche credito ed autorità grandissima. Furono adunque eletti dagli ottanta,
Piero Guicciardini ed Alamanno Salviati, e' quali avendo accettato, nacque nel
mandargli disparere grandissimo, perché el gonfaloniere non voleva mandargli
Giovan Batista Ridolfi ed e' Salviati volevano. Quegli che confortavano el
mandargli, cioè Giovan Batista ed e' Salviati, co' quali concorreva Lorenzo
Morelli, messer Francesco Pepi, Lanfredino Lanfredini, Guglielmo de' Pazzi,
Piero Popoleschi, Piero degli Alberti, e molti altri, presupponevano che e'
fussi da credere la passata dello imperadore con grandissime forze, il che
dimostrava l'essere ragunata e fatta risoluzione di passare tutta la Magna, la
quale non essere da credere che volessi rimanere vituperate, come sarebbe se e'
non passassi: dimostravalo e' favori arebbe dal papa, e di danari e di ogni
aiuto, che lungamente per vendicarsi del re di Francia e de' viniziani aveva
tenute pratiche con lui ed in ultimo mandatovi per legato de latere con
amplissime autorità e commessione, el cardinale di Santa Croce; dimostravalo
gli apparati e le grandissime spese faceva el re di Francia, le quali per certo
e' non farebbe, se non vedessi in ordine la passata sua.
Se e' passava
essere da tenerne per certa la vittoria, perché le forze della Magna essere
molto maggiore che quelle del re di Francia, e tanto più se e' fussino con loro
e' svizzeri come si credeva, di poi lo stato di Milano, dove s'aveva a fare lo
insulto, essere male disposto contro al re ed appetire grandemente questa mutazione;
e però potersi conietturare la vittoria. La quale seguendo, se noi prima non
avessimo appuntato seco, che e' sarebbe ragionevolmente adirato con noi, sendo
mancati di quelle debite riverenzie, a che gli eravamo tenuti per debito dello
imperio; non si dovere attendere quello fussino per fare e' viniziani, perché
secondo quello che era verisimile, sarebbono d'accordo collo imperadore amico
loro, contro al re loro inimico, e quando pure non fussino d'accordo
nascerebbe, perché lo imperadore, sendo eglino incompatibili col papa, gli
rifiuterebbe, il che tanto più dimostrare la potenzia sue e doverci fare più
caldi a essere seco d'accordo ed aiutare [la] ruina de' viniziani. Essere da
considerare che se noi fussimo d'accordo collo imperadore e lui vincessi,
recupereremo Pisa e così apunteremo seco, se e' perdessi non ci mancherebbe
modo a medicare Francia con danari, come ci aveva molte volte mostro la
esperienzia, se noi fussimo d'accordo con Francia e lui vincessi, a noi non
tornerebbe utilità nessuna, perché con loro non ci era mai giovato el bene
fare, se lui perdessi patiremo assai, e così seco ci toccherebbe a stare alla
perdita e non al guadagno; doversi adunche risolvere in questa parte, né curare
le parole del gonfaloniere, el quale, se bene vedessi la ruina della città, non
sarebbe per deviare da Francia per la dependenzia che aveva con quello re e lui
ed el cardinale suo fratello, che aveva in Francia benefìci ed entrata per più
migliaia di ducati. Queste ragione si allegavano per chi consigliava el
mandarsi gli imbasciadori, de' quali molti si movevano però, e perché forse
pensavano, in sulla venuta dello imperadore, rimescolandosi le cose della città
potersi tòrre lo stato al gonfaloniere.
Da altra parte
al gonfaloniere dispiaceva el mandargli, mosso forse in secreto per non
abandonare la amicizia di Francia, utile a sé ed al cardinale suo fratello, e
perché degli imbasciadori che avevano a andare, credeva che Alamanno, per
essere inimico suo, gli opererebbe contro quanto potessi; di Piero Guicciardini
sapeva che, se bene non gli opere[re]bbe contro, non era per operare per lui da
parte, ma solo attendere alle cose della città. In questo parere del non
mandare imbasciadori concorrevano tutti quegli che seguitavano ordinariamente
e' pareri del gonfaloniere, come Niccolò Valori, Alessandro Acciaiuoli,
Francesco Pandolfini e simili, e' quali però non avevano molto credito, ma vi
concorreva Piero Guicciardini, che difendendo vivamente questa parte nelle
pratiche, la sostenne assai colla autorità sua, e messer Francesco Gualterotti,
benché spesso parlassi ambiguo, pure più tosto vi inclinava.
