VI. Discussione a Venezia nel consiglio de' pregati intorno all'invito
d'alleanza del re di Francia contro Lodovico Sforza. Deliberazioni prese da'
veneziani. Conclusione della confederazione fra il re di Francia ed i
veneziani.
Ma a Vinegia,
in questo tempo medesimo, si consultava se, rimovendosi il re dalla dimanda del
diposito alla quale aveano deliberato non consentire, dovessino collegarsi seco
a offesa del duca di Milano, come egli con grandissima instanza ricercava,
offerendo di consentire che, in premio della vittoria, conseguissino la città
di Cremona e tutta la Ghiaradadda: la quale cosa benché da tutti fusse
sommamente desiderata, nondimeno a molti pareva deliberazione di tanto momento,
e tanto pericolosa allo stato loro la potenza del re di Francia in Italia, che
nel consiglio de' pregati, che appresso a loro ottiene il luogo del senato, se
ne facevano varie disputazioni. Nel quale essendo uno giorno convocati per
farne l'ultima determinazione [Antonio Grimanno], uomo di grande autorità,
parlò in questa sentenza:
- Quando io
considero, prestantissimi senatori, la grandezza de' benefizi fatti a Lodovico
Sforza dalla nostra republica, la quale in questi anni prossimi gli ha
conservato tante volte lo stato, e per contrario quanta sia la ingratitudine
usata da lui, e le ingiurie gravissime che ci ha fatte per costrignerci ad
abbandonare la difesa di Pisa, alla quale prima ci aveva confortati e
stimolati, non posso persuadermi che non si conosca per ciascuno essere
necessario fare ogni opera possibile per vendicarcene. Perché quale infamia
potrebbe essere maggiore che, tollerando pazientemente tante ingiurie,
mostrarci a tutto il mondo dissimili dalla generosità de' nostri maggiori? i
quali, qualunque volta provocati da offese benché leggiere, non ricusorono mai
di mettersi a pericolo per conservare la dignità del nome viniziano; e
ragionevolmente, perché le deliberazioni delle republiche non ricercano
rispetti abietti e privati, né che tutte le cose si riferischino all'utilità,
ma fini eccelsi e magnanimi per i quali si augumenti lo splendore loro e si
conservi la riputazione, la quale nessuna cosa più spegne che il cadere nel
concetto degli uomini di non avere animo o possanza di risentirsi delle
ingiurie, né di essere pronto a vendicarsi: cosa sommamente necessaria, non
tanto per il piacere della vendetta quanto perché la penitenza di chi ti ha
offeso sia tale esempio agli altri che non ardischino provocarti. Così viene in
conseguenza congiunta la gloria con l'utilità, e le deliberazioni generose e
magnanime riescono anche piene di comodità e di profitto; così una molestia ne
leva molte, e spesso una sola e breve fatica ti libera da molte e lunghissime.
Benché se noi consideriamo lo stato delle cose d'Italia, la disposizione di
molti prìncipi contro a noi, e le insidie le quali continuamente si ordinano
per Lodovico Sforza, conosceremo che non manco la necessità presente che gli
altri rispetti ci conduce a questa deliberazione. Perché egli, stimolato dalla
sua naturale ambizione e dall'odio che ha contro a questo eccellentissimo
senato, non vegghia non attende ad altro che a disporre gli animi di tutti gli
italiani, che a concitarci contro il re de' romani e la nazione tedesca: anzi
già comincia per il medesimo effetto a tenere pratiche col turco. Già vedete
per opera sua con quante difficoltà, e quasi senza speranza, si sostenga la
difesa di Pisa e la guerra nel Casentino, la quale se si continua incorriamo in
gravissimi disordini e pericoli, se si abbandona senza fare altro fondamento
alle cose nostre è con tanta diminuzione di riputazione che si accresce troppo
l'animo di chi ha volontà di opprimerci: e sapete quanto è più facile opprimere
chi ha già cominciato a declinare che chi ancora si mantiene nel colmo della
sua riputazione. Delle quali cose apparirebbono chiarissimamente gli effetti, e
si sentirebbe presto lo stato nostro essere pieno di tumulti e di strepiti di
guerra, se il timore che noi non ci congiugniamo col re di Francia non tenesse
sospeso Lodovico: timore che non può lungamente tenerlo sospeso. Perché chi è
quello che non conosca che il re, escluso dalla speranza della nostra
confederazione, o si implicherà in imprese di là da' monti o, vinto dalle arti
di Lodovico dalle corruttele e mezzi potentissimi che ha nella sua corte, farà
qualche composizione con lui? Strigneci adunque a unirci col re di Francia la
necessità di mantenere l'antica degnità e gloria nostra, ma molto più il
pericolo imminente e gravissimo che non si può fuggire con altro modo. E in
