II. Successi de' fiorentini nella guerra contro Pisa. Trattative del
Valentino coi pisani e sua ambizione al dominio della Toscana. Politica ambigua
del pontefice e del Valentino verso il re di Francia. Aspirazione del pontefice
e del Valentino agli stati di Giangiordano Orsini.
Nel qual tempo
non erano l'altre parti d'Italia vacue totalmente di sospetti e di fatiche.
Perché i fiorentini, insino innanzi alle percosse che i franzesi ebbono nel
reame, temendo le forze e gl'inganni del pontefice e del Valentino, avevano
oltre a essersi proveduti d'altre armi condotto a' soldi loro e per governare
tutte le loro genti, benché senza titolo, il baglì d'Occan capitano riputato
nella guerra, con cinquanta lancie franzesi; persuadendosi che, per essere uomo
del re di Francia e menando con volontà del re le cinquanta lancie che aveva da
lui in condotta, quegli de' quali temevano avessino a procedere con più
rispetto, e che oltre a questo in ogni bisogno loro avessino a essere più
pronti gli aiuti regi: alla giunta del quale, raccolte insieme tutte le genti,
tagliorono la seconda volta le biade de' pisani; non però per tutto il paese,
perché l'entrare nel Valdiserchio non era senza pericolo, essendo quella valle
situata tra monti e acque e in mezzo tra Lucca e Pisa. Espedito di dare il
guasto, andò il campo a Vico Pisano, il quale si ottenne senza difficoltà:
perché il baglì, minacciando cento fanti franzesi che v'erano dentro che e'
sarebbono puniti come inimici del re e promettendo loro il soldo di uno mese,
fu operatore che se n'uscissino; per la partita de' quali furono costretti
quegli di Vico Pisano arrendersi liberamente. Preso Vico, si circondò subito la
Verrucola dove erano pochi difensori, perché non vi entrasse nuova gente; e
condottevi di poi per quegli monti aspri con difficoltà grande l'artiglierie,
quegli di dentro aspettati pochi colpi s'arrenderono, salvo l'avere e le
persone. È il sito del monte della Verrucola, nella sommità del quale era stata
fabbricata una piccola fortezza, nelle guerre lunghe che si fanno nel contado
di Pisa, di molta importanza; perché, vicino a Pisa a cinque miglia, non solo è
opportuno a infestare il paese circostante, e insino in sulle porte di quella
città, ma ancora a scoprire tutte le cavalcate e genti che n'escono; e il quale,
in questa guerra, e da Paolo Vitelli e da altri era invano più volte stato
tentato. Ma la confidenza che i pisani aveano avuta che avesse a difendere Vico
Pisano, senza l'acquisto del quale non potevano i fiorentini mettersi a campo
alla Verrucola, era stata cagione che non l'aveano proveduta sufficientemente.
Spaventò molto i pisani la perdita della Verrucola; e nondimeno, ancora che e'
ricevessino tanti danni, avessino pochissimi soldati forestieri mancamento di
danari carestia di vettovaglie, non si piegavano a ritornare all'ubbidienza de'
fiorentini, mossi principalmente dalla disperazione di ottenere venia per la
coscienza dell'offese gravissime fatte loro. La quale disposizione era
necessario che conservassino, con grandissima diligenza e infinite arti, coloro
che nel governo erano di maggiore autorità; perché pure a' contadini, senza i
quali non erano sufficienti a difendersi, pareva grave il perdere le sue
ricolte: perciò attendevano a nutrirgli con varie speranze, e insieme quegli
del popolo che vivevano più delle arti della pace che della guerra; con lettere
finte e con diverse invenzioni mostrando (e le cose vere alle false mescolando,
e ciò che in Italia di nuovo succedeva a proposito loro interpretando) che ora
questo ora quell'altro principe in aiuto loro si moverebbono. Né erano però in
queste estremità senza qualche aiuto e soccorso da' genovesi e da' lucchesi
antichi inimici del nome fiorentino, e similmente da Pandolfo Petrucci poco
grato de' benefici ricevuti; ma, quello che importava più, erano eziandio
nutriti, con qualche aiuto occulto ma con molto maggiori speranze, dal
Valentino. Il quale, avendo lungamente avuto desiderio di insignorirsi di
quella città, offertagli da' pisani medesimi, ma astenutosene per non offendere
l'animo del re di Francia, ora, preso ardire dalle avversità sue nel regno di
Napoli, trattava, con consentimento paterno, con gli imbasciadori pisani, i
quali per questo erano stati mandati a Roma, di accettarne il dominio,
distendendo, oltre a questo, i pensieri suoi a occupare tutta Toscana. Della
qual cosa benché i fiorentini e i sanesi avessino grandissima sospezione,
nondimeno, essendo impedito il bene universale dagli interessi particolari, non
si tirava innanzi l'unione proposta dal re di Francia tra i fiorentini, bolognesi
e sanesi; perché i fiorentini ricusavano di farla senza la restituzione di
Montepulciano, come da principio era stato trattato e promesso, e Pandolfo
Petrucci, avendone l'animo alieno benché le parole sonassino in contrario,
allegava che il restituirlo gli conciterebbe tanto odio del popolo sanese che
e' sarebbe necessitato a partirsi di nuovo di quella città, e però essere più
beneficio comune differire qualche poco per farlo con migliore occasione che,
per restituirlo di presente, facilitare al Valentino l'occupare Siena; e così
non negando ma prolungando si ingegnava che i fiorentini accettassino la
speranza per effetto: le quali scuse, rifiutate da essi, erano per opera di
Francesco da Narni, fermatosi per comandamento del re in Siena, accettate e
credute nella corte di Francia.
