IX. Conquista di diverse terre del ducato di Milano da parte dei francesi.
Lodovico Sforza incita i sudditi alla resistenza. La perdita di Alessandria.
Pavia s'accorda coi francesi e i veneziani fanno scorrerie fino a Lodi. Tumulti
in Milano. Lodovico si rifugia in Germania. Il re di Francia a Milano.
Né si fece da
parte alcuna altro effetto di guerra che leggiere correrie, insino a tanto che
ebbono passato i monti le genti destinate alla guerra, sotto Luigi di Lignì,
Eberardo di Obignì e Gianiacopo da Triulzi: perché il re, se bene veniva a
Lione spargendo fama di volere, quando così ricercasse il bisogno, passare in
Italia, intendeva di governarla per mezzo de' capitani. Ma unito che fu insieme
tutto l'esercito de' franzesi, nel quale furono mille seicento lancie
cinquemila svizzeri quattromila fanti guasconi e quattromila d'altre parti di
Francia, i capitani il terzodecimo dì di agosto posono il campo alla rocca di
Arazzo posta in su la ripa del Tanaro; nella quale benché fussino cinquecento
fanti la preseno in brevissimo spazio, dandosi causa di tanta prestezza allo
impeto dell'artiglierie, ma non meno alla viltà de' difensori. Presa la rocca
di Arazzo, andorno a campo ad Anon, castello in su la strada maestra tra Asti e
Alessandria e in su la ripa del Tanaro opposita ad Arazzo, forte di sito, e che
era stato per qualche mese innanzi molto fortificato dal duca di Milano; e
benché il Sanseverino, che alloggiava appresso ad Alessandria in campagna,
intesa la perdita di Arazzo, avesse desiderato mandarvi nuovi fanti e migliori,
perché settecento che ve ne aveva messi prima erano di gente nuova e non
esperta alla guerra, non potette metterlo a esecuzione perché i franzesi, per
impedire che non vi andasse soccorso, aveano, di consentimento del marchese di
Monferrato signore di quel luogo, messa gente nella terra di Filizano posta tra
Alessandria e Anon. Però, non facendo quegli che erano in Anon migliore
esperienza di quello che si aspettava, i franzesi, battuto prima il borgo e poi
la terra da quattro parti, la espugnorono in due dì; e dipoi espugnorono la
fortezza, ammazzando tutti i fanti che vi erano rifuggiti. Dal quale successo,
più repentino di quello che si era creduto, spaventato il Sanseverino si ritirò
con tutte le genti in Alessandria; scusando il suo timore col dire di avere
fanteria inutile, e che i popoli dimostravano animo poco stabile nella
divozione di Lodovico. Da che i franzesi tanto più inanimiti si accostorno a
quattro miglia ad Alessandria, e nel tempo medesimo presono Valenza, dove erano
molti soldati e artiglierie, per opera di Donato Raffagnino milanese,
castellano, corrotto dalle promesse del Triulzio, dal quale introdotti per la
fortezza nella terra, presono e ammazzorono tutti i soldati, e tra questi restò
prigione Ottaviano fratello naturale del Sanseverino; e fu cosa notabile che
questo medesimo castellano aveva, venti anni innanzi, mancando di fede a
madonna Bona e al piccolo duca Giovanni Galeazzo, dato a Lodovico Sforza una
porta di Tortona, in quel medesimo dì che introdusse i franzesi in Valenza. E
discorrendo dipoi per il paese come uno folgore, si arrendé loro senza
difficoltà Basignano, Voghiera, Castelnuovo e Ponte Corone, e il medesimo fece,
pochi dì poi, la città e la rocca di Tortona; dalla quale si ritirò di là da
Po, senza aspettare assalto alcuno, Antonmaria Palavicino che vi era a guardia.
