VII. Vicende della guerra fra veneziani e fiorentini nel Casentino. Ercole
d'Este in Venezia si pronunzia sul compromesso fra veneziani e fiorentini
riguardo a Pisa. Malcontento pel compromesso in Venezia e lamentele degli
oratori pisani. Aggiunte al compromesso all'insaputa de' fiorentini. Venezia
delibera di ritirare le milizie da Pisa. A Pisa si delibera di tentare ogni
cosa pur di non tornare soggetti a Firenze.
Fatta la lega
co' viniziani, il re, senza fare più menzione di Pisa, propose a' fiorentini
condizioni molto diverse dalle prime: per la quale cagione e per le molestie
che riceveano da' viniziani, erano tanto più necessitati ad accostarsi al duca
di Milano, con gli aiuti del quale le cose loro prosperavano continuamente nel
Casentino. Dove gli inimici, danneggiati spesso da' soldati e da' paesani, e
combattendo con la difficoltà delle vettovaglie e specialmente di sostentare i
cavalli, si erano ristretti in Bibbiena e in alcun'altre piccole terre; non
intermettendo però la diligenza di tenere i passi dello Apennino, per avere
aperta la via del soccorso e la facoltà, quando pure fussino necessitati, di
abbandonare con minore danno il Casentino: però a guardia del passo di
Montalone si era fermato Carlo Orsino con le sue genti d'arme e con cento
fanti; e più basso, quello della Vernia si guardava dall'Alviano. E da altra
parte Pagolo Vitelli, procedendo maturamente secondo il consueto suo, poiché
gli ebbe ridotti in sì pochi luoghi, si sforzava di costrignergli a partirsi
dal passo di Montalone, con intenzione di mettere poi in necessità di fare il
medesimo coloro che guardavano il passo della Vernia; acciocché le genti
viniziane, ristrette in Bibbiena sola e circondate per tutto dagl'inimici e da'
monti, o fussino vinte facilmente o si consumassino per loro medesime; essendo
massime molto diminuite, perché, oltre a quegli che erano stati ora qua ora là
svaligiati, se ne erano, per la incomodità delle vettovaglie e difficoltà di
sicuri alloggiamenti, partiti in più volte più di mille cinquecento cavalli e
moltissimi fanti: de' quali, assaltati nel passare dell'alpi da' paesani, la
maggiore parte aveva ricevuto gravissimo danno. Costrinseno alla fine queste
difficoltà Carlo Orsino ad abbandonare co' suoi il passo di Montalone, non
senza pericolo di essere rotti, perché, sapendosi non potervi più dimorare,
molti de' soldati de' fiorentini e degli uomini del paese, che stavano
vigilanti a questa occasione, gli assaltorono nel cammino: ma essi, avendo già
preso il vantaggio de' passi, benché perdessino parte de' carriaggi, si
difeseno, e con danno non piccolo di quegli che disordinatamente gli
seguitavano. L'esempio di Carlo Orsino fu, per le medesime necessità, seguitato
da quegli che erano alla Vernia e a Chiusi, che abbandonati que' passi si
ritirorono in Bibbiena, ove si fermorono il duca d'Urbino, l'Alviano, Astore
Baglione, Piero Marcello proveditore viniziano e Giuliano de' Medici;
riservatisi per guardia di quella terra, che sola tenevano in Casentino,
sessanta cavalli e settecento fanti. Né gli sostentava altro che la speranza
del soccorso, il quale i viniziani preparavano giudicando che, in quanto alla
conservazione dell'onore e molto più a farsi migliori le condizioni
dell'accordo, importasse non poco il non abbandonare totalmente la impresa del
Casentino: e però il conte di Pitigliano raccoglieva a Ravenna con gran
prestezza le genti disegnate a soccorrerla, sollecitandolo le spesse querele del
duca d'Urbino e degli altri; i quali, significando cominciare a mancare loro le
vettovaglie, protestavano essere ridotti a mancamento tale di vivere che
bisognerebbe che per salvarsi facessino presto patti con gli inimici. E per
contrario, arebbono desiderato il duca di Milano e i capitani che erano nel
Casentino prevenire il soccorso con la espugnazione di Bibbiena, e però
