VI. Carlo VIII, anche per sollecitazioni di altri, torna a pensare alle
cose d'Italia. Deliberazioni del consiglio regio e preparativi per una nuova
spedizione in Italia. Timori e azione politica di Lodovico Sforza. Indugi
frapposti alla spedizione dal cardinale di San Malò. Scarsi aiuti mandati da
Carlo in Italia.
Nella quale incertitudine mentre che si
sta, il re di Francia, da altra parte, trattava delle provisioni di soccorrere
i suoi. Perché, come ebbe intesa la perdita delle castella di Napoli, e che per
non essere state restituite le fortezze a' fiorentini mancavano alle sue genti
i danari e i soccorsi loro, svegliato dalla negligenza con la quale pareva
fusse ritornato in Francia, cominciò di nuovo a voltare l'animo alle cose
d'Italia; e per essere più espedito da tutto quello che lo potesse ritenere, e
per potere, dimostrandosi grato de' benefici ricevuti ne' suoi pericoli,
ricorrere di nuovo più confidentemente all'aiuto celeste, andò in poste a Torsi
e poi a Parigi per sodisfare a' voti fatti da sé, il dì della giornata di
Fornuovo, a san Martino e a san Dionigi; donde ritornato con la medesima
diligenza a Lione, si riscaldava ogni dì più in questo pensiero; al quale era
per se stesso inclinatissimo, attribuendosi a grandissima gloria l'avere
acquistato un reame tale, e primo di tutti i re di Francia dopo molti secoli
avere personalmente rinnovata in Italia la memoria dell'armi e delle vittorie
franzesi; e persuadendosi che le difficoltà le quali aveva avute nel ritornare
da Napoli fussino procedute più da' disordini suoi che dalla potenza o dalla
virtù degl'italiani, il nome de' quali non era più, nelle cose della guerra,
appresso a franzesi in alcuna estimazione. E l'accendevano ancora gli stimoli
degli oratori de' fiorentini, del cardinale di San Piero in Vincola e di Gian
Iacopo da Triulzi, ritornato per questa cagione alla corte; in compagnia de'
quali facevano la medesima instanza Vitellozzo e Carlo Orsino e dipoi il conte
di Montorio, mandato per il medesimo effetto da' baroni che seguitavano le parti
franzesi nel regno di Napoli; e ultimatamente vi andò da Gaeta per mare il
siniscalco di Belcari, il quale dimostrava speranza grande di vittoria in caso
che senza più dilazione si mandasse il soccorso e, per contrario, che le cose
di quel reame essendo abbandonate non potevano sostenersi lungamente; e oltre a
questi una parte de' signori grandi, stati prima alieni dalle imprese d'Italia,
confortavano il medesimo, per la ignominia che del lasciare perdere l'acquisto
fatto risultava alla corona di Francia, e molto più per il danno che tanta
nobiltà franzese si perdesse nel reame di Napoli. Né si raffrenavano questi
concetti per i movimenti i quali si dimostravano per i re di Spagna dalla parte
di Perpignano, perché essendo apparati maggiori in nome che in fatti, e le
forze di quegli re più potenti alla difesa de' regni propri che all'offesa de'
regni d'altri, si giudicava sufficiente rimedio l'avere mandate a Nerbona e
nell'altre terre che sono alle frontiere di Spagna molte genti d'arme, non
senza compagnia sufficiente di svizzeri.
Però convocati
dal re nel consiglio tutti i signori e tutte le persone notabili che si
trovavano nella corte, fu deliberato che con più celerità che si potesse
tornasse in Asti il Triulzio con titolo di luogotenente regio e con lui
ottocento lancie dumila svizzeri e dumila guasconi, e che poco dopo lui
passasse i monti con altre genti il duca di Orliens, e finalmente con tutte
l'altre provisioni la persona del re; il quale passando potente, non si
dubitava che aderirebbono alla volontà sua gli stati del duca di Savoia e de'
marchesi di Monferrato e di Saluzzo, opportuni molto a fare la guerra contro al
ducato di Milano; e che, dal cantone di Berna infuora, il quale aveva promesso
al duca di Milano di non lo offendere, tutti i cantoni de' svizzeri andrebbono
agli stipendi suoi con grandissima prontezza. Le quali deliberazioni
procederono con maggiore consentimento per l'ardore del re; il quale, innanzi
che entrasse nel consiglio, avea pregato strettamente il duca di Borbone che
con efficaci parole dimostrasse essere necessario il fare potentissimamente la
guerra, e poi nel consiglio, ribattuto con la medesima caldezza l'ammiraglio,
il quale seguitato da pochi aveva, non tanto contradicendo direttamente quanto
proponendo molte difficoltà, cercato di intepidire per indiretto gli animi
degli altri: e affermava il re palesemente che in potestà sua non era di fare
altra deliberazione, perché la volontà di Dio lo costrigneva a ritornare in
Italia personalmente. Fu deliberato nel medesimo consiglio che trenta navi, tra
le quali una caracca grossissima detta la Normanda e un'altra caracca grossa
della religione di Rodi, passassino dalla costa del mare Oceano ne' porti di
Provenza, dove si armassino trenta tra galee sottili e galeoni, per mettere con
sì grossa armata nel reame di Napoli soccorso grandissimo di gente di
vettovaglie di munizioni e di danari; e nondimeno che, non aspettando che
questa fusse in ordine, si mandasse subito qualche navile carico di gente e di
vettovaglie. Oltre a tutte le quali cose fu ordinato che a Milano andasse
