XII. Gli Orsini prigioni del pontefice; morte sospetta del cardinale
Orsini. Intimazione del Valentino ai senesi e risposta di questi.
Interessamento del re di Francia alle cose di Toscana. Il Valentino nel Lazio
contro gli Orsini. Nuove terre occupate dal Valentino.
Séguita l'anno
mille cinquecento tre, pieno se mai niuno de' precedenti di cose memorabili e
di gravissimi accidenti; al quale dette principio la perfidia e la empietà del
principe della cristiana religione, ignaro di quel che avesse, questo anno
medesimo, a succedere a sé e alle cose sue. Perché avendo il Valentino, con
somma celerità come erano convenuti tra loro, significato al pontefice quanto
felice fine avessino conseguito a Sinigaglia le insidie sue, egli, tenuto
l'avviso segretissimo e procurato che per altre vie non potesse penetrare ad
altri, chiamò subito sotto colore di altre faccende nel palagio di Vaticano il
cardinale Orsino, il quale, fidandosi dello accordo fatto e della fede di chi
era noto a tutto il mondo che mai non aveva avuto fede, tirato più dal fato che
dalla ragione era pochi dì innanzi andato a Roma; e arrivato in palazzo fu
subito fatto prigione: e nel tempo medesimo presi alle loro case Rinaldo Orsino
arcivescovo di Firenze, il protonotario Orsino, l'abate d'Alviano fratello di
Bartolomeo, e Iacopo da Santa Croce gentiluomo romano de' principali di quella
fazione. I quali come furono condotti in Castello Santo Agnolo, il pontefice
mandò il principe di Squillaci suo figliuolo a pigliare la possessione delle
terre di Pagolo e degli altri, e con lui il protonotario e Iacopo da Santa
Croce perché le facessino consegnare; i quali furono dipoi rimessi sotto la
medesima custodia. E aveva il pontefice motteggiato con arguzia spagnuola sopra
quello che aveva fatto il figliuolo, dicendo che essendo stati Pagolo Orsino e
gli altri i primi a mancargli della fede, perché si erano obligati di andare a
lui uno per volta e vi erano andati tutti insieme, non era stato meno lecito a
lui mancare a loro. Stette circa venti dì prigione il cardinale, pretendendo il
pontefice alla incarcerazione di uno cardinale sì antico e di tale età e
autorità varie cagioni; e finalmente, sparsa voce che fusse ammalato, morì in
palazzo, come si credette certissimamente, di veleno: la quale opinione il
pontefice per alleggierire, ancora che fusse assueto a non curarsi delle
infamie, volle che di giorno fusse portato scoperto alla sepoltura,
accompagnato dalla sua famiglia e di tutti i cardinali. E gli altri prigioni
furono, non molto dipoi, data sicurtà di rappresentarsi, liberati.
Ma Valentino,
non volendo essere stato scelerato senza premio, si partì senza indugio da
Sinigaglia e si dirizzò a Città di Castello; e trovata quella città abbandonata
da quegli che vi restavano della famiglia de' Vitelli, i quali intesa la morte
di Vitellozzo si erano fuggiti, continuò il cammino verso Perugia; onde fuggì
Giampagolo, il quale, destinato a più tardo ma a maggiore supplizio, era per
sospetto stato più cauto che gli altri a andare a Sinigaglia. Lasciò l'una e
l'altra città sotto il nome della Chiesa, avendo rimesso in Perugia Carlo
Baglione gli Oddi e tutti gli altri inimici di Giampagolo; e volendo con sì
grande occasione tentare di insignorirsi di Siena, seguitandolo alcuni
fuorusciti di quella città andò con l'esercito, nel quale erano arrivati di
nuovo gli aiuti promessi dal Bentivoglio, a Castel della Pieve; dove intesa la
cattura del cardinale Orsino, fece strangolare il duca di Gravina e Pagolo