dimandavano che si aggiugnessino quattromila fanti a quegli che erano nel
campo; ma repugnavano al desiderio loro molte difficoltà, perché in paese
freddo e alpestre i tempi che erano asprissimi impedivano assai l'azioni
militari, e i fiorentini non erano molto pronti a questa provisione, parte per
essere molto stracchi per le gravi e lunghe spese fatte e che continuamente
facevano, parte perché nella città, per altre cagioni poco concorde, si era
scoperta nuova dissensione; essendo alcuni de' cittadini fautori di Pagolo
Vitelli, altri inclinati a esaltare il conte Renuccio, antico e fedele
condottiere di quella republica e che aveva in Firenze parenti di autorità: il
quale, caduto per l'avversità che ebbe a Santo Regolo della speranza del primo
luogo, malvolentieri tollerava vederlo trasferito a Pagolo; e trovandosi con la
compagnia sua in Casentino, non era pronto a quelle imprese dalle quali potesse
accrescersi la riputazione di chi arebbe desiderato deprimere. Diventavano
maggiori queste difficoltà per la natura di Pagolo, vantaggioso ne' pagamenti,
difficile co' commissari fiorentini, e che spesso nella deliberazione ed
espedizione delle cose si arrogava più autorità che non parea conveniente. E,
pure allora, avea senza saputa de' commissari conceduto al duca d'Urbino,
ammalato, salvocondotto di partirsi sicuramente del Casentino; sotto la fidanza
del quale salvocondotto si era partito oltre a lui Giuliano de' Medici, con
grave dispiacere de' fiorentini, che si persuadevano che, se al duca si fusse
difficultato il partirsi, che il desiderio di andare a ricuperare nello stato
suo la sanità l'arebbe costretto a concordare di levare le genti di Bibbiena; e
si dolevano similmente che a Giuliano, ribelle prima e che era venuto con
l'armi contro alla patria, fusse stata fatta senza saputa loro tale abilità.
Toglievano queste cose fede in Firenze a' consigli e alle dimande di Pagolo: e
molto più che la guerra non procedeva con molta sua riputazione appresso al
popolo, perché e qualche fazione importante era stata fatta più da' paesani che
da' soldati e perché, per l'opinione grande che avevano del suo valore, si
erano promessi molto prima la vittoria degli inimici; attribuendo, come è
natura de' popoli, a non volere quello che si doveva attribuire più presto a
non potere, per l'asprezza de' tempi e per il mancamento delle provisioni. E
però, tardandosi di fare l'augumento de' quattromila fanti, ebbe tempo il conte
di Pitigliano di venire a Castello d'Elci, castello del ducato d'Urbino vicino
a' confini de' fiorentini, ove prima erano Carlo Orsino e Piero de' Medici, e
ove si faceva la massa di tutte le genti per passare l'Apennino; le quali si ordinavano,
come più atte alla fortezza e alla penuria del paese, più copiose assai di
fanteria che di uomini d'arme, e questi più presto con leggiera che con grave
armadura. Fu questo l'ultimo sforzo che feciono i viniziani per le cose del
Casentino. Il quale per interrompere, Pagolo Vitelli, lasciato leggieri assedio
intorno a Bibbiena e la guardia necessaria a' passi opportuni, andò col resto
delle genti alla Pieve a Santo Stefano, terra de' fiorentini situata al piede
dell'alpi, per opporsi agli inimici nello scendere di quelle. Ma il conte di
Pitigliano, avendo innanzi a sé l'alpi cariche di neve, e a piè dell'alpi
l'opposizione potente e la strettezza de' passi, difficili, quando si ha
ostacolo, non che altro ne' tempi benigni, a superare, non ardì mai di tentare
di passare; con tutto che con gravi querele ne fusse molto stimolato dal senato
viniziano, più veemente, secondo diceva egli, a morderlo che sollecito a
provederlo: e se bene gli fussino proposti disegni di qualche diversione, e già
in Valdibagno fusse data qualche molestia alle terre de' fiorentini, non fece,
per questo, momento alcuno.
