III. Aspirazioni del pontefice al pieno dominio di Perugia e di Bologna. Il
re di Francia risponde favorevolmente alle richieste d'aiuto del pontefice.
Richiesta di Massimiliano ai veneziani di passare armato per il loro territorio
per recarsi a Roma, e risposta de' veneziani. Accordi del pontefice con
Giampaolo Baglione. Il pontefice a Imola. I Bentivoglio abbandonano Bologna,
ove entra il pontefice.
Le quali cose
mentre che tra i prìncipi oltramontani si trattano con tanta varietà, il
pontefice, conoscendosi inabile a offendere senza gli aiuti del re di Francia i
viniziani, né potendo più tollerare di consumare ignobilmente gli anni del suo
pontificato, ricercò il re che lo aiutasse a ridurre sotto l'ubbidienza della
Chiesa le città di Bologna e di Perugia; le quali, appartenendo per
antichissime ragioni alla sedia apostolica, erano tiranneggiate l'una da
Giampaolo Baglione l'altra da Giovanni Bentivoglio: i maggiori de' quali,
fattisi di privati cittadini capi di parte nelle discordie civili, e cacciati o
ammazzati gli avversari, erano diventati assoluti padroni; né gli aveva
ritardati a occupare il nome di legittimi prìncipi altro che il rispetto de'
pontefici; i quali nell'una e nell'altra città ritenevano poco più che 'l nome
nudo del dominio, perché ne pigliavano certa parte benché piccola dell'entrate,
e tenevonvi governatori in nome della Chiesa i quali, essendo la potenza e la
deliberazione di tutte le cose importanti in mano di coloro, vi erano quasi per
ombra e per dimostrazione più che per effetti. Ma la città di Perugia, o per la
vicinità sua a Roma o per altre occasioni, era stata molto più continuamente
sottoposta alla Chiesa. Perché la città di Bologna aveva nelle avversità de'
pontefici spesse volte variato, ora reggendosi in libertà ora tiranneggiata da'
suoi cittadini ora sottoposta a prìncipi esterni ora ridotta in assoluta
subiezione de' pontefici, e ultimatamente ritornata, a tempo di Niccolao quinto
pontefice a ubbidienza della Chiesa, ma con certe limitazioni e comunioni di
autorità tra i pontefici e loro, che restando in progresso di tempo il nome e
le dimostrazioni a' pontefici, l'effetto e la sostanza delle cose era pervenuta
in potestà de' Bentivogli. De' quali quel che al presente reggeva, Giovanni,
avendo a poco a poco tirato a sé ogni cosa, e depresse quelle famiglie più
potenti che erano state favorevoli a' maggiori suoi e a lui nel fondare e stabilire
la tirannide, grave ancora per quattro figliuoli che aveva, la insolenza e le
spese de' quali cominciavano a essere intollerabili, e però diventato odioso
quasi a tutti, lasciato piccolo luogo alla mansuetudine e alla clemenza,
conservava la sua potenza più con la crudeltà e con l'armi che colla
mansuetudine e benignità. Incitava il pontefice a queste imprese principalmente
l'appetito della gloria, per la quale, pretendendo colore di pietà e zelo di
religione alla sua ambizione, aveva in animo di restituire alla sedia
apostolica tutto quello che in qualunque modo si dicesse essergli stato
usurpato; e lo moveva più particolarmente alla recuperazione di Bologna odio
nuovo contro a Giovanni Bentivoglio, perché essendosi, mentre non ardiva stare
a Roma, fermato a Cento terra del vescovado suo di Bologna, se n'ebbe di notte
subitamente a fuggire perché ebbe avviso (o vero o falso che e fusse) che egli
ordinava, a instanza del pontefice Alessandro, di farlo prigione.
Fu grata molto
al re questa richiesta del pontefice, parendogli avere occasione di
conservarselo benevolo, perché sapendo essergli molto molesta la congiunzione
sua co' viniziani cominciava a temere non poco che egli non facesse qualche
precipitazione; e già non era senza sospetto che certa pratica tenuta da
Ottaviano Fregoso per privarlo del dominio di Genova fusse con sua
partecipazione: e oltre a questo riputava che il Bentivoglio, se bene fusse
sotto la sua protezione, avesse maggiore inclinazione a Cesare che a lui. Aggiugnevasi
lo sdegno suo contro a Giampaolo Baglione per avere ricusato, ricevuti che ebbe
quattordicimila ducati, di andare a unirsi coll'esercito suo in sul fiume del
Garigliano; e il desiderio di offendere, con l'occasione di mandare genti in
Toscana, Pandolfo Petrucci, perché né gli aveva mai pagato i danari promessi, e
si era del tutto aderito alla fortuna degli spagnuoli. Però prontamente offerse
al papa di dargli aiuto; e all'incontro il papa gli dette brevi del cardinalato
d'Aus e di Baiosa, e facoltà di disporre de' benefici del ducato di Milano,
come già ebbe Francesco Sforza.
