II. Difficoltà create a' fiorentini da' potentati della lega. Lotta di
fazioni in Perugia e nell'Umbria. Vani tentativi di Piero de' Medici per avere
aiuti sufficienti ad entrare in Firenze. Verginio Orsino passa al soldo del re
di Francia.
Le quali mentre
che s'aspettano, non mancavano da altre parti a' fiorentini nuovi e pericolosi
travagli, suscitati principalmente da' potentati della lega. I quali, a fine di
interrompere l'acquisto di Pisa e di costrignergli a separarsi dalla
confederazione del re di Francia, confortorono Piero de' Medici che con l'aiuto
di Verginio Orsino, il quale fuggito del campo de' franzesi il dì del fatto
d'arme del Taro era tornato a Bracciano, tentasse di ritornare in Firenze; cosa
facile a persuadere all'uno e all'altro, perché a Verginio era molto a
proposito, in qualunque evento fusse per avere questo conato, raccorre co'
danari d'altri i suoi antichi soldati e partigiani e rimettersi in sulla
riputazione dell'armi; e a Piero, secondo il costume de' fuorusciti, non
mancavano varie speranze, per gli amici che aveva in Firenze, ove anche
intendeva dispiacere a molti de' nobili il governo popolare, e per gli aderenti
e seguaci assai che per la inveterata grandezza della famiglia sua avea in
tutto il dominio fiorentino. Credettesi che questo disegno avesse avuto origine
a Milano, perché Verginio quando fuggì da' franzesi era andato subito a
visitare il duca, ma si stabilì poi in Roma, ove fu trattato molti dì appresso
al pontefice dall'oratore veneto e dal cardinale Ascanio, il quale procedeva
per commissione di Lodovico suo fratello. E furono i fondamenti e le speranze
di questa impresa che, oltre alle genti che metterebbe insieme Verginio de'
suoi antichi soldati, e con diecimila ducati i quali Piero de' Medici aveva
raccolti del suo proprio e dagli amici, Giovanni Bentivoglio, soldato de'
viniziani e del duca di Milano, rompesse nel tempo medesimo la guerra da'
confini di Bologna, e che Caterina Sforza, i figliuoli della quale erano agli
stipendi del duca di Milano, desse dalle città di Imola e di Furlì, che
confinano co' fiorentini, qualche molestia; e si promettevano non vanamente
avere disposti al desiderio loro i sanesi, accesi dall'odio inveterato contro
a' fiorentini e dalla cupidità di conservarsi Montepulciano, la quale terra non
si confidavano di potere sostenere da loro medesimi. Perché, avendo pochi mesi
innanzi, con le forze proprie e con le genti del signore di Piombino e di Giovanni
Savello soldati comunemente dal duca di Milano e da essi, tentato
d'insignorirsi del passo della palude delle Chiane, il quale da quella banda
era confine tra i fiorentini e loro per lungo tratto, e a questo effetto
cominciato a lavorare appresso al ponte a Valiano uno bastione, per battere una
torre de' fiorentini posta in sulla punta del ponte di verso Montepulciano, era
riuscito tutto il contrario; perché i fiorentini, commossi dal pericolo della
perdita di questo ponte, che gli privava della facoltà di molestare
Montepulciano, e dava adito agli inimici d'entrare ne' territori di Cortona e
d'Arezzo e degli altri luoghi che dall'altra parte della Chiana appartengono al
dominio loro, mandatovi potente soccorso sforzorono il bastione cominciato da'
sanesi, e per stabilirsi totalmente il passo fabricorno appresso al ponte, ma
di là dalla Chiana, un bastione capacissimo d'alloggiarvi molta gente: con
l'opportunità del quale, scorrendo insino alle porte di Montepulciano,
infestavano medesimamente tutte le terre che i sanesi tenevano da quella parte.
E a questo successo s'era aggiunto che, poco poi che fu passato il re di
Francia, avevano rotto appresso a Montepulciano le genti de' sanesi e fatto
prigione Giovanni Savello loro capitano. Speravano inoltre Verginio e Piero de'
Medici d'ottenere ricetto e qualche comodità da' perugini: non solo perché i
Baglioni, i quali con l'armi e col seguito de' partigiani dominavano quasi
quella città, erano congiunti a Verginio, seguitando ciascuno di loro il nome
della fazione guelfa, e perché con Lorenzo padre di Piero, e poi con Piero
mentre era in Firenze, avevano tenuto strettissima amicizia e stati favoriti
sempre contro a' movimenti degl'inimici, ma ancora perché, essendo sottoposti
alla Chiesa, benché più nelle dimostrazioni che negli effetti, si credeva che
in questo che non apparteneva principalmente allo stato loro avessino a cedere
alla volontà del pontefice, aggiugnendovisi massimamente l'autorità de'
viniziani e del duca di Milano.