Allegavano
costoro, presupponendo che quando si mandassi imbasciadori con animo di non
conchiudere, ma solo per intratenere lo imperadore e servire a dimostrazione e
cerimonie, questa andata sarebbe, in quanto allo imperadore, disutile, perché,
come egli intendessi venire gli imbasciadori, si persuaderebbe venissino a
comporre, il che non riuscendo, gli parrebbe essere uccellato e tanto più si
sdegnerebbe; così si farebbe offesa al re el quale insospettirebbe che noi lo
volessimo abbandonare ed inoltre arebbe per male che noi favorissimo di questo
nome e riputazione gli inimici sua; e però essere da fare una delle due
conclusione, o di non mandare imbasciadori o di mandargli con ordine e
commessione di appuntare, e così el punto di questa deliberazione essere solo
se era bene fare accordo collo imperadore o no. In questo aversi a presupporre
ed essere chiaro, che ogni accordo che si faceva seco, vi avere a correre
danari e somma grossa di presente; e' quali non si potendo annoverare se non si
facessi provisione di nuova gravezza, si poteva giudicare che non si vincerebbe
in consiglio, perché el popolo non concorre mai allo sborsare, se non quando e'
pericoli e le speranze sono in sull'uscio, e non lo muovono e' movimenti
propinqui di Italia, non che e' remoti della Magna. E però essere da
conchiudere che quando bene el comporre era collo imperadore fussi utile per la
città, nondimeno la difficultà al provedere al danaio sarebbe tale e potrebbe
recare seco sì nuovi accidenti, che e' non sarebbe da pensarvi, se una urgente
difficultà non ci costrignessi. Ma andando più là, quando el danaio ci fussi in
mano, potersi fare seco accordo in due modi: uno di essere seco in ogni
impresa, contro a Francia ancora, l'altro, sanza obligarsi contro a persona,
sovvenirlo semplicemente di danari. L'uno e l'altro avere a dispiacere insino
al cuore al re di Francia, e tanto el secondo modo quanto el primo perché non
mancando allo imperadore gente ma danari, sovvenirlo di quegli, essere come
armarlo e metterlo in campo contro a lui, e così, in qualunque modo accordo si
facessi, offendendosene ed inimicandosene el re, essere partito di grandissima
importanza. Perché e' non era certo che lo imperadore avessi a passare, perché
da sé non era bastante; e se bene e' principi della Magna ci parevano caldi,
nondimeno difficultarsi a risolversi facilmente quelle deliberazione che
pendevano dalla voluntà di molti; e massime che e' non era credibile che le
communità, in chi aveva a consistere el nervo della impresa per la abilità che
hanno al danaio e la povertà de' principi volessino spendere grossamente per
conto dello imperadore e degli altri signori, della grandezza de' quali non
guadagnavano nulla, anzi ne perdevano, perché quanto più erano potenti, tanto
più gli avevano a temere. Così non si vedere ancora sì certa la intenzione del
papa e de' viniziani, che si potessi farvi fondamento al risolversene, e quando
pure lo imperadore passassi, che la forza e gli apparati del re erano tali, che
e' non era da giudicare così de facili la vittoria de' tedeschi; e però
essere molto bene da considerare in quanto pericolo noi entravamo, perché fatto
lo accordo, se lo imperadore non passava o passando perdeva, noi rimanavamo
sanza rimedio alcuno a discrezione del re, inimico nostro ed offeso da noi, se
e' vinceva, sendo lui bisognoso di danari, e non più osservatore della fede che
gli altri barbari, ed essendo la città in opinione di ricca, non gli
mancherebbe in ogni modo via e cavillazione da trarci di mano nuovi danari. Da
altro canto, se noi fussimo di accordo col re e lui vincessi, se bene forse non
ci rendessi Pisa, noi non sentiremo altra briga e conserveremo quello che avevamo,
il che non era poco in tempi sì pericolosi e forti; se e' perdessi, lo
imperadore sarebbe si munto di danari che e' non mancherebbe via a posarlo con
danari e forse con meno somma, perché n'arebbe allora più bisogno, e quanto
più, che noi ci potremo scusare, non avere composto seco mentre era nella
Magna, per la paura ci bisognava avere del re di Francia, mentre che era in
Italia propinquo e potentissimo. Considerato adunche el tutto, doversi più
tosto seguitare la amicizia di Francia che dello imperadore, in che non essere
di poco momento che noi non potavamo comporre collo imperadore se non dandogli
danari e con sconcio nostro e con difficultà; dove tenendoci con Francia, non
ci correva noia alcuna, perché quello re, o non ci richiederebbe di nulla o
solo di qualche gente di arme, di che lo potavamo servire sanza indugio e
spesa, tenendole pagate per lo ordinario e non avendo a servircene a alcuna
fazione.
