XI. Le milizie de' veneziani e di Lodovico Sforza assediano Novara. Carlo
VIII assolda nuovi svizzeri. Timori e provvedimenti de' collegati per gli
appoggi della duchessa di Savoia a Carlo. Intimazione del pontefice a Carlo ed
ironica risposta di questo. Patti conclusi tra Carlo e i fiorentini.
Ma mentre che l'assedio si teneva con vari
progressi, come è detto, intorno alle castella di Napoli, l'assedio di Novara
si riduceva in grande strettezza; perché e il duca di Milano v'aveva intorno
potente esercito, e i viniziani l'avevano soccorso con tanta prontezza che rare
volte è memoria che in impresa alcuna perdonassino manco allo spendere: in modo
che, in breve tempo, si ritrovorono nel campo de' collegati tremila uomini
d'arme tremila cavalli leggieri mille cavalli tedeschi e cinquemila fanti
italiani. Ma quello in che consisteva la fortezza principale dell'esercito
erano diecimila lanzechenech (così chiamano volgarmente i fanti tedeschi),
soldati dal duca di Milano, la maggiore parte, per opporgli a' svizzeri;
perché, non che altro, non sosteneva il nome loro la fanteria italiana, diminuita
maravigliosamente di riputazione e di ardire dopo la venuta de' franzesi.
Governavangli molti valorosi capitani, tra i quali era di maggiore nome Giorgio
di Pietrapanta nativo d'Austria; il quale, essendo pochi anni innanzi soldato
di Massimiliano re de' romani, aveva, con laude grande, tolto in Piccardia la
terra di Santo Omero al re di Francia. Né solo era stato sollecito il senato
viniziano a mandare molta gente a quello assedio ma ancora, per dare maggiore
animo a' suoi soldati, aveva di governatore fatto capitano generale del loro
esercito il marchese di Mantova, onorando la fortezza dimostrata da lui nel
fatto d'arme del Taro; e con esempio molto grato e degno d'eterna laude, non
solo accresciuto le condotte a quegli che s'erano portati valentemente, ma a'
figliuoli di molti de' morti nella battaglia date provisioni e vari premi, e
statuito le doti alle figliuole. Attendevasi con questo esercito sì potente
allo assedio, perché era il consiglio de' collegati, i quali di questo si
riferivano principalmente alla volontà di Lodovico Sforza, di non tentare, se
non erano necessitati la fortuna della battaglia col re di Francia, ma
fortificandosi allo intorno di Novara, ne' luoghi opportuni, proibire che
vettovaglie non v'entrassino, sperando che, per esservene dentro piccola
quantità e bisognarvene assai, non si potesse molti giorni sostenere: perché,
oltre al popolo della città e i paesani che v'erano rifuggiti, v'aveva il duca
d'Orliens, tra franzesi e svizzeri, più di settemila uomini di gente molto
eletta. Però Galeazzo da San Severino con l'esercito duchesco, deposto eziandio
ogni pensiero della oppugnazione della città poi che era tanto copiosa di
difensori, era alloggiato alle Mugne, luogo in sulla strada maestra molto
opportuno a impedire le provisioni che venissino da Vercelli; e il marchese di
Mantova con le genti viniziane, avendo in sulla giunta sua preso per forza
alcune terre circostanti, e pochi dì poi il castello di Brione che era di
qualche importanza, aveva fornito Camariano e Bolgari, luoghi tra Novara e
Vercelli: e per impedire più comodamente le vettovaglie avevano distribuito
l'esercito in molti luoghi intorno a Novara, e fortificato gli alloggiamenti di
tutti.
Da altra parte
il re di Francia, per essere più propinquo a Novara, s'era da Asti trasferito a
Turino; e ancora che spesso andasse insino a Chieri, preso dall'amore d'una
gentildonna che vi abitava, non si intermettevano per questo le provisioni
della guerra, sollecitando continuamente le genti che passavano di Francia, con
intenzione di mettere in sulla campagna dumila lancie franzesi. Ma con non
minore studio s'attendeva a sollecitare la venuta di diecimila svizzeri, a
soldare i quali era stato mandato il baglì di Digiuno; disegnando, subito che
e' fussino arrivati allo esercito, fare lo sforzo possibile per soccorrere
Novara, ma senza quegli non avendo ardire di tentare cosa alcuna memorabile.