L'avviso delle
quali cose andato a Milano, Lodovico Sforza, vedendosi ridotto in tante
angustie e che tanto impetuosamente andava in precipizio lo stato suo, perduto,
come si fa nelle avversità sì sùbite, non meno l'animo che il consiglio,
ricorreva a quegli rimedi a' quali solendo ricorrere gli uomini nelle cose
afflitte e quasi ridotte a ultima disperazione, fanno più presto palese a
ciascuno la grandezza del pericolo che ne conseguitino frutto alcuno. Fece
descrivere nella città di Milano tutti gli uomini abili a portare arme; e
convocato il popolo, al quale era in odio grande il nome suo per molte esazioni
che aveva fatte, lo liberò da una parte delle gravezze, soggiugnendo con
caldissime parole che se pareva che qualche volta fussino stati troppo
aggravati, non l'attribuisseno gli uomini alla natura sua, né a cupidità che
avesse mai avuto di accumulare tesoro; ma i tempi e i pericoli d'Italia, prima
per la grandezza de' viniziani dipoi per la passata del re Carlo, averlo
costretto a fare questo, per potere tenere in pace e in sicurtà quello stato e
potere resistere a chi volesse assaltarlo: avendo giudicato non potere fare
maggiore beneficio alla patria e a' popoli suoi che provedere non fussino
molestati dalle guerre. E che questo fusse stato consiglio di inestimabile
utilità averlo i frutti che se ne erano ricolti chiarissimamente dimostrato,
perché tanti anni sotto il governo suo erano stati in somma pace e
tranquillità, per la quale si era grandemente augumentata la magnificenza le
ricchezze e lo splendore di quella città: di che fare fede manifestissima gli
edifici le pompe e tanti ornamenti, e la moltiplicazione quasi infinita
dell'arti e degli abitatori, nelle quali cose la città e il ducato di Milano
non solo non cedevano ma erano superiori a qualunque altra città e regione
d'Italia. Ricordassinsi di essere stati governati da sé senza alcuna crudeltà,
e con quanta mansuetudine e benignità avesse udito sempre ciascuno, e che solo
tra tutti i prìncipi di quella età, senza perdonare a fatica o travaglio del
corpo, aveva per se medesimo, ne' dì deputati all'udienze publiche,
amministrato a tutti giustizia sommaria e indifferente. Ricordassinsi de'
meriti e della benivolenza del suo padre, che gli aveva governati più presto
come figliuoli che come sudditi; e proponessinsi innanzi agli occhi quanto
sarebbe acerbo lo imperio superbo e insolente de' franzesi, i quali per la
vicinità di quello stato al reame di Francia ne farebbono, se lo occupassino,
come altre volte aveva di tutta Lombardia fatto quella nazione, sedia ferma e
perpetua de' popoli suoi, cacciatine gli antichi abitatori. Però pregargli che,
alienando l'animo da i costumi barbari e inumani, si disponessino a difendere
insieme la patria e la propria salute. Né doversi dubitare che, se si
sforzassino di sostenere per brevissimo tempo i primi pericoli, sarebbe facile
il resistere, essendo i franzesi più impetuosi nello assaltare che costanti nel
perseverare; e perché egli senza dilazione aspettava potenti aiuti dal re de'
romani, il quale, già composte le cose co' svizzeri, si preparava per
soccorrerlo in persona; e che erano in cammino le genti le quali il re di Napoli
gli mandava con Prospero Colonna; e credere che il marchese di Mantova, essendo
risolute seco tutte le difficoltà, fusse già con trecento uomini d'arme entrato
nel cremonese: alle quali cose aggiugnendosi la prontezza e la fede del popolo
suo, si renderebbe sicurissimo degli inimici, quando bene oltre a quello
esercito fusse congiunta insieme tutta la possanza di Francia. Le quali parole,
udite con maggiore attenzione che frutto, non giovorono più che si giovassino
l'armi opposte a' franzesi.
