X. I fiorentini padroni di tutto il contado di Pisa. I fiorentini danno
l'assalto alla città che si trova in grave pericolo d'esser presa, senonché
Paolo Vitelli fa sospendere l'azione. Malattie fra le milizie fiorentine. Il
Vitelli leva il campo da Pisa; fatto prigione e condotto a Firenze è
decapitato. Capi principali di condanna del Vitelli.
Ma nel tempo
medesimo che dal re di Francia si movevano l'armi contro al ducato di Milano,
Pagolo Vitelli, raccolte le genti e le provisioni de' fiorentini, per potere
più facilmente attendere alla espugnazione di Pisa, pose il campo alla terra di
Cascina; la quale, se bene fusse proveduta sufficientemente di difensori e
delle altre cose necessarie, e similmente munita di fossi e di ripari, ottenne,
dappoi che furono piantate l'artiglierie, in ventisei ore: perché essendo
cominciati a impaurire gli uomini della terra, per il progresso grande che per
l'essere le mura deboli aveano fatto l'artiglierie, i soldati forestieri che vi
erano dentro, prevenendogli, si arrenderono, patteggiata solamente la salvezza
delle persone e robe proprie, e lasciati loro e i commissari e soldati pisani
in arbitrio libero de' vincitori. Arrenderonsi dipoi, alla richiesta di uno
trombetto solo, la torre edificata per la guardia della foce di Arno, e il
bastione dello Stagno abbandonato da' pisani, in modo che per i pisani non si
teneva altro in tutto il contado che la fortezza della Verrucola e la piccola
torre d'Asciano, non molestate dagli inimici per la incomodità d'avere, volendo
espugnarle, a passare Arno, e perché, essendo contigue a Pisa, potevano
facilmente essere soccorse, e perché non importava alla somma delle cose il
perdervi tempo.
Rimaneva
adunque sola l'espugnazione di Pisa, impresa, da coloro che discorrevano
prudentemente, non reputata se non difficile per la fortezza della città e per
il numero virtù e ostinazione degli uomini che vi erano dentro: perché se bene
in Pisa non erano soldati forestieri, eccetto Gurlino da Ravenna e pochi altri,
i quali, venutivi agli stipendi de' viniziani, vi erano volontariamente rimasti
dopo la partita delle loro genti, vi era copioso il numero de' cittadini e de'
contadini, né minore di qualità che di quantità; perché per l'esperienza
continua di cinque anni erano quasi tutti divenuti atti alla guerra, e con
proposito sì ostinato di non ritornare sotto il dominio de' fiorentini che
arebbono riputata minore qualunque altra gravissima avversità. Non aveano le
mura della città fossi innanzi a sé, ma [erano] molto grosse e di pietra di
antica struttura, talmente conglutinata, per la proprietà delle calcine che si
fanno in quel paese, che per la loro solidità resistendo più che comunemente
non fanno l'altre muraglie alle artiglierie, davano, innanzi che le fussino
gittate in terra, molto spazio, a coloro che erano dentro, di riparare. E
nondimeno i fiorentini deliberorno d'assaltarla, confortati al medesimo da
Pagolo Vitelli e da Rinuccio da Marciano, i quali davano speranza grande di
espugnarla in quindici giorni. E perciò, avendo messi insieme diecimila fanti e
molti cavalli, e fatti secondo la richiesta del capitano abbondantissimi
provedimenti, egli, l'ultimo dì di luglio, vi pose il campo, non, come era
ricordato da molti e come faceano instanza i fiorentini, da quella parte d'Arno
che proibiva il soccorso che vi venisse di verso Lucca ma dall'altra parte del
fiume, di riscontro alla fortezza di Stampace; o perché gli paresse facilitarsi
assai la vittoria se espugnava quella fortezza, o per maggiore comodità delle
vettovaglie che si conducevano dalle castella delle colline, o perché avesse
avuto notizia che i pisani, non credendo che mai s'accampasse da quella parte,
non v'aveano cominciato, come dall'altra parte facevano, riparo alcuno.