Le quali
pratiche essendo conchiuse per mezzo del vescovo di Sisteron, nuovamente
promosso all'arcivescovado d'Ais, che per questa cagione andò più volte dall'uno
all'altro di loro, nondimeno non fu sì pronta la esecuzione. Perché avendo il
pontefice differito qualche mese a fare la impresa, accadde che Massimiliano,
il quale, avendo rotto guerra al re d'Ungheria, aveva allentato il pensiere di
passare in Italia, si pacificò di nuovo con lui, rinnovato il patto della
successione: e ritornò in Austria, facendo segni e apparati che dimostravano
volesse passare in Italia. Alla quale cosa desiderando di non avere avversi i
viniziani, mandò a Vinegia quattro oratori a significare la deliberazione sua
di andare a Roma per la corona dello imperio; ricercandogli concedessino il
passo a lui e al suo esercito, offerendosi parato ad assicurargli di non dare
allo stato loro molestia alcuna, anzi desiderare di unirsi con quella
republica, potendosi facilmente trovare modo di unione, che sarebbe non solo
con sicurtà ma eziandio con augumento ed esaltazione dell'una parte e
dell'altra: volendo tacitamente inferire che e' sarebbe utilità comune il
congiugnersi insieme contro al re di Francia. Alla quale esposizione, dopo
lunga consulta, fu fatto risposta con gratissime parole: dimostrando quanto era
grande il desiderio del senato viniziano di accostarsi alla volontà sua, e
sodisfargli in tutte le cose che potessino senza grave loro pregiudicio; il
quale in questo caso non poteva essere né maggiore né più evidente,
conciossiaché Italia tutta, disperata per tante calamità che aveva sopportate,
stava molto sollevata al nome della passata sua con esercito potente, con
intenzione di pigliare l'armi per non lasciare aprire la via a nuovi travagli;
e il medesimo era per fare il re di Francia per assicurare lo stato di Milano.
Dunque, il venire egli con esercito armato in Italia non essere altro che
cercare potentissima, opposizione, e con grandissimo pericolo loro; contro a'
quali si conciterebbe tutta Italia, insieme con quel re, se gli consentissino
il passo, come se agl'interessi propri avessino posposto il beneficio comune.
Essere molto più sicuro per tutti, e alla fine più onorevole per lui, venendo a
uno atto pacifico e favorevole appresso a ciascuno, passare in Italia
disarmato; dove, dimostrando non meno benigna che potente la maestà dello
imperio, arebbe grandissimo favore da ciascuno, sarebbe con somma gloria
conservatore della tranquillità d'Italia, andando a incoronarsi in quel modo
che innanzi a lui era andato a incoronarsi il padre suo e molti altri de' suoi
predecessori; e in tal caso il senato viniziano farebbe verso di lui tutte
quelle dimostrazioni e officii che egli medesimo sapesse desiderare.
Queste
preparazioni di armi, e queste cose che si trattavano per Cesare, furono
cagione che ricercando il pontefice, determinato di fare di presente la impresa
di Bologna, al re le genti promesse, egli, parendogli non essere tempo da
simili movimenti, lo confortava amichevolmente a differire a tempo che per
questo accidente non s'avesse a commuovere tutta Italia; movendolo a questo
eziandio il sospetto che i viniziani non si sdegnassino, perché gli avevano
significato avere deliberato di pigliare l'armi per la difesa di Bologna se il
pontefice non cedeva prima loro le ragioni pertinenti alla Chiesa in Faenza. Ma
la natura del pontefice, impaziente e precipitosa, cercò contra tutte le
difficoltà e opposizioni, con modi impetuosi, di conseguire il desiderio suo.
Perché chiamati i cardinali in concistoro, giustificata la causa che lo moveva
a desiderare di liberare da' tiranni le città di Bologna e di Perugia, membri
tanto nobili e tanto importanti a quella sedia, significò volervi andare
personalmente; affermando che oltre alle forze proprie arebbe aiuto dal re di
Francia da' fiorentini e da molti altri d'Italia, né Dio giusto Signore essere
per abbandonare chi aiutava la Chiesa sua. La quale cosa significata in Francia
parve tanto ridicola al re (che il pontefice si promettesse, senza esserne
certificato altrimenti, l'aiuto delle sue genti) che ridendo sopra la mensa, e
volendo tassare la ebrietà sua nota a ciascuno, disse che il papa la sera
innanzi doveva essersi troppo riscaldato col vino; non si accorgendo ancora che
questa impetuosa deliberazione lo costrigneva o a venire in manifesta
controversia con lui o a concedergli contro alla propria volontà le genti sue.