Perché il regno di Francia, potentissimo in questo tempo di cavalleria e
instruttissimo di copia grande d'artiglierie e di grandissima perizia di
maneggiarle, era debolissimo di fanteria propria; perché ritenute l'armi e gli
esercizi militari solo nella nobiltà, era mancata nella plebe e negli uomini
popolari l'antica ferocia di quella nazione, per avere lungamente cessato dalle
guerre e datisi all'arti e a' guadagni della pace: conciossiaché molti de' re
passati, temendo dell'impeto de' popoli, per l'esempio di varie congiurazioni e
rebellioni che erano accadute in quel reame, avevano atteso a disarmargli e
alienargli dagli esercizi militari. E però i franzesi, non confidando più della
virtù de' fanti propri, si conducevano timidamente alla guerra se nell'esercito
loro non era qualche banda di svizzeri. La quale nazione, in ogni tempo
indomita e feroce, aveva circa venti anni innanzi augumentato molto la sua
riputazione; perché essendo assaltati con potentissimo esercito da Carlo duca
di Borgogna, quello che per la potenza e per la fierezza sua era al regno di
Francia e a tutti i vicini di grandissimo terrore, gli avevano in pochi mesi
dato tre rotte e nell'ultima, o mentre combatteva o nella fuga (perché fu
oscuro il modo della sua morte) privatolo della vita. Per la virtù loro
adunque, e perché con essi non avevano i franzesi emulazione o differenza
alcuna, né per propri interessi causa di sospettarne, come avevano de'
tedeschi, non conducevano altri fanti forestieri che svizzeri, e usavano in
tutte le guerre gravi l'opera loro; e in questo tempo più volentieri che negli
altri, per conoscere che il soccorrere Novara, circondata da tanto esercito e
contro a tanti fanti tedeschi, che guerreggiavano con la medesima disciplina
che i svizzeri, era cosa difficile e piena di pericoli.
È posta in
mezzo tra Turino e Novara la città di Vercelli, membro già del ducato di Milano
ma conceduta da Filippo Maria Visconte, nelle lunghe guerre che ebbe co'
viniziani e co' fiorentini, ad Amideo duca di Savoia, perché s'alienasse da
loro; nella quale città non era ancora entrata gente d'alcuna delle parti,
perché la duchessa, madre e tutrice del piccolo duca di Savoia, e d'animo
totalmente franzese, non aveva voluto scoprirsi per il re insino che non fusse
più potente, dando in questo mezzo parole grate e speranza al duca di Milano.
Ma come il re, ingrossato già di gente, si trasferì a Turino città del medesimo
ducato, consentì che in Vercelli entrassino de' suoi soldati; donde e a lui,
per l'opportunità di quel luogo, era accresciuta la speranza di potere, come
fussino arrivati tutti suoi sussidi, soccorrere Novara, e i confederati cominciavano
a starne con non piccola dubitazione. E però, per stabilire con maggiore
maturità come in queste difficoltà si avesse a procedere, andò all'esercito
Lodovico Sforza, e con lui Beatrice sua moglie che gli era assiduamente
compagna non manco alle cose gravi che alle dilettevoli; alla presenza del
quale, e, come fu fama, per consiglio suo principalmente, fu dopo molte
disputazioni conchiuso unitamente da' capitani: che per maggiore sicurtà di
tutti l'esercito veneto si unisse con lo sforzesco alle Mugne, lasciando
sufficiente guardia in tutti i luoghi vicini a Novara che fussino opportuni
all'ossidione: che Bolgari s'abbandonasse, perché essendo vicino tre miglia a
Vercelli, era necessario, se i franzesi vi fussino andati potenti per
espugnarlo, o lasciarlo ignominiosamente perdere o, contro alle deliberazioni
già fatte, andare a soccorrerlo con tutto l'esercito: che in Camariano,
distante per tre miglia all'alloggiamento delle Mugne, si accrescesse il
presidio; e che, fortificato il campo tutto con fossi e con ripari e con copia
grande d'artiglierie, si pigliassino giornalmente l'altre deliberazioni secondo
che insegnassino gli andamenti degl'inimici; non omettendo di dare il guasto e
tagliare tutti gli alberi insino quasi alle mura di Novara, per dare incomodo e
agli uomini e al saccomanno de' cavalli, de' quali nella città era grande
moltitudine.
