VIII. L'esercito francese e quello dei collegati di fronte, a Fornovo.
Dubbi e dispareri nell'esercito de' collegati. Incertezze in quello di Carlo.
Nel qual tempo
si raccoglieva sollecitamente nel territorio di Parma l'esercito de' collegati,
in numero di dumila cinquecento uomini d'arme ottomila fanti e più di dumila
cavalli leggieri, la maggiore parte albanesi e delle provincie circostanti di
Grecia; i quali, condotti in Italia da' viniziani, ritenendo il nome medesimo
che hanno nella patria, sono chiamati stradiotti. Del quale esercito il nervo
principale erano le genti de' viniziani, perché quelle del duca di Milano,
avendo egli voltate quasi tutte le sue forze a Novara, non ascendevano alla
quarta parte di tutto l'esercito. Alle genti venete, tra le quali militavano
molti condottieri di chiaro nome, era preposto sotto titolo di governatore
generale Francesco da Gonzaga, marchese di Mantua, molto giovane, nel quale,
per essere stimato animoso e cupido di gloria, la espettazione superava l'età;
e con lui proveditori due de' principali del senato, Luca Pisano e Marchionne
Trivisano. I soldati sforzeschi comandava, sotto il medesimo titolo di
governatore, il conte di Gaiazzo, confidato molto al duca ma che, non
pareggiando nell'armi la gloria di Ruberto da Sanseverino suo padre, aveva
acquistato nome più di capitano cauto che di ardito; e con lui commissario
Francesco Bernardino Visconte, principale della parte ghibellina in Milano, e
perciò opposito a Gianiacopo da Triulzi. Tra' quali capitani e altri principali
dell'esercito consultandosi se e' fusse da andare ad alloggiare a Fornuovo,
villa di poche case alle radici della montagna, fu deliberato, per la strettezza
del luogo, e forse (secondo divulgorono) per dare facoltà agli inimici di
scendere alla pianura, di alloggiare alla badia della Ghiaruola, distante da
Fornuovo tre miglia: la quale deliberazione dette luogo di alloggiare a
Fornuovo all'avanguardia franzese, che avea passata la montagna molto innanzi
al resto dell'esercito, ritardato per lo impedimento dell'artiglieria grossa,
la quale con grandissima difficoltà si conduceva per quella montagna aspra
dello Apennino; e sarebbe stata condotta con difficoltà molto maggiore se i
svizzeri, cupidi di scancellare l'offesa fatta all'onore del re nel sacco di
Pontriemoli, non si fussino con grandissima prontezza affaticati a farla
passare. Arrivata l'avanguardia a Fornuovo, il marisciallo di Gies mandò uno
trombetta nel campo italiano a domandare il passo per l'esercito in nome del
re, il quale, senza offendere alcuno e ricevendo le vettovaglie a prezzi
convenienti, voleva passare per ritornarsene in Francia; e nel tempo medesimo
fece correre alcuni de' suoi cavalli per prendere notizia degli inimici e del
paese, i quali furono messi in fuga da certi stradiotti che mandò loro incontro
Francesco da Gonzaga: in sulla quale occasione, se le genti italiane si fussino
mosse insino all'alloggiamento de' franzesi, si crede che arebbono rotta
facilmente l'antiguardia, e rotta questa non poteva più farsi innanzi
l'esercito regio. La quale occasione non era ancora fuggita il dì seguente,
benché il marisciallo, conosciuto il pericolo, avesse ritirato i suoi in luogo
più alto; ma non ebbono i capitani italiani ardire d'andare ad assaltargli,
spaventati dalla fortezza del sito dove s'erano ridotti, e dal credere che
l'antiguardia fusse più grossa, e forse più vicino il resto dell'esercito. Ed è
certo che, in questo dì, non erano ancora finite di raccorsi insieme tutte le
genti viniziane; le quali avevano tardato tanto a unirsi tutte
nell'alloggiamento della Ghiaruola che è manifesto che se Carlo non avesse
soggiornato tanto per il cammino, come in Siena in Pisa e in molti luoghi soggiornò,
senza bisogno, sarebbe passato innanzi senza impedimento o contrasto alcuno. Il
quale, unito alla fine con l'antiguardia, alloggiò il dì prossimo con tutto
l'esercito a Fornuovo.
