VII. Nuove vicende della guerra nel reame di Napoli. Declina di nuovo la
fortuna de' francesi. Vittoria di Consalvo in Calabria. Resa di Atella.
Continui progressi degli aragonesi. Morte di Ferdinando e successione di
Federico. Continuano gli indugi nella spedizione francese in Italia.
Ma non potevano
le cose del reame di Napoli aspettare la tardità di questi rimedi, essendo
ridotta la guerra in termine, per gli eserciti congregati da ogni banda e per
molte difficoltà che da tutt'a due le parti si scoprivano, che era necessario
che senza più dilazione si terminasse la guerra. Aveva Ferdinando, poiché ebbe
unite seco le genti viniziane, presa la terra di Castelfranco; dove si unirno
seco con dugento uomini d'arme Giovanni Sforza signore di Pesero e Giovanni da
Gonzaga fratello del marchese di Mantova condottieri de' confederati, in modo
che in tutto erano nel campo suo mille dugento uomini d'arme mille cinquecento
cavalli leggieri e quattromila fanti; e i franzesi nel tempo medesimo si erano
accampati a Circello, propinquo a dieci miglia a Benevento. Appresso a' quali
accostatosi Ferdinando a quattro miglia, si pose a campo a Frangete di
Monteforte; il quale luogo perché era bene proveduto non presono al primo
assalto. Levoronsi i franzesi da Circello per soccorrerlo ma non arrivorono a
tempo, essendosi per timore del secondo assalto arrenduti, lasciata la terra a
discrezione, i fanti tedeschi che lo guardavano: la qual cosa parendo avversa
a' franzesi sarebbe stata cagione della loro felicità se, o per imprudenza o
per mala fortuna, non avessino perduta tanta occasione. Perché (così confessa
quasi ciascuno) arebbeno quel dì facilmente rotto l'esercito inimico: perché,
occupata la maggiore parte nel sacco di Frangete, non attendeva a' comandamenti
de' capitani; i quali, vedendo che già tra i franzesi e l'alloggiamento loro
non era in mezzo altro che una valle, si sforzavano con grandissima diligenza
di mettergli insieme. Conobbe Mompensieri sì grande occasione, conobbela
Verginio Orsino; de' quali l'uno comandava, l'altro, dimostrando la vittoria
certa, pieno di lagrime pregava, che non tardassino a passare la valle mentre
che nell'alloggiamento italiano era piena ogni cosa di confusione e di tumulto,
mentre che i soldati, attendendo parte a rubare parte a portare via le cose
rubate, non udivano l'imperio de' capitani. Ma Persì, uno de' principali, dopo
Mompensieri, dell'esercito, mosso o da leggierezza giovenile o, come più si
credette, da invidia della sua gloria, allegando il disavvantaggio del passare
la valle salendo sotto i piedi quasi degli inimici, e il sito forte del loro
alloggiamento, e confortando scopertamente i soldati a non combattere, impedì
così salutifero consiglio; e si crede che istigati da lui, i svizzeri e i
tedeschi, domandando danari, tumultuorono. Però Mompensieri, costretto a
ritirarsi, ritornò intorno a Circelle; ove dandosi il dì seguente la battaglia,
Camillo Vitelli, mentre che allato alle mura fa egregiamente l'ufficio di
capitano e di soldato, percosso nella testa da uno sasso terminò la vita sua:
per il quale caso i franzesi, non espugnato Circelle, ne levorono il campo e se
ne andorno verso Arriano; disposti nondimeno i capitani a tentare, se
n'avessino avuta occasione, la fortuna della giornata. Al quale consiglio era
in tutto contrario il consiglio dell'esercito aragonese; stando massime fermi,
specialmente i proveditori viniziani, in questa sentenza perché, sapendo che
gli inimici cominciavano a patire di vettovaglie e che erano senza danari, e
vedendosi procedere in lungo i soccorsi di Francia, speravano che giornalmente
avessino a crescere i sinistri e le incomodità loro, e che in altre parti del
regno avessino medesimamente ad avere maggiori molestie, perché nello Abruzzi,
dove nuovamente Annibale figliuolo naturale del signore di Camerino, andato
volontariamente a servire Ferdinando con quattrocento cavalli a spese proprie,
avea rotto il marchese di Bitonto, si aspettava con trecento uomini d'arme il
duca di Urbino, condotto di nuovo da' collegati: la fortuna de' quali e le
condizioni maggiori egli seguitando, aveva abbandonato la condotta de'
fiorentini, alla quale era obligato ancora per più di uno anno, scusandosi che
per essere feudatario della Chiesa non poteva non ubbidire a' comandamenti del
pontefice. Però, andando Graziano di Guerra per opporsegli, assaltato nel piano
di Sermona dal conte di Celano e dal conte di Popoli con trecento cavalli e con
tremila fanti paesani, gli messe in fuga.