Per il timore
de' quali, stimando manco il pericolo imminente da' viniziani, che avevano
mossa la guerra in Ghiaradadda e presa la terra di Caravaggio e le altre vicine
a Adda, rivocò il conte di Gaiazzo con la più parte delle genti mandate a quella
difesa, e le fece andare a Pavia, perché si unissino con Galeazzo per la difesa
di Alessandria. Ma già da ogni banda si accelerava la sua ruina, perché il
conte di Gaiazzo si era accordato prima secretamente col re di Francia; potendo
più in lui lo sdegno che Galeazzo, fratello minore di età e minore eziandio
nello esercizio militare, gli fusse anteposto nel capitanato dello esercito e
in tutti gli onori e favori che la memoria di innumerabili benefici ricevuti,
egli e i fratelli, da Lodovico. Affermano alcuni che qualche mese innanzi era
penetrato agli orecchi suoi avviso di questa fraude, in sul quale, stato
alquanto tacito sopra di sé, avere finalmente sospirando risposto a chi gliene
aveva significato, non potersi persuadere una tanta ingratitudine; e se pure
era vero, non sapere finalmente come avere a provedervi, né di chi più si
avesse a confidare poiché i più intrinsechi e più beneficati lo tradivano:
affermando non riputare minore o manco perniciosa calamità privarsi per
sospetto vano, della opera delle persone fedeli ché, per incauta credulità,
commettersi alla fede di quegli i quali meritavano di essere sospetti. Ma
mentre che 'l conte di Gaiazzo fa il ponte su 'l Po per unirsi col fratello e
artificiosamente ne manda in lungo l'esecuzione, mentre che fatto il ponte
differisce di passare, essendo già l'esercito franzese stato due giorni intorno
ad Alessandria e battendola con l'artiglierie, Galeazzo, con cui erano mille
dugento uomini d'arme mille dugento cavalli leggieri e tremila fanti, la notte
del terzo dì, non conferiti i suoi pensieri ad alcuno degli altri capitani
eccetto che a Lucio Malvezzo, accompagnato da una parte de' cavalli leggieri,
fuggì occultamente di Alessandria, dimostrando, con grandissimo suo vituperio
ma non con minore infamia della prudenza di Lodovico, a tutto il mondo quanta
differenza sia da maneggiare uno corsiere e correre nelle giostre e ne'
torniamenti grosse lancie, ne' quali esercizi avanzava ogn'altro italiano, a
essere capitano di uno esercito; e con quanto danno proprio si ingannano i
prìncipi che, nel fare elezione delle persone alle quali commettono le faccende
grandi, hanno più in considerazione il favore di chi eleggono che la virtù. Ma
come la partita di Galeazzo fu nota per Alessandria, tutto il resto della gente
cominciò tumultuosamente chi a fuggire chi ad ascondersi; con la quale
occasione entratovi in sul fare del dì l'esercito franzese, non solo messe in
preda i soldati che vi restavano ma con la licenza militare saccheggiò tutta la
città. È fama che Galeazzo avea ricevuto lettere, scritte col nome e col
suggello di Lodovico Sforza, che gli comandavano che per essere nato certo
movimento in Milano si ritirasse là subito con tutte le genti; e alcuno dubitò
poi che non fussino state fabricate falsamente dal conte di Gaiazzo, per
facilitare con questa arte la vittoria de' franzesi: le quali lettere Galeazzo
era poi solito a mostrare per sua giustificazione, come se per quelle gli fusse
stato commesso, non che conducesse lo esercito salvo e in caso conoscesse
poterlo fare, ma che temerariamente l'abbandonasse. Ma questo non è tanto certo
quanto è certo a ciascuno che, se in Galeazzo fusse stato o consiglio di
capitano o animo militare, arebbe potuto facilmente difendere Alessandria e la
maggiore parte delle cose di là da Po, con le genti che aveva, anzi arebbe
forse avuto qualche prospero successo: perché avendo, pochi dì innanzi, passato
il fiume della Bornia una parte dello esercito franzese e, per essere
sopravenute grosse pioggie, trovandosi rinchiusa tra i fiumi della Bornia e del
Tanaro, non bastò l'animo a Galeazzo di assaltargli, se bene gli fusse
significato che alcuni de' suoi cavalli leggieri, usciti di Alessandria per il
ponte che in sul Tanaro congiugne il borgo alla città e andati inverso di loro,
avessino quasi messo in fuga la prima squadra.
