IV. Dopo aver inflitte nuove e gravi perdite agli assalitori i faentini si
arrendono al Valentino. Sdegno del re di Francia verso i fiorentini e
intenzioni avverse a Firenze del Valentino. Accordi fra il Bentivoglio e il
Valentino. Il Valentino abbandona il territorio fiorentino per unirsi alle
milizie francesi in marcia verso Napoli.
Il quale mentre
che si prepara, il Valentino, che ne' primi dì dell'anno, accostatosi di notte
con quantità grande di scale al borgo di Faenza e avendovi secondo si credeva
intelligenza, avea invano tentato di occuparlo, non avendo più speranza nella
fraude, prese pochi dì poi Russi e l'altre terre di quel contado; e
ultimatamente vi ritornò col campo nel principio della primavera, ponendosi di
verso la rocca; e da quella parte battuta la muraglia, fece dare mescolatamente
la battaglia dalle genti franzesi e dagli spagnuoli che erano a' soldi suoi. I
quali essendosi presentati con disordine, si ritirorono senza fare frutto
alcuno; ma in capo di tre dì ne fece dare un'altra con le forze di tutto il
campo, della quale il primo assalto toccò a Vitellozzo e agli Orsini, che
scelto il fiore de' loro soldati assaltorno con grande virtù e con grande ordine,
spingendosi tanto innanzi che talvolta ebbono speranza di ottenere. Ma non era
minore il valore di quegli di dentro e gagliarda la riparazione fatta da loro,
in modo che trovandosi gli assaltatori avere innanzi a sé uno fosso grande, ed
essendo battuti per fianco da molta artiglieria, furono costretti a ritirarsi;
e vi restò morto di loro Ferrando da Farnese e molti uomini di conto, e numero
grande di feriti. E nondimeno i faventini, avendo ricevuto danno non piccolo in
questo assalto, cominciorono talmente a considerare come alla fine, abbandonati
da ciascuno, potessino contro a tanto esercito sostenersi, e con quanto danno e
male condizioni verrebbono o espugnati per forza o costretti per l'ultima
necessità a darsi in potestà del vincitore, che, raffreddato tanto ardore e
sottentrando la paura, si arrenderono, pochi dì poi, al Valentino; salvo
l'avere e le persone, e pattuita la libertà di Astore suo signore, e che gli
fusse lecito di andare dove gli paresse, rimanendogli salva l'entrata delle
proprie possessioni. Le quali cose Valentino, quanto agli uomini di Faenza,
osservò fedelmente: ma Astore, che era minore di diciotto anni e di forma
eccellente, cedendo l'età e la innocenza alla perfidia e crudeltà del
vincitore, fu, sotto specie di volere rimanesse nella sua corte, ritenuto
appresso a lui, con onorevoli dimostrazioni; ma non molto tempo poi condotto a
Roma, saziata prima (secondo si disse) la libidine di qualcuno, fu occultamente
insieme con uno suo fratello naturale privato della vita.
Acquistato che
ebbe il Valentino Faenza si mosse verso Bologna, avendo in animo non solo di
occupare quella città ma di molestare dipoi i fiorentini; i quali erano in
molta declinazione, essendosi allo sdegno primo del re di Francia aggiunte nuove
cagioni. Conciossiaché, affaticati dalle gravi spese che aveano fatte e che
continuamente erano necessitati di fare, per la guerra co' pisani e per il
sospetto che aveano delle forze del pontefice e del Valentino, non pagavano al
re, con tutto che ne facesse grande instanza, il residuo de' danari prestati
loro dal duca di Milano, né quegli che e' pretendeva dovere avere per conto de'
svizzeri mandati contro a Pisa; perché avendo i fiorentini negato di pagare
loro, secondo che a Milano aveano convenuto col cardinale di Roano, una paga
per ritornarsene alla patria, perché si erano partiti molti dì prima che
avessino finito di servire lo stipendio ricevuto, il re, per conservarsi
benevola quella nazione, l'aveva pagata del suo proprio: e gli dimandava con grande
acerbità di parole, non ammettendo scusa alcuna della impotenza loro. Alle
quali cose faceva più difficile il provedere la discordia civile, nata da'
disordini del governo popolare, nel quale, non essendo alcuno che avesse cura
ferma delle cose, e molti de' cittadini principali sospetti, o come amici de'
Medici o come desiderosi di altra forma di governo, si reggevano più con
confusione che con consiglio. Onde non facendo provisione alle dimande del re,
anzi lasciate passare senza effetto le dilazioni impetrate da lui, l'aveano