Ma con la
perdita della occasione del vincere intorno a Frangete era cominciata a
declinare manifestamente la fortuna de' franzesi, concorrendo in uno tempo
medesimo quasi infinite difficoltà; inopia estrema di danari carestia di
vettovaglie odio de' popoli discordia de' capitani disubbidienza de' soldati e
la partita di molti dal campo, parte per necessità parte per volontà, perché né
del reame aveano avuto facoltà di cavare se non pochi danari, né di Francia
erano stati di quantità alcuna proveduti, essendo stata troppo tarda la
provisione de' quarantamila ducati mandati a Firenze; di maniera non potevano,
per questo e per la vicinità di molte terre sostentate dalla propinquità degli
inimici, fare i provedimenti necessari per avere le vettovaglie; e l'esercito
era pieno di disordini, essendo indeboliti gli animi de' soldati, e i svizzeri
e i tedeschi dimandando ogni dì tumultuosamente di essere pagati, e nocendo molto
a tutte le deliberazioni la contradizione continua di Persì a Mompensieri.
Costrinse la necessità il principe di Bisignano a partirsi con le sue genti,
per andare alla guardia del proprio stato, per timore delle genti di Consalvo;
e molti de' soldati del paese alla giornata si sfilavano, perché oltre al non
avere ricevuti mai danari erano maltrattati da' franzesi e da' svizzeri nella
divisione delle prede e nella distribuzione delle vettovaglie. Per le quali
difficoltà, e sopratutto per la strettezza del vivere, era l'esercito franzese
necessitato ritirarsi a poco a poco di uno luogo in uno altro, il che diminuiva
grandemente la riputazione sua appresso a' popoli; e benché gli inimici gli
andassino continuamente seguitando non perciò speravano d'avere facoltà di
combattere, come sopratutto Mompensieri e Verginio desideravano, perché per non
essere sforzati a combattere alloggiavano sempre in luoghi forti e ove non
potessino essere impedite le sue comodità. Co' quali andando a unirsi Filippo
Rosso condottiere de' viniziani, con la sua compagnia di cento uomini d'arme,
era stato rotto dalle genti del prefetto di Roma. Finalmente, essendo i
franzesi alloggiati sotto Montecalvoli e Casalarbore presso ad Arriano,
Ferdinando, accostatosi loro per tanto spazio quanto è il tiro di una balestra
ma alloggiando sempre in sito forte, gli ridusse in necessità grande di
vettovaglie, e gli privò medesimamente dell'uso dell'acqua. Donde deliberati di
andarsene in Puglia, dove speravano avere comodità di vettovaglie, e temendo,
nella propinquità degl'inimici, delle difficoltà che facilmente sopravengono
agli eserciti che si ritirano, levatisi tacitamente al principio della notte,
camminorono, innanzi si fermassino, venticinque miglia. Seguitògli la mattina
Ferdinando, ma disperandosi di potere aggiugnergli si accampò a Giesualdo; la
quale terra, avendo già sostenuto quattordici mesi l'assedio di... famosissimo
capitano, fu da lui espugnata in uno giorno solo: cosa che ingannò molto i
franzesi, perché avendo deliberato di fermarsi in Venosa, terra forte di sito e
molto abbondante di vettovaglie, la credenza che ebbono che Ferdinando non così
presto pigliasse Giesualdo fu cagione che perdessino tempo in Atella, la quale
terra aveano presa e la saccheggiavano; onde innanzi partissino, sopragiunti da
Ferdinando, che preso Giesualdo accelerò il cammino, benché battessino una
parte de' suoi trascorsa innanzi al campo, non potendo ridursi a Venosa vicina
a otto miglia, si fermorono in Atella, con intenzione di aspettare se da parte