questo ci si dimostra molto propizia la fortuna, poiché ci fa ricercare da uno
tanto re di quel che aremmo a ricercarlo noi; offerendoci più oltre sì grandi e
sì onorati premi della vittoria, per i quali può questo senato proporsi alla
giornata grandissime speranze, fabbricare ne' suoi concetti grandissimi
disegni, ottenendosi massime con tanta facilità; perché chi dubita che da
Lodovico Sforza non potrà essere a due potenze sì grandi e sì vicine fatta alcuna
resistenza? Dalla quale deliberazione, se io non mi inganno, non debbe già
rimuoverci il timore che la vicinità del re di Francia, acquistato che arà il
ducato di Milano, ci diventi pericolosa e formidabile. Perché chi considera
bene conoscerà che molte cose che ora ci sono contrarie allora ci saranno
favorevoli; conciossiaché uno augumento tale di quel re insospettirà gli animi
di tutta Italia, irriterà il re de' romani e la nazione germanica per la
emulazione e per lo sdegno che sia occupato da lui uno membro sì nobile dello
imperio; in modo che quegli che noi temiamo che ora non siano congiunti con
Lodovico a offenderci desidereranno allora, per l'interesse proprio, di
conservarci e di essere congiunti con noi; ed essendo grande per tutto la
riputazione del nostro dominio, grande la fama delle nostre ricchezze, e
maggiore l'opinione, confermata con sì spessi e illustri esempli, della nostra
unione e costanza alla conservazione del nostro stato, non ardirà il re di
Francia di assaltarci se non congiunto con molti, o almeno col re de' romani:
l'unione de' quali è per molte cagioni sottoposta a tante difficoltà che è cosa
vana il prenderne o speranza o timore. Né la pace che ora spera d'ottenere da'
prìncipi vicini di là da' monti sarà perpetua, ma la invidia le inimicizie il
timore del suo augumento desterà tutti quegli che hanno seco odio o emulazione.
E è cosa notissima quanto i franzesi siano più pronti ad acquistare che
prudenti a conservare quanto per l'impeto e insolenza loro diventino presto
esosi a' sudditi. Però, acquistato che aranno Milano, aranno più tosto
necessità di attendere a conservarlo che comodità di pensare a nuovi disegni;
perché uno imperio nuovo non bene ordinato né prudentemente governato aggrava,
più presto che e' faccia più potente, chi l'acquista: di che quale esempio è
più fresco e più illustre che l'esempio della vittoria del re passato? contro
al quale si convertì in sommo odio il desiderio incredibile con che era stato
ricevuto nel reame di Napoli. Non è adunque né sì certo né tale il pericolo,
che ci può dopo qualche tempo pervenire della vittoria del re di Francia, che
per fuggirlo abbiamo a volere stare in uno pericolo presente e di grandissimo
momento; e il rifiutare, per timore di pericoli futuri e incerti, sì ricca parte
e sì opportuna del ducato di Milano non si potrebbe attribuire ad altro che a
pusillanimità e abiezione di animo, vituperabile negli uomini privati non che
in una republica più potente e più gloriosa che, dalla romana in fuora, sia
stata giammai in parte alcuna del mondo. Sono rare e fallaci l'occasioni sì
grandi, ed è prudenza e magnanimità, quando si offeriscono, l'accettarle e, per
contrario, sommamente reprensibile il perderle; e la troppa curiosa sapienza e
troppo consideratrice del futuro è spesso vituperabile, perché le cose del
mondo sono sottoposte a tanti e sì vari accidenti che rare volte succede per
l'avvenire quel che gli uomini eziandio savi si hanno immaginato avere a
essere; e chi lascia il bene presente per timore del pericolo futuro, quando
non sia pericolo molto certo e propinquo, si truova spesso, con dispiacere e
infamia sua, avere perduto l'occasioni piene di utilità e di gloria, per paura
di quegli pericoli che poi diventano vani. Per le quali ragioni il parere mio
sarebbe che si accettasse la confederazione contro al duca di Milano, perché ci
arreca sicurtà presente, estimazione appresso a tutti i potentati, e acquisto
tanto grande che altre volte cercheremmo, e con travagli e spese intollerabili,
di poterlo ottenere, sì per la importanza sua come perché sarà l'adito e la
porta di augumentare maravigliosamente la gloria e lo imperio di questa
potentissima republica. -
Fu udito con
grande attenzione e con gli orecchi molto favorevoli l'autore di questa
sentenza, e lodata da molti in lui la generosità dell'animo suo e lo amore
verso la patria. Ma in contrario parlò [Marchionne Trivisano]:
- E' non si può
negare, sapientissimi senatori, che le ingiurie fatte da Lodovico Sforza alla
nostra republica non sieno gravissime, e con grande offesa della nostra
degnità; nondimeno, quanto le sono maggiori e quanto più ci commuovono tanto