acceso in gravissima indegnazione; dimandando, oltre a questo, che si
preparassino a dargli i danari e gli aiuti promessi per la impresa di Napoli,
perché se bene, secondo le convenzioni, non si doveano se non dopo la recuperazione
di Pisa, doversi in quanto a lui avere per recuperata, poiché per colpa loro
era proceduto il non ottenerla: movendolo o la cupidità de' danari, de' quali
era per natura molto amatore, o lo sdegno che ne' tempi conceduti loro non gli
aveano pagati o l'essergli persuaso che, per i disordini del governo e per i
molti amici che v'aveano i Medici, non poteva nelle occorrenze sue fare
fondamento alcuno in quella città. E per condurgli con l'asprezza e con
l'acerbità a quello a che non gli conduceva l'autorità usava publicamente
sinistri termini allo imbasciadore che aveano appresso a lui, affermando non
essere più tenuto alla loro protezione, perché avendo essi mancato di adempiere
la capitolazione fatta a Milano, poiché non gli avevano pagati a' tempi promessi
i danari convenuti in quella, non era obligato a osservarla loro: per il che,
essendo per istigazione del pontefice andato alla corte sua Giuliano de'
Medici, a supplicarlo, in nome suo e de' fratelli, della restituzione alla
patria, promettendogli quantità grandissima di danari, l'avea udito
gratissimamente, trattando con esso assiduamente sopra il loro ritorno. E
perciò il Valentino, preso animo da queste cose, e stimolato da Vitellozzo e
dagli Orsini soldati suoi e inimicissimi de' fiorentini, quello per la ingiuria
della morte del fratello questi per la congiunzione che aveano co' Medici,
aveva prima mandato in aiuto de' pisani Liverotto da Fermo con cento cavalli
leggieri, e dopo l'acquisto di Faenza deliberato di molestargli: con tutto che
da loro il padre ed egli non avessino ricevuto offese ma più tosto grazie e
comodità; perché a richiesta loro aveano rinunziato alla protezione degli stati
de' Riari, alla quale erano obligati, e consentito che allo esercito suo
andassino vettovaglie, continuamente, del dominio fiorentino.
Partito adunque
di Romagna con questa deliberazione, dichiarato già dal pontefice dopo
l'acquisto di Faenza, con approvazione del concistorio, duca di Romagna, e
ottenutane l'investitura, entrò con l'esercito nel territorio di Bologna, con
grandissima speranza di occuparla. Ma il dì medesimo che alloggiò a Castel San
Piero, terra posta quasi ne' confini tra Imola e Bologna, ricevé comandamento
dal re di Francia di non procedere né alla occupazione di Bologna né a
cacciarne Giovanni Bentivogli, perché allegava essere obligato alla protezione
e della città e di lui; e quella eccezione espressa nell'accettazione della
protezione, di non pregiudicare alle ragioni della Chiesa, doversi intendere di
quelle ragioni e preminenze che allora vi possedeva la Chiesa, perché
intendendosi indistintamente e non secondo il suono delle parole, come
pretendeva il pontefice, sarebbe stata cosa vana e di niuno momento a'
bolognesi e a' Bentivogli il ricevergli nella sua protezione. Però il
Valentino, deposto per allora, con gravissima querela del pontefice e sua, la
speranza conceputa, convenne col Bentivoglio, per mezzo di Pagolo Orsino, che
gli concedesse passo e vettovaglia per il bolognese, pagassegli ogni anno
novemila ducati, servisselo di certo numero di uomini d'arme e di fanti per
andare in Toscana, e gli lasciasse la terra di Castel Bolognese, che, posta tra
Imola e Faenza, è giurisdizione di Bologna; che da lui fu donata a Pagolo
Orsini. Il quale accordo come fu fatto, il Bentivoglio, o per sospetto che
avesse da sé proprio o perché, secondo che fu fama, il Valentino, per
concitargli maggiore odio in quella città, gli avesse rivelato essere stato
invitato ad accostarsi a Bologna dalla famiglia de' Mariscotti, famiglia potente
di clientele e partigiani, e che per questo e per l'insolenza loro gli era
molto sospetta, fece ammazzare quasi tutti quegli di loro che erano in Bologna;
usando per ministri di questa crudeltà, insieme con Ermes suo figliuolo, molti
giovani nobili, acciò che per la memoria di avere imbrattate le mani nel sangue
de' Mariscotti fussino, essendo divenuti inimici di quella famiglia, costretti
a desiderare la conservazione dello stato suo.