alcuna venisse soccorso, e sperando, per la vicinità di Venosa e di molte altre
terre circostanti che si tenevano per loro, poterne ricevere comodità di
vettovaglie. Accampovvisi subito Ferdinando, intento tutto a impedirle loro,
poiché vedeva presente la speranza di ottenere la vittoria senza pericolo e
senza sangue, e perciò attendendo a fare all'intorno molte tagliate e a
insignorirsi delle terre vicine. Ma le difficoltà de' franzesi gli rendevano
ogni dì le cose più facili. Perché i fanti tedeschi, non avendo, poi che furono
levati del suo paese, ricevuto pagamento se non per due mesi, ed essendo
passati tutti i termini invano aspettati, se n'andorono nel campo di
Ferdinando; onde crescendo a lui la facoltà di infestare più gli inimici e di
più distendervisi, vi si conducevano più difficilmente le vettovaglie che
venivano da Venosa e dall'altre terre circostanti. Né in Atella era tanto da
vivere che bastasse a sostentare molti dì i franzesi, perché vi era piccola
quantità di grano; e avendo gli aragonesi rovinato uno molino, il quale era in
sul fiume che corre propinquo alle mura, pativano anche di macinato: non si
alleggerendo le incomodità presenti per la speranza del futuro; poi che da
parte alcuna non appariva segno di soccorso.
Ma l'avversità
che sopravenne in Calavria messe in ultima ruina le cose loro. Perché avendo
Consalvo, per l'occasione della infermità lunga di Obignì per la quale molti
de' suoi erano andati all'esercito di Mompensieri, preso più terre in quella
provincia, si era ultimatamente, con gli spagnuoli e con molti soldati del
paese, fermato a Castrovillole; dove avendo notizia che a Laino erano il conte
di Meleto e Alberigo da San Severino e molti altri baroni con numero di gente
quasi pari, e che ingrossando continuamente, disegnavano, come fussino più
potenti, d'andare ad assaltarlo, deliberò di prevenire, sperando di opprimergli
incauti per la sicurtà che avevano dal sito del loro alloggiamento, perché il
castello di Laino è posto in sul fiume [Sapri] che divide la Calavria dal
Principato, e il borgo è dall'altra parte del fiume; nel quale alloggiando
erano guardati dal castello contro a chi venisse ad assaltargli per il cammino
diritto, e tra Laino e Castrovillole erano Murano e alcun'altre terre del
principe di Bisignano che si tenevano per loro. Ma Consalvo, con diverso
consiglio, partì con tutta la sua gente da Castrovillole poco innanzi alla
notte, e uscendo della strada diritta prese il cammino largo, ancora che molto
più lungo e difficile perché s'avevano a passare alcune montagne, e condotto in
sul fiume avviò la fanteria alla via del ponte che è tra 'l castello di Laino e
il borgo; il qual ponte, per la medesima sicurtà, era guardato negligentemente:
egli con la cavalleria, passato il fiume a guazzo due miglia più alto, arrivò
innanzi dì al borgo, e trovato gli inimici senza scolte e senza guardia gli
ruppe in uno momento, pigliando undici baroni e quasi tutta la gente, perché
fuggendo inverso il castello percotevano nella fanteria che aveva già occupato
il passo del ponte. Da questa onorata opera, la quale fu la prima delle
vittorie che ebbe Consalvo nel regno di Napoli, ricuperate alcune altre terre
di Calavria, e augumentate le forze, andò con seimila uomini a unirsi col campo
che era intorno ad Atella; al quale erano arrivati, pochi dì innanzi, cento
uomini d'arme del duca di Candia soldato de' confederati, perché egli col resto
della compagnia era rimasto in terra di Roma.
