X. Vicende di guerra tra francesi e ispano - aragonesi nel reame di Napoli.
Ritorno di Ferdinando d'Aragona in Napoli. Terre che si ribellano ai francesi.
I veneziani occupano alcuni punti delle Puglie. La resa di Castelnuovo a
Ferdinando. Patti di resa di Castel dell'Uovo. Morte di Alfonso d'Aragona.
Travagliavasi
in questo tempo medesimo, ma con fortuna più varia, non meno nel reame di
Napoli che nelle parti di Lombardia; perché Ferdinando attendeva, poi che ebbe preso
Reggio, alla recuperazione de' luoghi circostanti, avendo seco circa seimila
uomini, tra quegli che e del paese e di Sicilia volontariamente lo seguitavano,
e i cavalli e fanti spagnuoli de' quali era capitano Consalvo Ernandes di casa
d'Aghilar, di patria cordovese, uomo di molto valore ed esercitato lungamente
nelle guerre di Granata: il quale, nel principio della venuta sua in Italia,
cognominato dalla iattanza spagnuola il gran capitano per significare con
questo titolo la suprema potestà sopra loro, meritò, per le preclare vittorie
che ebbe poi, che per consentimento universale gli fusse confermato e
perpetuato questo sopranome, per significazione di virtù grande e di grande
eccellenza nella disciplina militare. A questo esercito, il quale aveva già
sollevato non piccola parte del paese, si fece incontro, appresso a Seminara
terra vicina al mare, Obignì con le genti d'arme franzesi, che erano rimaste
alla guardia della Calavria, e con cavalli e fanti avuti da' signori del paese
i quali seguitavano il nome del re di Francia; ed essendo venuti alla
battaglia, prevalse la virtù de' soldati di ordinanza ed esercitati
all'imperizia degli uomini poco esperti, perché non solo gli italiani e
siciliani, raccolti tumultuariamente da Ferdinando, ma eziandio gli spagnuoli
erano gente nuova e con poca esperienza della guerra: e nondimeno si combatté
per alquanto spazio di tempo ferocemente, perché la virtù e l'autorità de'
capitani, che non mancavano d'ufficio alcuno appartenente a loro, sosteneva
quegli che per ogn'altro conto erano inferiori. E sopra gli altri Ferdinando,
combattendo come si conveniva al suo valore, ed essendogli stato ammazzato il
cavallo sotto, sarebbe senza dubbio restato o morto o prigione se Giovanni di
Capua fratello del duca di Termini, il quale, insino da puerizia suo paggio,
era stato nel fiore della età molto amato da lui, smontato del suo cavallo non
avesse fatto salirvi sopra lui, e con esempio molto memorabile di preclarissima
fede e amore esposta la propria vita, perché fu subito ammazzato, per salvare
quella del suo signore.
Fuggì Consalvo
a traverso de' monti a Reggio, Ferdinando a Palma, che è in sul mare vicina a
Seminara; dove montato in sull'armata si ridusse a Messina, cresciutagli per le
cose avverse la volontà e l'animo di tentare di nuovo la fortuna; conciossiaché
non solo gli fusse noto il desiderio che tutta la città di Napoli aveva di lui,
ma ancora da molti de' principali della nobiltà e del popolo fusse occultamente
chiamato. Però temendo che la dilazione e la fama della rotta avuta in Calavria
non raffreddasse questa disposizione, raccolti, oltre alle galee che aveva
condotte d'Ischia e quelle quattro con le quali s'era partito da Napoli Alfonso
suo padre, i legni dell'armata venuta di Spagna, e quanti più potette raccorne
dalle città e da' baroni di Sicilia, si mosse del porto di Messina, non lo
ritardando il non avere uomini da armargli, come quello che, non avendo forze
convenienti a tanta impresa, era necessitato d'aiutarsi non meno con le dimostrazioni
che con la sostanza delle cose. Partì adunque di Sicilia con sessanta legni di
gaggia e con venti altri legni minori, e con lui Ricaiensio catelano, capitano
dell'armata spagnuola, uomo nelle cose navali di grande virtù ed esperienza; ma
con tanti pochi uomini da combattere che nella maggiore parte non erano quasi
altri che i destinati al servigio del navigare. In questo modo erano piccole le
forze sue, ma grande per lui il favore e la volontà de' popoli. Perciò arrivato
alla spiaggia di Salerno, subito Salerno la costa di Malfi e la Cava alzorno le
sue bandiere. Volteggiò di poi due giorni sopra a Napoli, aspettando, ma
indarno, che nella terra si facesse qualche tumulto, perché i franzesi, prese
presto l'armi e messe buone guardie ne' luoghi opportuni, repressono la
ribellione che già bolliva; e arebbono rimediato a tutti i loro pericoli se
avessino arditamente seguitato il consiglio di alcuni di loro i quali,
congetturando i legni aragonesi essere male forniti di combattenti,
