XV. Patti di pace stabiliti fra il re di Francia e l'arciduca Filippo come
procuratore dei re di Spagna. La guerra continua nel reame di Napoli. Sfortuna
delle armi francesi. Francesi e spagnoli a Cerignola. La sconfitta de'
francesi. Consalvo a Napoli.
Così liberato
il re di Francia dalla guerra de' svizzeri, non aveva nel tempo medesimo minore
speranza di liberarsi dalla guerra che era nel reame di Napoli: perché, dopo
molte pratiche di pace tenute vanamente tra l'uno e l'altro re, volendosene
ritornare di Spagna in Fiandra Filippo arciduca di Austria e principe di
Fiandra, deliberò, benché contro a molti prieghi de' suoceri, ritornarsene per
terra; da' quali ottenne ampia facoltà e libero mandato di fare la pace col re
di Francia, stata molto, mentre che era in Ispagna, procurata da lui, ma
accompagnandolo due loro imbasciadori, senza la partecipazione de' quali non
voleva cosa alcuna né conchiudere né trattare. È incredibile con quanta
magnificenza e onore fusse per ordine del re ricevuto per tutto il regno di
Francia, non solo per desiderare di farselo propizio nella pratica dell'accordo
ma per conciliarsi per ogni tempo l'animo di quel principe, giovane e in
espettazione di somma potenza, perché era il più prossimo alla successione
dello imperio romano e de' reami di Spagna con tutte le dependenze loro; e con
la medesima liberalità furono raccolti e fatti molti donativi a quegli che
erano grandi appresso a lui: alle quali dimostrazioni corrispose con
magnanimità reale Filippo; perché avendo il re, oltre alla fede datagli che e'
potesse passare per Francia sicuramente, mandato per sua sicurtà a stare in
Fiandra, tanto che e' fusse passato, alcuni de' primi signori del reame,
Filippo, come e' fu entrato in Francia, per dimostrare di confidarsi in tutto
della sua fede, ordinò che gli statichi fussino liberati. Né a queste
dimostrazioni di amicizia tanto grandi succederono, per quanto fu in loro,
effetti minori; perché convenutisi a Bles, dopo discussione di qualche dì,
conchiuseno la pace con queste condizioni: che il reame tutto di Napoli si
possedesse secondo la prima divisione, ma lasciando in diposito a Filippo le
provincie per la differenza delle quali si era venuto all'armi, e che di
presente Carlo figliuolo suo e Claudia figliuola del re, tra' quali si
stabiliva lo sposalizio altre volte trattato, s'intitolassino re di Napoli e
duchi di Puglia e di Calavria; che la parte che toccava al re di Spagna fusse
in futuro governata dall'arciduca, quella del re di Francia da chi deputasse il
re, ma tenendosi l'una e l'altra sotto nome de' due fanciulli, a' quali quando
consumavano il matrimonio il re consegnasse, per dota della figliuola, la sua
porzione. La quale pace fu solennemente publicata nella chiesa maggiore di
Bles, e confermata con giuramento del re, e di Filippo come procuratore de' re
suoi suoceri: pace certamente, se avesse avuto effetto, di momento grandissimo,
perché non solo si posavano l'armi tra re tanto potenti ma dietro a questa
sarebbe seguitata la pace tra il re de' romani e il re di Francia; onde contro
a' viniziani nascevano nuovi pensieri, e il pontefice, sospetto a tutti e in
pessimo concetto di ciascuno, non rimaneva senza timore di concili e d'altri
disegni a depressione della sua autorità. Ma avendo subito il re e Filippo
mandato nel regno di Napoli a intimare la pace fatta, e a comandare a' capitani
che insino a tanto venisse la ratificazione de' re di Spagna, possedendo come
possedevano, s'astenessino dalle offese, offersesi il capitano franzese di
ubbidire al suo re, ma lo spagnuolo, o perché più sperasse nella vittoria o
perché l'autorità sola di Filippo non gli bastasse, rispose che insino non
avesse il medesimo comandamento da' suoi re non poteva omettere di fare la
guerra: alla continuazione della quale gli dava maggiore animo, che il re di
Francia, sperando prima nelle pratiche e poi nella conclusione della pace e
presupponendo per certo quel che ancora era incerto, aveva non solamente
raffreddato l'altre provisioni ma sopratenuto tremila fanti che prima aveva
ordinato che a Genova s'imbarcassino, e trecento lancie, destinate che sotto
Persì andassino a quella impresa; e per contrario, a Barletta erano arrivati i
duemila fanti tedeschi i quali, soldati con favore del re de' romani e
imbarcatisi a Triesti, erano con grave querela del re di Francia passati
sicuramente per il golfo de' viniziani. E però il duca di Nemors, non potendo
promettersi la sospensione dell'armi e indebolito per i danni ricevuti poco
innanzi, per essere sufficiente, se l'occasione lo invitasse o la necessità lo
costrignesse, a combattere con gl'inimici, mandò a chiamare tutte le genti
franzesi che erano divise in vari luoghi, da quelle in fuori che sotto Obignì
militavano in Calavria; e tutti gli aiuti de' signori del regno: ma ebbe nel
