XV. Morte di Carlo VIII e sue conseguenze. Decadenza dell'autorità del
Savonarola in Firenze. Suo conflitto col pontefice. Suo supplizio.
Le quali cose
mentre che con aperta disunione si trattano tra i collegati, nuovo accidente
che sopravenne partorì effetti molto diversi da' pensieri degli uomini; perché
la notte innanzi all'ottavo dì d'aprile morì il re Carlo in Ambuosa, per
accidente di gocciola, detto da' fisici apoplessia, sopravenuto mentre stava a
vedere giocare alla palla, tanto potente che nel medesimo luogo finì tra poche
ore la vita, con la quale aveva con maggiore impeto che virtù turbato il mondo,
ed era pericoloso non lo turbasse di nuovo. Perché si credeva per molti che,
per l'ardente disposizione che aveva di ritornare in Italia, arebbe pure una
volta, o per propria cognizione o per suggestione di quegli che emulavano alla
grandezza del cardinale di San Malò, rimosse le difficoltà che gli erano
interposte: in modo che, se bene in Italia, secondo le sue variazioni, qualche
volta augumentasse qualche volta diminuisse l'opinione della sua passata, non
era però che non se ne stesse in continua sospensione; e perciò il pontefice,
stimolato dalla cupidità d'esaltare i figliuoli, aveva già cominciato a
trattare secretamente cose nuove con lui; e si divulgò poi, o vero o falso che
fusse, che il duca di Milano, per non stare in continuo timore, aveva fatto il
medesimo. Pervenne, perché Carlo morì senza figliuoli, il regno di Francia a
Luigi duca di Orliens, più prossimo di sangue per linea mascolina che alcun
altro; al quale, come fu morto il re, concorse subito a Bles, dove allora era,
la guardia reale e tutta la corte, e poi di mano in mano tutti i signori del
regno, salutandolo e riconoscendolo per re: con tutto che per alcuno
tacitamente si mormorasse che, secondo gli ordini antichi di quel reame, era
diventato inabile alla degnità della corona, contro alla quale avea nella
guerra di Brettagna pigliate l'armi.
Ma il dì
seguente a quello nel quale terminò la vita di Carlo, dì celebrato da'
cristiani per la solennità delle Palme, terminò in Firenze l'autorità del
Savonarola. Il quale, essendo molto prima stato accusato al pontefice che
scandalosamente predicasse contro a' costumi del clero e della corte romana,
che in Firenze nutrisse discordie, che la dottrina sua non fusse al tutto
cattolica, era per questo stato chiamato con più brevi apostolici a Roma; il
che avendo ricusato con allegare diverse escusazioni, era finalmente, l'anno
precedente, stato dal pontefice separato con le censure dal consorzio della Chiesa.
Per la quale sentenza poiché si fu astenuto per qualche mese dal predicare,
arebbe, se si fusse astenuto più lungamente, ottenuta con non molta difficoltà
l'assoluzione, perché il pontefice, tenendo per se stesso poco conto di lui, si
era mosso a procedergli contro più per le suggestioni e stimoli degli avversari
che per altra cagione: ma parendogli che dal silenzio declinasse così la sua
riputazione, o si interrompesse il fine per il quale si moveva, come si era
principalmente augumentato dalla veemenza del predicare, disprezzati i
comandamenti del pontefice, ritornò di nuovo publicamente al medesimo uffizio;
affermando le censure promulgate contro a lui, come contrarie alla divina
volontà e come nocive al bene comune, essere ingiuste e invalide, e mordendo
con grandissima veemenza il papa e tutta la corte. Da che essendo nata
sollevazione grande, perché i suoi avversari, l'autorità de' quali ogni dì nel
popolo diventava maggiore, detestavano questa inubbidienza, riprendendo che per
la sua temerità si alterasse l'animo del pontefice, in tempo massimamente che
trattandosi da lui con gli altri collegati della restituzione di Pisa era
conveniente fare ogni opera per confermarlo in questa inclinazione, e da altra
parte lo difendevano i suoi fautori, allegando non doversi per i rispetti umani
turbare le opere divine né consentire che sotto questi colori i pontefici
cominciassino a intromettersi nelle cose della loro republica, si stette molti
dì in questa contenzione: tanto che sdegnandosi maravigliosamente il pontefice,
e fulminando con nuovi brevi e con minaccie di censure contro a tutta la città,
fu finalmente comandatogli da' magistrati che desistesse dal predicare; a'
quali avendo egli ubbidito, facevano nondimeno molti de' suoi frati in diverse
chiese il medesimo. Ma non essendo minore la divisione tra' religiosi che tra'
laici, non cessavano i frati degli altri ordini di predicare ferventemente
contro a lui; e proroppono alla fine in tanto ardore che uno de' frati aderenti
al Savonarola e uno de' frati minori si convennono di entrare, in presenza di
tutto il popolo, nel fuoco, acciocché salvandosi o abbruciando quello del