Orsini, e mandò imbasciadori a Siena a ricercare che cacciassino Pandolfo
Petrucci, come inimico suo e turbatore della quiete di Toscana, promettendo
che, cacciato che fusse lui, se ne andrebbe con l'esercito in terra di Roma
senza molestare altrimenti i loro confini: e da altra parte il pontefice ed
egli, ardenti di desiderio che Pandolfo, così come era stato compagno di quegli
altri nella vita fusse eziandio compagno nella morte, si ingegnavano di
addormentarlo con le medesime arti con le quali avevano addormentati tutti gli
altri, scrivendogli brevi e lettere molto umane, e mandandogli per messi propri
imbasciate piene di affezione e di dolcezza. Ma il sospetto entrato nel popolo
di Siena che non tendessino a occupare quella città faceva più difficile il
disegno loro contro a Pandolfo, perché molti cittadini, malcontenti per
l'ordinario di lui, si riducevano a volere più tosto temporeggiarsi sotto la
tirannide di uno cittadino che cadere in servitù forestiera; in modo che di là
non gli era dato nel principio risposta alcuna per la quale potesse sperare
della partita di Pandolfo: ed egli nondimeno, continuando nella medesima
simulazione di non volere altro che questo, procedeva avanti nel territorio
loro, ed era già arrivato a Pienza, e Chiusi e l'altre terre vicine
arrendutesegli d'accordo. Donde crescendo in Siena il timore, e cominciandosi a
spargere nel popolo ed eziandio tra alcuni de' principali non essere
conveniente che, per mantenere la potenza di uno cittadino, si mettesse tutta
la città in sì grave pericolo, Pandolfo deliberò di fare con buona grazia di
tutti quello che dubitava non avere a fare alla fine con odio universale, e con
maggiore pericolo e danno proprio; e però, con consentimento suo, fu
significato in nome publico al Valentino essere contenti compiacerlo della
dimanda fatta, pure che si partisse con le sue genti de' terreni loro: la quale
risoluzione, ancoraché il pontefice ed egli avessino aspirato a maggiore
disegno, fu accettata, per la difficoltà conoscevano di espugnare Siena, terra
grossa, forte di sito, nella quale erano Giampagolo Baglioni e molti soldati; e
dove il popolo, quando fusse restato certificato che Valentino avesse altro
fine che la partita di Pandolfo, sarebbe stato unito a resistergli. Aggiunsesi
che al pontefice parve, per la sicurtà propria, necessario che il figliuolo
riducesse l'esercito in terra di Roma, dove non si stava senza sospetto di
qualche movimento: perché a Pitigliano si erano ridotti Giulio e alcuni degli
Orsini, e in Cervetri erano con molti cavalli Fabio e Organtino Orsini; e Muzio
Colonna, partito del reame di Napoli, era entrato in Palombara in soccorso de'
Savelli, i quali avevano fatto di nuovo intelligenza e parentado con gli
Orsini. Ma perdé più l'uno e l'altro di loro la speranza di occupare Siena,
perché già si comprendeva che al re di Francia, benché da principio ne fusse
stato molto ambiguo, era molesta questa impresa come quello che, se bene avesse
desiderato che fussino battuti Vitellozzo e gli altri confederati, gli pareva
pure che la totale loro ruina, con l'aggiunta di tanti stati, facesse troppo
potenti il pontefice e Valentino; ed essendo la città di Siena e Pandolfo sotto
la sua protezione, e non appartenente alla Chiesa ma allo imperio, gli pareva
potere molto giustificatamente opporsi a questo acquisto. Ebbeno anche speranza
che per la partita di Pandolfo il governo di quella città rimanesse in qualche
confusione, e per questo potersegli in progresso di tempo presentare occasione
da colorire il disegno loro.