Ma il papa, non aspettata altra resoluzione, era con cinquecento uomini d'arme
uscito di Roma; e avendo mandato Antonio de Monte a significare a' bolognesi la
sua venuta, e a comandare che preparassino di riceverlo e di alloggiare nel
contado cinquecento lancie franzesi, procedeva innanzi lentamente; avendo in animo
di non passare Perugia se prima non era certificato che le genti franzesi
venissino in aiuto suo. Della venuta del quale temendo Giampaolo Baglione,
confortato dal duca d'Urbino e da altri amici suoi, e sotto la fede ricevuta da
loro, andò a incontrarlo a Orvieto: dove, rimettendosi totalmente alla volontà
sua, fu ricevuto in grazia; avendogli promesso andare seco in persona e menare
cento cinquanta uomini d'arme, lasciargli nelle mani le fortezze di Perugia e
del perugino e la guardia della città, e dando statichi per la osservanza due
figliuoli al duca d'Urbino.
Entrò in
Perugia senza forze, e in modo che era in potestà di Giampaolo di farlo
prigione con tutta la corte, se avesse saputo fare risonare per tutto il mondo,
in cosa sì grande, quella perfidia la quale aveva già infamato il nome suo in
cose tanto minori. Udì in Perugia il cardinale di Nerbona, venuto in nome del
re di Francia a confortarlo che differisse ad altro tempo la impresa, ed
escusare che, se bene il re desiderava mandargli le genti, non poteva, per i
sospetti grandi che aveva di Cesare, disarmare il ducato di Milano. Della quale
imbasciata commosso maravigliosamente, né mostrando per questo di volere mutare
sentenza, cominciò a soldare fanti e accrescere tutte le provisioni: e
nondimeno fu creduto da molti che, attese le difficoltà che si dimostravano e
la natura sua non implacabile a chi gli cedeva, che se il Bentivoglio, che per
suoi imbasciadori aveva offerto di mandargli tutti a quattro i figliuoli suoi,
si fusse disposto ad andarvi come aveva fatto Giampaolo personalmente, arebbe
trovato qualche forma tollerabile alle cose sue. In che mentre non si risolse
per se stesso, o, secondo dicono alcuni, mentre è tenuto sospeso dalla
contradizione della moglie, ebbe avviso che il re di Francia avea comandato a
Ciamonte che andasse personalmente in aiuto suo con cinquecento lancie: perché
il re, se bene, trovandosi allora il cardinale di Roano assente dalla corte,
fusse stato inclinato a non le concedere, nondimeno confortato poi al contrario
da lui, e considerando quanta offesa sarebbe al papa il denegargli quel che non
solo da principio gli aveva promesso ma eziandio stimolato a volerlo usare,
mutò sentenza; indotto ancora a questo più facilmente perché le dimostrazioni di
Massimiliano erano già, secondo la sua consuetudine, cominciate a raffreddare,
e il pontefice, per sodisfare in qualche parte al re, era stato contento
promettergli, benché non per scrittura ma con semplici parole, che per causa
delle terre di Romagna non molesterebbe mai i viniziani. E nondimeno, non
volendo astenersi da dimostrare essergli fisso nell'animo questo desiderio,
andando da Perugia a Cesena prese la via de' monti; perché se fusse andato pel
piano era necessitato passare per quello di Rimini, che gli occupavano i
viniziani. A Cesena, ammonì sotto gravissime censure e pene spirituali e
temporali il Bentivoglio a partirsi di Bologna, estendendole a chi aderisse o
conversasse con lui; nel quale luogo avendo avuto avviso Ciamonte essere in
cammino con secento lancie e tremila fanti, i quali si pagavano dal pontefice,
ripieno di maggiore animo continuò senza dilazione il cammino; e sfuggendo, per
la medesima cagione per la quale aveva sfuggito Arimini, di passare per il
territorio di Faenza, presa la via de' monti, benché difficile e incomoda, per
le terre possedute di là dallo Apennino da' fiorentini, andò a Imola, dove si
raccoglieva l'esercito suo: nel quale, oltre a molti fanti che avea soldati,
erano quattrocento uomini d'arme agli stipendi suoi, Giampaolo Baglione con
cento cinquanta, cento prestatigli sotto Marcantonio Colonna da' fiorentini,
cento prestatigli dal duca di Ferrara, molti stradiotti soldati nel regno di
Napoli, e dugento cavalli leggieri menatigli dal marchese di Mantova, deputato
luogotenente dell'esercito.