Rigault maestro di casa del re: perché il duca, benché non avesse dato le due
caracche né permesso l'armarsi per il re a Genova, e restituito solamente i
legni presi a Rapalle ma non le dodici galee state tenute nel porto di Genova,
si era sforzato di scusarsi con la inubbidienza de' genovesi, e tenuto
continuamente con varie pratiche uomini suoi appresso al re; al quale aveva di
nuovo mandato Antonio Maria Palavicino, affermando che era disposto a osservare
l'accordo fatto, dimandando gli fusse prorogato il tempo di pagare al duca
d'Orliens i cinquantamila ducati promessi in quella concordia. Dalle quali arti
benché riportasse piccolo frutto, essendo notissima al re la mente sua, sì per
l'altre azioni sì perché, per lettere e istruzioni sue che erano state
intercette, era venuto a luce essere da lui stimolati continuamente il re de'
romani e i re di Spagna a muovere la guerra in Francia, nondimeno, sperandosi
che forse il timore lo indurrebbe a quello da che era aliena la volontà, fu
commesso a Rigault che, non disputando della inosservanza passata, gli
significasse in potestà sua essere di cancellare la memoria dell'offese
cominciando a osservare, rendendo le galee concedendo le caracche e permettendo
l'armare a Genova; e gli soggiugnesse la deliberazione della passata del re, la
quale sarebbe con gravissimo suo danno se, mentre gli era offerta la facoltà,
non ritornasse a quella amicizia la quale il re si persuadeva che egli più
tosto per sospetti vani che per altra cagione avesse imprudentemente
disprezzata.
Già la fama
degli apparati che si facevano, trapassata in Italia, aveva dato molta
alterazione a' collegati; e sopra tutti Lodovico Sforza, essendo il primo
esposto all'impeto degl'inimici, si ritrovava in grandissima ansietà, inteso
massime che, dopo la partita di Rigault dalla corte, il re con parole e
dimostrazioni molto brusche aveva licenziato tutti gli agenti suoi. Per il che,
rivoltandosi nella mente la grandezza del pericolo, e che tutti i travagli
della guerra si riducevano nel suo stato, si sarebbe facilmente accomodato alle
richieste del re se non l'avesse ritenuto il sospetto, per la coscienza
dell'offese fattegli, per le quali era generata da ogni parte tale diffidenza,
che e' fusse più difficile trovare mezzo di sicurtà per ciascuno che convenire
negli articoli delle differenze; perché togliendosi alla sicurezza dell'uno
quel che si consentisse per assicurare l'altro, niuno voleva rimettere nella
fede di altri quel che l'altro recusava di rimettere nella sua. Così
stringendolo la necessità a prendere quel consiglio che gli era più molesto,
per cercare almeno d'allungare i pericoli, continuò con Rigault l'arti medesime
che aveva usate insino allora; affermando molto efficacemente che farebbe
ubbidire i genovesi ogni volta che il re desse nella città di Avignone sicurtà
sufficiente per la restituzione delle navi, e che ciascuna delle parti
promettesse, dando ostaggi per l'osservanza, che cose nuove in pregiudicio dell'altra
non si tentassino: la quale pratica, continuata molti dì, ebbe finalmente, per
varie cavillazioni e difficoltà che si interponevano, l'effetto medesimo che
avevano avuto l'altre. Ma Lodovico non consumando questo tempo inutilmente
mandò, mentre pendevano questi ragionamenti, uomini al re de' romani per
indurlo a passare in Italia con l'aiuto suo e de' viniziani; e a Vinegia mandò
imbasciadori a ricercargli che per provedere al pericolo comune concorressino a
questa spesa, e che mandassino verso Alessandria i sussidi che fussino
necessari per opporsi a' franzesi: il che da loro fu offerto di fare
prontissimamente. Ma non mostrorno già la medesima facilità nella passata del
re de' romani, poco amico alla loro republica, rispetto a quello possedevano in
terra ferma appartenente allo imperio e alla casa di Austria; né si
contentavano che a spese comuni si conducesse in Italia un esercito che in
tutto dependesse da Lodovico: nondimeno, continuando Lodovico di farne instanza
perché, oltre all'altre ragioni che lo movevano, le forze sole de' viniziani
nello stato di Milano gli erano sospette, dubitando quel senato che egli, il
quale sapevano essere grandemente impaurito, non si precipitasse a
riconciliarsi col re di Francia, prestò finalmente il suo consentimento, e
mandò per la cagione medesima a Cesare imbasciadori. Temevano ancora i
viniziani e il duca che i fiorentini, come il re avesse passato i monti, non
facessino nella riviera di Genova qualche movimento; però ricercorono Giovanni
Bentivogli che con trecento uomini d'arme, co' quali era condotto da'
confederati, assaltasse da' confini di Bologna i fiorentini, promettendogli che
nel tempo medesimo sarebbono molestati da' sanesi e dalle genti che erano in
Pisa, e offerendogli di obligarsi, in caso che occupasse la città di Pistoia, a
conservarvelo: di che benché il Bentivoglio desse loro speranza, nondimeno,
avendone l'animo molto lontano, e temendo non poco della venuta de' franzesi,
mandò occultamente al re a scusarsi delle cose passate per la necessità del
sito nel quale è posta Bologna, e a offerire di volere dependere da lui, e di
astenersi per rispetto suo da molestare i fiorentini.
