V. Accordi fra il pontefice e il re di Francia. Il re di Francia fa e
conferma trattati coi re di Spagna, d'Inghilterra, con Cesare e coll'arciduca e
cerca l'alleanza de' veneziani e de' fiorentini.
Ma mentre che
in Italia sono per le cose di Pisa questi travagli, non cessava il nuovo re di
Francia di andarsi ordinando per assaltare l'anno seguente lo stato di Milano,
con speranza d'avere seco congiunti i viniziani; i quali, infiammati da odio
incredibile contro al duca di Milano, trattavano strettamente col re. Ma più
strettamente trattavano insieme il re e il pontefice. Il quale, escluso del
parentado di Federigo, e continuando la medesima cupidità del regno di Napoli,
voltato tutto l'animo alle speranze franzesi, cercava di ottenere da quel re
per il cardinale di Valenza Ciarlotta figliuola di Federigo, che non ricevuto
ancora marito continuava di nutrirsi nella corte di Francia. Di che avendogli
data speranza il re, in arbitrio del quale pareva che fusse il maritarla, il
cardinale entrato una mattina in concistorio supplicò al padre e agli altri
cardinali che, atteso il non avere avuto mai l'animo inclinato alla professione
sacerdotale, gli concedessino facoltà di lasciare la degnità e l'abito, per
seguitare quello esercizio al quale era tirato da' fati. E così, preso l'abito
secolare, si preparava ad andare presto in Francia; avendo già il pontefice
promesso al re la facoltà di fare con l'autorità apostolica il divorzio con la
moglie, e il re da altra parte obligatosi ad aiutarlo, come prima avesse
acquistato lo stato di Milano, a ridurre alla ubbidienza della sedia apostolica
le città possedute da' vicari di Romagna, e a pagargli di presente trentamila
ducati, sotto colore di essere necessitato tenere per sua custodia maggiori
forze, come se il congiugnersi col re fusse per muovere molti in Italia a
cercare insidiosamente di opprimerlo: per esecuzione delle quali convenzioni, e
il re cominciò a pagare i danari e il pontefice commesse la causa del divorzio
al vescovo di Setta suo nunzio e a [gli arcivescovi di Parigi e di Roano]. Nel
quale giudicio, per suoi procuratori, contradiceva da principio la moglie del
re; ma finalmente, avendo non meno a sospetto i giudici che la potenza dello
avversario, si convenne con lui di cedere alla lite, ricevendo per
sostentazione della sua vita la ducea di Berrì con trentamila franchi di
entrata: e così, confermato il divorzio per sentenza de' giudici, non si
aspettava, per la dispensa e consumazione del nuovo matrimonio, altro che la
venuta di Cesare Borgia; diventato già, di cardinale e di arcivescovo di
Valenza, soldato e duca Valentino, perché il re gli aveva data la condotta di
cento lancie e ventimila franchi di provisione, e concedutogli, con titolo di
duca, Valenza città del Dalfinato con ventimila franchi di entrata. Il quale,
imbarcatosi a Ostia in su' navili mandatigli dal re, si condusse alla fine
dell'anno alla corte, dove entrò con pompa e con fasto incredibile, ricevuto
dal re onoratissimamente; e portò seco il cappello del cardinalato a Giorgio di
Ambuosa arcivescovo di Roano, il quale, stato primo partecipe de' pericoli e
della mala fortuna del re, era appresso a lui di somma autorità. E nondimeno
nel principio non era grato il procedere suo, perché, seguitando il consiglio
paterno, negava d'avere portato seco la bolla della dispensa, sperando che il
desiderio dell'ottenerla avesse a fare il re più facile a' disegni suoi che non
farebbe la memoria di averla ricevuta. Ma essendo al re rivelata
secretissimamente dal vescovo di Setta la verità, egli, parendogli che in
quanto a Dio bastasse l'essere stata espedita la bolla, senza più domandarla,
consumò apertamente il matrimonio con la nuova moglie: il che fu causa che il
duca Valentino, non potendo più ritenergli la bolla, e avendo poi risaputo
essere stata manifestata questa cosa dal vescovo di Setta, lo fece in altro tempo
morire occultamente di veleno.
