LIBRO QUARTO.
I. Diritti del nuovo re di Francia al ducato di Milano e suo desiderio di
rivendicarli. Disposizione d'animo de' principi e de' governi italiani verso il
nuovo re. I veneziani, il pontefice e i fiorentini mandano al re ambasciatori.
Il re li accoglie lietamente ed inizia subito trattative con essi.
Liberò la morte
di Carlo re di Francia Italia dal timore de' pericoli imminenti dalla potenza
de' franzesi, perché non si credeva che Luigi duodecimo nuovo re avesse, nel
principio del suo regno, a implicarsi in guerre di qua da' monti. Ma non
rimasono già gli animi degli uomini consideratori delle cose future liberi dal
sospetto che il male differito non diventasse, in progresso di tempo, più
importante e maggiore, essendo pervenuto a tanto imperio uno re maturo d'anni
esperimentato in molte guerre ordinato nello spendere e, senza comparazione,
più dependente da se stesso che non era stato l'antecessore; e al quale non
solo appartenevano, come a re di Francia, le medesime ragioni al regno di
Napoli ma ancora pretendeva che per ragioni proprie se gli appartenesse il
ducato di Milano, per la successione di madama Valentina sua avola, la quale da
Giovan Galeazzo Visconte suo padre, nanzi che di vicario imperiale ottenesse il
titolo di duca di Milano, era stata maritata a Luigi duca d'Orliens fratello di
Carlo sesto re di Francia, aggiugnendo alla dote, che fu la città e contado
d'Asti e quantità grandissima di danari, espressa convenzione che mancando in
qualunque tempo la linea sua mascolina succedesse nel ducato di Milano
Valentina o, morta lei, i discendenti più prossimi. La quale convenzione, per
se stessa invalida, fu, se è vero quello che asseriscono i franzesi, vacante
allora la sedia imperiale, confermata con l'autorità pontificale: perché i
pontefici romani, fondandosi in sulle leggi fatte da loro medesimi, pretendono
appartenersi a sé l'amministrazione dello imperio vacante. E però, essendo poi
per la morte di Filippo Maria Visconte mancati i discendenti maschi di Giovan
Galeazzo, cominciò Carlo duca di Orliens, figliuolo di Valentina, a pretendere
alla successione di quello ducato; al quale (come l'ambizione de' prìncipi è
pronta ad abbracciare ogni apparente colore) pretendevano nel tempo medesimo e
Federigo imperadore, come a stato che, estinta la linea nominata nella
investitura fatta da Vincislao re de' romani a Giovan Galeazzo, fusse ricaduto
allo imperio, e Alfonso re di Aragona e di Napoli, stato instituito erede nel
testamento di Filippo. Ma essendo state più potenti l'armi l'arti e la felicità
di Francesco Sforza, il quale, per accompagnare l'armi con qualche apparenza di
ragione, allegava dovere succedere Bianca sua moglie, figliuola unica ma
naturale di Filippo, Carlo d'Orliens il quale, nelle guerre tra gl'inghilesi e
i franzesi fatto prigione nella giornata di Dangicort, era dimorato venticinque
anni prigione in Inghilterra, non potette per la povertà e per la mala fortuna
sua tentare da se medesimo di ottenerla, né da Luigi undecimo re di Francia,
benché congiuntissimo di sangue, impetrare mai aiuto alcuno; perché quel re,
essendo stato nel principio del suo regnare molto infestato da' signori grandi
del reame di Francia, i quali sotto titolo del bene publico gli congiurorno
contro per interessi e sdegni privati, riputò sempre che per la bassezza de'
potenti la sicurtà e la grandezza sua si confermasse. Per la quale ragione
Luigi d'Orliens figliuolo di Carlo non potette, con tutto che fusse suo genero,
impetrare da lui favore alcuno; e morto il suocero, non volendo tollerare che
nel governo di Carlo ottavo, allora pupillo, gli fusse anteposta Anna duchessa
di Borbone, sorella del re, suscitate con piccola fortuna in Francia cose
nuove, passò, con fortuna minore, in Brettagna; perché, congiunto a quegli che
non volevano che Carlo, per mezzo del matrimonio di Anna, erede, per la morte
di Francesco suo padre senza figliuoli maschi, di quel ducato, conseguisse la
Brettagna, anzi aspirando occultamente al medesimo matrimonio, fu preso nella
giornata che tra' franzesi e i brettoni fu commessa appresso a Santo Albino in
Brettagna, e, condotto in Francia, stette incarcerato due anni: in modo che,
mancandogli la facoltà e, poi che per grazia regia fu liberato di prigione, gli
aiuti di Carlo, non tentò quella impresa se non quando, per l'occasione di
essere per commissione del re rimaso in Asti, entrò con poco successo in
Novara. Ma diventato re di Francia, niuno desiderio ebbe più ardente che
d'acquistare, come cosa ereditaria, il ducato di Milano: nel quale desiderio
nutritosi insino da puerizia, vi si era acceso molto più perché, per le cose
succedute a Novara e per le dimostrazioni insolenti che quando era in Asti gli
erano state usate, aveva odio non mediocre contro a Lodovico Sforza. Però,
pochi dì dopo la morte del re Carlo, con deliberazione stabilita nel suo
consiglio, si intitolò non solamente re di Francia e, per rispetto del reame di
Napoli, re di Ierusalem e dell'una e l'altra Sicilia, ma ancora duca di Milano;
e per fare noto a ciascuno quale fusse la inclinazione sua alle cose d'Italia
scrisse subito lettere congratulatorie della sua assunzione al pontefice a'
viniziani a' fiorentini, e mandò uomini propri a dare speranza di nuove
imprese, dimostrando espressamente d'avere nell'animo d'acquistare il ducato di
Milano.