Partì adunque
Pandolfo da Siena, ma lasciatavi la medesima guardia e la medesima autorità
negli amici e dipendenti da lui, in modo non appariva fatta mutazione del
governo; e il Valentino si dirizzò verso Roma, per andare alla distruzione
degli Orsini. I quali, insieme co' Savelli, avevano preso il Ponte a Lamentano
e correvano per tutto il paese; ma si raffrenorono per la giunta di Valentino,
il quale assaltò subito lo stato di Giangiordano, non avendo rispetto che egli,
che non si era dimostrato contro a lui, avesse la condotta l'ordine di San
Michele e la protezione del re di Francia e fusse allora nel reame di Napoli a'
servigi suoi: di che si giustificava il pontefice col re, non muoversi per
cupidità di spogliarlo del suo stato ma perché, essendo tante ingiurie e offese
tra lui e la famiglia Orsina, non poteva averlo sicuramente sì propinquo; però
essere contento di dargli in ricompenso il principato di Squillaci e altre
terre equivalenti. E nondimeno il re, non accettando queste ragioni, si risentì
molto di tale insulto, non tanto perché in lui potesse più che il solito il
rispetto della protezione quanto perché, non continuando più nella prima
prosperità le cose sue nel regno di Napoli, cominciava avere a sospetto
l'ardire e la insolenza del pontefice e di Valentino; ritornandogli in memoria
l'assalto dell'anno passato di Toscana, e quel che poi, contro alla sua
protezione, nelle cose di Siena tentato avevano, e considerando che quanto più
avevano ottenuto, e per l'avvenire otterrebbono da lui, tanto era diventata e
per diventare sempre maggiore la loro cupidità: e però mandò con aspra
imbasciata a comandare a Valentino che desistesse da molestare lo stato di
Giangiordano, il quale per vie incognite, non senza grave pericolo, s'era
condotto a Bracciano. E parendogli necessario assicurarsi che le cose di
Toscana non facessino qualche variazione, inteso massime che in Siena appariva
principio di discordia civile, cominciò per consiglio de' fiorentini a trattare
che Pandolfo Petrucci, il quale si era fermato in Pisa, tornasse in Siena, e
che tra fiorentini sanesi e bolognesi si facesse unione a difesa comune,
restituendosi, per levare tutte le cause della dissensione, a' fiorentini
Montepulciano; e che ciascuno di questi si provedesse, secondo la sua
possibilità, di genti d'arme per difesa comune, acciocché si interrompesse al
pontefice e al Valentino la facoltà di distendersi più in Toscana. Avea in
questo mezzo il Valentino preso con parte delle sue genti Vicovaro, dove erano
per Giangiordano secento fanti; ma avuto il comandamento del re, levatosi, con
molto sdegno del pontefice e suo, dalla impresa di Bracciano, andò a porre il
campo a Ceri; ove con Giovanni Orsino signore di quel luogo era Renzo suo
figliuolo, e Giulio e Franciotto della medesima famiglia; e nel tempo medesimo
il padre procedeva per via di giustizia contro a tutta la casa degli Orsini,
eccettuato Giangiordano e il conte di Pitigliano, il quale i viniziani non
volevano comportare che fusse molestato.
È Ceri terra
antichissima e per la fortezza del sito suo molto celebrata, perché è posta in
su uno masso anzi più presto in su uno poggio tutto d'un sasso intero; però da'
romani, quando rotti da' franzesi al fiume di Allia, oggi detto [Caminate], si
disperorono di potere difendere Roma, vi furno mandate, come in luogo
sicurissimo, le vergini vestali e i simulacri più secreti e più venerandi degli
dei, con molte altre cose sacre e religiose; e per la medesima cagione non fu
ne' tempi seguenti violata dalla ferocia de' barbari, quando per la
declinazione dello imperio romano inondorno con tanto impeto tutta Italia. E
per questo, e per esservi copia di valorosi difensori, riusciva a Valentino
impresa difficile; il quale per espugnarla né diligenza né industria
pretermetteva, aiutandosi, oltre a molte altre macchine belliche, per superare
l'altezza delle mura, con gatti e con vari instrumenti di legname. Dove mentre
che sta, Francesco da Narni, mandato a Siena dal re di Francia, significò la
mente regia essere che Pandolfo ritornasse; dal quale aveva prima ricevuto
promessa di perseverare nella divozione del re e per sua sicurtà mandargli in
Francia il figliuolo maggiore, pagargli quello di che rimaneva debitore per la
convenzione de' quarantamila ducati e restituire a fiorentini Montepulciano: il
che inteso in Siena, fu piccola difficoltà al ritorno suo, aggiugnendosi alla
riputazione del nome del re il favore scoperto de' fiorentini e la disposizione
de' cittadini amici suoi; i quali, avendo anticipato di pigliare l'armi la
notte innanzi al dì destinato alla venuta sua, feciono stare fermi tutti quegli
che sentivano altrimenti. Succedette questo con grandissimo dispiacere del
pontefice: le cose del quale, per altro, felicemente procedevano, perché se gli
erano arrendute Palombara e l'altre terre de' Savelli, e quegli che erano in
Ceri, vessati dì e notte in molti modi e con molti assalti, finalmente si
arrenderono, con patto che a Giovanni signore della terra fusse pagata dal
pontefice certa quantità di danari, e lui e tutti gli altri fussino lasciati
andare salvi a Pitigliano; le quali cose, fuora della consuetudine del papa e
contro all'espettazione universale, furono osservate sinceramente.
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