più è proprio ufficio della prudenza moderare lo sdegno giusto con la maturità
del giudicio e con la considerazione dell'utilità e interesse publico, perché
il temperare se medesimo e vincere le proprie cupidità ha tanto più laude
quanto è più raro il saperlo fare, e quanto sono più giuste le cagioni dalle
quali è concitato lo sdegno e l'appetito degli uomini. Però appartiene a questo
senato, il quale appresso a tutte le nazioni ha nome sì chiaro di sapienza, e
che prossimamente ha fatto professione di liberatore d'Italia da' franzesi,
proporsi innanzi agli occhi la infamia che gli risulterà se ora sarà cagione di
fargli ritornare; e molto più il pericolo che del continuo ci sarà imminente se
il ducato di Milano perverrà in potere del re di Francia: il quale pericolo chi
non considera da se stesso si riduca in memoria quanto terrore ci dette
l'acquisto che fece, il re Carlo, di Napoli, dal quale non ci riputammo mai
sicuri se se non quando fummo congiurati contro a lui con quasi tutti i
prìncipi cristiani. E nondimeno, che comparazione dall'uno pericolo all'altro!
Perché quello re, privato di quasi tutte le virtù regie, era principe quasi
ridicolo, e il regno di Napoli tanto lontano dalla Francia teneva in modo
divulse le forze sue che quasi indeboliva più che accresceva la sua potenza, e
quello acquisto, per il timore degli stati loro tanto contigui, gli faceva
inimicissimi il papa e i re di Spagna; de' quali ora l'uno si sa che ha diversi
fini e che gli altri, infastiditi delle cose d'Italia, non sono per
implicarvisi senza grandissima necessità: ma questo nuovo re, per la virtù
propria, è molto più da temere che da sprezzare, e lo stato di Milano è tanto
congiunto col reame di Francia che, per la comodità di soccorrerlo, non si
potrà sperare di cacciarnelo se non commovendo tutto il mondo. E però noi,
vicini a sì maravigliosa potenza, staremo nel tempo della pace in gravissima
spesa e sospetto, e in tempo di guerra saremo tanto esposti alle offese sue che
sarà difficillimo il difenderci. E certamente, io non udivo senza ammirazione
che, chi ha parlato innanzi a me, da una parte non temeva di uno re di Francia
signore del ducato di Milano, dall'altra si dimostrava in tanto spavento di
Lodovico Sforza, principe molto inferiore di forze a noi, e che con la timidità
e avarizia ha messo sempre in grave pericolo le imprese sue. Spaventavanlo gli
aiuti che arebbe da altri, come se fusse facile il fare, in tante diversità di
animi e di volontà e in tanta varietà di condizioni, tale unione, o come se non
fusse da temere molto più una potenza grande unita tutta insieme che la potenza
di molti; la quale come ha i movimenti diversi così ha diverse e discordanti
l'operazioni. Confidava che in coloro i quali, per odio e per varie cagioni,
desiderano la nostra declinazione si troverebbe quella prudenza da vincere gli
sdegni e le cupidità che noi non troviamo in noi medesimi a raffrenare questi
ambiziosi pensieri. Né io so perché debbiamo prometterci che nel re de' romani
e in quella nazione possa più l'emulazione e lo sdegno antico e nuovo contro al
re di Francia, se acquisterà Milano, che l'odio inveterato che hanno contro a
noi che tegniamo tante terre appartenenti alla casa d'Austria e allo imperio;
né so perché il re de' romani si congiugnerà più volentieri con noi contro al
re di Francia che con lui contro a noi: anzi è più verisimile l'unione de'
barbari, inimici eterni del nome italiano, e a una preda più facile; perché
unito con lui potrà più sperare vittoria di noi che unito con noi non potrà
sperare di lui. Senza che, l'azioni sue nella lega passata, e quando venne in
Italia, furono tali che io non so per che causa s'abbia tanto a desiderare di averlo
congiunto seco. Hacci ingiuriato Lodovico gravissimamente, nessuno lo nega, ma
non è prudenza mettere, per fare vendetta, le cose proprie in pericolo sì
grave, né è vergogna aspettare a vendicarsi gli accidenti e l'occasioni che può
aspettare una republica; anzi è molto vituperoso lasciarsi innanzi al tempo
traportare dallo sdegno, e nelle cose degli stati è somma infamia quando la
imprudenza è accompagnata dal danno. Non si dirà che queste ragioni ci muovino
a una impresa sì temeraria, ma si giudicherà per ciascuno che noi siamo tirati
dalla cupidità d'avere Cremona; però da ciascuno sarà desiderata la sapienza e
la gravità antica di questo senato, ciascuno si maraviglierà che noi incorriamo
in quella medesima temerità nella quale ci maravigliammo tanto noi che fusse
incorso Lodovico Sforza, di avere condotto il re di Francia in Italia.