Queste cose
deliberate, e fatta la mostra generale di tutto l'esercito, Lodovico Sforza se
ne tornò a Milano, per fare più prontamente le provisioni che di dì in dì
fussino necessarie. E per favorire anche con l'autorità e con l'armi spirituali
le forze temporali, operorono, i viniziani ed egli, che 'l pontefice mandasse
uno de' suoi mazzieri a Carlo, a comandargli che fra dieci dì si partisse
d'Italia con tutto l'esercito, e fra altro termine breve levasse le genti sue
del regno di Napoli; altrimenti, che sotto quelle pene spirituali con le quali
minaccia la Chiesa comparisse a Roma innanzi a lui personalmente; rimedio
tentato altre volte dagli antichi pontefici, perché, secondo che si legge, non
con altre armi che queste Adriano, primo di quel nome, costrinse Desiderio re
de' longobardi, che con esercito potente andava a perturbare Roma, a ritirarsi
da Terni, dove già era pervenuto, a Pavia. Ma mancata la riverenza e la maestà
che dalla santità della vita loro ne' petti degli uomini nascevano, era
ridicolo sperare da costumi e esempli tanto contrari gli effetti medesimi. Però
Carlo, deridendo la vanità di questo comandamento, rispose che, non avendo il
pontefice voluto quando tornava da Napoli aspettarlo in Roma, dove era andato
per baciargli divotamente i piedi, si maravigliava che al presente ne facesse
tanta instanza: ma che per ubbidirlo attendeva ad aprirsi la strada, e lo
pregava che, acciocché invano non pigliasse questa incomodità, fusse contento
d'aspettarvelo.
Conchiuse in
questo tempo il Carlo, in Turino, con gli imbasciadori de' fiorentini nuovi
capitoli, non senza molta contradizione di quegli medesimi che altre volte gli
avevano impugnati: a' quali dette maggiore occasione di contradire, che, avendo
i fiorentini, dopo l'avere ricuperato l'altre castella delle colline di Pisa
perdute nella ritornata di Carlo, posto il campo a Ponte di Sacco, e ottenutolo
per accordo salve le persone de' soldati, erano stati contro alla fede data
ammazzati nell'uscire quasi tutti i fanti guasconi che v'erano co' pisani, e
usate contro a' morti molte crudeltà. Il che, se bene fusse avvenuto contro
alla volontà de' commissari fiorentini, i quali con difficoltà grande ne
salvorono una parte, ma per opera d'alcuni soldati, i quali stati prima
prigioni dell'esercito franzese erano stati trattati molto acerbamente,
nondimeno nella corte del re questo caso, interpretandosi dagli avversari loro
per segno manifesto di animo inimicissimo al nome di tutti i franzesi, accrebbe
difficoltà alla pratica dell'accordo: il quale pure finalmente si conchiuse,
prevalendo a ogn'altro rispetto non la memoria delle promesse e del giuramento
prestato solennemente ma la necessità urgente di danari e del soccorrere alle
cose del regno di Napoli. Convennesi adunque in questa sentenza: che senza
alcuna dilazione fussino restituite a' fiorentini tutte le fortezze e le terre
che erano in mano di Carlo, con condizione che e' fussino obligati di dare
infra due anni prossimi, quando così piacesse al re, e ricevendone conveniente
ricompenso, Pietrasanta e Serezana a' genovesi, in caso venissino alla
ubbidienza del re; sotto la quale speranza gl'imbasciadori de' fiorentini
pagassino subito i trentamila ducati della capitolazione fatta in Firenze, ma
ricevendo gioie in pegno per sicurtà del riavergli in caso non si restituissino
per qualunque cagione le terre loro: che fatta la restituzione, prestassino al
re sotto l'obligazione de' generali del reame di Francia (è questo il nome di
quattro ministri regi che ricevono l'entrate di tutto il regno) settantamila
ducati, pagandogli per lui alle genti che erano nel regno di Napoli, e intra
gli altri una parte a' Colonnesi in caso non fussino accordati con Ferdinando;
di che al re, benché avesse già dell'accordo di Prospero qualche indizio, non
era pervenuta ancora la intera certezza: che non avendo guerra in Toscana,
mandassino nel reame, in aiuto dell'esercito franzese, dugento cinquanta uomini
d'arme; e in caso che avessino guerra in Toscana, ma non altra che quella di
Montepulciano, fussino obligati a mandargli ad accompagnare insino nel regno le
genti de' Vitelli, che erano nel contado pisano, ma non fussino obligati a tenervegli
più oltre che tutto il mese di ottobre: che a' pisani fussino perdonati tutti i
delitti commessi, e data certa forma alla restituzione delle robe tolte, e
fatte alcune abilità appartenenti all'arti e agli esercizi: e che per sicurtà
dell'osservanza si dessino per statichi sei de' principali cittadini di
Firenze, a elezione del re, per dimorare certo tempo nella sua corte. Il quale
accordo conchiuso, e pagati col pegno delle gioie i trentamila ducati, che
furono subito mandati per levare i svizzeri, furono espedite le lettere e i
comandamenti regi a' castellani delle fortezze, che le restituissino immediate
a' fiorentini.
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