II. Morte di Lorenzo de' Medici. Morte di papa innocenzo VIII ed elezione
di Alessandro VI. La politica amichevole di Piero de' Medici verso Ferdinando
d'Aragona ed i primi timori di Lodovico Sforza.
Tale era lo
stato delle cose, tali erano i fondamenti della tranquillità d'Italia, disposti
e contrapesati in modo che non solo di alterazione presente non si temeva ma né
si poteva facilmente congetturare da quali consigli o per quali casi o con
quali armi s'avesse a muovere tanta quiete. Quando, nel mese di aprile
dell'anno mille quattrocento novantadue, sopravenne la morte di Lorenzo de'
Medici; morte acerba a lui per l'età, perché morì non finiti ancora
quarantaquattro anni; acerba alla patria, la quale, per la riputazione e
prudenza sua e per lo ingegno attissimo a tutte le cose onorate e eccellenti,
fioriva maravigliosamente di ricchezze e di tutti quegli beni e ornamenti da'
quali suole essere nelle cose umane la lunga pace accompagnata. Ma e fu morte
incomodissima al resto d'Italia, così per l'altre operazioni le quali da lui,
per la sicurtà comune, continuamente si facevano, come perché era mezzo a
moderare e quasi uno freno ne' dispareri e ne' sospetti i quali, per diverse
cagioni, tra Ferdinando e Lodovico Sforza, prìncipi di ambizione e di potenza
quasi pari, spesse volte nascevano.
La morte di
Lorenzo, preparandosi già ogni dì più le cose alle future calamità, seguitò,
pochi mesi poi, la morte del pontefice; la vita del quale, inutile al publico
bene per altro, era almeno utile per questo, che avendo deposte presto l'armi
mosse infelicemente, per gli stimoli di molti baroni del regno di Napoli, nel
principio del suo pontificato, contro a Ferdinando, e voltato poi totalmente
l'animo a oziosi diletti, non aveva più, né per sé né per i suoi, pensieri
accesi a cose che la felicità d'Italia turbare potessino. A Innocenzio
succedette Roderigo Borgia, di patria valenziano, una delle città regie di
Spagna, antico cardinale, e de' maggiori della corte di Roma, ma assunto al
pontificato per le discordie che erano tra i cardinali Ascanio Sforza e
Giuliano di san Piero a Vincola, ma molto più perché, con esempio nuovo in
quella età, comperò palesemente, parte con danari parte con promesse degli
uffici e benefici suoi, che erano amplissimi, molti voti di cardinali: i quali,
disprezzatori dell'evangelico ammaestramento, non si vergognorono di vendere la
facoltà di trafficare col nome della autorità celeste i sacri tesori, nella più
eccelsa parte del tempio. Indusse a contrattazione tanto abominevole molti di
loro il cardinale Ascanio, ma non già più con le persuasioni e co' prieghi che
con lo esempio; perché corrotto dall'appetito infinito delle ricchezze, pattuì
da lui per sé, per prezzo di tanta sceleratezza, la vicecancelleria, ufficio
principale della corte romana, chiese, castella e il palagio suo di Roma, pieno
di mobili di grandissima valuta. Ma non fuggì, per ciò, né poi il giudicio
divino né allora l'infamia e odio giusto degli uomini, ripieni per questa
elezione di spavento e di orrore, per essere stata celebrata con arti sì
brutte; e non meno perché la natura e le condizioni della persona eletta erano
conosciute in gran parte da molti: e, tra gli altri, è manifesto che il re di
Napoli, benché in publico il dolore conceputo dissimulasse, significò alla
reina sua moglie con lacrime, dalle quali era solito astenersi eziandio nella
morte de' figliuoli, essere creato uno pontefice che sarebbe perniciosissimo a
Italia e a tutta la republica cristiana: pronostico veramente non indegno della
prudenza di Ferdinando. Perché in Alessandro sesto (così volle essere chiamato
il nuovo pontefice) fu solerzia e sagacità singolare, consiglio eccellente,
efficacia a persuadere maravigliosa, e a tutte le faccende gravi sollecitudine
e destrezza incredibile; ma erano queste virtù avanzate di grande intervallo
da' vizi: costumi oscenissimi, non sincerità non vergogna non verità non fede
non religione, avarizia insaziabile, ambizione immoderata, crudeltà più che
barbara e ardentissima cupidità di esaltare in qualunque modo i figliuoli i
quali erano molti; e tra questi qualcuno, acciocché a eseguire i pravi consigli
non mancassino pravi instrumenti, non meno detestabile in parte alcuna del
padre.