La perdita di
Alessandria spaventò tutto il resto del ducato di Milano, oppresso a ogn'ora di
nuove calamità: perché e i franzesi passato Po erano andati a campo a Mortara,
donde Pavia si era accordata con loro, e le genti de' viniziani, presa la rocca
di Caravaggio e passato in su uno ponte di barche il fiume di Adda, avevano
corso insino a Lodi; e già quasi tutte l'altre terre tumultuavano. Né in Milano
era minore confusione o terrore che altrove, perché tutta la città sollevata
aveva preso l'armi: e con tanto poca riverenza verso il suo signore che,
uscendo da lui del castello, nel mezzo del dì, Antonio da Landriano generale
suo tesoriere, fu nella strada publica, o per inimicizie particolari o per
ordine di chi desiderava cose nuove, ammazzato. Per il qual caso, Lodovico
entrato in gravissimo spavento della sua persona, e privato d'ogni speranza di
resistere, deliberò, lasciando bene guardato il castello di Milano, di
andarsene co' figliuoli in Germania, per fuggire il pericolo presente e per
sollecitare, secondo diceva, Massimiliano a venire a' suoi favori; il quale o
aveva già conchiuso o aveva per ferma la concordia co' svizzeri. Fatta questa
deliberazione, fece subito partire i figliuoli accompagnati dal cardinale
Ascanio, che pochi dì innanzi era venuto da Roma per soccorrere quanto poteva
le cose del fratello, e dal cardinale di San Severino: e insieme con loro mandò
il tesoro, diminuito molto da quello che soleva essere: perché è manifesto che
otto anni innanzi, avendo Lodovico per ostentare la sua potenza mostratolo agli
imbasciadori e a molti altri, si era trovato ascendere tra danari e vasi di
argento e di oro, senza le gioie che erano molte, alla quantità di uno milione
e mezzo di ducati; ma in questo tempo, secondo l'opinione degli uomini, passava
di poco dugentomila. Partiti i figliuoli, deputò, benché ne fusse sconfortato
da tutti i suoi, alla guardia del castello di Milano Bernardino da Corte
pavese, che allora ne era castellano, antico allievo suo, anteponendo la fede
di costui a quella del fratello Ascanio che se gli era offerto di pigliarne la
cura, e vi lasciò tremila fanti sotto capitani fidati, e provisione di
vettovaglie di munizione e di danari bastante a difenderlo per molti mesi: e
risoluto nelle cose di Genova fidarsi d'Agostino Adorno, allora governatore, e
di Giovanni suo fratello, a cui era congiunta in matrimonio una sorella de'
Sanseverini, mandò loro i contrasegni del castelletto. A' Buonromei
gentiluomini di Milano restituì Anghiera, Arona e altre terre in sul Lago
Maggiore, che aveva loro occupate, e a Isabella di Aragona, moglie già del duca
Giovan Galeazzo, fece a conto delle sue doti donazione del ducato di Bari e del
principato di Rossano per trentamila ducati, ancora che ella non gli avesse
voluto concedere il piccolo figliuolo di Giovan Galeazzo, il quale egli
desiderava che co' figliuoli suoi andasse in Germania. E poiché, ordinate
queste cose, fu dimorato quanto gli parve potere dimorare sicuramente, reggendosi
già la terra per se stessa, partì con molte lagrime, il secondo dì di
settembre, per andare in Germania, accompagnato dal cardinale da Esti e da
Galeazzo Sanseverino e, per assicurarsi il cammino, da Lucio Malvezzo e da non
piccolo numero di uomini d'arme e di fanti. Né era appena uscito del castello
che il conte di Gaiazzo, sforzandosi di coprire con qualche colore la sua
perfidia, fattosegli incontro gli disse che, poiché egli abbandonava lo stato
suo, pretendeva restare libero della condotta che aveva da lui, e potere
prendere di sé qualunque partito gli piacesse; e immediate poi scoperse il nome
e l'insegne di soldato del re di Francia, andando a' soldi suoi con la medesima
compagnia che aveva messa insieme e conservata co' danari di Lodovico. Il quale
da Como, dove lasciò la fortezza in potestà del popolo, se ne andò per il lago
insino a Bellagio; e di poi smontato in terra passò da Bormio e per quegli
luoghi dove già, nel tempo che era collocato in tanta gloria e felicità, aveva
ricevuto Massimiliano, quando più presto come capitano suo e de' viniziani che
come re de' romani passò in Italia. Fu perseguitato tra Como e Bormio dalle
genti franzesi e dalla compagnia del conte di Gaiazzo; da' quali luoghi,
lasciata guardia nella fortezza di Tiranno, che fu pochi dì poi occupata da'
grigioni, si indirizzò verso Spruch, dove intendeva essere la persona di
Cesare.
