III. La vendita dei castelli di Franceschetto Cibo nel Lazio a Verginio
Orsino. L'indignazione del pontefice e gli incitamenti di Lodovico Sforza.
Questi cerca distogliere dall'amicizia per Ferdinando d'Aragona Piero de'
Medici. Confederazione di Lodovico co' veneziani e col pontefice. Suoi pensieri
di maggiormente assicurarsi con armi straniere.
Possedeva l'Anguillara,
Cervetri e alcun'altre piccole castella vicine a Roma Franceschetto Cibo
genovese, figliuolo naturale di Innocenzio pontefice, il quale andato, dopo la
morte del padre, sotto l'ombra di Piero de' Medici fratello di Maddalena sua
moglie, a abitare in Firenze, non prima arrivò in quella città che,
interponendosene Piero, vendé quelle castella per quarantamila ducati a
Verginio Orsino: cosa consultata principalmente con Ferdinando, il quale gli
prestò occultamente la maggiore parte de' danari, persuadendosi che a beneficio
proprio risultasse quanto più la grandezza di Verginio, soldato, aderente e
parente suo, intorno a Roma si distendesse. Perché il re, considerando la
potenza de' pontefici essere instrumento molto opportuno a turbare il regno di Napoli,
antico feudo della chiesa romana, e il quale confina per lunghissimo spazio col
dominio ecclesiastico, e ricordandosi delle controversie le quali il padre e
egli aveano molte volte avute con loro, e essere sempre parata la materia di
nuove contenzioni, per le giurisdizioni de' confini, per conto de' censi, per
le collazioni de' beneficii, per il ricorso de' baroni, e per molte altre
differenze che spesso nascono tra gli stati vicini né meno spesso tra il
feudatario e il signore del feudo, ebbe sempre per uno de' saldi fondamenti
della sicurtà sua che da sé dependessino o tutti o parte de' baroni più potenti
del territorio romano: cosa che in questo tempo più prontamente facea, perché
si credea che appresso al pontefice avesse a essere grande l'autorità di
Lodovico Sforza, per mezzo del cardinale Ascanio suo fratello. Né lo moveva
forse meno, come molti credettono, il timore che in Alessandro non fusse
ereditaria la cupidità e l'odio di Calisto terzo pontefice, suo zio; il quale,
per desiderio immoderato della grandezza di Pietro Borgia suo nipote, arebbe,
subito che fu morto Alfonso padre di Ferdinando, se la morte non si fusse
interposta a' consigli suoi, mosse l'armi per spogliarlo del regno di Napoli,
ricaduto, secondo affermava, alla chiesa; non si ricordando (tanto poco può
spesso negli uomini la memoria de' benefici ricevuti) che per opera di Alfonso,
ne' cui regni era nato e cui ministro lungo tempo era stato, aveva ottenuto
l'altre degnità ecclesiastiche e aiuto non piccolo a conseguire il pontificato.
Ma è certamente cosa verissima che non sempre gli uomini savi discernono o
giudicano perfettamente: bisogna che spesso si dimostrino segni della debolezza
dello intelletto umano. Il re, benché riputato principe di prudenza grande, non
considerò quanto meritasse di essere ripresa quella deliberazione, la quale,
non avendo in qualunque caso altra speranza che di leggierissima utilità,
poteva partorire da altra parte danni gravissimi. Imperocché la vendita di
queste, piccole castella incitò a cose nuove gli animi di coloro a quali o
apparteneva o sarebbe stato utile attendere alla conservazione della concordia
comune. Perché il pontefice, pretendendo che, per la alienazione fatta senza
saputa sua, fussino, secondo la disposizione delle leggi, alla sedia apostolica
devolute, e parendogli offesa non mediocremente l'autorità pontificale,
considerando oltre a questo quali fussino i fini di Ferdinando, empié tutta
Italia di querele contro a lui, contro a Piero de' Medici e contro a Verginio;
affermando che, per quanto si distendesse il potere suo, opera alcuna opportuna