Cominciossi a battere la rocca di Stampace e la muraglia, dalla mano destra e
sinistra per lunghissimo tratto, con venti pezzi grossi d'artiglieria, cioè da
Santo Antonio a Stampace e dipoi insino alla porta che si dice a mare, posta in
sulla riva d'Arno. E per contrario i pisani, non intermettendo dì e notte di
lavorare, e insieme con loro le donne non meno pertinaci e animose a questo che
gli uomini, feciono in pochissimi dì all'opposito della muraglia che si
batteva, uno riparo di grossezza e altezza notabile e uno fosso molto profondo;
non gli spaventando che mentre che lavoravano ne erano feriti e morti molti
dalle artiglierie, o per proprio colpo o per reverberazione, la quale peste
offendeva similmente i soldati del campo, percossi talmente dalle artiglierie
di dentro, massime da una passavolante piantata in sulla torre di San Marco,
che erano necessitati, per tutto il campo, o di alzare il terreno per ripararsi
o alloggiare nelle fosse. Procedessi più dì con questi modi; e benché fusse già
gittato in terra grande spazio di muraglia da Santo Antonio a Stampace, e
ridotta quella fortezza in termini che il capitano sperava di potere senza
molta difficoltà ottenerla, nondimeno per farsi la vittoria più facile si
continuava il battere da Stampace insino alla porta a mare, scaramucciandosi in
questo mezzo spesso tra la muraglia battuta e il riparo, tanto lontano dalle
mura che Stampace restava tutta fuora del riparo: in una delle quali
scaramuccie fu ferito il conte Renuccio di uno archibuso. Ed era il consiglio
del capitano, come avesse occupata Stampace, piantare l'artiglierie in su
quella e in sulla muraglia battuta, donde offendendosi per fianco tutta quella
parte che difendevano i pisani, sperava quasi certa la vittoria; e nel tempo
medesimo fare cadere verso il riparo, acciocché riempiendosi il fosso fusse più
facile a' soldati la salita, una alia di muro tra Stampace e il riparo, la
quale, tagliata prima con gli scarpelli, si sosteneva co' puntelli di legname.
Da altra parte i pisani, che si governavano nella difesa secondo il consiglio
di Gurlino, aveano fatte di verso Santo Antonio alcune case matte nel fosso per
impedire agli inimici, in caso vi scendessino, il riempierlo, e distese su per
i ripari verso Santo Antonio molte artiglierie, e alloggiati i fanti loro a piè
del riparo, acciocché, riducendosi le cose allo stretto, si opponessino con le
proprie persone agli inimici. Finalmente Pagolo Vitelli, il decimo dì poi che
si era accampato, non volendo differire più a pigliare Stampace, presentatavi
la mattina in sull'alba la battaglia, benché i soldati fussino offesi dalle
artiglierie della cittadella vecchia, la prese più prestamente e con maggiore
facilità che non aveva sperato e con tanto spavento de' pisani che abbandonati
i ripari si mettevano per tutta la città in fuga; e molti, tra' quali Piero
Gambacorta cittadino nobile, con quaranta balestrieri a cavallo che militavano
sotto lui, si fuggirono di Pisa; e se ne sarebbono fuggiti molti più se da'
magistrati non fusse stata fatta resistenza alle porte: in modo che è manifesto
che se si procedeva innanzi si otteneva quella mattina la vittoria, con
grandissima gloria del capitano; al quale sarebbe stato felicissimo quel dì che
fu origine delle sue calamità. Perché, non conoscendo egli, secondo che poi si
scusava, l'occasione che insperatamente se gli presentò, né avendo ordinato di
dare quel dì la battaglia con tutto il campo, né ad altro che a quella torre,
non solo non mandò le genti ad assaltare il riparo, ove non arebbeno trovato
resistenza, ma fece ritornare indietro la maggiore parte de' fanti, che inteso
l'acquisto di Stampace, desiderosi di saccheggiare la città, correvano
tumultuosamente per entrarvi; e in quel tanto i pisani, volando la fama per la
città che gli inimici non seguitavano la vittoria, e concitati da' pianti e
dalle grida miserabili delle donne, che gli confortavano a eleggere più presto
la morte che la conservazione della vita sotto il giogo de' fiorentini,
cominciarono a ritornare alla guardia de' ripari. A' quali essendo ritornato
Gurlino, e considerando che dal rivellino che aveva Stampace verso la terra era
una via che andava verso la porta a mare, la quale aveano prima ripiena di
terra e di legname e fortificata verso il campo, ma non proveduto all'altra via
