XI. L'esercito di Carlo VIII. Perfezione delle artiglierie francesi. Altre
ragioni che rendevano formidabile l'esercito francese. Diversità fra le milizie
italiane e l'esercito di Carlo.
Ma a Carlo era
andato subito in Asti Lodovico Sforza e Beatrice sua moglie, con grandissima
pompa e onoratissima compagnia di molte donne nobili e di forma eccellente del
ducato di Milano, e insieme Ercole duca di Ferrara: dove trattandosi delle cose
comuni, fu deliberato che il più presto che si poteva si movesse l'esercito. E
acciocché questo più sollecitamente si facesse, Lodovico, che non mediocremente
temeva che sopravenendo i tempi aspri non si fermassino per quella vernata
nelle terre del ducato di Milano, prestò di nuovo danari al re, il quale
n'aveva necessità non mediocre: e nondimeno, scoprendosegli quel male che i
nostri chiamano vaiuolo, soggiornò in Asti circa a uno mese, distribuito
l'esercito in quella città e nelle terre circostanti. Il numero del quale, per
quel che io ritraggo, nella diversità di molti, per più vero, fu, oltre ai
dugento gentiluomini della guardia del re, computati i svizzeri i quali prima
col baglì di Digiuno erano andati a Genova, e quella gente che sotto Obignì
militava in Romagna, uomini d'arme mille secento, de' quali ciascuno ha secondo
l'uso franzese due arcieri, in modo che sei cavalli sotto ogni lancia (questo
nome hanno i loro uomini d'arme) si comprendono; seimila fanti svizzeri;
seimila fanti del regno suo, de' quali la metà erano della provincia di
Guascogna, dotata meglio, secondo il giudicio de' franzesi, di fanti atti alla
guerra che alcuna altra parte di Francia: e per unirsi con questo esercito
erano state condotte per mare a Genova quantità grande di artiglierie da
battere le muraglie e da usare in campagna, ma di tale sorte che giammai aveva
veduto Italia le simiglianti.
Questa peste,
trovata molti anni innanzi in Germania, fu condotta la prima volta in Italia
da' viniziani, nella guerra che circa l'anno della salute mille trecent'ottanta
ebbono i genovesi con loro; nella quale i viniziani, vinti nel mare e afflitti
per la perdita di Chioggia, ricevevano qualunque condizione avesse voluta il
vincitore se a tanto preclara occasione non fusse mancato moderato consiglio.
Il nome delle maggiori era bombarde, le quali, sparsa dipoi questa invenzione
per tutta Italia, si adoperavano nelle oppugnazioni delle terre; alcune di
ferro alcune di bronzo, ma grossissime in modo che per la macchina grande e per
la imperizia degli uomini e attitudine mala degli instrumenti, tardissimamente
e con grandissima difficoltà si conducevano, piantavansi alle terre co'
medesimi impedimenti, e piantate, era dall'uno colpo all'altro tanto intervallo
che con piccolissimo frutto, a comparazione di quello che seguitò da poi, molto
tempo consumavano; donde i difensori de' luoghi oppugnati avevano spazio di
potere oziosamente fare di dentro ripari e fortificazioni: e nondimeno, per la
violenza del salnitro col quale si fa la polvere, datogli il fuoco, volavano
con sì orribile tuono e impeto stupendo per l'aria le palle, che questo
instrumento faceva, eziandio innanzi che avesse maggiore perfezione, ridicoli
tutti gli instrumenti i quali nella oppugnazione delle terre avevano, con tanta
fama di Archimede e degli altri inventori, usati gli antichi. Ma i franzesi,
fabricando pezzi molto più espediti né d'altro che di bronzo, i quali
chiamavano cannoni, e usando palle di ferro, dove prima di pietra e senza
comparazione più grosse e di peso gravissimo s'usavano, gli conducevano in
sulle carrette, tirate non da buoi, come in Italia si costumava, ma da cavalli,
con agilità tale d'uomini e di instrumenti deputati a questo servigio che quasi
sempre al pari degli eserciti camminavano, e condotte alle muraglie erano
piantate con prestezza incredibile; e interponendosi dall'un colpo all'altro
piccolissimo intervallo di tempo, sì spesso e con impeto sì veemente
percotevano che quello che prima in Italia fare in molti giorni si soleva, da
loro in pochissime ore si faceva: usando ancora questo più tosto diabolico che
umano instrumento non meno alla campagna che a combattere le terre, e co'
medesimi cannoni e con altri pezzi minori, ma fabricati e condotti, secondo la
loro proporzione, con la medesima destrezza e celerità.