a ritenere la degnità e le ragioni di quella sedia non pretermetterebbe. Ma non
manco se ne commosse Lodovico Sforza, al quale erano sempre sospette l'azioni
di Ferdinando; perché, essendosi vanamente persuaso, il pontefice co' consigli
di Ascanio e suoi aversi a reggere, gli pareva perdita propria ciò che si
diminuisse della grandezza d'Alessandro. Ma soprattutto gli accresceva la
molestia il non si potere più dubitare che gli Aragonesi e Piero de' Medici,
poi che in opere tali procedevano unitamente, non avessino contratta insieme
strettissima congiunzione; i disegni de' quali, come pericolosi alle cose sue,
per interrompere, e per tirare a sé tanto più con questa occasione l'animo del
pontefice, lo incitò quanto più gli fu possibile alla conservazione della
propria degnità, ricordandogli che si proponesse innanzi agli occhi non tanto
quello che di presente si trattava quanto quello che importava l'essere stata,
ne primi dì del suo pontificato, disprezzata così apertamente da' suoi medesimi
vassalli la maestà dì tanto grado. Non credesse che la cupidità di Verginio o
l'importanza delle castella, non che altra cagione avesse mosso Ferdinando, ma
il volere, con ingiurie che da principio paressino piccole, tentare la sua
pazienza e il suo animo: dopo le quali, se queste gli fussino comportate,
ardirebbe di tentare alla giornata cose maggiori. Non essere l'ambizione sua
diversa da quella degli altri re napoletani, inimici perpetui della chiesa
romana; per ciò avere moltissime volte quegli re perseguitati con l'armi i
pontefici, occupato più volte Roma. Non avere questo medesimo re mandato due
volte contro a due pontefici gli eserciti, con la persona del figliuolo, insino
alle mura romane? non avere quasi sempre esercitato inimicizie aperte co' suoi
antecessori? Irritarlo di presente contro a lui non solo l'esempio degli altri
re, non solo la cupidità sua naturale del dominare, ma di più il desiderio
della vendetta per la memoria delle offese ricevute da Calisto suo zio.
Avvertisse diligentemente a queste cose, e considerasse che, tollerando con
pazienza le prime ingiurie, onorato solamente con cerimonie e nomi vani,
sarebbe effettualmente dispregiato da ciascuno e darebbe animo a più pericolosi
disegni; ma risentendosene, conserverebbe agevolmente la pristina maestà e
grandezza, e la vera venerazione dovuta da tutto il mondo a' pontefici romani.
Aggiunse alle persuasioni offerte efficacissime ma più efficaci fatti, perché
gli prestò prontissimamente quarantamila ducati, e condusse seco, a spese
comuni ma perché stessino fermi dove paresse al pontefice, trecento uomini
d'arme: e nondimeno, desideroso di fuggire la necessità di entrare in nuovi
travagli, confortò Ferdinando che disponesse Verginio a mitigare con qualche
onesto modo l'animo del pontefice, accennandogli che altrimenti gravissimi
scandoli da questo lieve principio nascere potrebbono. Ma più liberamente e con
maggiore efficacia ammunì molte volte Piero de' Medici che, considerando quanto
fusse stato opportuno a conservare la pace d'Italia che Lorenzo suo padre fusse
proceduto come uomo di mezzo e amico comune tra Ferdinando e lui, volesse più
tosto seguitare l'esempio domestico, avendo massime a pigliare l'imitazione da
persona stata di tanto valore, che, credendo a consigli nuovi, dare a altri
cagione, anzi più tosto necessità, di fare deliberazioni le quali alla fine
avessino a essere perniciose a ciascuno; e che si ricordasse quanto la lunga
amicizia tra la casa Sforzesca e quella de' Medici avesse dato all'una e
all'altra sicurtà e riputazione, e quante offese e ingiurie avesse fatte la
casa di Aragona al padre e a' maggiori suoi e alla republica fiorentina, e
quante volte Ferdinando, e prima Alfonso suo padre, avessino tentato di
occupare, ora con armi ora con insidie, il dominio di Toscana.