Non aveano
creduto mai i prìncipi confederati che il re, con esercito tanto minore,
ardisse di passare per il cammino diritto l'Apennino; e però si erano da
principio persuasi che egli, lasciata la più parte delle genti a Pisa, se
n'andrebbe col resto in sull'armata marittima in Francia: e dipoi inteso che
pure seguitava il cammino per terra, avevano creduto che egli, per non si
appropinquare al loro esercito, disegnasse di passare la montagna per la via
del borgo di Valditaro e del monte di Centocroce, monte molto aspro e
difficile, per condursi nel tortonese, con speranza d'avere a essere
rincontrato dal duca d'Orliens nelle circostanze d'Alessandria. Ma come si
vedde certamente che egli si dirizzava a Fornuovo, l'esercito italiano, che
prima, per i conforti di tanti capitani e per la fama del piccolo numero
degl'inimici, era molto inanimito, rimesse qualche parte del suo vigore,
considerando il valore delle lancie franzesi, la virtù de' svizzeri a' quali
senza comparazione la fanteria italiana era tenuta inferiore, il maneggio
espedito dell'artiglierie, e, quel che muove assai gli uomini quando hanno
fatto contraria impressione, l'ardire inaspettato de' franzesi d'approssimarsi
loro con tanto minore numero di gente. Per le quali considerazioni raffreddati
eziandio gli animi de' capitani, era stato messo in consulta tra loro quel che
s'avesse a rispondere al trombetto mandato dal marisciallo; parendo, da una
parte, molto pericoloso il rimettere a discrezione della fortuna lo stato di
tutta Italia, dall'altra, che e' fusse con grande infamia della milizia italiana
dimostrare di non avere animo d'opporsi all'esercito franzese, che tanto
inferiore di numero ardiva di passare innanzi agli occhi loro. Nella quale
consulta essendo diversi i pareri de' capitani, dopo molte dispute
determinorono finalmente dare della domanda del re avviso a Milano, per
eseguire quello che quivi concordemente dal duca e dagli oratori de'
confederati fusse determinato. Tra' quali consultandosi, il duca e l'oratore
veneto che erano più propinqui al pericolo concorsono nella medesima sentenza:
che all'inimico, quando voleva andarsene, non si doveva chiudere la strada, ma
più presto, secondo il vulgato proverbio, fabbricargli il ponte d'argento;
altrimenti essere pericolo che la timidità, come si poteva comprovare con
infiniti esempli, convertita in disperazione, non si aprisse il cammino con
molto sangue di quegli che poco prudentemente se gli opponevano, Ma l'oratore
de' re di Spagna, desiderando che senza pericolo de' suoi re si facesse
esperienza della fortuna, instette efficacemente, e quasi protestando, che non
si lasciassino passare, né si perdesse l'occasione di rompere quell'esercito,
il quale se si salvava restavano le cose d'Italia ne' medesimi anzi in maggiori
pericoli che prima; perché tenendo il re di Francia Asti e Novara, ubbidiva a'
comandamenti suoi tutto il Piemonte, e avendo alle spalle il reame di Francia,
reame tanto potente e tanto ricco, i svizzeri vicini e disposti ad andare a'
soldi suoi in quel numero volesse, e trovandosi accresciuto di riputazione e
d'animo, se l'esercito della lega, tanto superiore al suo, gli desse così
vilmente la strada, attenderebbe a travagliare Italia con maggiore ferocità: e
che a' suoi re sarebbe quasi necessario fare nuove deliberazioni, conoscendo
che gl'italiani o non volevano o non avevano animo di combattere co' franzesi.
Nondimeno, prevalendo in questo consiglio la più sicura opinione, determinarono
scriverne a Vinegia, dove sarebbe stato il medesimo parere.
Ma già si
consultava indarno: perché i capitani dell'esercito, poiché ebbono scritto a
Milano, considerando essere difficile che le risposte arrivassino a tempo, e
quanto restasse disonorata la milizia italiana se si lasciasse libero il
transito a' franzesi, licenziato il trombetto senza risposta certa, deliberorono
come gli inimici camminavano d'assaltargli; concorrendo in questa sentenza i
proveditori viniziani, ma più prontamente il Trivisano che il collega. Da altra
parte si facevano innanzi i franzesi, pieni di arroganza e d'audacia, come
quegli che, non avendo trovato insino ad allora in Italia riscontro alcuno, si
persuadevano che l'esercito inimico non s'avesse a opporre, e quando pure
s'opponesse avere senza fatica a metterlo in fuga: tanto poco conto tenevano
dell'armi italiane. Nondimeno, quando cominciando a calare la montagna
scopersono l'esercito alloggiato con numero infinito di tende e di padiglioni,
e in alloggiamento sì largo che, secondo il costume d'Italia, poteva dentro a
quello mettersi tutto in battaglia, considerando il numero degli inimici sì
grande, e che se non avessino avuto volontà di combattere non si sarebbono
condotti in luogo tanto vicino, cominciò a raffreddarsi in modo tanta arroganza
che arebbono avuto per nuova felice che gli italiani si fussino contentati di
lasciargli passare; e tanto più che, avendo Carlo scritto al duca d'Orliens che
si facesse innanzi per incontrarlo, e che il terzo dì di luglio si trovasse con
più genti potesse a Piacenza, e da lui avuto risposta che non mancherebbe
d'esservi al tempo ordinatogli, ebbe poi nuovo avviso dal duca medesimo che
l'esercito sforzesco opposto a lui, nel quale erano novecento uomini d'arme
mille dugento cavalli leggieri e cinquemila fanti, era sì potente che senza
manifestissimo pericolo non poteva farsi innanzi, essendo massime necessitato a
lasciare parte della sua gente alla guardia di Novara e d'Asti. Però il re,
necessitato a fare nuovi pensieri, commesse a Filippo monsignore di Argenton,
il quale, essendo stato poco innanzi imbasciadore per lui appresso al senato
viniziano, aveva nel partirsi da Vinegia offerto al Pisano e al Trivisano, già
diputati proveditori, d'affaticarsi per disporre l'animo del re alla pace, che
mandasse un trombetto a detti proveditori, significando per una lettera d'avere
desiderio per beneficio comune di parlare con loro; i quali accettorono di
ritrovarsi seco, la mattina seguente, in luogo comodo tra l'uno e l'altro
esercito. Ma Carlo, o perché in quello alloggiamento patisse di vettovaglie o
per altra cagione, mutato proposito, deliberò di non aspettare quivi l'effetto
di questo ragionamento.
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