Per la venuta
di Consalvo si strinse più l'assedio, perché Atella fu circondata da tre parti,
ponendosi da una le genti aragonesi dall'altra le viniziane e dalla terza le
spagnuole; donde s'impedivano le vettovaglie che vi venivano, correndo massime
per tutto gli stradiotti de' viniziani, i quali presono molti franzesi che ne
conducevano da Venosa; né avevano più quegli di dentro facoltà di andare al
saccomanno se non a ore straordinarie e con grosse scorte: il che anche fu
tolto del tutto loro, perché essendo uscito in sul mezzo dì Paolo Vitelli con
cento uomini d'arme, tirato dal marchese di Mantova in uno aguato, ne perdé
parte. Così perdute tutte le comodità, si ridussono in ultimo in tanta
strettezza che non potevano, eziandio con le scorte, usare per i cavalli
l'acqua del fiume, e dentro mancava l'acqua necessaria alle persone; in modo
che, vinti da tanti mali e abbandonati d'ogni speranza, avendo già sopportato
l'assedio trentadue dì, necessitati ad arrendersi, impetrato salvocondotto,
mandorono Persì, Bartolomeo d'Alviano e uno de' capitani svizzeri a parlare a
Ferdinando, col quale venneno in queste convenzioni: che l'offese si levassino
tra le parti per trenta dì, non potendo nel detto tempo partirsi d'Atella
alcuno degli assediati; a' quali fusse dì per dì conceduta dagli aragonesi la
vettovaglia necessaria: fusse lecito a Mompensieri significare al suo re
l'accordo fatto, e non avendo soccorso fra trenta dì, lasciasse Atella e tutto
quello che nel regno di Napoli era in sua potestà, con tutte l'artiglierie che
v'erano dentro, salve le persone e le robe de' soldati; con le quali fusse
libero a ciascuno di andarsene, o per terra o per mare, in Francia; e agli
Orsini e agli altri soldati italiani, di ritornarsene con le sue genti dove
volessino fuora del regno: che a' baroni e agli altri che avevano seguitata la
parte del re di Francia fusse, in caso che andassino fra quindici dì a
Ferdinando, rimessa ogni pena e restituito tutto quello possedevano quando si
principiò la guerra. Il quale termine poi che fu passato, Mompensieri con tutti
i franzesi e con molti svizzeri e gli Orsini furno condotti a Castello a mare
di Stabbia: disputandosi se Mompensieri, come luogotenente generale del re e
superiore a tutti gli altri, fusse obligato a fare restituire, come allegava
Ferdinando, tutto quello che nel reame di Napoli si possedeva in nome del re di
Francia; perché Mompensieri pretendeva non essere tenuto se non a quello che
era in potestà sua di restituire, e che l'autorità sua non si distendeva a
comandare a' capitani e a' castellani, che nella Calavria nell'Abruzzi a Gaeta,
e in molte altre terre e fortezze, l'aveano ricevute in custodia dal re e non
da lui. Sopra che poi che si fu disputato alcuni dì, furono condotti a Baia,
simulando Ferdinando di volergli lasciare partire: dove, sotto colore che
ancora non fussino a ordine i legni per imbarcargli, furno sopratenuti tanto,
che sparsi tra Baia e Pozzuolo, per la mala aria e per molte incomodità,
cominciorno a infermarsi; talmente che e Mompensieri morì, e del resto della
sua gente, che erano più di cinquemila uomini, ne mancorno tanti che appena se
ne condusseno cinquecento salvi in Francia. Verginio e Paolo Orsini, a
requisizione del pontefice già deliberato di tôrre gli stati a quella famiglia,
furono rinchiusi in Castello dell'Uovo, e le loro genti, guidate da
Giangiordano figliuolo di Verginio e da Bartolomeo d'Alviano, furono per ordine
del medesimo svaligiate nell'Abruzzi dal duca d'Urbino; e Giangiordano e
l'Alviano, i quali prima per comandamento di Ferdinando, lasciate le genti nel
cammino, erano ritornati a Napoli, furno incarcerati; benché l'Alviano, o per
industria sua o per secreto consentimento di Ferdinando, da cui era stato molto
amato, ebbe facoltà di fuggirsi.