Ma nocevano più
che giovavano questi conforti e ammunizioni, perché Ferdinando, stimando
essergli indegno il cedere a Lodovico e a Ascanio, dagli stimoli de' quali si
persuadeva che la indegnazione del pontefice procedesse, e spronato da Alfonso
suo figliuolo, confortò secretamente Verginio che non ritardasse a ricevere,
per virtù del contratto, la possessione delle castella, promettendo difenderlo
da qualunque molestia gli fusse fatta; e da altra parte, governandosi con le
naturali sue arti, proponeva col pontefice diversi modi di composizione,
confortando nondimeno Verginio occultamente a non consentire se non a quegli
per i quali, sodisfacendo al pontefice con qualche somma di danari, avesse a
ritenersi le castella. Onde Verginio, preso animo, ricusò poi più volte di
quegli partiti i quali Ferdinando, per non irritare tanto il pontefice, faceva
instanza che egli accettasse. Nelle quali pratiche vedendosi che Piero de'
Medici perseverava di seguitare l'autorità del re, e essere vana ogni diligenza
che per rimuovernelo si facesse, Lodovico Sforza, considerando seco medesimo
quanto importasse che dagli inimici suoi dipendesse quella città, il
temperamento della quale soleva essere il fondamento principale della sua
sicurtà, e perciò parendogli che gli soprastessino molti pericoli, deliberò
alla salute propria con nuovi rimedii provedere; conciossiaché gli fusse
notissimo il desiderio ardente che avevano gli Aragonesi che e' fusse rimosso
dal governo del nipote: il quale desiderio benché Ferdinando, pieno in tutte le
azioni di incredibile simulazione e dissimulazione, si fusse sforzato di
coprire, nondimeno Alfonso, uomo di natura molto aperta, non si era mai
astenuto di lamentarsi palesemente della oppressione del genero, dicendo, con
maggiore libertà che prudenza, parole ingiuriose e piene di minaccie. Sapeva
oltre a questo Lodovico che Isabella moglie di Giovan Galeazzo, giovane di
virile spirito, non cessava di stimolare continuamente il padre e l'avolo che,
se non gli moveva la infamia di tanta indegnità del marito e di lei, gli
movesse almanco il pericolo della vita al quale erano esposti, insieme co'
propri figliuoli. Ma quel che più angustiava l'animo suo era il considerare
essere sommamente esoso il suo nome a tutti i popoli del ducato di Milano, sì
per molte insolite esazioni di danari che avea fatte come per la compassione
che ciascheduno aveva di Giovan Galeazzo legittimo signore; e benché egli si
sforzasse di fare sospetti gli Aragonesi di cupidità di insignorirsi di quello
stato, come se essi pretendessino appartenersi a loro per l'antiche ragioni del
testamento di Filippo Maria Visconte, il quale aveva instituito erede Alfonso
padre di Ferdinando, e che per facilitare questo disegno cercassino di privare
il nipote del suo governo, nondimeno non conseguitava con queste arti la
moderazione dell'odio conceputo, né che universalmente non si considerasse a
quali sceleratezze soglia condurre gli uomini la sete pestifera del dominare.
Però, poi che lungamente s'ebbe rivolto nella mente lo stato delle cose e i
pericoli imminenti, posposti tutti gli altri pensieri, indirizzò del tutto
l'animo a cercare nuovi appoggi e congiunzioni; e a questo dimostrandogli
grande opportunità lo sdegno del pontefice contro a Ferdinando e il desiderio
che si credeva che avesse il senato viniziano che si scompigliasse quella
confederazione per la quale era stata fatta molti anni opposizione a' disegni
suoi, propose all'uno e all'altro di loro di fare insieme, per beneficio
comune, nuova confederazione. Ma nel pontefice prevaleva allo sdegno e a
qualunque altro affetto la cupidità sfrenata della esaltazione de' figliuoli, i
quali amando ardentemente, primo di tutti i pontefici che per velare in qualche
parte la infamia loro solevano chiamargli nipoti, gli chiamava e mostrava a
tutto il mondo come figliuoli; né se gli presentando per ancora opportunità di
dare per altra via principio allo intento suo, faceva instanza di ottenere per
moglie di uno di loro una delle figliuole naturali di Alfonso, con dote di
qualche stato ricco nel regno napoletano: dalla quale speranza insino non restò
escluso prestò più gli orecchi che l'animo alla confederazione proposta da
Lodovico; e se in questo desiderio gli fusse stato corrisposto non si sarebbe,
per avventura, la pace d'Italia così presto perturbata. Ma benché Ferdinando
non ne fusse alieno, nondimeno Alfonso, il quale aborriva l'ambizione e il
fasto de' pontefici recusò sempre di consentirvi; e perciò, non dimostrando che
dispiacesse loro il matrimonio ma mettendo difficoltà nella qualità dello stato
dotale, non sodisfacevano ad Alessandro: per il che egli alterato si risolvé di
seguitare i consigli di Lodovico, incitandolo la cupidità e lo sdegno e in
qualche parte il timore; perché agli stipendi di Ferdinando era non solo