Tanta
variazione feciono per la morte di Innocenzio ottavo le cose della chiesa. Ma
variazione di importanza non minore aveano fatta, per la morte di Lorenzo de'
Medici, le cose di Firenze; ove senza contradizione alcuna era succeduto, nella
grandezza del padre, Piero maggiore di tre figliuoli, ancora molto giovane, ma
né per l'età né per l'altre sue qualità atto a reggere peso sì grave, né capace
di procedere con quella moderazione con la quale procedendo, e dentro e fuori,
il padre, e sapendosi prudentemente temporeggiare tra' prìncipi collegati,
aveva, vivendo, le publiche e le private condizioni amplificate, e, morendo,
lasciata in ciascuno costante opinione che per opera sua principalmente si
fusse la pace d'Italia conservata. Perché non prima entrato Piero nella
amministrazione della republica che, con consiglio direttamente contrario a'
consigli paterni né comunicato co' cittadini principali, senza i quali le cose
gravi deliberare non si solevano, mosso dalle persuasioni di Verginio Orsino
parente suo (erano la madre e la moglie di Piero nate della famiglia Orsina),
si ristrinse talmente con Ferdinando e con Alfonso, da' quali Verginio
dependeva, che ebbe Lodovico Sforza causa giusta di temere che qualunque volta
gli Aragonesi volessino nuocergli arebbono per l'autorità di Piero de' Medici
congiunte seco le forze della republica fiorentina. Questa intelligenza, seme e
origine di tutti i mali, se bene da principio fusse trattata e stabilita molto
segretamente, cominciò quasi incontinente, benché per oscure congetture, a
essere sospetta a Lodovico, principe vigilantissimo e di ingegno molto acuto.
Perché dovendosi, secondo la consuetudine inveterata di tutta la cristianità,
mandare imbasciadori a adorare, come vicario di Cristo in terra, e a offerire
di ubbidire il nuovo pontefice, aveva Lodovico Sforza, del quale fu proprio
ingegnarsi di parere, con invenzioni non pensate da altri, superiore di
prudenza a ciascuno, consigliato che tutti gli imbasciadori de' collegati
entrassino in uno dì medesimo insieme in Roma, presentassinsi tutti insieme nel
concistorio publico innanzi al pontefice, e che uno di essi orasse in nome
comune, perché da questo, con grandissimo accrescimento della riputazione di
tutti, a tutta Italia si dimostrerebbe essere tra loro non solo benivolenza e
confederazione, ma più tosto tanta congiunzione che e' paressino quasi un
principe e un corpo medesimo. Manifestarsi, non solamente col discorso delle
ragioni ma non meno con fresco esempio, l'utilità di questo consiglio; perché,
secondo che si era creduto, il pontefice ultimamente morto, preso argomento
della disunione de' collegati dall'avergli con separati consigli e in tempi
diversi prestato l'ubbidienza, era stato più pronto ad assaltare il regno di
Napoli. Approvò facilmente Ferdinando il parere di Lodovico; approvoronlo per
l'autorità dell'uno e dell'altro i fiorentini, non contradicendo ne' consigli
publici Piero de' Medici, benché privatamente gli fusse molestissimo, perché,
essendo uno degli oratori eletti in nome della republica e avendo deliberato di
fare illustre la sua legazione con apparato molto superbo e quasi regio, si
accorgeva che, entrando in Roma e presentandosi al pontefice insieme con gli
altri imbasciadori de' collegati, non poteva in tanta moltitudine apparire agli
occhi degli uomini lo splendore della pompa sua: la quale vanità giovenile fu
confermata dagli ambiziosi conforti di Gentile vescovo aretino, uno
medesimamente degli eletti imbasciadori; perché aspettandosi a lui, per la
degnità episcopale e per la professione la quale negli studi che si chiamano
d'umanità fatta avea, l'orare in nome de' fiorentini, si doleva incredibilmente
di perdere, per questo modo insolito e inaspettato, l'occasione di ostentare la
sua eloquenza in cospetto sì onorato e sì solenne. E però Piero, stimolato
parte dalla leggierezza propria parte dall'ambizione di altri, ma non volendo
che a notizia di Lodovico Sforza pervenisse che da sé si contradicesse al consiglio
proposto da lui, richiese il re che, dimostrando d'avere dappoi considerato che
senza molta confusione non si potrebbeno eseguire questi atti comunemente,
confortasse che ciascuno, seguitando gli esempli passati, procedesse da se
medesimo: nella quale domanda il re, desideroso di compiacergli, ma non tanto
che totalmente ne dispiacesse a Lodovico, gli sodisfece più dell'effetto che
del modo; conciossiacosaché e' non celò che non per altra cagione si partiva da
quel che prima avea consentito che per l'instanza fatta da Piero de' Medici.
Dimostrò di questa subita variazione maggiore molestia Lodovico che per se
stessa non meritava l'importanza della cosa, lamentandosi gravemente che,
essendo già nota al pontefice e a tutta la corte di Roma la prima deliberazione
e chi ne fusse stato autore, ora studiosamente si ritrattasse, per diminuire la
sua reputazione. Ma gli dispiacque molto più che, per questo minimo e quasi non
considerabile accidente, cominciò a comprendere che Piero de' Medici avesse
occultamente intelligenza con Ferdinando: il che, per le cose che seguitorono,
venne a luce ogni dì più chiaramente.
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