Dopo la
vittoria di Atella Ferdinando, dividendo per la recuperazione del resto del
regno l'esercito in varie parti, mandò a campo a Gaeta don Federico e Prospero
Colonna; e nell'Abruzzi, ove già l'Aquila era ritornata alla divozione
aragonese, Fabrizio Colonna: egli, presa per forza la rocca di Sanseverino, e
fatto per terrore degli altri decapitare il castellano e il figliuolo, andò a
campo a Salerno; ove il principe di Bisignano, andato a parlargli, accordò per
sé per il principe di Salerno per il conte di Capaccio e per alcuni altri
baroni, con condizione di possedere i loro stati ma che Ferdinando, per sua
sicurtà, tenesse per certo tempo le fortezze: il quale accordo fatto, andorno a
Napoli. Né fu nello Abruzzi fatta molta difesa, perché Graziano di Guerra, che
vi era con ottocento cavalli, non avendo più facoltà di difendersi, si ridusse
a Gaeta. In Calavria, della quale la maggiore parte si teneva per i franzesi,
ritornò Consalvo; dove benché da Obignì fusse fatta qualche resistenza,
nondimeno, ultimatamente ridotto in Groppoli, ed essendo perdute Manfredonia e
Cosenza, stata prima saccheggiata da' franzesi, privato d'ogni speranza,
consentì di lasciare tutta la Calavria, e gli fu conceduto il ritornarsene per
terra in Francia. Certo è che molte di queste cose procederono per la
negligenza e imprudenza de' franzesi: perché Manfredonia, ancora che fusse
forte e posta in paese abbondante da potersi facilmente provedere di
vettovaglie, e che 'l re v'avesse lasciato al governo Gabriello da
Montefalcone, avuto da lui in concetto d'uomo valoroso, nondimeno dopo breve
assedio fu costretto ad arrendersi per la fame; altri, potendosi difendere, si
arrenderono o per viltà o per l'animo debole a sostenere le incomodità degli
assedi; alcuni castellani, trovate le rocche bene provedute, avevano nel
principio vendute le vettovaglie, in modo che presentandosi gli inimici erano
necessitati ad arrendersi subito. Dalle quali cose perdé, nel reame di Napoli,
il nome franzese quella riputazione che gli aveva data la virtù di colui che
lasciato da Giovanni d'Angiò a guardia di Castel dell'Uovo, lo tenne dopo la vittoria
di Ferdinando molti anni, insino a tanto che l'essere consumati del tutto gli
alimenti lo costrinse ad arrendersi.