Partiti adunque
con queste speranze Verginio e Piero de' Medici di terra di Roma, persuadendosi
che i fiorentini, divisi tra loro medesimi e assaltati col nome de' confederati
da tutti i vicini, potessino con fatica resistere, poi che ebbono soggiornato
qualche dì tra Terni e Todi e in quelle circostanze, dove Verginio attendendo
ad abbassare per tutto la fazione ghibellina traeva da' guelfi danari e aiuto
di genti, si pose a campo in favore de' perugini a Gualdo, terra posseduta
dalla comunità di Fuligno ma venduta prima per seimila ducati dal pontefice a'
perugini, accesi non tanto dal desiderio di possederla quanto dalla contenzione
delle parti, per le quali tutte le terre circostanti si trovavano allora in
grandissimi movimenti. Perché pochi dì innanzi gli Oddi, fuorusciti di Perugia
e capi della parte avversa a' Baglioni, aiutati da quegli di Fuligno di Ascesi
e d'altri luoghi vicini che seguitavano la parte ghibellina, erano entrati in
Corciano, luogo forte vicino a Perugia a cinque miglia, con trecento cavalli e
cinquecento fanti; per il quale accidente essendo sollevato tutto il paese,
perché Spoleto Camerino e gli altri luoghi guelfi erano favorevoli a' Baglioni,
gli Oddi pochi dì dopo entrorono una notte furtivamente in Perugia, e con tanto
spavento de' Baglioni che già perduta la speranza del difendersi cominciavano a
mettersi in fuga: e nondimeno perderono, per uno inopinato e minimo caso,
quella vittoria che non poteva torre più loro la possanza degl'inimici. Perché
essendo già pervenuti senza ostacolo a una delle bocche della piazza
principale, e volendo uno di loro, che a questo effetto aveva portato una
scure, spezzare una catena, la quale secondo l'uso delle città faziose
attraversava la strada, impedito a distendere le braccia da' suoi medesimi che
calcati gli erano intorno, gridò con alta voce: - addietro, addietro -
acciocché allargandosi gli dessino facoltà di adoperarsi; la quale voce,
replicata di mano in mano da chi lo seguitava e intesa dagli altri come
incitamento a fuggire, mésse senza altro scontro o impedimento in fuga tutta la
gente, non sapendo alcuno da chi cacciati o per quale cagione si fuggissino:
dal quale disordine preso animo e rimessisi insieme gli avversari, ammazzatine
nella fuga molti di loro, e preso Troilo Savello, il quale per la medesima
affezione della parte era stato mandato in aiuto degli Oddi dal cardinale
Savello, seguitorno gli altri insino a Corciano, e lo recuperorno con l'impeto
medesimo; né saziati per la morte di quegli che erano stati uccisi nel fuggire
ne impiccorono in Perugia molti degli altri, con la crudeltà che tra loro
medesimi usano i parziali. Da' quali tumulti essendo nate molte uccisioni nelle
terre vicine per conto delle parti, sollecite ne' tempi sospetti a sollevarsi,
o per sete d'ammazzare gl'inimici o per paura di non essere prevenuti da loro,
i perugini concitati contro a' fulignati avevano mandato il campo a Gualdo;
dove avendo data la battaglia invano, diffidatisi di poterlo ottenere con le
loro forze, accettorono gli aiuti di Verginio, il quale si offerse loro
acciocché al nome della guerra e delle prede concorressino più facilmente i
soldati. E nondimeno, stimolati da lui e da Piero de' Medici di aiutare
scopertamente la impresa loro, o almeno di concedere qualche pezzo
d'artiglieria e il ricetto per le genti loro a Castiglione del Lago, che
confina col territorio di Cortona, e comodità di vettovaglie per l'esercito,
non consentivano alcuna di queste dimande, ancora che delle cose medesime
facesse instanza grandissima in nome del duca di Milano il cardinale Ascanio, e
il pontefice con brevi veementi e minatori lo comandasse; perché essendo stati,
dopo l'occupazione di Corciano, aiutati da' fiorentini con qualche somma di
danari, i quali di più avevano a Guido e a Ridolfo principali della casa de' Baglioni
costituita annua provisione, e condotto a' suoi stipendi Giampagolo figliuolo
di Ridolfo, si erano ristretti con loro: alieni oltre a questo dalla
congiunzione del pontefice, perché temevano che il favore suo fusse inclinato
agli avversari, o che per occasione delle loro divisioni aspirasse a rimettere
in tutto quella città sotto l'ubbidienza della Chiesa.