Ma quanto più
procedevano fredde l'opere della guerra tanto più riscaldavano le pratiche
dello accordo, desiderato per diversi rispetti dall'una parte e dall'altra, ma
non meno desiderato e sollecitato dal duca di Milano; il quale, spaventato per
la lega fatta tra il re di Francia e i viniziani, sperava che, succedendo
questa concordia, i viniziani desidererebbono manco la passata de' franzesi, e persuadendosi
di più che, sodisfatti in questo caso della volontà e opere sue, avessino,
almeno in qualche parte, a mitigare l'indegnazione conceputa contro a sé. Però,
interponendosi tra loro appresso a Ercole da Esti suo suocero, costrigneva i
fiorentini a cedere a qualche desiderio de' viniziani, non tanto con
l'autorità, perché appresso a loro, accortisi del suo disegno, cominciava già a
essere sospetta la sua interposizione, quanto con lo accennare che, non si
facendo la concordia, sarebbe necessitato, per il timore che aveva del re di
Francia, rimuovere se non tutte almeno parte delle sue genti da' loro favori.
Trattossi molti mesi questa cosa a Ferrara, e interponendosi varie difficoltà,
fu ricercato Ercole da' viniziani che per facilitare l'espedizione andasse
personalmente a Vinegia: di che egli faceva qualche difficoltà, ma molto
maggiore i fiorentini perché sapevano i viniziani desiderare che in Ercole si
facesse compromesso, dalla qual cosa essi erano molto alieni; ma fu tanta la
instanza di Lodovico Sforza che finalmente Ercole si dispose ad andarvi, e i
fiorentini a mandare insieme con lui Giovambatista Ridolfi e Pagol'Antonio
Soderini, due de' principali e de' più prudenti cittadini della loro republica.
A Vinegia fu la prima disputazione se Ercole avesse, con autorità d'arbitro, a
finire la controversia o, come amico comune interponendosi tra le parti, a
cercare di comporle, come insino allora si era proceduto a Ferrara e ridotti a
non molta difficoltà gli articoli principali e più importanti. Questo
desideravano i fiorentini, conoscendo che Ercole, in quello che avesse a
dipendere dall'arbitrio suo, terrebbe più conto della grandezza de' viniziani
che di loro, e che riducendosi a pronunziare il lodo in Vinegia sarebbe
necessitato tanto più ad avere loro maggiore rispetto, e quel che non facesse
per se medesimo lo indurrebbe a fare il duca di Milano, poiché tanto desiderava
che i viniziani conoscessino essere in questo negozio utili loro le sue
operazioni; e se bene molte difficoltà fussino quasi risolute a Ferrara, pure,
e nell'ultima loro perfezione e in molti particolari, non restava piccola la
potestà dell'arbitro; senza che, compromettendosi in lui, era in sua facoltà
partirsi da quello che prima era stato trattato. Da altra parte i viniziani aveano
deliberato, se non si faceva il compromesso, di non procedere più oltre: non
tanto per promettersi più dello arbitrio che non si promettevano i fiorentini,
quanto perché questa materia aveva tra loro medesimi molte difficoltà.