L'acquisto è grande e opportuno a molte cose, ma considerisi se sia maggiore
perdita l'avere uno re di Francia signore dello stato di Milano: considerisi
quanto sia maggiore la nostra potenza e riputazione, o quando siamo i
principali d'Italia o quando in Italia è uno principe tanto maggiore e tanto
vicino a noi. Con Lodovico Sforza abbiamo altre volte avuto e discordia e
concordia, così può tra noi e lui accadere ogni dì, e la difficoltà di Pisa non
è tale che non si possa trovare qualche rimedio, né merita che per questo ci
mettiamo in tanto precipizio; ma co' franzesi vicini aremo sempre discordia
perché regneranno sempre le medesime cagioni: la diversità degli animi tra
barbari e italiani, la superbia de' franzesi, l'odio col quale i prìncipi
perseguitano sempre, per natura, le republiche e la ambizione che hanno i più
potenti di opprimere continuamente i meno potenti. E però non solo non mi
invita l'acquisto di Cremona, anzi mi spaventa, perché arà tanto più occasione
e stimoli a offenderci, e sarà tanto più concitato da' milanesi che non
potranno tollerare l'alienazione di Cremona da quello ducato; e la medesima
cagione irriterà la nazione tedesca e il re de' romani, perché medesimamente
Cremona e la Ghiaradadda è membro della giurisdizione dello imperio. Non
sarebbe almanco biasimata tanto la nostra ambizione, né cercheremmo con nuovi
acquisti farci ogni dì nuovi inimici, e più sospetti a ciascuno: per il che
bisognerà finalmente o che noi diventiamo superiori a tutti o che noi siamo
battuti da tutti; e quale sia più per succedere è facile a considerare a chi
non ha diletto di ingannarsi da se medesimo. La sapienza e la maturità di
questo senato è stata conosciuta e predicata per tutta Italia e per tutto il
mondo molte volte; non vogliate macularla con sì temeraria e sì pericolosa
deliberazione. Lasciarsi traportare dagli sdegni contro all'utilità propria è
leggerezza, stimare più i pericoli piccoli che i grandissimi è imprudenza; le
quali due cose essendo alienissime dalla sapienza e gravità di questo senato,
io non posso se non persuadermi che la conclusione che si farà sarà moderata e
circospetta, secondo la vostra consuetudine. -
Non potette
tanto questa sentenza, sostentata da sì potenti ragioni e dalla autorità di
molti che erano de' principali e de' più savi del senato, che non potesse molto
più la sentenza contraria, concitata dall'odio e dalla cupidità del dominare,
veementi autori di qualunque pericolosa deliberazione; perché era smisurato
l'odio negli animi di ciascuno contro a Lodovico Sforza conceputo, né minore il
desiderio di aggiugnere allo imperio veneto la città di Cremona col suo contado
e con tutta la Ghiaradadda; aggiunta stimata assai, perché ciascuno anno se ne
traevano di entrata almeno centomila ducati, e molto più per l'opportunità;
conciossiaché, abbracciando con questo augumento quasi tutto il fiume
dell'Oglio, distendevano i loro confini insino in sul Po e ampliavangli per lungo
spazio in sul fiume di Adda, e appressandosi a quindici miglia alla città di
Milano e alquanto più alle città di Piacenza e di Parma, pareva loro quasi
aprirsi la strada a occupare tutto il ducato di Milano, qualunque volta il re
di Francia avesse o nuovi pensieri o potenti difficoltà di là da' monti. Il che
potere succedere, innanzi che passasse molto tempo, dava speranza la natura de'
franzesi, più atti ad acquistare che a mantenere; l'essere quasi perpetua la
loro republica e nel regno di Francia accadere spesso, per la morte de' re,
variazione di pensieri e di governi; la difficoltà di conservarsi la
benivolenza de' sudditi, per la diversità del sangue e de' costumi franzesi con
gl'italiani. Però, confermata col voto de' più questa sentenza, commessono agli
oratori loro che erano appresso al re che conchiudessino con le condizioni
offerte questa confederazione, ogni volta che in essa delle cose di Pisa non si
trattasse.
