VII. A Poggibonsi Gerolamo Savonarola incita inutilmente Carlo VIII a
restituire le terre ai fiorentini. Contrastanti promesse del re ai pisani ed ai
fiorentini. Carlo manda parte delle truppe contro Genova. Saccheggio di
Pontremoli.
La nuova della
ribellione di Novara sollecitò Carlo, che era a Siena, ad accelerare il
cammino; e perciò, per fuggire qualunque occasione che lo potesse ritardare,
avendo notizia che i fiorentini, ammuniti da' pericoli passati e insospettiti
perché Piero de' Medici lo seguitava, benché ordinassino di riceverlo in
Firenze con grandissimi onori, empievano per sicurtà loro la città d'armi e di
genti, passò a Pisa per il dominio fiorentino, lasciata la città di Firenze
alla mano destra. Al quale si fece incontro, nella terra di Poggibonzi,
Ieronimo Savonarola, e interponendo, come era solito, nelle parole sue
l'autorità e il nome divino, lo confortò con grandissima efficacia a restituire
le terre a' fiorentini; aggiugnendo alle persuasioni gravissime minaccie, che
se e' non osservava quel che con tanta solennità, toccando con mano gli
evangeli e quasi innanzi agli occhi di Dio, avea giurato, sarebbe presto punito
da Dio rigidamente. Fecegli il re, secondo la sua incostanza, quivi, e il dì
seguente in Castelfiorentino, varie risposte: ora promettendo di restituirle come
fusse arrivato in Pisa, ora allegando in contrario della fede data, perché
affermava di avere, innanzi al giuramento prestato in Firenze, promesso a'
pisani di conservargli in libertà; e nondimeno dando continuamente agli oratori
de' fiorentini speranza della restituzione, come a Pisa fusse arrivato. In Pisa
fu di nuovo questa materia proposta nel consiglio reale; perché accrescendosi
ogni dì più la fama degli apparati e dell'unirsi appresso a Parma le forze de'
collegati, si cominciavano pure a considerare le difficoltà del passare per
Lombardia, e però erano desiderati da molti i danari e gli aiuti offerti da'
fiorentini. Ma a questa deliberazione furono contrari i medesimi che in Siena
l'avevano contradetta, allegando che, se pure avessino, per l'opposizione degli
inimici, qualche disordine o qualche difficoltà di passare per Lombardia, era
meglio d'avere in sua potestà quella città, dove potrebbono ritirarsi, che
lasciarla in mano de' fiorentini; i quali, come avessino ricuperate quelle
terre, non sarebbono di maggiore fede che fussino stati gli altri italiani:
soggiugnendo che, per la sicurtà del reame di Napoli, era molto opportuno il
tenere il porto di Livorno; perché succedendo al re il disegno di mutare lo
stato di Genova, come era da sperare, sarebbe padrone di quasi tutte le marine,
dal porto di Marsilia insino al porto di Napoli. Potevano certamente nell'animo
del re, poco capace di eleggere la più sana parte, qualche cosa queste ragioni:
ma molto più potenti furono i prieghi e le lagrime de' pisani, i quali
popolarmente, insieme con le donne e co' piccoli fanciulli, ora prostrati
innanzi a' suoi piedi ora raccomandandosi a ciascuno, benché minimo, della
corte e de' soldati, con pianti grandissimi e con urla miserabili deploravano
le loro future calamità, l'odio insaziabile de' fiorentini, la desolazione
ultima di quella patria, la quale non arebbe causa di lamentarsi d'altro che
d'avergli il re conceduta la libertà e promesso di conservargliene; perché
questo, credendo essi la parola del re cristianissimo di Francia essere parola
ferma e stabile, aveva dato loro animo di provocarsi tanto più l'inimicizia de'
fiorentini. Co' quali pianti ed esclamazioni commossono talmente insino a'
privati uomini d'arme, insino agli arcieri dell'esercito e molti ancora de'
svizzeri, che andati in grandissimo numero e con tumulto grande innanzi al re,
parlando in nome di tutti Salazart uno de' suoi pensionari, lo pregorono
ardentemente che, per l'onore della persona sua propria, per la gloria della
corona di Francia, per consolazione di tanti suoi servidori parati a mettere a
ogn'ora la vita per lui, e che lo consigliavano con maggiore fede che quegli
che erano corrotti da' danari de' fiorentini, non togliesse a' pisani il
beneficio che egli stesso aveva loro fatto; offerendogli che, se per bisogno di
danari si conduceva a deliberazione di tanta infamia, pigliasse più presto le
collane e argenti loro, e ritenesse i soldi e le pensioni che ricevevano da
lui. E procedette tanto oltre questo impeto de' soldati che uno arciere privato
ebbe ardire di minacciare il cardinale di San Malò, e alcuni altri dissono
altiere parole al marisciallo di Gies e al presidente di Gannai, i quali era
noto che consigliavano questa restituzione: in modo che 'l re, confuso da tanta
varietà de' suoi, lasciò la cosa sospesa, tanto lontano da alcuna certa
resoluzione che, in questo tempo medesimo, promettesse di nuovo a' pisani di
non gli rimettere giammai in potestà de' fiorentini e agli oratori fiorentini,
che aspettavano a Lucca, facesse intendere che quello che per giuste cagioni
non faceva al presente farebbe subito che e' fusse arrivato in Asti; e però non
mancassino di fare che la loro republica gli mandasse in quel luogo
imbasciadori.
Partì da Pisa,
mutato il castellano e lasciata la guardia necessaria nella cittadella, e il
medesimo fece nelle fortezze dell'altre terre. Ed essendo acceso per se stesso
da incredibile cupidità all'acquisto di Genova, e stimolato da' cardinali San
Piero a Vincola e Fregoso e da Obietto del Fiesco e dagli altri fuorusciti, i
quali gli davano speranza di facile mutazione, mandò da Serezana con loro a
quella impresa, contra 'l parere di tutto il consiglio, che biasimava il
diminuire le forze dell'esercito, Filippo monsignore con cento venti lancie e
con cinquecento fanti, che nuovamente per mare erano venuti di Francia; e con
ordine che le genti d'arme de' Vitelli, che per essere rimaste indietro non
potevano essere a tempo a unirsi seco, gli seguitassino, e che alcuni altri
fuorusciti con genti date dal duca di Savoia entrassino nella riviera di
ponente, e che l'armata di mare, ridotta a sette galee due galeoni e due fuste,
della quale era capitano Miolans, andasse a fare spalle alle genti di terra.
Era intanto l'avanguardia, guidata dal marisciallo di Gies, arrivata a
Pontriemoli; la qual terra, licenziati trecento fanti forestieri che vi erano a
guardia, si arrendé subito per i conforti del Triulzio, con patto di non
ricevere offesa né nelle persone né nella roba: ma vana fu la fede data da' capitani,
perché i svizzeri, entrativi impetuosamente dentro, per vendicarsi che quando
l'esercito passò nella Lunigiana vi erano stati, per certa quistione nata a
caso, uccisi dagli uomini di Pontriemoli circa quaranta di loro, saccheggiorono
e abbruciorono la terra, ammazzati crudelmente tutti gli abitatori.
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