confortavano Mompensieri che, ripiena l'armata franzese, che era nel porto, di
soldati e d'uomini atti a combattere, assaltasse con essa gl'inimici. Ma
Ferdinando, il terzo dì, disperato che nella città si facesse alterazione, si
allargò in mare per ritirarsi a Ischia: onde i congiurati, considerando che per
essere la congiurazione quasi scoperta era diventata causa propria la causa di
Ferdinando, ristrettisi insieme e deliberati di fare della necessità virtù,
mandorono segretamente uno battello a richiamarlo; pregandolo che, per dare più
facilità e animo a chi voleva levarsi in suo favore, mettesse in terra o tutta
o parte della sua gente. Però di nuovo ritornato sopra a Napoli, il dì seguente
a quello nel quale fu fatta la giornata in sulla ripa del fiume del Taro, si
accostò al lito con l'armata, per porre in terra alla Maddalena, luogo
propinquo a Napoli a uno miglio, dove entra in mare il picciolo più presto rio
che fiumicello chiamato Sebeto, incognito a ciascuno se non gli avessino dato
nome i versi de' poeti napoletani. Il che vedendo Mompensieri, non manco pronto
a procedere con audacia quando era necessario il timore che fusse stato pronto
a procedere con timore quando era necessaria, il dì dinanzi, l'audacia, uscì
fuora della città con quasi tutti i soldati per vietargli lo scendere in terra:
il che fu cagione che avendo i napoletani tale opportunità quale appena
arebbono saputa desiderare si levorono subito in arme, fatto il principio di
sonare a martello dalla chiesa del Carmino vicina alle mura della città, e
successivamente seguitando tutte l'altre, e occupate le porte, cominciorono
scopertamente a chiamare il nome di Ferdinando. Spaventò questo subito tumulto
i franzesi in modo che, non parendo loro sicuro lo stare in mezzo tra la città
già ribellata e le genti inimiche, e manco sperando di potere per quella via
donde erano usciti ritornarvi, deliberorno, attorniando le mura della città
(cammino lungo montuoso e molto difficile), entrare in Napoli per la porta
contigua a Castelnuovo. Ma Ferdinando, in questo mezzo entrato in Napoli, e
messo con alcuni de' suoi a cavallo da' napoletani, cavalcò per tutta la terra
con incredibile allegrezza di ciascuno; ricevendolo la moltitudine con
grandissime grida, né si saziando le donne di coprirlo dalle finestre di fiori
e d'acque odorifere, anzi molte delle più nobili correvano nella strada ad
abbracciarlo e ad asciugargli dal volto il sudore.
E nondimeno non
si intermettevano per questo le cose necessarie alla difesa, perché 'l marchese
di Pescara, insieme co' soldati che erano entrati con Ferdinando e con la
gioventù napoletana, attendeva a sbarrare e a fortificare le bocche delle vie
donde i franzesi potessino assaltare da Castelnuovo la terra. I quali, poiché
furono ridotti in sulla piazza del castello, feciono ogni sforzo per rientrare
nello abitato della città; ma essendo molestati con balestre e artiglierie
minute, e trovata a tutti i capi delle strade sufficiente difesa,
sopravenendone la notte, si ritirorono nel castello, lasciati i cavalli, che
furono tra utili e inutili poco manco di dumila, in sulla piazza, perché nel
castello non era né capacità di ricevergli né facoltà di nutrirgli.
Rinchiusonvisi dentro, con Mompensieri, Ivo d'Allegri riputato capitano e
Antonello principe di Salerno, e molt'altri franzesi e italiani di non piccola
condizione; e benché per qualche dì facessino spesse scaramuccie in sulla
piazza e intorno al porto, e traessino alla città con l'artiglierie, nondimeno,
ributtati sempre dagl'inimici, restorno esclusi di speranza di potere da se
stessi recuperare quella città. Seguitorono subito l'esempio di Napoli Capua,
Aversa, la rocca di Mondragone e molte altre terre circostanti, e si voltò la
maggiore parte del reame a nuovi pensieri: tra' quali il popolo di Gaeta,
avendo prese l'armi con maggiore animo che forze, per essere comparite innanzi
al porto alcune galee di Ferdinando, fu con molta uccisione superato da'
franzesi che v'erano a guardia, i quali con l'impeto della vittoria
saccheggiorono tutta la terra. E nel tempo medesimo l'armata viniziana
accostatasi a Monopoli, città di Puglia, e posti in terra gli stradiotti e
molti fanti, gli dette la battaglia per terra e per mare; nella quale Pietro
Bembo, padrone di una galea viniziana, fu morto da quelli di dentro di uno
colpo d'artiglieria. Prese finalmente la città per forza, e la rocca gli fu
data per timore dal castellano franzese che vi era dentro; e di poi ebbe per
accordo Pulignano.