Da altra parte
in Bologna non avevano i Bentivogli cessato di fare molte preparazioni,
sperando se non di essere difesi almeno di non essere offesi da' franzesi;
perché il re, ricercato di sussidio da loro secondo gli oblighi della
protezione, aveva risposto non potere opporsi con l'armi alle imprese del
pontefice, ma che non darebbe già né gente né aiuto contro a loro: donde si
confidavano di potere facilmente resistere all'esercito ecclesiastico. Ma mancò
loro ogni speranza per la venuta di Ciamonte; il quale benché per il cammino
avesse dato agli uomini loro varie risposte, nondimeno, il dì che arrivò a
Castelfranco nel bolognese, che fu il medesimo dì che 'l marchese di Mantova
con le genti del Pontefice occupò Castel San Piero, mandò a significare a
Giovanni Bentivogli che il re, non volendo mancargli di quello a che era tenuto
per i capitoli della protezione, intendeva conservargli i beni suoi e operare
che, lasciando il governo della città alla Chiesa, potesse sicuramente godendo
i suoi beni abitare co' figliuoli in Bologna; ma questo, in caso che infra tre
dì avesse ubbidito a' comandamenti del pontefice. Donde il Bentivoglio e i
figliuoli, che prima con grandissime minaccie avevano publicato per tutto di
volersi difendere, caduti interamente d'animo, e dimenticatisi della
increpazione fatta a Piero de' Medici che senza effusione di sangue si fusse
fuggito di Firenze, risposono volere rimettersi in arbitrio suo, supplicandolo
che fusse operatore che almanco ottenessino condizioni tollerabili. Però egli,
che era già venuto al Ponte al Reno vicino a Bologna a tre miglia,
interponendosi col pontefice, convenne che fusse lecito a Giovanni Bentivogli e
a' figliuoli e a Ginevra Sforza sua moglie partirsi sicuramente da Bologna, e
fermarsi in qualunque luogo volessino del ducato di Milano; avessino facoltà di
vendere o di cavare di Bologna tutti i mobili loro, né fussino molestati ne'
beni immobili che con giusto titolo possedevano: le quali cose conchiuse si partirono
subito da Bologna, ottenuto da Ciamonte, al quale dettono dodicimila ducati,
amplissimo salvocondotto, con promessa per scrittura di fargli osservare quanto
si conteneva nella protezione del re, e che potessino sicuramente abitare nello
stato di Milano. Partiti i Bentivogli, il popolo di Bologna mandò subito
oratori al pontefice a dargli liberamente la città né dimandare altro che
l'assoluzione delle censure, e che i franzesi non entrassino in Bologna. I
quali, mal pazienti di regola alcuna, accostatisi alle mura, feciono forza
d'entrare; ma essendo fatto loro resistenza dal popolo si alloggiorono appresso
alle mura tra le porte di San Felice e di Saragosa, in sul canale il quale,
derivato dal fiume del Reno, passando per Bologna, conduce le navi al cammino
di Ferrara; non sapendo essere in potestà de' bolognesi con l'abbassare, nel
luogo ove l'acqua del canale entra nella città, una graticola di ferro,
inondare il paese circostante: il che avendo fatto, il canale gonfiato d'acque
inondò il luogo basso dove alloggiavano i franzesi; i quali, lasciate nel fango
le artiglierie e molti carriaggi, si ritirorono tumultuosamente al Ponte al
Reno, dove stetteno insino all'entrata del pontefice in Bologna: il quale con
grandissima pompa e con tutte le cerimonie pontificali vi entrò molto
solennemente il dì dedicato a san Martino. Così con grandissima felicità de'
bolognesi venne in potestà della Chiesa la città di Bologna, città numerata
meritamente, per la frequenza del popolo per la fertilità del territorio e per
la opportunità del sito, tra le più preclare città d'Italia. Nella quale benché
il pontefice, costituiti i magistrati nuovi a esempio degli antichi, riservasse
in molte cose segni e imagine di libertà, nondimeno in quanto allo effetto la
sottomesse del tutto all'ubbidienza della Chiesa: liberalissimo in questo che,
concedendo molte esenzioni, si sforzò, come medesimamente fece in tutte l'altre
città, di fare il popolo amatore del dominio ecclesiastico. A Ciamonte, che se
ne ritornò incontinente nel ducato di Milano, donò il pontefice ottomila ducati
per sé e diecimila per le genti, e gli confermò per bolla la promessa fattagli
prima di promuovere al cardinalato il vescovo d'Albi suo fratello, e nondimeno,
volto con tutto l'animo alle offese de' viniziani, per lasciare più stimoli al
re di Francia e al cardinale di Roano di sovvenirlo, non volle, secondo
l'instanza che gli era fatta e i brevi conceduti da sé, publicare allora
cardinali Aus e Baiosa.
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