Savonarola restasse certo ciascuno se egli era o profeta o ingannatore:
imperocché prima aveva molte volte predicando affermato che per segno della
verità delle sue predizioni otterrebbe, quando fusse di bisogno, grazia da Dio
di passare senza lesione per mezzo del fuoco. E nondimeno, essendogli molesto
che il ragionamento del farne di presente esperienza fusse stato mosso senza
saputa sua, tentò con destrezza di interromperlo; ma essendo la cosa per se
stessa andata molto innanzi, e sollecitata da alcuni cittadini che desideravano
che la città si liberasse da tanta molestia, fu necessario finalmente procedere
più oltre. E però essendo, il dì deputato, venuti i due frati, accompagnandogli
tutti i suoi religiosi, in sulla piazza che è innanzi al palagio publico, ove
era concorso non solo tutto il popolo fiorentino ma molti delle città vicine,
pervenne a notizia de' frati minori il Savonarola avere ordinato che il suo
frate, quando entrava nel fuoco, portasse in mano il Sacramento; alla qual cosa
cominciando a reclamare, e allegando che con questo modo si cercava di mettere
in pericolo l'autorità della fede cristiana, la quale negli animi degli imperiti
declinerebbe molto se quella ostia abbruciasse, e perseverando pure il
Savonarola, che era presente, nella sua sentenza, nata tra loro discordia, non
si procedette a farne esperienza: per la qual cosa declinò tanto del suo
credito che 'l dì seguente, nato a caso certo tumulto, gli avversari suoi,
prese l'armi e aggiunta all'armi loro l'autorità del sommo magistrato,
espugnato il monasterio di San Marco dove abitava, lo condusseno insieme con
due de' suoi frati nelle carceri publiche. Nel quale tumulto i parenti di
coloro che l'anno passato erano stati decapitati ammazzorno Francesco Valori,
cittadino molto grande e primo de' fautori del Savonarola, perché l'autorità
sua era sopra tutti gli altri stata cagione che e' fussino stati privati della
facoltà di ricorrere al giudicio del consiglio popolare. Fu dipoi esaminato con
tormenti, benché non molto gravi, il Savonarola, e in sugli esamini publicato
uno processo; il quale, rimovendo tutte le calunnie che gli erano state date, o
di avarizia o di costumi inonesti o d'avere tenuto pratiche occulte con
prìncipi, conteneva le cose predette da lui essere state predette non per
rivelazione divina ma per opinione propria fondata in sulla dottrina e
osservazione della scrittura sacra, né essersi mosso per fine maligno o per
cupidità d'acquistare con questo mezzo grandezza ecclesiastica, ma bene avere
desiderato che per opera sua si convocasse il concilio universale, nel quale si
riformassino i costumi corrotti del clero, e lo stato della Chiesa di Dio,
tanto trascorso, si riducesse in più similitudine che fusse possibile a' tempi
che furono prossimi a' tempi degli apostoli: la quale gloria, di dare
perfezione a tanta e sì salutare opera, avere stimato molto più che 'l
conseguire il pontificato, perché quello non poteva succedere se non per mezzo
di eccellentissima dottrina e virtù, e di singolare riverenza che gli avessino
tutti gli uomini, ma il pontificato ottenersi spesso o con male arti o per
beneficio di fortuna. Sopra il quale processo, confermato da lui in presenza di
molti religiosi, eziandio del suo ordine, ma con parole, se è vero quel che poi
divulgorono i suoi seguaci, concise e da potere ricevere diverse
interpretazioni, gli furono, per sentenza del generale di San Domenico e del
vescovo Romolino, che fu poi cardinale di Surrento, commissari deputati dal
pontefice, insieme con gli altri due frati, aboliti con le cerimonie instituite
dalla Chiesa romana gli ordini sacri e lasciato in potestà della corte
secolare; dalla quale furono impiccati e abbruciati: concorrendo allo
spettacolo della degradazione e del supplicio non minore moltitudine d'uomini
che il dì destinato a fare l'esperimento di entrare nel fuoco fusse concorsa
nel luogo medesimo, all'espettazione del miracolo promesso da lui. La quale
morte, sopportata con animo costante ma senza esprimere parola alcuna che
significasse o il delitto o la innocenza, non spense la varietà de' giudici e
delle passioni degli uomini; perché molti lo reputorono ingannatore, molti per
contrario credettono o che la confessione che si publicò fusse stata falsamente
fabricata o che nella complessione sua, molto delicata, avesse potuto più la
forza de' tormenti che la verità: scusando questa fragilità con l'esempio del
principe degli apostoli, il quale, non incarcerato né astretto da' tormenti o
da forza alcuna estraordinaria ma a semplici parole di ancille e di servi, negò
di essere discepolo di quello maestro nel quale aveva veduto tanti santi
precetti e miracoli.
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