Ma non era
l'intenzione del pontefice e di Valentino di mettere mano a queste imprese se
non quanto dessino loro animo i progressi dell'esercito che si preparava dal re
di Francia, e secondo che da essi fusse deliberato dell'aderirsi più all'uno re
che all'altro: sopra che si facevano per essi in questo tempo vari pensieri,
differendo quanto potevano il dichiarare la mente sua, non inclinata, se non
quanto il timore fusse per costrignergli, al re di Francia, perché l'esperienza
veduta nelle cose di Bologna e di Toscana gli privava di speranza di fare col
favore suo maggiori acquisti. Perciò avevano cominciato, innanzi alla vittoria
degli spagnuoli, ad alienarsi con la volontà ogni dì più da lui, e dopo la
vittoria, preso maggiore animo, non avevano più il rispetto solito alla volontà
e autorità sua; e ancora che avessino, subito dopo le rotte de' franzesi,
affermato di volere seguitare la parte del re di Francia e fatto dimostrazione
di soldare genti per mandarle ne reame, nondimeno tirati dalla cupidità di
nuovi acquisti, né potendo levare gli occhi né rimuovere l'animo dalla Toscana,
ricercandogli il re che si dichiarassino apertamente per lui, rispondeva il
pontefice con tale ambiguità che ogni dì diventava più sospetto, il figliuolo
ed egli; la simulazione e dissimulazione de' quali era tanto nota nella corte
di Roma che n'era nato comune proverbio che 'l papa non faceva mai quello che
diceva e il Valentino non diceva mai quello che faceva. Né era ancora finita la
contenzione loro con Giangiordano. Perché se bene il Valentino, temendo la
indegnazione del re, si fusse, quando ricevé il comandamento suo, astenuto da
molestarlo, nondimeno il pontefice, dimostrandone dispiacenza grandissima, non
avea mai cessato di fare instanza col re che o gli concedesse l'acquistare con
l'armi tutti gli stati di Giangiordano o costrignesse lui a riceverne
ricompenso, dimostrando muoverlo a questo non l'ambizione ma giustissimo timore
della sua vicinità, perché, essendosi trovato nelle scritture del cardinale
Orsino uno foglio bianco sottoscritto di mano propria di Giangiordano, arguiva
che nelle cose trattate alla Magione avea avuto contro a sé la medesima volontà
e intelligenza che gli altri Orsini. Nella qual cosa il re, avendo per fine più
l'utilità che l'onestà, avea proceduto diversamente secondo la diversità de'
tempi, ora dimostrandosi favorevole come prima a Giangiordano ora inclinato a
sodisfare in qualche modo al pontefice. Però, avendo Giangiordano ricusato di deporre
Bracciano in mano dell'oratore franzese che risedeva a Roma, dimandò il re che
questa controversia fusse rimessa in sé, con patto che Giangiordano si
trasferisse fra due mesi in Francia né si innovasse insino alla sua
determinazione cosa alcuna; alla qual cosa acconsentì Giangiordano per
necessità, perché avea sperato per i meriti paterni e suoi dovere essere in
tutto liberato da questa molestia, e il pontefice più per timore che per altro,
essendo stata fatta la domanda nel tempo che l'arciduca in nome de' re di
Spagna contrasse la pace. Ma mutata per la vittoria degli spagnuoli la
condizione delle cose, il papa, vedendo il bisogno che il re aveva di lui,
dimandava tutti gli stati suoi, offerendo quella ricompensa che fusse
dichiarata dal re; il quale aveva, per la medesima cagione, indotto
Giangiordano, benché malvolentieri, a consentirvi e a promettere di dargli, per
sicurtà d'eseguire quel che il re dichiarasse, il figliuolo: perché la
intenzione sua era non dare questi stati al pontefice se nel tempo medesimo non
si congiugneva nella guerra napoletana apertamente con lui. Ma avendo recusato
quegli di Pitigliano, dove il figliuolo era, di darlo a monsignore di Trans
oratore del re, il quale era andato a Portercole per riceverlo, Giangiordano
medesimo, che era ritornato, andò a Portercole a offerire all'oratore la
propria persona; il quale accettatolo, impudentemente lo fece mettere in su una
nave; benché, subito che 'l re n'ebbe notizia, comandò fusse liberato.
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