Verginio Orsino, il quale, per gli eccessivi favori che aveva da' fiorentini e
da lui e per il seguito della fazione guelfa, era allora molto potente in tutto
il dominio ecclesiastico, ma ancora Prospero e Fabrizio principali della
famiglia de' Colonnesi; e il cardinale di san Piero in Vincola, cardinale di
somma estimazione, ritiratosi nella rocca d'Ostia, tenuta da lui come da
vescovo ostiense, per sospetto che il pontefice non insidiasse alla sua vita,
era di inimicissimo di Ferdinando, contro al quale aveva già concitato prima
Sisto pontefice suo zio e poi Innocenzio, amicissimo diventato. Ma non fu già
pronto come si credeva il senato viniziano a questa confederazione; perché, se
bene gli fusse molto grata la disunione degli altri, lo ritardavano la
infedeltà del pontefice, sospetta già ogni dì più a ciascuno, e la memoria
delle leghe fatte da loro con Sisto e con Innocenzio suoi prossimi antecessori,
perché dall'una ricevettono molestie assai senza comodo alcuno, e Sisto, quando
più ardeva la guerra contro al duca di Ferrara, alla quale prima gli aveva
concitati, mutata sentenza, procedé con l'armi spirituali, e pigliò l'armi
temporali insieme col resto d'Italia contro a loro. Ma superando tutte le
difficoltà appresso al senato, e privatamente con molti de' senatori, la
industria e la diligenza di Lodovico, si contrasse finalmente, del mese di
aprile l'anno mille quattrocento novantatré, tra il pontefice, il senato veneto
e Giovan Galeazzo duca di Milano (espedivansi in nome suo tutte le
deliberazioni di quello stato) nuova confederazione a difensione comune e a
conservazione nominatamente del governo di Lodovico; con patto che i viniziani
e il duca di Milano fussino tenuti a mandare subito a Roma, per sicurtà dello
stato ecclesiastico e del pontefice, dugento uomini d'arme per ciascuno, e a
aiutarlo con questi, e se bisogno fusse con maggiori forze, all'acquisto delle
castella occupate da Verginio.
Sollevorno
questi nuovi consigli non mediocremente gli animi di tutta Italia, poiché il
duca di Milano rimaneva separato da quella lega, la quale più di dodici anni
aveva mantenuta la sicurtà comune, imperocché in essa espressamente si proibiva
che alcuno de' confederati facesse nuova collegazione senza consentimento degli
altri: e perciò, vedendosi rotta con ineguale divisione quella unione in cui
consisteva la bilancia delle cose, e ripieni di sospetto e di sdegno gli animi
de' prìncipi, che si poteva altro che credere che in detrimento comune avessino
a nascere frutti conformi a questi semi? Però il duca di Calavria e Piero de'
Medici, giudicando essere più sicuro alle cose loro il prevenire che l'essere
prevenuti, udirono con grande inclinazione Prospero e Fabrizio Colonna, i
quali, confortati occultamente al medesimo dal cardinale di San Piero a
Vincola, offerivano di occupare all'improviso Roma con le genti d'arme delle
compagnie loro e con gli uomini della fazione ghibellina, in caso che gli
seguitassino le forze degli Orsini e che il duca si accostasse prima in luogo
che, fra tre dì poi che e' fussino entrati, potesse soccorrergli. Ma
Ferdinando, desideroso non di irritare più, ma di mitigare l'animo del
pontefice e di ricorreggere quel che insino a quel dì imprudentemente si era
fatto, rifiutati totalmente questi consigli, i quali giudicava partorirebbono
non sicurtà ma travagli e pericoli molto maggiori, deliberò di fare ogni opera,
non più simulatamente ma con tutto il cuore, per comporre la differenza delle
castella; persuadendosi che, levata quella cagione di tanta alterazione, avesse
con piccola fatica, anzi quasi per se stessa, Italia nello stato di prima a
ritornarsi. Ma non sempre per il rimuovere delle cagioni si rimuovono gli
effetti i quali da quelle hanno avuto la prima origine. Perché, come spesso
accade che le deliberazioni fatte per timore paiono, a chi teme, inferiori al
pericolo, non si confidava Lodovico d'avere trovato rimedio bastante alla
sicurtà sua; ma dubitando, per i fini del pontefice e del senato viniziano
diversi da' suoi, non potere fare lungo tempo fondamento nella confederazione
fatta con loro, e che per ciò le cose sue potessino per vari casi ridursi in
molte difficoltà, applicò i pensieri suoi più a medicare dalle radici il primo
male che innanzi agli occhi se gli presentava, che a quegli che di poi ne
potessino risultare; né si ricordando quanto sia pernicioso l'usare medicina
più potente che non comporti la natura della infermità e la complessione dello
infermo, e come se l'entrare in maggiori pericoli fusse rimedio unico a'
presenti pericoli, deliberò, per assicurarsi con le armi forestiere, poi che e
nelle forze proprie e nelle amicizie italiane non confidava, di tentare ogni
cosa per muovere Carlo ottavo re di Francia ad assaltare il regno di Napoli, il
quale per l'antiche ragioni degli Angioini appartenersegli pretendeva.
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