Ma Ferdinando
era intento ad acquistare Castelnuovo e Castel dell'Uovo, sperando che presto
avessino ad arrendersi per la fame, perché a proporzione del numero degli
uomini che vi era dentro vi era piccola provisione di vettovaglie; e attendendo
continuamente a occupare i luoghi circostanti al castello, si sforzava di
mettergli del continuo in maggiore strettezza. Perché i franzesi, non potendo
stare sicura nel porto l'armata loro, che era di cinque navi quattro galee
sottili una galeotta e uno galeone, l'aveano ritirata tra la Torre di San
Vincenzio, Castel dell'Uovo e Pizzifalcone che si tenevano per loro, e tenendo
le parti dietro a Castelnuovo, dove erano i giardini reali, si distendevano
insino a Cappella; e fortificato il monasterio della Croce, correvano insino a
Pié di Grotta e San Martino. Contro a' quali Ferdinando, avendo presa e messa
in fortezza la cavalleria e fatte vie coperte per la Incoronata, occupò il
monte di Sant'Ermo e dipoi il poggio di Pizzifalcone, tenendosi per i franzesi
la fortezza posta in sulla sommità; alla quale per levare il soccorso, perché
pigliandola arebbono potuto infestare di luogo eminente l'armata degli inimici,
assaltorno le genti di Ferdinando il monasterio della Croce, ma ricevuto
nell'accostarsi danno grande dall'artiglierie, disperati di ottenerlo per
forza, si voltorono a ottenerlo per trattato, infelice a chi ne fu autore.
Perché avendo uno moro che vi era dentro promesso fraudolentemente al marchese
di Pescara, stato già suo padrone, di metterlo dentro, e perciò condottolo una
notte in su una scala di legno appoggiata alle mura del monasterio a parlare
seco, per stabilire l'ora e il modo di entrare la notte medesima, fu quivi con
trattato doppio ammazzato con una freccia di una balestra che gli passò la
gola. Né fu alle cose di Ferdinando poco importante la mutazione, prima di
Prospero e poi di Fabbrizio Colonna; i quali, benché durante l'obligazione
della condotta col re di Francia, passorono, quasi subito che ebbe recuperato
Napoli, agli stipendi suoi, scusandosi non gli essere stati fatti a' tempi
debiti i pagamenti promessi, e che Verginio Orsino e il conte di Pitigliano
erano stati, con poco rispetto de' meriti loro, molto carezzati dal re: ragione
che a molti parve inferiore alla grandezza de' benefici ricevuti da lui. Ma chi
sa se quello che ragionevolmente doveva essere il freno a ritenergli fusse lo
stimolo a fargli fare il contrario: perché quanto erano maggiori i premi che
possedevano tanto fu, per avventura, più potente in loro, poiché vedevano
cominciare già a declinare le cose franzesi, la cupidità del conservargli.
Ristretto in questo modo il castello, e serrato il mare da' navili di
Ferdinando, cresceva continuamente il mancamento delle vettovaglie; e si
sostentava solo con la speranza d'avere soccorso per mare, di Francia; perché
Carlo, subito che era giunto in Asti, mandato Perone di Baccie, aveva fatto
partire, dal porto di Villafranca appresso a Nizza, un'armata marittima che
portava dumila tra guasconi e svizzeri e provedimento di vettovaglie; fattone
capitano monsignore di Arbano, uomo bellicoso ma non esperimentato nel mare. La
quale, condottasi insino all'isola di Ponzo, avendo scoperta all'intorno
l'armata di Ferdinando che aveva trenta vele e due navi grosse genovesi, subito
si messe in fuga; e seguitata insino all'isola dell'Elba, avendo perduta una
navetta biscaina, si rifuggì con tanto spavento nel porto di Livorno che e' non
fu in potestà del capitano ritenere che la più parte de' fanti non scendessino
in terra, e dipoi contro alla volontà sua andassino in Pisa. Per la ritirata di
questa armata, Mompensieri e gli altri, stretti dalla carestia delle
vettovaglie, patteggiorno di dare a Ferdinando il castello, dove erano stati
assediati già tre mesi, e di andarsene in Provenza, se infra trenta dì non
fussino soccorsi, salvo la roba e le persone di tutti quegli che v'erano dentro;
e per l'osservanza dettono statichi Ivo di Allegri e tre altri a Ferdinando. Ma
non si poteva, in tempo sì breve, sperare soccorso alcuno se non dalle genti
medesime che erano nel regno. Però monsignore di Persì, uno de' capitani regi,
avendo seco i svizzeri e una parte delle lancie franzesi, e accompagnato dal
principe di Bisignano e da molti altri baroni, si mosse verso Napoli. La venuta
del quale presentendo Ferdinando, mandò loro incontro a Eboli il conte di
Matalona, con uno esercito la maggiore parte tumultuario, raccolto di confidati
e d'amici: il quale, benché molto maggiore di numero, riscontratosi con gli
inimici al lago Pizzolo vicino a Eboli, subito come si accostorono si messe in
fuga senza combattere, restando nel fuggire prigione Venanzio figliuolo di
Giulio da Varano signore di Camerino: ma perché non furono seguitati molto da'
franzesi, si ridussono, ricevuto pochissimo danno, a Nola e dipoi a Napoli.