Alla quale cosa
se gli presentava opportunità non piccola, ‑ avendo la morte di Carlo
causate negli italiani inclinazioni molto diverse dalle passate: perché il
pontefice, stimolato dagli interessi propri, i quali conosceva non potere
saziare stando quieta Italia, desiderava che le cose di nuovo si turbassino; e
i viniziani, cessato il timore che per le ingiurie fatte a Carlo avevano avuto
di lui, non erano d'animo alieno da confidarsi del nuovo re. La quale
disposizione era per augumentarsi ogni dì più, perché Lodovico Sforza, se bene
conoscesse dovere avere più duro e più implacabile inimico, nutrendosi con la
speranza con la quale si nutriva similmente Federigo d'Aragona che e' non
potesse così presto attendere alle cose di qua da' monti, e impedito dallo
sdegno presente a discernere il pericolo futuro non era per astenersi da
opporsi loro nelle cose di Pisa. Soli i fiorentini cominciavano a discostarsi
con l'animo dell'amicizia franzese: perché se bene il nuovo re fusse stato
prima loro fautore, ora, pervenuto alla corona, non aveva con essi vincolo
alcuno, né per fede data né per benefici ricevuti, come aveva avuto
l'antecessore, per le capitolazioni fatte in Firenze e in Asti, e per l'avere
voluto più presto sottoporsi a molti affanni e pericoli che abbandonare la sua
congiunzione; e la discordia che continuamente cresceva tra i viniziani e il
duca di Milano era cagione che, essendo cessato il timore avuto delle forze de'
collegati, e sperando più nel favore propinquo e certo di Lombardia che ne'
soccorsi lontani e incerti di Francia, avevano cagione di stimare manco quella
amicizia.
Nella quale
diversa disposizione degli animi furono medesimamente diversi gli andamenti.
Perché dal senato viniziano fu mandato subito a lui uno segretario che avevano
appresso al duca di Savoia; e per gittare con questi princìpi i fondamenti da
stabilire seco quella amicizia che alla giornata ricercassino le occorrenze
comuni, furono eletti tre oratori che andassino a rallegrarsi della sua
successione, e a scusare che quello che avevano fatto contro a Carlo non era
proceduto da altro che da sospetto, nato poiché per molti segni compresono che,
non contento al regno di Napoli, distendeva già i pensieri suoi all'occupazione
di tutta Italia: e il pontefice, disposto di trasferire Cesare suo figliuolo
dal cardinalato a grandezza secolare, alzato l'animo a maggiori pensieri e
mandatigli subito imbasciadori, disegnò di vendergli le grazie spirituali, ricevendone
per prezzo stati temporali; perché sapeva il re desiderare ardentemente di
ripudiare Giovanna sua moglie, sterile e mostruosa e che quasi violentemente
gli era stata data da Luigi undecimo, suo padre, né avere minore desiderio di
pigliare per moglie Anna restata vedova per la morte del re passato, non tanto
per le reliquie dell'antica inclinazione che insino innanzi alla giornata di
Santo Albino era stata tra loro, quanto per conseguire con questo matrimonio il
ducato di Brettagna, ducato grande e molto opportuno al reame di Francia; le
quali cose ottenere senza l'autorità pontificale non si potevano: né i
fiorentini mancorono di mandargli imbasciadori, per l'antico instituto di
quella città con la corona di Francia, e per riconfermare seco i meriti loro e
le obligazioni del re passato; sollecitati molto a questo medesimo dal duca di
Milano, acciocché per mezzo loro si difficultassino le pratiche de' viniziani,
avendosi dall'una e dall'altra republica a trattare delle cose di Pisa, e
perché acquistando fede o autorità alcuna potessino usarla, con qualche
occasione, a trattare concordia tra lui e il re di Francia, il che egli
sommamente desiderava. I quali tutti furono lietamente raccolti dal re, e dato
subitamente principio a trattare con ciascuno: benché gli fusse fisso
nell'animo di non muovere cosa alcuna in Italia se prima non avesse assicurato
il regno di Francia, per mezzo di nuove congiunzioni co' prìncipi vicini.
|