In su queste
dispute tenendosene moltissime volte pratica ne' dieci e negli ottanta, la
risoluzione che si faceva era sempre che si aspettassi uno altro aviso da
Francesco Vettori; dal quale intendendosi come le cose riscaldavano e che era
voce che gli apparati ordinati alla dieta dovevano essere in su' campi a San
Michele di settembre, sì gli dette commessione praticassi accordo. E perché
ogni cosa aveva a ritornare a danari, furono le prime chieste dello imperadore
molto grande, insino a dimandare cinquecentomila ducati, di poi pure
riducendosi a lega, venne a cinquantamila ducati. In su che tenendosi pratica,
e deliberando, pe' caldi avisi che venivano della Magna, darne commessione con
certe limitazione, però el gonfaloniere, che desiderava avervi uno di chi e' si
potessi fidari e credergli e fare forse non meno e' fatti sua che della città,
introdusse ne' dieci che, per dubio che le lettere non capitassino male,
sarebbe bene mandarvi uno che riferissi a bocca; e così non sendo chi si
opponessi, ottenne che vi fussi mandato el Machiavello.
Trovavasi in
detto tempo in Francia imbasciadore Giovanni Ridolfi, el quale tutto dì avisava
e' potenti apparati del re e confortava e consigliava caldamente la città a non
si volere partire da quella amicizia; in modo che ne acquistò carico grande e
fu tenuto non facessi lo uficio di imbasciadore e di uomo prudente, e si
diminui assai della riputazione sua, che era riputato prima savio e valente
cittadino. Richiese intanto el re di essere servito di gente d'arme, la quale
cosa gli fu negata, allegando aversi a adoperare nelle cose di Pisa di che lui
temperando la indegnazione ne concepé ed el sospetto che aveva preso di noi,
mostrò di non si adirare né risentire. E' viniziani in questo mezzo si
accordorono col re, la qual cosa non tolse e' dispareri della città, giudicando
alcuni che e' l'avessino fatto per cognoscere la debolezza della Magna, alcuni,
perché lo imperadore, per non ne dispiacere al papa, non gli avessi voluto
accettare. Era el gonfaloniere riputato amico del re di Francia ed inimico di
tutti gli inimici sua; la quale opinione non solo era in Firenze, ma ancora
divulgata fuori della città, intanto che lo imperadore ne' tempi che convocò la
dieta a Gostanza, mandando uno uomo suo in Italia, gli dette una lettera di
credenza a Alamanno Salviati e gli commesse lo confortassi a consigliare la
città a volgersi alla via sua, dicendo che non aveva fatto capo al
gonfaloniere, perché sapeva che lui non si discosterebbe mai da Francia ed
essendo questa opinione di lui, tutti coloro che confortavano la andata degli
imbasciadori ne dicevano male, in modo che per la città n'aveva carico
grandissimo.
Allungavansi
intanto le cose dello imperadore, perché e' termini del venire si differivano
tuttavia più oltre, ed oltre allo essere e' viniziani accordati col re, non si
intendeva che el papa, o per avarizia o perché pensassi meglio di quanto
momento el pericolo sarebbe questa impresa concorressi a dargli danari, in modo
che ultimamente lo imperadore, trovandosi in galea con poco biscotto, aviò una
parte della sua gente verso el Friuoli, un'altra verso Trento per battere le
terre de' viniziani. E però e' viniziani mandorono in Friuoli con grossa gente
el signore Bartolomeo d'Albiano, dalla banda di Trento el conte di Pitigliano,
ed el re di Francia mandò loro in aiuto buono numero di gente di arme, sotto
messer Gian Iacopo da Triulzi.
Scorsono e'
tedeschi con poco numero e debolmente insino presso a Vicenza, e di poi avendo
sì grossa opposizione si ritirorono nella Magna; da altra banda e' tedeschi che
erano nel Friuoli sendo con poche forze e poco ordine, scaramucciorono col
signore Bartolomeo, ed essendo rotti da lui, el signore Bartolomeo scoperta la
loro debolezza, cominciò per commessione de' viniziani a campeggiare le terre
loro e prese Triesti, Gorizia, Fiume, ed acquistò uno stato a' viniziani di
entrata di cinquantamila ducati o meglio ed utilissimo, perché per molti passi
di importanza era una forte guardia di tutti gli stati loro da quella banda.
Sbigottito da questa percossa lo imperadore, ragunò una dieta di nobili a Ulmo,
dove mancandogli sotto ogni favore, conchiuse in ultimo una triegua con
viniziani, per virtù della quale tenendo e' viniziani durante la triegua quello
che avevano acquistato gli avevano a dare ogni anno ducati trentamila. Questo
fine ebbe el movimento dello imperadore, el quale aveva messo tanta paura al re
di Francia, che spese una somma infinita di danari; messe in tale travaglio e
divisione la città nostra, che per certo, se seguitava, si faceva qualche
disordine, il che nasceva in gran parte per non intendere particularmente la
verità de' sua processi.