Né era meno
sollecito il re a quietarsi co' prìncipi vicini. Però fece pace co' re di
Spagna; i quali, deponendo i pensieri delle cose d'Italia, non solo
richiamorono tutti gl'imbasciadori che vi tenevano, eccetto quello che risedeva
appresso al pontefice, ma feceno ritornare Consalvo con tutte le genti loro in
Ispagna, rilasciate a Federigo tutte le terre di Calavria che insino a quel dì
aveva tenute. Maggiore difficoltà era nella concordia col re de' romani, il
quale, con l'occasione di alcune sollevazioni nate nel paese, era entrato nella
Borgogna, aiutato a questo effetto di non piccola somma di danari dal duca di
Milano, che si persuadeva o che la guerra di Cesare divertirebbe il re di
Francia dalle imprese d'Italia o che, facendosi concordia tra loro, vi sarebbe
compreso, come da Cesare aveva certissime promesse; ma dopo lunghe pratiche e
agitazioni il re fece nuova pace con l'arciduca rendendogli le terre del
contado di Artois, la qual cosa perché avesse effetto, in beneficio del
figliuolo, consentì il re de' romani di fare tregua con lui per più mesi, senza
menzione del duca di Milano, col quale pareva in questo tempo sdegnato, perché
non aveva sempre sodisfatto alle domande sue infinite di danari. Aveva oltre a
queste cose il re confermata la pace fatta dallo antecessore suo col re
d'Inghilterra: e rifiutando tutte le pratiche che gli erano state proposte di
ricevere a qualche composizione il duca di Milano, che con grandissime offerte
e usando grandissime corruttele si sforzava di indurvelo, cercava di
congiugnere seco in uno tempo medesimo i viniziani e i fiorentini; e però
faceva grandissima instanza che, levate l'offese contro a' pisani, i viniziani
dipositassino Pisa in sua mano, e perché i fiorentini vi consentissino offeriva
secretamente di restituirla loro fra breve tempo. La quale pratica, piena di
molte difficoltà e concorrendovi diversi fini e interessi, fu per molti mesi
trattata variamente. Perché i fiorentini, essendo necessario che in tal caso si
collegassino col re di Francia, e dubitando per la memoria delle promesse non
osservate dal re Carlo che 'l medesimo non intervenisse al presente, non
convenivano tra loro in uno medesimo parere; perché la città agitata tra
l'ambizione de' cittadini maggiori e la licenza del governo popolare, e
accostatasi per la guerra di Pisa al duca di Milano, era intra se medesima
divisa in modo che con difficoltà le cose di momento si deliberavano
concordemente, avendo massime alcuni de' principali cittadini desiderio della
vittoria del re di Francia altri in contrario inclinando al duca di Milano: e i
viniziani, quando bene fussino risolute tutte l'altre difficoltà dello
accordarsi col re, erano deliberati di non consentire al diposito, sperando
che, e nel ristoro delle spese fatte per sostenere Pisa e nel lasciare la
difesa di Pisa con minore suo disonore, arebbono migliori condizioni nella
pratica che si teneva a Ferrara; la quale da Lodovico Sforza era caldamente
sollecitata, per timore che, conchiudendosi in Francia il diposito, non si
unissino col re amendue queste republiche e per la speranza che, componendosi
questa controversia in Italia, i viniziani avessino a deporre i pensieri di
offenderlo. Per il quale rispetto e al re di Francia dispiaceva la pratica di
Ferrara e il pontefice, per trarre profitto degli affanni d'altri, cercava
indirettamente di perturbarla; perché essendo appresso al re in tutte le cose
d'Italia in grandissima autorità, sperava in qualche modo, se il diposito nel
re andava innanzi, avervi partecipazione.
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