raccorle avversa la fortuna. Perché avendo il duca d'Atri e Luigi d'Ars, uno
de' capitani franzesi che avevano le genti loro sparse in Terra di Otranto,
deliberato d'andare insieme a unirsi col viceré, perché presentivano che Pietro
Navarra con molti fanti spagnuoli era in luogo da potere loro nuocere se
fussino andati separati, accadde che Luigi d'Ars, avendo avuta opportunità di
condursi sicuro da se stesso, partì senza curarsi del pericolo del duca d'Atri;
al quale, rimasto solo, essendo pervenuta notizia che Pietro Navarra si era
mosso verso Matera per andare a unirsi con Consalvo, si messe ancora esso in
cammino con la sua gente. Ma non bastano i consigli umani a resistere alla
fortuna: perché avendo gli uomini di Rutiliano terra in quello di Bari, i quali
in quegli medesimi dì si erano ribellati dai franzesi, chiamato Pietro Navarra,
e però egli volgendosi dal cammino cominciato di Matera verso Rutiliano, si
scontrò nel duca d'Atri; il quale, spaventato di questo accidente, stette
sospeso di quello che avessi a fare, pure, non essendo sicura in tutto la
ritirata e confidandosi che se bene era inferiore di numero di fanti aveva più
cavalli, e stimando che la fanteria spagnuola per avere la notte fatto lungo
cammino fusse stracca, appiccò la battaglia; nella quale essendosi da ogni
parte combattuto valentemente, fu alla fine rotta la gente sua, morto
Giovann'Antonio suo zio ed egli fatto prigione. E, come pare ch'il più delle
volte le avversità non vadino sole, quattro galee franzesi, delle quali era
capitano Pregianni Provenzale cavaliere di Rodi, sorseno nel porto d'Otranto,
con licenza dell'offiziale viniziano, che promesse non patirebbe fussino
molestate dall'armata di Spagna, la quale sotto Villamarina volteggiava ne'
luoghi vicini; ma essendo poco dipoi entrata nel porto medesimo, Pregianni
inferiore di forze, temendo non l'investissino, acciò che almanco il danno suo
non fusse con guadagno degli inimici, liberata la ciurma e messe in fondo le
galee, salvò sé e i suoi per la via di terra. Aveva il re di Francia commesso
a' suoi capitani che standosi in su le difese fuggissino il venire alle mani,
perché arebbono presto o lo stabilimento della pace o soccorso grande. Ma era
difficile, essendo potenti e vicini tutti gli eserciti, raffrenare la caldezza
de' franzesi e fargli stare pazienti a menare la guerra in lungo; anzi era
destinato che, senza differire più, si decidesse la somma delle cose. Di che
nacque il principio in Calavria: perché, uniti che furono gli spagnuoli a
Seminara, Obignì, raccolte tutte le genti sue e quelle de' signori che
seguitavano la parte franzese, alloggiò le fanterie nella terra di Gioia vicina
a tre miglia a Seminara, e la cavalleria a Losarno lontano tre miglia da Gioia;
e fortificatosi con quattro pezzi d'artiglieria in su la riva del fiume in sul
quale è posta Gioia, stava preparato per opporsi agl'inimici se e' tentassino
di passare il fiume. Ma gli spagnuoli, fatto pensiero diverso dal suo, il dì
che deliberorono passare, mossono per la strada diritta la vanguardia, condotta
da Manuel di Benavida, alla via del fiume, il quale giunto alla riva cominciò a
parlare con Obignì, che aveva condotto tutto l'esercito suo in su la riva
opposita; e in detto tempo la retroguardia spagnuola, seguitata dalla
battaglia, si volse per altro cammino a passare il fiume un miglio e mezzo di
sopra a Gioia. Del qual tratto accorgendosi Obignì si mosse con grande celerità
e senza artiglieria, per giugnergli innanzi che tutti avessino passato: ma
erano già passati tutti; e ordinatisi, benché senza artiglierie, in ferma e
stretta battaglia si mossono contro a' franzesi, i quali, accelerando il
cammino e avendo, come dicono alcuni, molto minore numero di fanti, andavano
disordinati; in modo che presto gli roppeno, innanzi che passasse il fiume
l'antiguardia spagnuola. Nel quale conflitto restò prigione Ambricort con
alcuni altri capitani franzesi e il duca di Somma con molti baroni del regno; e
Obignì, benché fuggisse nella rocca di Angitola, rinchiusovi dentro, fu
costretto ad arrendersi prigione, rotto e preso in quegli luoghi medesimi dove
pochi anni innanzi aveva con tanta gloria superato e rotto il re Ferdinando e
Consalvo: tanto è poco costante la prosperità della fortuna. Né a lui, che fu
de' più eccellenti capitani che Carlo conducesse in Italia, e di ingegno libero
e nobile, aveva nociuto altro che il procedere con troppa caldezza alla
speranza della vittoria. La qual cosa medesima nocette in Puglia al viceré,
traportato forse a maggiore caldezza per avere intesa la rotta ricevuta in
Calavria; perché Consalvo, essendogli incognita la vittoria de' suoi, né
potendo più per la fame e per la peste perseverare in Barletta, se ne partì,
lasciatavi poca guardia, e si dirizzò alla Cirignola, terra lontana dieci
miglia e quasi in triangolo tra Canosa, dove era il viceré, e Barletta.