La quale
eccezione turbò non mediocremente l'animo del re, perché sperava col mezzo del
diposito unire alla impresa sua i viniziani e i fiorentini; e sapendo che già i
viniziani erano inclinati a rimuoversi per accordo dalla difesa di Pisa, gli
pareva conveniente che più presto dovessino farlo in modo che si accrescesse
facilità alla vittoria dello stato di Milano, poiché aveva a ridondare a
beneficio comune, che, per avere alquanto migliori condizioni nella concordia,
essere cagione che i fiorentini restassino congiunti con Lodovico Sforza: per
il mezzo del quale sapendo tenersi la pratica di Ferrara, aveva non piccola
dubitazione che, conchiudendosi per sua opera, né i viniziani né i fiorentini
alla fine fussino con lui. Però, parendogli poco prudente quella deliberazione
per la quale restasse in dubbio dell'una e dell'altra republica, e sdegnato
della diffidenza che si dimostrava di lui, si inclinò a fare più presto la
pace, che continuamente si trattava, col re de' romani, con condizione che
all'uno fusse libero fare la guerra contro a Lodovico Sforza, all'altro il farla
contro a' viniziani. Fece adunque rispondere, da' deputati che trattavano in
nome suo con gli oratori viniziani, non volere convenire con loro se insieme
non si dava perfezione al diposito trattato di Pisa, e a quegli de' fiorentini
disse egli medesimo che stessino sicuri che non concorderebbe mai co' viniziani
in altra forma. Ma non lo lasciorono stare fermo in questo proposito il duca
Valentino con gli altri agenti del pontefice, e il cardinale di San Piero a
Vincola, Gianiacopo da Triulzi e tutti quegli italiani che per gli interessi
propri lo incitavano alla guerra: i quali, con molte ed efficaci ragioni, gli
persuaseno che, per la potenza de' viniziani e per l'opportunità che avevano a
offendere il ducato di Milano, non poteva essere più pernicioso consiglio che
privarsi de' loro aiuti per timore di non perdere quegli de' fiorentini, i
quali, per i travagli loro e perché erano lontani a quello stato, potevano
essergli di poco profitto; e che questo facilmente causerebbe che Lodovico
Sforza, rimovendosi, per riconciliarsi co' viniziani, dal favore de'
fiorentini, il che era stato causa di tutte le discordie tra loro, si
riunirebbe con essi. Donde che difficoltà fussino per nascere, essendo
congiunti i viniziani e Lodovico, dimostrarsi, se non per altro, per la
esperienza degli anni passati; perché se bene nella lega fatta contro a Carlo
fusse concorso il nome di tanti re, nondimeno le forze solamente de' viniziani
e di Lodovico avergli tolto Novara, e difeso sempre contro a lui il ducato di
Milano. Ricordavangli essere fallace e pericoloso consiglio il fare fondamento
in su l'unione con Massimiliano, nel quale si erano, insino a quel dì, veduti i
disegni assai maggiori che la facoltà o la prudenza del colorirgli; e quando
pure fusse per avere successi più prosperi che per l'addietro, doversi
considerare quanto fusse a proposito l'augumento di uno inimico perpetuo e sì
acerbo alla corona di Francia. Con le quali ragioni commosseno in modo il re
che, mutata sentenza, consentì che senza parlare più delle cose di Pisa si
conchiudesse la confederazione co' viniziani: nella quale fu convenuto che nel
tempo medesimo che egli assaltasse con potente esercito il ducato di Milano
essi, da altra banda, facessino, di verso i loro confini, il medesimo; e che
guadagnandosi per lui tutto il resto del ducato, Cremona con tutta la
Ghiaradadda, eccettuata però la riva di Adda per quaranta braccia, si
acquistasse a' viniziani; e che acquistato che avesse il re il ducato di
Milano, i viniziani fussino obligati, per certo tempo e con determinato numero
di cavalli e di fanti, a difenderlo; e da altra parte il re fusse tenuto al
medesimo per Cremona e quello possedevano in Lombardia e insino agli stagni
viniziani. La quale convenzione fu contratta con tanto segreto che a Lodovico Sforza
stette occulto per più mesi se fusse fatta tra loro solo confederazione a
difesa, come da principio era stato solennemente publicato nella corte di
Francia e a Vinegia, o se pure vi fussino capitoli concernenti l'offesa sua; né
il papa medesimo, che era tanto congiunto col re, potette se non tardi averne
certezza.
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