Così non
mancando quasi altro alla recuperazione di tutto il regno che Taranto e Gaeta e
alcune terre tenute da Carlo de Sanguine, e il monte di Santo Angelo, donde don
Giuliano dell'Oreno infestava con somma laude i paesi circostanti, Ferdinando,
collocato in somma gloria e in speranza grande di avere a essere pari alla
grandezza de' suoi maggiori, andato a Somma, terra posta nelle radici del monte
Vesevo, dove era la reina sua moglie, o per le fatiche passate o per disordini
nuovi infermò sì gravemente che, portato già quasi senza speranza di salute a
Napoli, finì fra pochi dì la vita sua, non finito l'anno dalla morte d'Alfonso
suo padre: lasciato, per la vittoria acquistata, e per la nobiltà dell'animo e
per molte virtù regie le quali in lui non mediocremente risplendevano, non solo
in tutto il suo regno ma eziandio per tutta Italia, grandissima opinione del
suo valore. Morì senza figliuoli, e però gli succedette don Federigo suo zio,
avendo quel reame veduto in tre anni cinque re. Al quale, venuto subito
dall'assedio di Gaeta, la reina vecchia sua matrigna consegnò Castelnuovo;
benché per molti si dubitasse non lo volesse ritenere per Ferdinando re di
Spagna, suo fratello. Nel quale accidente si dimostrò egregia verso Federigo
non solo la volontà del popolo di Napoli ma eziandio de' prìncipi di Salerno e
di Bisignano e del conte di Capaccio; i quali in Napoli furono i primi che
chiamorono il nome suo e, allo scendere suo di nave, i primi che, fattisigli
incontro, lo salutorno come re: contenti molto più di lui che del re morto, per
la mansuetudine del suo ingegno, e perché già era nata non piccola suspizione
che Ferdinando avesse in animo, come prima fussino stabilite meglio le cose
sue, di perseguitare ardentemente tutti coloro che in modo alcuno si fussino
dimostrati fautori de' franzesi. Donde Federigo, per riconciliarsegli
interamente, restituì a tutti liberamente le loro fortezze.
Ma non
riscaldorono già questi disordini, succeduti con tanta ignominia e tanto danno,
né l'animo né gli apparati del re di Francia. Il quale, non si sapendo
sviluppare da' piaceri, soprastette quattro mesi a ritornare a Lione; e benché
da lui fusse molto spesso in questo tempo fatta instanza a' suoi che erano
rimasti a Lione che si sollecitassino le provisioni marittime e terrestri, e
che già il duca d'Orliens si fusse preparato a partirsi, nondimeno, per le
medesime arti del cardinale di San Malò, le genti d'arme, espedite tardi de'
pagamenti, camminavano verso Italia lentamente, e l'armata, che s'aveva a unire
a Marsilia, sì oziosamente si ordinava che i collegati ebbono tempo di mandare,
prima a Villafranca, porto amplissimo appresso a Nizza, dipoi insino alle
Pomiche di Marsilia, un'armata, la quale a spese comuni avevano unita in
Genova, per impedire che legni franzesi non andassino nel reame, e alla tardità
causata principalmente dal cardinale di San Malò si dubitava non si aggiugnesse
qualche cagione più occulta, nutrita con molta diligenza e arte nel petto del
re da quegli i quali, per varie cagioni, si sforzavano di rimuovere l'animo suo
dalle cose d'Italia. Perché si sospettava che per se medesimo avesse dispiacere
della grandezza del duca d'Orliens, al quale per la vittoria sarebbe pervenuto
il ducato di Milano; e gli era oltre a questo persuaso non essere sicuro il
partirsi di Francia se prima non facesse qualche composizione co' re di Spagna:
i quali, dimostrando desiderio di riconciliarsi seco, gli avevano mandato
imbasciadori a proporre tregua e altri modi di concordia. Consigliavanlo ancora
molti che aspettasse il parto propinquo della reina, perché non conveniva alla
prudenza sua, né all'amore che e' doveva portare a' popoli suoi, esporre la
persona propria a tanti pericoli se prima non avesse un figliuolo al quale
appartenesse tanta successione: ragione che diventò più potente per il parto
della reina, perché fra pochi dì morì il figliuolo maschio che di lei era nato.
Così, parte per la negligenza e poco consiglio del re, parte per le difficoltà
artificiosamente interposte da altri, si differirno tanto le provisioni che ne
seguitò la distruzione delle sue genti con la perdita totale del regno di
Napoli: e sarebbe succeduto il medesimo de' confederati suoi d'Italia se per se
stessi non avessino costantemente difese le cose proprie.
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