Conciossiaché tutti, stracchi dalle spese gravissime con piccola speranza di
frutto, desiderassino la concordia, ma i più giovani massime e i più feroci del
senato non la volessino se a' pisani non si conservava interamente la libertà,
e se non rimaneva loro almeno quella parte del contado che e' possedevano
quando furono ricevuti in protezione; per la quale opinione allegavano molte
ragioni, ma quella principalmente che, essendosi con publico decreto promesso
allora a' pisani di conservargli in libertà, non si poteva mancarne senza
maculare sommamente lo splendore della republica: alcuni altri, rendendosi
manco difficili nelle altre cose, erano immoderati nella quantità delle spese
le quali ricercavano che, abbandonando Pisa, fussino loro rifatte da'
fiorentini. Ma in contrario era il parere di quasi tutti i senatori più savi e
di maggiore autorità: i quali, stracchi di tante spese, e disperati totalmente
della difesa di Bibbiena e di potere più senza grandissimo travaglio sostenere
le cose di Pisa, per le difficoltà che avevano trovate e nel mandarvi soccorso
e nel fare diversione, essendo riuscita maggiore la resistenza de' fiorentini
che da principio non si erano persuasi, considerando oltre a questo che, benché
la impresa contro al duca di Milano fusse giudicata dovere essere facile,
nondimeno che, non essendo il re di Francia pacificato col re de' romani e
sottoposto a vari impedimenti che potevano sopravenirgli di là da' monti,
potrebbe essere per molti casi ritardato a muovere la guerra e, quando pure la
movesse, che nelle cose belliche possono nascere di dì in dì molte e inopinate
difficoltà e pericoli, ma sopratutto spaventati dagli apparati grandi,
terrestri e marittimi, che si diceva fare Baiseth ottomanno per assaltargli
nella Grecia, si risolvevano essere necessario consentire più presto, poi che
altrimenti non si poteva, che l'onestà cedesse in qualche parte all'utilità
che, per mantenere pertinacemente la fede data, perseverare in tante molestie.
E perché erano certi che con grandissima difficoltà sarebbeno consentite ne'
loro consigli quelle conclusioni alle quali, insino dal principio, conoscevano
essere necessario declinare, avevano prudentemente, quando si cominciò a
trattare a Ferrara, procurato che dal consiglio de' pregati fusse data
amplissima autorità sopra le cose di Pisa e dello accordo co' fiorentini al
consiglio de' dieci, nel quale consiglio, molto minore di numero, intervengono
tutti gli uomini di più gravità e autorità, che erano la maggiore parte di
quegli medesimi che desideravano questa concordia: e ora, condotta la pratica a
Vinegia, non si confidando di disporre il consiglio de' pregati a consentire
agli articoli trattati a Ferrara, e conoscendo che il consentirgli da per sé il
consiglio de' dieci sarebbe di molto carico a chi vi intervenisse, instavano
che si facesse il compromesso, sperando che del giudicio che ne nascesse si
risentirebbono più gli uomini contro all'arbitro che contro a loro, e che più
facilmente avesse a essere ratificato quello che già fusse lodato che
consentito quando si trattasse per via di concordia con la parte. Però, dopo
disputa di qualche dì, minacciando il duca di Milano i fiorentini, che
ricusavano di compromettere, di levare subito di Toscana tutte le genti sue, fu
fatto il compromesso per otto dì, libero e assoluto, in Ercole duca di Ferrara.
Il quale, dopo molta discussione, pronunziò, il sesto dì di aprile: che fra
otto dì prossimi si levassino l'offese tra i viniziani e i fiorentini, e che il
dì della festività prossima di santo Marco tutte le genti e aiuti di ciascuna
delle parti si partissino e ritornassino agli stati propri, e che i viniziani
il dì medesimo levassino di Pisa e del suo contado tutte le genti che
v'avevano, e abbandonassino Bibbiena e tutti gli altri luoghi che occupavano
de' fiorentini, i quali perdonassino agli uomini di Bibbiena i falli commessi;
e che per ristoro delle spese fatte, quali affermavano i viniziani ascendere a
ottocentomila ducati, fussino obligati i fiorentini a pagare loro, insino in
dodici anni, quindicimila ducati per anno: che a' pisani fusse conceduta venia
di tutti i delitti fatti, facoltà di esercitare per mare e per terra ogni
qualità di arti e di mercatanzie: stessino in custodia loro le fortezze di Pisa
e de' luoghi che il dì del lodo dato possedevano, ma con patto che de' pisani
si eleggessino le guardie, o d'altronde, di persone non sospette a' fiorentini,
e fussino pagate delle entrate che caverebbono di Pisa i fiorentini, non
accrescendo né il numero degli uomini né la spesa consueta a tenersi innanzi
alla rebellione: rovinassinsi, se così paresse a' pisani, tutte le fortezze del
contado proprio di Pisa state ricuperate da' fiorentini mentre che i viniziani
avevano la loro protezione: che in Pisa le prime instanze de' giudici civili
fussino giudicate da uno podestà forestiere, eletto da' pisani di luogo non
sospetto a' fiorentini; e il capitano eletto da' fiorentini non conoscesse se
non delle cause delle appellazioni né potesse procedere, in caso alcuno
criminale dove si trattasse di sangue d'esilio o di confiscazione, senza il
consiglio di uno assessore, eletto da Ercole o da' suoi successori, di cinque
dottori di legge che del dominio suo gli fussino proposti da' pisani:
restituissinsi a' padroni i beni mobili e immobili occupati da ogni parte,
intendendosi ciascuno assoluto da' frutti presi; e in tutte l'altre cose
lasciate illese le ragioni de' fiorentini in Pisa e nel suo territorio, e
proibito a' pisani che circa le fortezze e qualunque altra cosa non
macchinassino contro alla republica fiorentina.