Ma non bastava
la volontà del re, benché ardentissima, a mettere a esecuzione le cose
deliberate, con tutto che l'onore proprio e i pericoli del regno di Napoli
ricercassino prestissima espedizione; perché il cardinale di San Malò, in cui
mano era oltre al maneggio delle pecunie la somma di tutto il governo, benché
apertamente non contradicesse, differiva tanto, con allungare i pagamenti
necessari, tutte l'espedizioni che provisione alcuna a effetto non si
conduceva; mosso, o per parergli migliore mezzo a perpetuare la sua grandezza,
non facendo spesa alcuna che non appartenesse o all'utilità presente o a'
piaceri del re, non avere cagione di proporre ogni dì difficoltà di cose e
necessità di danari, o perché, come molti dubitavano, corrotto da premi e da
speranze, avesse secreta intelligenza o col pontefice o col duca di Milano: né
a questo rimediavano i conforti e i comandamenti del re, pieni qualche volta di
sdegno e di parole ingiuriose, perché conoscendo quale fusse la sua natura gli
sodisfaceva con promesse contrarie agli effetti. E così, cominciata a
ritardarsi per opera sua la esecuzione delle cose disegnate, si turborono quasi
in tutto per uno accidente inaspettato che sopravenne. Imperocché alla fine del
mese di maggio il re, quando ciascuno aspettava che non molto poi si movesse
per passare in Italia, deliberò di andare a Parigi: allegando che, secondo il
costume degli antichi re, voleva innanzi si partisse di Francia pigliare
licenza con le cerimonie consuete da san Dionigi e, nel passare da Torsi, da
san Martino; e che avendo disposto di passare in Italia abbondantissimo di
danari, per non si ridurre nelle necessità nelle quali era stato l'anno
dinanzi, bisognava che inducesse l'altre città di Francia ad accomodarlo di
danari con l'esempio della città di Parigi, dalla quale non otterrebbe essere
accomodato se non vi andasse personalmente; e che approssimandosi in là,
farebbe più sollecite a cavalcare le genti d'arme che si movevano di Normandia
e di Piccardia: affermando che innanzi alla partita sua spedirebbe il duca
d'Orliens, e che in termine di un mese sarebbe ritornato a Lione. Ma si credette
che la più vera e principale cagione fusse l'essere egli innamorato in camera
della reina, la quale poco avanti era andata a Torsi con la sua corte. Né
potettono i consigli de' suoi né gli stretti prieghi, e quasi lagrime,
degl'italiani rimuoverlo da questa deliberazione; i quali gli dimostravano
quanto fusse dannoso il perdere il tempo opportuno alla guerra, massime in
tanta necessità de' suoi nel regno napoletano, e quanto fusse perniciosa la
fama che volerebbe per Italia che e' si fusse allontanato quando doveva
approssimarsi: variarsi per ogni piccolo accidente, per ogni leggiero romore,
la riputazione delle imprese; ed essere molto difficile il ricuperarla quando è
cominciata a declinare, quando bene si facessino poi effetti molto maggiori di
quegli che gli uomini prima si erano promessi. I quali ricordi disprezzando, ed
essendo soprastato un mese di più a Lione, si mosse a quel cammino, non avendo
espedito altrimenti il duca d'Orliens ma solo mandato in Asti con non molta
gente il Triulzio, non tanto per le preparazioni della guerra quanto per
stabilire nella sua divozione Filippo monsignore, succeduto nuovamente, per la
morte del piccolo duca suo nipote, nella ducea di Savoia. Né si fece, innanzi
alla partita sua, per le cose del regno altra provisione che di mandare con
vettovaglie sei navi a Gaeta, dando speranza che presto le seguiterebbe
l'armata grossa; e di provedere per mezzo di mercatanti a Firenze, benché
tardi, quarantamila ducati per fargli pagare a Mompensieri: perché i svizzeri e
i tedeschi avevano protestato che, non essendo pagati innanzi alla fine di
giugno, passerebbono nel campo degli inimici. Rimasono a Lione il duca
d'Orliens, il cardinale di San Malò e tutto il consiglio, con commissione di
accelerare le provisioni: alle quali se il cardinale era proceduto lentamente
in presenza del re, procedeva molto più lentamente essendo assente.
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