Non seguitorno
più oltre il Valentino le genti franzesi, perché aspettavano di unirsi con
l'esercito regio, il quale in numero di mille lancie e di diecimila fanti
andava sotto Obignì alla impresa di Napoli. Ma il Valentino si dirizzò per il
bolognese verso il dominio fiorentino con settecento uomini d'arme e cinquemila
fanti di gente molto eletta, e di più con cento uomini d'arme e dumila fanti
che sotto il protonotario suo figliuolo gli dette il Bentivoglio; e avendo
mandato a chiedere a' fiorentini passo e vettovaglia per il loro dominio, andò
innanzi non aspettata la risposta, dando agli imbasciadori che gli erano stati
mandati da' fiorentini benigne parole, insino che ebbe passato lo Apennino. Ma
come fu condotto a Barberino, mutata la benignità in asprezza, dimandò
facessino confederazione seco, conducessinlo con quel numero di genti d'arme e
con quelle condizioni che convenissino al grado suo, e che mutato il governo
presente ne costituissino un altro nel quale più potesse confidare; e pigliava
animo a queste dimande non tanto per la potenza sua, non avendo seco maggiore
esercito né artiglieria da battere terre, quanto per le male condizioni de'
fiorentini, avendo poca gente d'arme, né altri fanti che i paesani che
giornalmente comandavano, e in Firenze timore sospetto e disunione assai, per
essere nel campo suo Vitellozzo e gli Orsini, e perché per ordine suo Piero de'
Medici si era fermato a Logliano nel bolognese, e il popolo pieno di gelosia
che i cittadini potenti non avessino procurata la sua venuta per ordinare uno
governo a loro sodisfazione. Ma in Valentino non era desiderio di rimettere
Piero de' Medici, perché non giudicava a suo proposito la grandezza degli
Orsini e di Vitellozzo, co' quali sapeva che Piero ritornato nella patria
sarebbe stato congiuntissimo. E ho, oltre a questo, udito da uomini degni di
fede che nell'animo suo era fissa la memoria di uno antico sdegno conceputo
contro a lui, insino quando arcivescovo di Pampalona, non promosso ancora il
padre al pontificato, dava opera alle leggi canoniche nello studio pisano:
perché essendo andato a Firenze per parlargli sopra uno caso criminale di uno
suo familiare, poiché per più ore ebbe aspettato invano d'avere udienza da lui,
occupato o in negozi o in piaceri, si era ritornato a Pisa senza avergli
parlato, riputandosi disprezzato e non mediocremente ingiuriato. E nondimeno,
per compiacere a' Vitelli e agli Orsini, simulava altrimenti; e molto più per
accrescere il terrore e la disunione de' fiorentini, mediante la quale sperava
o ottenere da loro migliori condizioni o potere avere occasione di occupare
qualche terra importante di quel dominio. Ma presentendo già che lo insulto suo
era molesto al re di Francia, condotto che fu a Campi, presso a sei miglia a
Firenze, fece convenzione con loro in questa sentenza: che tra la republica
fiorentina e lui fusse confederazione a difesa degli stati, essendo proibito
l'aiutare i ribelli l'uno dell'altro, e nominatamente al Valentino i pisani;
perdonassino i fiorentini tutti i delitti fatti per qualunque nella venuta sua,
né se gli opponessino in difesa del signore di Piombino, il quale era sotto la
loro protezione; conducessinlo agli stipendi loro per tre anni con trecento
uomini d'arme, e con soldo di trentaseimila ducati per ciascuno anno, li quali
fusse tenuto mandare in aiuto loro qualunque volta n'avessino di bisogno o per
difesa propria o per offesa d'altri. Il quale accordo fatto, andò a Signa,
facendo piccole giornate, e dimorando in ogni alloggiamento qualche dì e
danneggiando con incendi e con prede il paese non manco che se fusse stato scoperto
inimico, dimandava, secondo l'uso de' pagamenti che si fanno alle genti d'arme,
la quarta parte de' danari che si dovevano in uno anno, e di essere accomodato
di artiglierie per condurle contro a Piombino: una delle quali dimande
ricusavano apertamente i fiorentini perché non vi erano obligati, l'altra
differivano perché erano in animo di non osservare le promesse fatte per forza,
e per avvisi che aveano ricevuti dallo oratore loro che era appresso al re di
Francia speravano essere, con l'autorità sua, liberati da questa molestia. La
quale speranza non riuscì vana, perché al re era stato grato che il Valentino
gli minacciasse ma non che gli assaltasse; e o gli sarebbe stata molesta la
mutazione del governo presente o, se pure avesse desiderata altra forma di
reggimento in Firenze, gli sarebbe dispiaciuto fusse stato introdotto con altre
forze o con altra autorità che con la sua: e però, come gli pervenne la notizia
che 'l Valentino era entrato nel dominio fiorentino, gli comandò che ne uscisse
subitamente, e a Obignì, che era già in Lombardia con l'esercito, che, in caso
non ubbidisse, andasse con tutte le forze a farlo partire. Per il che
Valentino, non avuto il quartiere, si dirizzò verso Piombino; e ordinò che i
pisani, i quali per opera di Vitellozzo, mandato a Pisa da lui per condurre
allo esercito artiglierie, erano andati a campo alle Ripomarancie castello de'
fiorentini, se ne levassino. Entrato nel territorio di Piombino, prese
Sughereto, Scarlino e l'isole dell'Elba e di Pianosa; e lasciate ne' luoghi
occupati genti sufficienti a difenderli e a molestare continuamente Piombino,
se ne andò con l'altre in terra di Roma, per seguitare all'impresa di Napoli
l'esercito del re: del quale una parte condotta da Obignì era per la via di
Castrocaro entrata in Toscana, l'altra per la Lunigiana; contenendo tutto
l'esercito, quando era unito, mille lancie quattromila svizzeri e seimila altri
tra fanti franzesi e guasconi, e, secondo il solito loro, provisione grande
d'artiglierie. E fu cosa notabile che quella parte che venne per la Lunigiana
passò amichevolmente per la città di Pisa, con grandissima letizia così de'
franzesi come de' pisani. E nel tempo medesimo partiva di Provenza per la
medesima impresa, sotto Ravesten governatore di Genova, l'armata marittima, con
tre caracche genovesi e sedici altre navi e molti legni minori carichi di molti
fanti.
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