Era già stato
disputato prima nel consiglio del viceré se era da cercare o da fuggire
l'occasione della giornata, e molti de' capitani avevano detta questa sentenza,
che essendo gli spagnuoli accresciuti di gente e i suoi diminuiti, e cominciati
a invilire per i disordini succeduti prima a Rubos e a Castellaneta e poi in
Terra di Otranto e ultimatamente in Calavria, non fusse da commettersi alla
fortuna ma, ritirandosi in Melfi o in qualche altra terra grossa e abbondante,
aspettare che di Francia venisse o nuovo soccorso o lo stabilimento della pace;
al quale modo di temporeggiarsi astrignergli anche il comandamento ricevuto
nuovamente dal re: ma aveva questo consiglio avuto molti contradittori, a'
quali pareva pericoloso l'aspettare che l'esercito vincitore di Calavria si
unisse con Consalvo, o si voltasse a qualche impresa importante, dove non
troverebbono chi resistesse. Ricordavansi che frutto avesse partorito l'avere
eletto, l'esercito di Mompensieri, più tosto il ritirarsi nelle terre che 'l
combattere, e gli esempli passati gli ammonivano di quello che de' soccorsi
lunghi e incerti di Francia sperare potessino; e se, essendo le cose ambigue,
né Consalvo aveva consentito di levare le offese né i re di Spagna accettata la
pace, tanto manco essere per farlo ora che erano in tanta speranza della
vittoria. Non essere l'esercito loro inferiore di forze e di virtù a quello
degl'inimici, né doversi arguire da' disordini ricevuti per propria negligenza
a quello esperimento che col ferro e col valore dell'animo, non con l'astuzia o
con gli inganni, si farebbe in campagna aperta; ed essere più sicuro e più
glorioso partito fare, con speranza almanco eguale, esperienza della fortuna
che, fuggendola e lasciandosi a poco a poco consumare, concedere agl'inimici la
vittoria senza sangue e senza pericolo; e i comandamenti del re, che era
lontano, doversi più presto per ricordi che per precetti ripigliare, i quali
erano fatti prudentemente se fussino stati seguitati da Obignì, ma essendo
variato per quel disordine lo stato della guerra essere necessario che
medesimamente le deliberazioni si variassino. Era prevaluta nel consiglio
questa sentenza; e però, come ebbono notizia dalle spie che le genti spagnuole,
o tutte o parte, erano uscite di Barletta, prese similmente Nemors il cammino
verso la Cirignola, cammino all'uno e all'altro esercito molto incomodo;
perché, per essere quegli paesi sterilissimi d'acqua, e la state sopravenuta
molto più tosto che non suole essere al principio di maggio, è fama che quel dì
ne perirono nel camminare, di sete, molti di ciascuna delle parti: né sapevano
i franzesi se quel che si era mosso era tutto o parte dello esercito spagnuolo,
perché Fabrizio Colonna co' cavalli leggieri non lasciava penetrare a loro
notizia alcuna, e le lancie ritte degli uomini d'arme, e i gambi de' finocchi
che in quel paese sono altissimi, impedivano loro la vista. Arrivorono prima
gli spagnuoli alla Cirignola, che si guardava per i franzesi; e ponendosi ad
alloggiare tra certe vigne, allargorono per consiglio di Prospero Colonna un
fosso che era alla fronte del loro alloggiamento. Sopragiunseno poi i franzesi
mentre che l'alloggiamento si faceva, ed essendo già vicina la notte stettono
dubbi o d'appiccare subito il fatto d'arme o di differire la battaglia al dì
seguente; e consigliavano Ivo d'Allegri e il principe di Melfi che si
indugiasse al dì seguente, nel qual dì speravano che gli spagnuoli, necessitati
dal mancamento delle vettovaglie, avessino a muoversi, onde fuggirsi oltre alla
propinquità della notte il disavvantaggio di assaltargli nel proprio
alloggiamento, non sapendo massimamente la disposizione di quello; ma,
disprezzando impetuosamente Nemors il consiglio più salutifero, assaltorono gli
spagnuoli con furore grande; combattendo con la medesima ferocità i svizzeri.
