IV. Venuta di Ferdinando d'Aragona in Italia. Morte dell'arciduca Filippo.
Concorrono ambasciatori di prìncipi e di governi a Napoli presso Ferdinando.
Scoperta d'una congiura contro il duca di Ferrara. Fuga del Valentino in
Navarra e sua fine.
Passò in questo
tempo per mare in Italia il re d'Aragona. Al quale, innanzi si imbarcasse a
Barzalona, venne un uomo del gran capitano a offerirsegli pronto a riceverlo, e
a esibirgli la ubbidienza: al quale il re riconfermò non solo il ducato di
Santo Angelo, il quale gli aveva già donato il re Federigo, ma ancora tutti gli
altri che, per entrata di più di ventimila ducati, possedeva nel reame di
Napoli. Confermogli l'offizio del gran conestabile del medesimo regno, e gli
promesse per cedola di sua mano il maestralgo di San Iacopo. E però, con
maggiore speranza imbarcatosi a Barzalona, e onoratamente ricevuto per ordine
del re di Francia, insieme con la moglie, in tutti i porti di Provenza, fu col
medesimo onore ricevuto nel porto di Genova, dove lo aspettava il gran capitano
andato, con ammirazione di molti, a rincontrarlo; perché non solo negli uomini
volgari ma eziandio nel pontefice era stata opinione che egli, conscio della
inubbidienza passata e de' sospetti i quali il re, forse non vanamente, aveva
avuti di lui, fuggendo per timore il cospetto suo, passerebbe in Ispagna.
Partito da Genova, non volendo con le galee sottili discostarsi da terra,
stette più giorni, per non avere i venti prosperi, in Portofino; dove mentre
dimora gli sopragiunse avviso che il re Filippo suo genero, giovane d'anni e di
corpo robusto e sanissimo, nel fiore della sua età e costituito in tanta
felicità (dimostrandosi bene spesso maravigliosa la varietà della fortuna),
era, per febbre duratagli pochi dì, passato, nella città di Burgus, all'altra
vita: e nondimeno il re, che per molti si credette che, per desiderio di
ripigliare il governo di Castiglia, volgesse subito le prue a Barzalona,
continuando il cammino di prima, entrò quel medesimo giorno nel porto di Gaeta
che il pontefice, andando a Bologna, era entrato in Imola. Onde condotto a
Napoli, fu ricevuto in quella città, assueta a vedere re aragonesi, con
grandissima magnificenza e onore, e con molto maggiore desiderio ed
espettazione di tutti; persuadendosi ciascuno che, per mano d'uno re glorioso per
tante vittorie avute contro agli infedeli e contro a' cristiani, venerabile per
opinione di prudenza, e del quale risonava fama chiarissima che avesse con
singolare giustizia e tranquillità governato i reami suoi, dovesse il regno di
Napoli, ristorato di tanti affanni e oppressioni, ridursi in quieto stato e
molto felice, e reintegrarsi de' porti che, con dispiacere non piccolo di tutto
il reame, vi tenevano i viniziani. Concorsono a Napoli prontamente oratori di
tutta Italia, non solo per congratularsi e onorare uno tanto principe ma
eziandio per varie pratiche e cagioni; persuadendosi ciascuno che con
l'autorità e prudenza sua avesse a dare forma e a essere il contrappeso di
molte cose. Però che e il pontefice, benché mal sodisfatto di lui perché non aveva
mai mandato imbasciadori a dargli secondo l'usanza comune l'ubbidienza, cercava
di incitarlo contro a viniziani, pensando che per recuperare i porti della
Puglia avesse desiderio della bassezza loro: e i viniziani si ingegnavano di
conservarselo amico; e i fiorentini e gli altri popoli di Toscana trattavano
diversamente con lui per le cose di Pisa: molestate, questo anno, meno che il
solito dall'armi de' fiorentini, perché non aveano impedito le loro ricolte, o
stracchi dalle spese o perché la giudicassino per l'esperienza degli anni
passati cosa vana, sapendo che i genovesi e i lucchesi si erano insieme per uno
anno convenuti di sostentare con spesa certa e determinata quella città. Alla
qual cosa gli aveva prima confortati Pandolfo Petrucci, offerendo che i sanesi
farebbono il medesimo; ma da altra parte, manifestando con la sua consueta
duplicità quel che si trattava a' fiorentini, ottenne da loro, perché si
separasse dagli altri, che si prorogasse per tre anni la tregua che ancora
durava tra i fiorentini e sanesi, ma con patto espresso che a' sanesi e a
Pandolfo non fusse lecito dare aiuto alcuno a' pisani: colla quale scusa
astenendosi da spendere per loro, non cessava nell'altre cose, quanto poteva,
di consigliargli e favorirgli.
Succedette,
nell'anno medesimo, dalla tragedia cominciata innanzi a Ferrara nuovo e grave
accidente. Perché Ferdinando, fratello del duca Alfonso, e Giulio, al quale dal
cardinale erano stati tratti gli occhi, ma riposti senza perdita del lume nel
luogo loro, per presta e diligente cura de' medici, si erano congiurati insieme
contro alla vita del duca; mossi, Ferdinando, che era il secondogenito, per
cupidità di occupare quello stato, Giulio per non gli parere che Alfonso si
fusse risentito delle ingiurie sue, e perché non poteva sperare di vendicarsi
contro al cardinale con altro modo: a' quali consigli interveniva il conte
Albertino Buschetto gentiluomo di Modona. E avendo corrotto alcuni di vile
condizione che per causa di piaceri erano assidui intorno ad Alfonso, ebbono
molte volte facilità grandissima d'ammazzarlo; ma ritenuti da fatale timidità
lasciorno sempre passare l'occasione, in modo che, come accade quasi sempre
quando si differisce la esecuzione delle congiure, venuta la cosa a luce,
furono incarcerati Ferdinando e gli altri partecipi; e Giulio, che scoperta la
cosa si era fuggito a Mantova alla sorella, fu per ordine del marchese condotto
prigione ad Alfonso, ricevuta da lui promessa di non gli nuocere nella vita; e
poco dipoi, squartato il conte Albertino e gli altri colpevoli, furono amendue
i fratelli condannati a stare in perpetua carcere nel castel nuovo di Ferrara.
Né è da passare
con silenzio l'audacia e la industria del Valentino; il quale in questi tempi
medesimi, con sottile modo calatosi per una corda della rocca di Medina del
Campo, fuggì nel regno di Navarra al re Giovanni fratello della sua moglie.
Dove, acciò che di lui non s'abbia a fare più menzione, dimorato alquanti anni
in basso stato, perché il re di Francia, il quale prima gli aveva confiscato il
ducato di Valenza e toltogli la pensione de' ventimila franchi consegnatagli in
supplemento dell'entrata promessa, non gli permesse, per non fare cosa molesta
al re di Aragona, l'andare in Francia, fu finalmente, essendo con le genti del
re di Navarra a campo a Viana castello ignobile di quel reame, combattendo
contro agli inimici che si erano scoperti
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