Dopo la partita
di Lodovico i milanesi, mandati subitamente imbasciadori a' capitani
approssimatisi già con l'esercito a sei miglia alla città, consentirono di
ricevergli liberamente; riservando il capitolare alla venuta del re, dal quale,
procedendo solamente con la misura dell'utilità propria, speravano immoderate
grazie ed esenzioni; e il medesimo feceno senza dilazione tutte l'altre terre
del ducato di Milano. Volle e la città di Cremona, essendo circondata dalle
genti de' viniziani, lo imperio de' quali abborriva, fare il medesimo; ma non
volendo il re rompere la capitolazione fatta co' viniziani, fu necessitata
arrendersi a loro. Seguitò Genova la medesima inclinazione, facendo a gara il
popolo gli Adorni e Gianluigi dal Fiesco di essere gli autori principali di
darla al re. E perché contro a Lodovico si dimostrasse non solo una rovina sì
repentina e sì grande, avendo in venti dì perduto sì nobile e sì potente stato,
ma ancora tutti gli esempli di ingratitudine, il castellano di Milano, eletto
da lui per il più confidato tra tutti i suoi, senza aspettare né uno colpo di
artiglieria né alcuna specie di assalto, dette, il duodecimo dì dalla partita
sua, al re di Francia il castello che era tenuto inespugnabile, ricevuta in
premio di tanta perfidia quantità grande di danari la condotta di cento lancie
provisione perpetua e molte altre grazie e privilegi, ma con tanta infamia e con
tanto odio, eziandio appresso a' franzesi, che, rifiutato da ognuno come di
fiera pestifera e abominevole il suo commercio, e schernito per tutto dove
arrivava con obbrobriose parole, tormentato dalla vergogna e dalla coscienza
(potentissimo e certissimo flagello di chi fa male), passò non molto poi per
dolore all'altra vita. Parteciporno di questa infamia i capitani che con lui
erano rimasti nel castello, e sopra gli altri Filippino dal Fiesco; il quale,
allievo del duca e lasciatovi da lui per molto fedele, in cambio di confortare
il castellano a tenersi, acciecato da grandissime promesse lo confortò al
contrario, e insieme con Antonio Maria Palavicino, che interveniva in nome del
re, trattò la dedizione. Ma come il re ebbe a Lione le nuove di tanta vittoria,
succeduta molto più presto di quello aveva sperato, passò subito con celerità
grande a Milano; dove ricevuto con grandissima letizia concedé la esenzione di
molti dazi: benché il popolo, intemperante ne' desideri suoi, avendo fatto
concetto di avere a essere esente in tutto, non rimanesse con molta
sodisfazione. Fece molte donazioni di entrate a molti gentiluomini dello stato
di Milano; tra' quali riconoscendo i meriti di Gianiacopo da Triulzi, gli
concedette Vigevano e molte altre cose.
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