verso Stampace, fece subito riparare e riempiere da quel lato; e fatto uno
terrato, con artiglierie che tiravano per fianco, impediva l'entrare da quella
parte. Acquistata Stampace, Paolo vi fece tirare in alto falconetti e
passavolanti, i quali tiravano per tutta Pisa ma non offendevano i ripari, i
quali, benché fussino offesi dalle artiglierie piantate da basso, non però gli
abbandonavano i pisani, e nel tempo medesimo si batteva la casa matta verso
Santo Antonio e la porta a mare e le difese: né cessava Pagolo Vitelli di
sforzarsi di riempiere il fosso con fascine, per facilitarsi il pigliare il
riparo. Contro alle quali cose i pisani, in sussidio de' quali erano la notte
seguente stati mandati da Lucca trecento fanti, cresciuti di animo, gittavano
fuochi lavorati nel fosso; e ponendo sommo studio di necessitare quegli del
campo ad abbandonare la torre di Stampace, vi voltorono uno grossissimo
passavolante detto il bufolo, a pochi colpi del quale ottennono che si levasse
l'artiglieria piantata in alto: contro al quale benché Pagolo voltasse alcuni
passavolanti, da' quali fu sboccato, non cessando però di trarre, lacerò di
maniera in più dì la torre che Pagolo fu alla fine costretto di levare
l'artiglieria e abbandonarla. Né fu altro il successo del muro tagliato:
perché, avendo similmente i pisani puntellato dalla parte di dentro per farlo
cadere di verso il fosso, quando Pagolo volle farlo cadere stette immobile. Non
privò questo caso il capitano della speranza di avere a ottenere finalmente la
vittoria; la quale cercando, secondo la natura sua, di acquistare più
sicuramente e con minore danno dell'esercito che si poteva, con tutto che in
più luoghi fussino in terra già più di cinquecento braccia di muraglia,
attendeva continuamente ad ampliare la batteria, a sforzarsi di riempiere i fossi
della terra e a fortificare la torre di Stampace, per piantarvi di nuovo
artiglieria e potere battere per fianco i ripari grandi che avevano fatto i
pisani: sforzandosi, con tutta la perizia e arte sua, d'acquistare al continuo
maggiore opportunità per dare più sicuramente la battaglia generale e ordinata.
La quale, benché già avesse condotto le cose in grado che qualunque volta si
desse sperasse molto la vittoria, differiva volentieri di dare, perché tanto
più si diminuisse il danno dello esercito e si avesse maggiore certezza di
ottenerla: con tutto che i commissari de' fiorentini, a' quali ogni minima
dilazione era molestissima, e riscaldati con lettere e messi continui da
Firenze, non cessasseno di stimolarlo che con l'accelerare prevenisse
agl'impedimenti che a ogn'ora potrebbeno nascere. Il quale consiglio di Pagolo,
forse più prudente e più secondo la disciplina militare, ebbe contraria la
fortuna. Perché essendo il paese di Pisa, che è pieno di stagni e di paludi tra
la marina vicina e la città, sottoposto in quella stagione dell'anno a
pestiferi venti, e specialmente da quella parte onde era alloggiato il campo,
sopravenneno in due dì nello esercito infinite infermità; per le quali, quando
Pagolo volle dare la battaglia, che fu il vigesimo quarto dì di agosto, si
accorse essere fatto inutile tanto numero di genti, ché quegli che erano sani
non bastavano a darla: il quale disordine benché i fiorentini ed egli, oppresso
come gli altri da infermità, si ingegnassino di ristorare col soldare nuovi
fanti, nondimeno la influenza prevaleva talmente che era ogni dì molto maggiore
la diminuzione che il supplemento. Però, disperato in ultimo di potere più
conseguire la vittoria e dubitando di qualche danno, deliberò levare il campo;
contradicendo molto i fiorentini, perché desideravano che, messa nella fortezza
di Stampace sufficiente guardia, si fermasse con l'esercito appresso a Pisa. La
qual cosa disprezzata da lui, perché la rocca di Stampace, conquassata prima
molto dalle artiglierie sue e poi da quelle de' pisani, non si poteva
difendere, abbandonatala, ridusse il quarto dì di settembre tutto il campo alla
via della marina; e diffidandosi di potere condurre per terra l'artiglieria a
Cascina, perché dalle pioggie erano soffocate le strade, la imbarcò alla foce
d'Arno perché si conducesse a Livorno: ma mostrandosi in ogni cosa avversa la
fortuna, se ne sommerse una parte, che fu non molto dipoi ricuperata da'
pisani, che nel tempo medesimo ripreseno la torre che è a guardia della foce.