Seguitorono i vincitori l'impresa del soccorrere le castella, e con tanta
riputazione per la vittoria acquistata, che Ferdinando ebbe inclinazione
d'abbandonare un'altra volta Napoli. Ma ripreso animo per i conforti de'
napoletani, mossi non meno dal timore proprio, causato dalla memoria della
ribellione, che dall'amore di Ferdinando, si fermò a Cappella; e per proibire
che gli inimici non si accostassino al castello, finita una tagliata grande già
cominciata dal monte di Santo Ermo insino a Castello dell'Uovo, providde di
artiglierie e di fanti tutti i poggi insino a Cappella e sopra a Cappella: in
modo che, con tutto che i franzesi, i quali erano venuti per la via di Salerno
a Nocera per la Cava e per il monte di Pié di Grotta, si conducessino in Chiaia
presso a Napoli, nondimeno essendo ogni cosa bene difesa, e dimostrandosi
valorosamente Ferdinando e molestandogli molto l'artiglierie, massimamente
quelle che erano piantate in sul poggio di Pizzifalcone, il qual poggio è
imminente a Castel dell'Uovo, e dove già furono le delicatezze e le suntuosità
tanto famose di Lucullo, non potettono passare più innanzi né accostarsi a
Cappella, né avendo facoltà di soggiornarvi, perché la natura, benignissima a
quella costiera di tutte l'altre amenità, gli ha dinegato l'acque dolci, furono
costretti a ritirarsi più presto che non arebbono fatto, lasciati nel levarsi
due o tre pezzi d'artiglieria e parte delle vettovaglie condotte per mettere
nelle castella, e se ne andorono verso Nola: a' quali per opporsi, Ferdinando,
lasciato assediato il castello, si fermò con le sue genti nel piano di Palma
presso a Sarni. Ma Mompensieri, privato per la partita loro di ogni speranza di
essere soccorso, lasciati in Castelnuovo trecento uomini, numero proporzionato
non meno alla scarsità delle vettovaglie che alla difesa, e lasciato guardato
Castel dell'Uovo, montato di notte, insieme con gli altri che erano dumila
cinquecento soldati, in su' legni della sua armata, se ne andò a Salerno: non
senza gravissime querele di Ferdinando, il quale pretendeva non gli essere
stato lecito, pendente il termine dello arrendersi, partirsi con quelle genti
di Castelnuovo se nel tempo medesimo non gli consegnava quello e Castel
dell'Uovo; e perciò non fu senza inclinazione, seguitando il rigore de' patti,
di vendicarsi, col sangue degli statichi, di questa ingiuria e del mancamento
di Mompensieri, perché al termine convenuto non furono arrendute le castella.
Ma passato il tempo circa a uno mese, quegli che erano rimasti in Castelnuovo,
non potendo più resistere alla fame, si arrenderono con condizione che fussino
liberati gli statichi; e quasi ne' dì medesimi patteggiorno, per la medesima
cagione, quegli che erano in Castel dell'Uovo, di arrendersi il primo dì della
prossima quadragesima, se prima non fussino soccorsi.
Morì quasi
circa a questo tempo a Messina Alfonso di Aragona, nel quale, asceso al regno
napoletano, si era convertita in somma infamia e infelicità quella gloria e
fortuna per la quale, mentre era duca di Calavria, fu molto illustrato per
tutto il nome suo. È fama che poco innanzi alla morte avea fatto instanza col
figliuolo di ritornare a Napoli, ove l'odio già avuto contro a lui era quasi
convertito in benivolenza; e si dice che Ferdinando, potendo più in lui, come è
costume degli uomini, la cupidità del regnare che la riverenza paterna, non
meno mordacemente che argutamente gli rispose, che aspettasse insino a tanto
che da sé gli fusse consolidato talmente il regno che egli non avesse un'altra
volta a fuggirsene. E per corroborare Ferdinando le cose sue con più stretta
congiunzione col re di Spagna, tolse per moglie, con la dispensa del pontefice,
Giovanna sua zia, nata di Ferdinando suo avolo e di Giovanna sorella del
prelato re.
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