Ed essendosi, o per caso o per altro, attaccato il fuoco alla munizione degli
spagnuoli, Consalvo, abbracciato l'augurio, con franco animo gridò: - Noi
abbiamo vinto; Iddio ci annunzia manifestamente la vittoria, dandoci segno che
non ci bisogna più adoperare l'artiglieria. -
Varia è la fama
del progresso della battaglia. I franzesi publicorono, le genti loro avere nel
primo congresso rotta la fanteria spagnuola, arrivati alla artiglieria avere
arsa la polvere ed essersene insignoriti; ma che, sopravenuta la notte, le
genti d'arme avevano percosso per errore nella fanteria propria, per il quale
disordine gli spagnuoli essersi rifatti. Ma dagli altri fu publicato che, per
la difficoltà di passare il fosso, i franzesi cominciando ad avvilupparsi tra
loro medesimi si messeno in fuga, non meno per disordine proprio che per virtù
degl'inimici; essendo massime spaventati per la morte di Nemors, il quale
combattendo ferocemente tra i primi, e riscaldando i suoi a passare il fosso,
cadde percosso d'uno scoppio. Altri, più particolarmente, che Nemors, disperato
di spuntare il fosso, volendo girare la gente al fianco del campo per fare
pruova d'entrare da quella banda, fece gridare: - a dietro, a dietro, - la qual
voce a chi non sapeva la cagione dava segno di fuggire; e la morte sua, che
essendo nel primo squadrone nel medesimo tempo sopravenne, voltò tutto
l'esercito in fuga manifesta. Rimuovono alcuni altri dal viceré la infamia
d'avere contro al consiglio degli altri combattuto, anzi la trasferiscono in
Allegri che, essendo inclinato il viceré a non combattere quel dì,
riprendendolo di timidità lo indusse a contrario consiglio. Durò la battaglia
per brevissimo spazio; e ancora che gli spagnuoli, passato il fosso, gli
seguitassino, ne fu, per essere già notte oscura, presi e morti pochissimi,
specialmente di uomini a cavallo; tra' quali fu morto monsignore di Ciandeu: il
resto, perduti i carriaggi perduta l'artiglieria, si salvò con la fuga,
spargendosi i capitani e i soldati in varie parti. È fama che, essendo già
cacciati per tutto gli inimici, che Consalvo, non vedendo in luogo alcuno
Prospero Colonna ne dimandava con instanza, dubitava non fusse stato ammazzato
nel fatto d'arme; e che Fabrizio, volendo tassarlo di timidità, ridendo gli
rispose non essere da temere che Prospero fusse entrato in luogo pericoloso. Acquistossi
questa vittoria otto dì dopo la rotta di Obignì; e l'una e l'altra in venerdì,
giorno osservato per felice dagli spagnuoli.
Feciono i
franzesi, come furono raccolti dalla fuga, vari disegni, o di unirsi con le
reliquie dello esercito in qualche luogo opportuno a impedire a' vincitori
l'andare a Napoli o di fermarsi alla difesa di Napoli; nondimeno, come nelle
cose avverse diventano ogni dì maggiori il timore e le difficoltà di chi è
stato vinto, niuno di questi partiti si messe a esecuzione, perché e in altri
luoghi aveano difficoltà di fermarsi, e Napoli giudicavano non potere difendere
per la carestia delle vettovaglie: alla quale per provedere aveano prima i
franzesi fatto comperare a Roma quantità grande di frumenti, ma il popolo
romano impedì non si traessino, o per conservare Roma abbondante o per
suggestione occulta (come molti credettono) del pontefice. Però Allegri, il
principe di Salerno e molti altri baroni si ritirorno tra Gaeta e Traietto, ove
si raccolse dietro al nome loro la maggiore parte delle reliquie dell'esercito.
Ottenuta Consalvo tanta vittoria, non allentando il favore della fortuna, si
dirizzò con l'esercito a Napoli; e passando da Melfi offerse al principe la
facoltà di ritenersi il suo stato in caso volesse seguitare la divozione
spagnuola: il quale, accettando più tosto d'essere lasciato partire con la
moglie e co' figliuoli, andò a congiugnersi con Luigi d'Ars che s'era fermato a
Venosa. Avuto Melfi, seguitò Consalvo il cammino a Napoli; ove come cominciò ad
accostarsi, i franzesi che v'erano dentro si ritirorno in Castelnuovo, e i
napoletani abbandonati, il quartodecimo dì di maggio, riceverono Consalvo: come
feceno, nel tempo medesimo, Aversa e Capua.
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