Per i quali accidenti si augumentò tanto la sinistra opinione che il popolo
fiorentino aveva già conceputa di Pagolo che, pochi dì poi, chiamato in Cascina
da' commissari, sotto specie di ordinare la distribuzione delle genti alle
stanze, fu da loro, per comandamento del magistrato supremo della città, fatto
prigione; donde mandato a Firenze e, la notte medesima che vi arrivò, esaminato
aspramente con tormenti, fu il seguente dì per comandamento del medesimo
magistrato decapitato. E mancò poco che nel medesimo infortunio non incorresse
insieme con lui il fratello, il quale i commissari mandorono in quello istante
a pigliare: ma Vitellozzo, così ammalato come era di infermità contratta
intorno a Pisa, mentre che simulando volere ubbidire esce del letto, mentre che
mette tempo in mezzo per vestirsi, salito, per l'aiuto di alcuno de' suoi che
vi concorseno, in su uno cavallo, si rifuggì in Pisa, ricevuto con grandissima
letizia da' pisani.
Furono i capi
principali della condannazione contro a Pagolo: che dalla volontà sua fusse
proceduto il non acquistare Pisa, avendo avuto facoltà di pigliarla il dì che
fu presa la rocca di Stampace; che per la medesima cagione avesse differito
tanto il dare la battaglia; avere udito più volte uomini venuti a lui di Pisa,
né mai comunicato co' commissari le imbasciate loro; e levato da campo contro
al comandamento publico, e abbandonata Stampace, avere invitato qualcuno degli
altri condottieri a occupare in compagnia sua Cascina, Vico Pisano e
l'artiglierie, per potere ne' pagamenti e nelle altre condizioni maneggiare
come gli paresse i fiorentini: che in Casentino avesse tenuto pratiche occulte
co' Medici, e nel tempo medesimo trattato e quasi conchiuso di condursi co'
viniziani (benché per cominciare a servirgli subito che fusse finita la
condotta sua co' fiorentini, la quale era già quasi alla fine), il che non
avere avuto perfezione perché i viniziani, fatto l'accordo co' fiorentini,
recusorono di condurlo; e che per queste cagioni avesse dato il salvo condotto
al duca di Urbino e a Giuliano de' Medici. Sopra le quali cose esaminato non
confessò particolare alcuno che l'aggravasse; e nondimeno non fu esaminato più
lungamente, perché per timore che il re di Francia, già venuto a Milano, non
dimandasse la sua liberazione, fu accelerato il supplizio. Né alcuni de' suoi
ministri, che dopo la morte sua furono con maggiore comodità esaminati,
confessorono altro che essere in lui molto mala sodisfazione de' fiorentini,
per il favore dato in concorrenza sua al conte Renuccio, per la difficoltà di
spedire le provisioni che dimandava e qualche volta le cose sue particolari, e
per quello che volgarmente si parlava in Firenze in carico suo. Donde, benché
in alcuni restasse opinione che e' non fusse proceduto sinceramente, come se
aspirasse a farsi signore di Pisa e a occupare qualche altra parte del dominio
fiorentino, nel quale nutriva molte intelligenze e amicizie, nondimeno nella
maggiore parte è stata opinione contraria, persuadendosi che egli desiderasse
sommamente la espugnazione di Pisa, per l'interesse della gloria, primo
capitale de' capitani di guerra, che ottenendo quella impresa gli perveniva
grandissima.
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