Facevano tali
artiglierie molto formidabile a tutta Italia l'esercito di Carlo; formidabile,
oltre a questo, non per il numero ma per il valore de' soldati. Perché essendo
le genti d'arme quasi tutte di sudditi del re, e non di plebe ma di
gentiluomini, i quali non meramente ad arbitrio de' capitani si mettevano o
rimovevano, e pagate non da loro ma da i ministri regi aveano le compagnie non
solo i numeri interi ma la gente fiorita e bene in ordine di cavalli e d'armi,
non essendo per la povertà impotenti a provedersene, e facendo ciascuno a gara
di servire meglio, così per lo istinto dell'onore, il quale nutrisce ne' petti
degli uomini l'essere nati nobilmente, come perché dell'opere valorose potevano
sperare premi, e fuora della milizia e nella milizia, ordinata in modo che per
più gradi si saliva insino al capitanato. I medesimi stimoli avevano i
capitani, quasi tutti baroni e signori o almanco di sangue molto nobile, e
quasi tutti sudditi del regno di Francia; i quali, terminata la quantità della
sua compagnia, perché, secondo il costume di quel reame, a niuno si dava
condotta più di cento lancie, non avevano altro intento che meritare laude
appresso al suo re, donde non aveano luogo tra loro né la instabilità di mutare
padrone, o per ambizione o per avarizia, né le concorrenze con gli altri
capitani per avanzargli con maggiore condotta. Cose tutte contrarie nella
milizia italiana, dove molti degli uomini d'arme, o contadini o plebei, e
sudditi a altro principe, e in tutto dipendenti dai capitani co' quali
convenivano dello stipendio, e in arbitrio de' quali era mettergli e pagargli,
non aveano, né per natura né per accidente, stimolo estraordinario al bene
servire; e i capitani, rarissime volte sudditi di chi gli conduceva e che
spesso aveano interessi e fini diversi, pieni tra loro di emulazione e di odii,
né avendo prefisso termine alle condotte e interamente padroni delle compagnie,
né tenevano il numero de' soldati che erano loro pagati, né contenti delle
condizioni, oneste mettevano in ogni occasione ingorde taglie a’ padroni; e instabili
al medesimo servigio passavano spesso a nuovi stipendi, sforzandogli qualche
volta l'ambizione o l'avarizia o altri interessi a essere non solo instabili ma
infedeli. Né si vedeva minore diversità tra i fanti italiani e quegli che erano
con Carlo: perché gl'italiani non combattevano in squadrone fermo e ordinato ma
sparsi per la campagna, ritirandosi il più delle volte a i vantaggi degli
argini e de' fossi; ma i svizzeri, nazione bellicosissima, e la quale con lunga
milizia e con molte preclarissime vittorie aveva rinnovata la fama antica della
ferocia, si presentavano a combattere con schiere squadre, ordinate e distinte
a certo numero per fila, né uscendo mai della sua ordinanza si opponevano agli
inimici a modo di un muro, stabili e quasi invitti, dove combattessino in luogo
largo da potere distendere il loro squadrone: e con la medesima disciplina e
ordinanza, benché non con la medesima virtù, combattevano i fanti franzesi e
guasconi.
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