Publicato il
lodo in Vinegia, si levorono per tutta la città e nella nobiltà, contro a
Ercole e contro a' principali che avevano maneggiato questa pratica, molte
querele; biasimandosi per la maggiore parte che a' pisani si mancasse, con
grandissima infamia della republica, della fede promessa, e lamentandosi che
delle spese fatte nella guerra non fusse stata avuta la considerazione
conveniente. Le quali querele accendevano assai i loro oratori, che innanzi al
lodo dato stati tenuti artificiosamente da' viniziani in speranza che
indubitatamente resterebbono con piena libertà e che sarebbe aggiudicato loro
non solo il resto del contado ma forse il porto di Livorno, si risentivano
tanto più quanto più gli effetti riuscivano contrari a quello che si erano
persuasi; lamentandosi che le promesse della conservazione della libertà fatte
loro tante volte da quel senato, sotto la fede del quale avevano disprezzato
l’amicizia di tutti gli altri potentati e rifiutato più volte condizioni molto
migliori offerte da' fiorentini, fussino sì indegnamente violate, né proveduto
anche alla loro sicurtà se non con apparenze vane. Perché, come potevano essere
sicuri che i fiorentini, rimettendo in Pisa i magistrati, e ritornandovi con la
restituzione del commercio i mercatanti e sudditi loro, e da altra parte
partendosene per andare alle proprie abitazioni e culture i contadini che erano
stati membro grande della difesa di quella città, non pigliassino con qualche
fraude il dominio assoluto? il che potrebbono fare con grandissima facilità, e
massime restando in potere loro la guardia delle porte. E che sicurtà essere
avere le fortezze in mano, se quegli che le guardavano avevano a essere pagati
da' fiorentini, né fusse lecito in tanto sospetto tenervi guardia maggiore di
quella che soleva tenersi ne' tempi tranquilli e sicuri? Essere medesimamente
vana la perdonanza delle cose commesse, poi che si concedeva a' fiorentini
facoltà di distruggergli per via della ragione e de' giudìci, perché le
mercatanzie e gli altri beni mobili tolti nel tempo della ribellione
ascendevano a tanta valuta che non solo occuperebbeno le loro sostanze ma né
sarebbeno sicure dalle carceri le persone. Le quali querele per estinguere, i
principali del senato operorno che il dì seguente, benché fusse spirato il termine
del compromesso, Ercole, il quale intesa tanta indegnazione di quasi tutta la
città temeva di se medesimo, aggiugnesse al lodo dato, senza saputa degli
oratori fiorentini, dichiarazione che sotto nome delle fortezze si intendessino
le porte della città di Pisa e dell'altre terre che avevano le fortezze, per la
guardia delle quali, e per i salari del podestà e dell'assessore, fusse
assegnata a' pisani certa parte delle entrate di Pisa; e che i luoghi non
sospetti de' quali si faceva menzione nel lodo fussino lo stato della Chiesa,
di Mantova, di Ferrara e di Bologna, esclusine però gli stipendiari di altri; e
che alla restituzione de' beni mobili fusse imposto perpetuo silenzio: fusse in
potestà de' pisani nominare l'assessore, di qualunque luogo non sospetto: non
procedesse il capitano in alcuna causa criminale benché minima senza
l'assessore: fussino i pisani trattati bene da' fiorentini, secondo l'uso delle
altre città nobili d'Italia; né potessino essere poste loro nuove gravezze. La
quale dichiarazione non fu procurata perché i viniziani desiderassino che la
fusse osservata ma per raffreddare l'ardore degli oratori pisani, e per