Intesesi poi
come lo imperadore aveva insino l'anno dinanzi insino quando el papa partì da
Bologna, tenuto pratiche di passare in Italia col papa che era adirato col re e
co' viniziani che temevano dello sforzo che faceva per la impresa di Genova; di
poi avendo fatto beneficio a' viniziani, quando el re prese Genova, con fare
dimostrazione di favorirgli se el re gli offendessi, si persuase tanto che
dovessino essere dal suo, benché altrimenti in particulare non si fusse
assodato con loro; credette ancora che e' svizzeri, beneficati molte volte e
favoriti da lui contro a' prìncipi della Magna, lo seguitassino. E però quando
fece la dieta a Gostanza, sendo riscaldati gli animi de' tedeschi a questa
impresa, e proponendo volere fare uno grosso esercito e disegnare capitani in
nome dello imperio e fare la guerra per lo imperio (la quale deliberazione se
si faceva, era facile cosa che passassino in Italia potentissimi), lo
imperadore che desiderava fare la impresa per sé, acciò che el guadagno fussi
tutto suo, ed avendosi presupposto per certo che el papa, viniziani e svizzeri
lo dovessino seguitare, e però parendogli non avere bisogno di molto aiuto alla
dieta, si oppose vivamente ed impedì questa deliberazione, dicendo: «ego
possum ferre labores, volo etiam honores», e dimostrando che uno mediocre
sussidio gli bastava, e però sendo concluso secondo la sua richiesta ed in
forma che sanza gli aiuti di Italia non poteva fare nulla, gli riuscì ogni
pensiero vano. E meritamente, perché doveva non promettersi nulla di persona
per ragione e segni generali, se prima non capitolava ed obligavagli
espressamente; accordoronsi e' viniziani col re contro a lui, el papa non resse
a dargli danari; e' svizzeri non avendo danari da lui né da altri per conto
suo, si stettono in modo che lui disperato, e parendogli essere vituperato se
non faceva qualche cosa, ruppe temerariamente guerra a' viniziani e, per non
avere vergogna, provocando con somma sciocchezza l'arme di chi gli era
superiore assai, si tirò adosso uno vituperio molto maggiore ed uno danno
grandissimo. Nel quale quando fu incorso, convocò e' prìncipi a Ulmo, dove
dimostrò che e' danni e vergogne sue, erano danni e vergogne commune di tutta
la Magna, ma veduto che erano verba ad corinthios fu necessitato, per
non fare peggio, acconsentire, alla fine dell'anno o nel principio dell'altro,
a una triegua brutta e vituperosa.
Nel detto anno
alla fine di dicembre, messer Guglielmo Capponi vescovo di Cortona, uomo
bestiale e temerario, stretta pratica collo arcivescovo di Firenze, messer
Rinaldo Orsino, che gli rinunziassi lo arcivescovado; ed era la cosa condotta
tanto in là per opera del cardinale de' Medici, a chi messer Guglielmo soleva
essere inimicissimo, e per questo gli era diventato amico, che si poteva dire
quasi conclusa. Il che dispiacendo assai al gonfaloniere e perché voleva male a
messer Guglielmo e perché sperava che, vacando lo arcivescovado per morte,
avessi a essere del cardinale suo, subornò Giovacchino Guasconi, Iacopo di
Bongianni e molti altri, e' quali mostrando essere mossi da se medesimi per
bene della città, pregassino la signoria che, considerata la natura di messer
Guglielmo, volessi scrivere al papa in disfavore di questa rinunzia. Ma questi
tali come veddono risentirsi alcuni de' Capponi e Giovan Batista Ridolfi loro
parente, non se ne vollono impacciare; e però el gonfaloniere, volendola
impedire, fu sforzato a scoprirsi e fece scrivere tante volte lettere dalla
signoria al papa, che finalmente questa pratica, per non volere el papa
dispiacere alla città si risolvé.
Creossi di poi
per gennaio e febraio la signoria nuova, nella quale benché el gonfaloniere
avessi spesso sei fave, come nello scrivere lettere contro al Cappone,
nondimeno, essendone Bartolomeo di Filippo Valori, Giovanni di Stagio Barducci
e Giovanni di Ridolfo Lotti, uomini vivi balzandosi e molto inimici sua, e non
essendo ancora spente in tutto le cose dello imperadore, tanto si gli opposono
e svillaneggioronlo in tutte le cose, che fu constretto cedere loro assai ed in
modo che non credeva mai vedere el dì che eglino uscissino. E certo furono
uomini di qualità, che se avessino avuti dua compagni simili a loro, gli
arebbono dato fatiche assai; e benché molti uomini da bene avessino caro che el
gonfaloniere avessi contradizione, nondimeno la più parte caricò questa
signoria d'avere usato troppo leggiermente molte parole e dispregi dove non
bisognava.
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