Nel quale tempo
Pagolo Orsino, che con sessanta uomini d'arme della compagnia vecchia di
Verginio era stato molti dì a Montepulciano e dipoi trasferitosi a Castello
della Pieve, teneva per ordine di Piero de' Medici trattato nella città di
Cortona; con intenzione di metterlo a effetto come le genti di Verginio, il
numero e la bontà delle quali non corrispondeva a' primi disegni, s'accostassino:
nella quale dilazione essendosi scoperto il trattato che si teneva, per mezzo
d'uno sbandito di bassa condizione, cominciorono a mancare parte de' loro
fondamenti, e da altra parte a dimostrarsi maggiori ostacoli. Perché i
fiorentini, solleciti a provedere a' pericoli, lasciati nel contado di Pisa
trecento uomini d'arme e dumila fanti, avevano mandati ad alloggiare presso a
Cortona dugento uomini d'arme e mille fanti sotto il governo del conte Rinuccio
da Marciano loro condottiere; e perché le genti de' sanesi non potessino unirsi
con Verginio, come tra loro si era trattato, avevano mandato al Poggio
Imperiale che è a' confini del sanese, sotto il governo di Guidobaldo da
Montefeltro duca d'Urbino, condotto poco innanzi da loro, trecento uomini
d'arme e mille cinquecento fanti, e aggiuntivi molti de' fuorusciti di Siena
per tenere quella città in maggiore terrore. Ma Verginio, poiché ebbe dato più
battaglie a Gualdo, dove fu ferito d'un archibuso Carlo figliuolo suo naturale,
ricevuti, come si credette, in secreto danari da' fulignati, ne levò il campo
senza menzione alcuna dello interesse de' perugini; e andò ad alloggiare alle
Tavernelle e dipoi al Panicale nel contado di Perugia, facendo nuova instanza
che si dichiarassino contro a' fiorentini: il che non solo gli fu negato, anzi,
per la mala sodisfazione che avevano delle cose di Gualdo, costretto quasi con
minaccie a uscirsi del territorio loro. Però, essendo prima Piero ed egli
andati con quattrocento cavalli all'Orsaia villa propinqua a Cortona, sperando
che in quella città, la quale per non essere danneggiata da' soldati non aveva
voluto ricevere dentro le genti d'arme de' fiorentini, si facesse qualche
movimento, poiché veddeno ogni cosa quieta passorono le Chiane, con trecento
uomini d'arme e tremila fanti, ma la più parte gente male in ordine per essere
stati raccolti con pochi danari; e si ridusseno nel sanese presso a
Montepulciano, tra Chianciano, Torrita e Asinalunga: dove soprastettono molti
dì senza fare fazione alcuna, eccetto che qualche preda e correrie, perché le
genti de' fiorentini, passate le Chiane al ponte a Valiano, si erano messe
all'opposito nel Monte a Sansovino e negli altri luoghi circostanti. Né da
Bologna, secondo la intenzione che era stata loro data, si faceva movimento
alcuno; perché il Bentivoglio, determinato di non si implicare per gli
interessi d'altri in guerra con una republica potente e vicina, ancoraché
consentisse farsi molte dimostrazioni da Giuliano de' Medici, il quale venuto a
Bologna cercava di sollevare gli amici che essi erano soliti di avere nelle
montagne del bolognese, non volle muovere l'armi, non ostante gli stimoli de'
collegati, interponendo varie dilazioni e allegando varie scuse. Anzi tra i
collegati medesimi non era totalmente la medesima volontà: perché al duca di
Milano era grato che i fiorentini avessino travagli tali che gli rendessino
manco potenti alle cose di Pisa; ma non gli sarebbe stato grato che Piero de'
Medici, offeso da lui sì gravemente, ritornasse in Firenze, se bene egli, per
dimostrare di volere per l'avvenire dependere del tutto dalla sua autorità,
avesse mandato a Milano il cardinale suo fratello; e i viniziani non volevano
abbracciare soli questa guerra: aggiugnendosi oltre a questo l'essere intenti,
il duca e loro, alle provisioni per cacciare i franzesi del reame di Napoli.
Perciò mancando a Piero e a Verginio non solo le speranze le quali s'avevano
proposte ma ancora i danari per sostentare le genti, diminuiti assai di fanti e
di cavalli, si ritirorono al Bagno a Rapolano nel contado di Chiusi, città
suddita a' sanesi. Dove fra pochi dì, tirando Verginio il suo fato, arrivorono
Cammillo Vitelli e monsignore di Gemel, mandati dal re di Francia per condurlo
a' soldi suoi e menarlo nel reame di Napoli; dove il re, intesa l'alienazione
de' Colonnesi, desiderava di servirsene: il quale partito, non ostante la
contradizione di molti de' suoi, che lo consigliavano o che si conducesse co'
confederati, che ne lo ricercavano con grande instanza, o che ritornasse al
servigio aragonese, fu accettato da lui; o perché sperasse di ricuperare più
facilmente con questo mezzo i contadi di Albi e di Tagliacozzo, o perché,
ricordandosi delle cose intervenute nella perdita del regno e vedendo essere
grande appresso a Ferdinando l'autorità de' Colonnesi suoi avversari, si
diffidasse di potere più ritornare seco nell'antica fede e grandezza, o pure lo
movesse, secondo che affermava egli, la mala sodisfazione che aveva de'
prìncipi confederati per avergli mancato delle promesse fattegli al favore di
Piero de' Medici. Fu adunque condotto con secento uomini d'arme per lui e per
gli altri di casa Orsina, ma nondimeno con obligo di mandare Carlo suo
figliuolo in Francia per sicurtà del re (questi sono i frutti di chi ha già
fatta sospetta la fede propria); e ricevuti i danari, attendeva a prepararsi
per andare insieme co' Vitelli nel regno.
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