giustificarsi nel consiglio de' pregati che se non si era ottenuta la libertà
de' pisani si era almanco proveduto tanto alla sicurtà e bene essere loro che
non si potrebbe dire fussino dati in preda o abbandonati. Nel quale consiglio,
dopo molte dispute, prevalendo pure la considerazione delle condizioni de'
tempi e delle difficoltà del sostenere i pisani, e sopratutto il timore
dell'armi del turco, fu deliberato che il lodo con espresso consentimento non
si ratificasse ma, quel che è più efficace in tutte le cose, si mettesse a
esecuzione co' fatti, levando fra gli otto dì l'offese e rimovendo le genti di
Toscana al tempo determinato, con intenzione di più non intromettersene: più
tosto, per sospetto che Pisa non cadesse in potestà del duca di Milano,
cominciavano molti del senato a desiderare che la ricuperassino i fiorentini.
Né in Firenze,
inteso che fu il tenore del lodo dato, si dimostrò minore movimento di animi;
aggravandosi di avere a rifare parte delle spese a chi gli aveva ingiustamente
molestati, e molto più non parendo loro conseguire altro che il nome nudo del
dominio, poiché le fortezze avevano a essere guardate per i pisani e che
l'amministrazione della giustizia criminale, uno de' membri principali alla
conservazione degli stati, non aveva a essere libera de' loro magistrati:
nondimeno, sforzandogli a ratificare i medesimi protesti del duca di Milano che
gli avevano indotti a compromettere, e sperando di avere in progresso di breve
tempo, con la industria e con l'usare umanità a' pisani, a ridurre le cose a
migliore forma, ratificorno espressamente il lodo dato; ma non l'addizioni, non
ancora pervenute a notizia loro. Maggiore fu la indegnazione e l'ambiguità de'
pisani: i quali, concitati maravigliosamente contro al nome viniziano e
insospettiti di maggiore fraude, subito che ebbono inteso quel che si conteneva
nel lodo, rimossono le genti loro dalla guardia delle fortezze di Pisa e delle
porte né vollono che più alloggiassino nella città, e stetteno in dubitazione
grande molti dì se accettavano le condizioni del lodo o no; piegandogli da una
parte il timore, poiché si vedevano abbandonati da tutti, da altra tenendogli
fermi l'odio de' fiorentini, e molto più la disperazione di avere a trovare
perdono per la grandezza delle offese fatte e per essere stati cagione di
infinite spese e danni loro, e di avergli messo più volte in pericolo della
propria libertà. Nella quale ambiguità benché il duca di Milano gli confortasse
a cedere, offerendo di essere mezzo co' fiorentini a vantaggiare le condizioni
del lodo, nondimeno, per tentare se in lui fusse più l'antica cupidità e
disposti in tal caso a darsegli liberamente, gli mandorono imbasciadori; e
finalmente, dopo lunghi pensieri e agitazioni, determinorono di tentare prima
ogni cosa estrema che tornare sotto il dominio de' fiorentini: e a questo
furono occultamente confortati da' genovesi da' lucchesi e da Pandolfo
Petrucci. Né stettono i fiorentini senza sospetto che 'l duca di Milano, benché
la verità fusse in contrario, non gli avesse confortati al medesimo: tanto poco
si aspetta sincerità o opere fedeli da chi è venuto in concetto degli uomini di
essere solito a governarsi con duplicità e con artifici. Ma a' fiorentini,
esclusi dalla speranza di ottenere Pisa per accordo, parve avere occasione
opportuna di espugnare quella città; però, fatto ritornare nel contado di Pisa
Pagolo Vitelli, sollecitavano con diligenza grande le provisioni richieste da
lui.
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